sabato 30 aprile 2016

Anvil - La storia degli Anvil

Regia: Sacha Gervasi
Origine: Canada
Anno: 2008
Durata: 80'







La trama (con parole mie): a cavallo tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta, gli Anvil, formazione canadese tra le più influenti dell'heavy metal mondiale, riconosciuta da gruppi come Metallica, Anthrax, Guns and Roses, sparisce di fatto dai radar che contano centrando uno dei casi più clamorosi di insuccesso commerciale che il genere abbia mai conosciuto.
In realtà i due membri fondatori della band, amici d'infanzia e coppia praticamente inseparabile, Steve "Lips" Kudlow e Robb Reiner, cantante e chitarrista il primo e batterista il secondo, non hanno mai mollato i loro sogni ed il progetto di portare gli Anvil alla ribalta, hanno continuato a pubblicare dischi ed esibirsi per piccoli gruppi di appassionati e a lavorare come tutti i comuni mortali del pianeta, invece che dedicarsi a vite da rockstar dissolute.
Quando, nel duemilasei, un'improvvisata manager italiana li riporta in tour in Europa sperando di alimentare i sogni di Kudlow e Reiner e le cose non vanno come tutti loro avrebbero voluto, il tredicesimo disco degli Anvil diventa l'ultima scommessa, il treno atteso da una vita: ma l'occasione si presenterà, o si tradurrà nell'ennesima, amara delusione?













Ricordo bene l'effetto che ebbi guardando il finale di A proposito di Davis, firmato dai Fratelli Coen: un'amara consapevolezza filtrata attraverso l'antico adagio dell'uno su mille ce la fa che calza a pennello a qualsiasi campo artistico.
E che si tratti di un treno che passa una volta sola, del "trovarsi nel posto giusto al momento giusto" - come afferma il compianto Lemmy proprio in un estratto di questo documentario -, di talento o di un insieme di fattori che non potremo mai spiegare, è incalcolabile il numero degli aspiranti musicisti, scrittori, attori, registi, pittori e chi più ne ha, più ne metta, che popolano il mondo - e mi metto tranquillamente nel novero -: persone che ci hanno provato, e che, un giorno, si sono rese conto che il tempo era passato, e quello che era un sogno sfolgorante è diventato lo sfogo o il passatempo dei momenti liberi dal lavoro e dagli impegni del quotidiano.
Personalmente, da parecchio - ed in particolare dalla nascita del Fordino - vivo con filosofia questo destino, considerato che preferisco godere di quello che ho il più possibile piuttosto che rimuginare a proposito di quello che potrei avere, ed investire le energie nell'avere quello che posso raggiungere con le mie forze senza affidarmi a casualità assortite, ma a prescindere dal mio coinvolgimento nella visione del sorprendente lavoro di Sacha Gervasi - che, qualche anno dopo Anvil, portò in scena il più che discreto Hitchcock -, o dalla filosofia da outsider dai sogni artistici infranti, ho trovato questo documentario un eccezionale inno alla vita ed alla voglia di viverla, alla passione ed alla dedizione rispetto a se stessi dei suoi due protagonisti, Steve Kudlow e Robb Reiner, fondatori degli Anvil e pionieri dell'heavy metal classico, al centro di una vicenda che pare la versione "hard rock" di quella del leggendario Rodriguez di Searching for Sugar Man.
Osservare i due amici d'infanzia arrangiarsi con lavori certo non esaltanti, vivere il loro sogno grazie al sostegno di fan accaniti pronti a vederli dal vivo centinaia di volte in piccoli club dimenticati da dio, partecipare ad un Festival in Europa ed apparire esaltati come fan, più che come musicisti parte del carrozzone - bellissimi i siparietti con i Thin Lizzy, Toni Iommi o i Twisted Sister -, cadere e rialzarsi con le proprie forze contando esclusivamente sul loro legame e sulla loro musica è qualcosa di profondamente genuino e magico, in grado di tenere sveglia perfino Julez - che con il metal ha ben poco a che spartire - e riportare alla mente del sottoscritto Emiliano, che avrebbe letteralmente adorato un lavoro come questo - sempre che non l'avesse visto, considerata la sua cultura musicale e le sue radici ben piantate nell'heavy - e che quasi rivedo precipitarsi in camera mia e di mio fratello annunciando di aver scoperto una "perla" programmando un sabato sera con visione, alcool e rutto libero magari prima di dirigerci allo Zoe, nota discoteca rock milanese che fu la nostra seconda casa a cavallo del duemilasei per quasi un paio d'anni di weekend molto wild.
La vicenda degli Anvil e la loro lunga corsa verso la realizzazione di un sogno durato più di trent'anni è pura poesia a ritmo di riff aggressivi e ritmica serrata, una parabola quasi magica che ha il suo culmine proprio nei confronti tra due fratelli acquisiti e nei loro faccia a faccia più drammatici - da brividi il litigio e la riappacificazione nel corso delle sessioni di registrazione del tredicesimo disco in Inghilterra, con questi due uomini che paiono metallari fuori tempo massimo con le lacrime agli occhi a giurarsi bene eterno neanche fossero una vecchia coppia di sposi -, e che trova la sua ideale conclusione in un cerchio che si chiude così come tutto si era aperto, o si sarebbe dovuto aprire.
In fondo, la vita spesso non ci riserva quello che vorremmo, o che siamo pronti a sognare: eppure mi viene da pensare che Steve Kudlow e Robb Reiner il loro vero tesoro l'abbiano trovato in qualche misura solo per mezzo della Musica e del metal, e che sia da cercare in due famiglie che sono state sempre presenti per loro - e per le loro passioni -, e in loro stessi.
Esistono, sono esistite ed esisteranno, infatti, rockstar planetarie pronte a vivere e morire da sole.
Loro, invece, avranno sempre un fratello, un amico, un compagno. Nella buona e nella cattiva sorte.
Come le migliori coppie.
E questa è una cosa che nessuna chart mondiale potrà mai dare.





MrFord






"Metal on metal
ears start to bleed
cranking it up
fulfilling my need
metal on metal
shakin' the place
blows back your hair
caves in your face."
Anvil - "Metal on metal" -







venerdì 29 aprile 2016

Rock the kasbah

Regia: Barry Levinson
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 106'







La trama (con parole mie): Richie Lanz è un impresario e produttore discografico californiano che ha visto decisamente giorni migliori sia in termini personali che di carriera e successo, pronto ad offrire contratti ed estorcere denaro a casi umani disposti a tutto per una speranza nel mondo delle sette note.
Quando, per caso, ha l'occasione di partecipare ad un tour che prevede tappe in tutti i principali campi dei soldati americani di stanza in Afganisthan con la sua segretaria nonchè cantante di punta e la stessa fugge lasciandolo senza soldi e passaporto, per Richie ha inizio una vera e propria avventura che lo condurrà, tra prostitute in attesa di ritirarsi e trafficanti d'armi, ad un villaggio sperduto tra le montagne dove avrà l'occasione di far fruttare il suo fiuto di scopritore di potenziali artisti da classifica rispetto ad una ragazza educata secondo le più rigide tradizioni pashtur.
Riuscirà Lanz a dare un'occasione a se stesso ed alla sua nuova protetta, o tutto finirà nel peggiore dei modi?










Ho sempre adorato - ma non è certo un mistero - Bill Murray.
Fin dall'infanzia e da Ghostbusters, ho sempre sognato di potermi immedesimare - malgrado non si trattasse certo di un figo senza ritorno, in termini prettamente estetici - in quel guascone sciupafemmine dalla risposta sempre pronta, che rappresentava tutto quello che, da ragazzino, preda della mia timidezza senza controllo, non ero.
Sono passati gli anni, i film, le esperienze, mi sono avvicinato così tanto a quel tipo di comportamento da suscitare incredulità nelle persone che mi conoscono ora, quando mi dichiaro, per l'appunto, un "ex timido", ma è rimasto immutato l'affetto per un attore che ho sempre considerato come una zio matto, quello da prendere come modello di bad guy alla facciazza dei genitori che ho sempre pensato sarei diventato, e che ora che sono genitore, non riesco a non ammirare comunque.
Rock the kasbah è un film dell'ormai stanco Barry Levinson come ce ne sono mille altri, ritmato da una colonna sonora bella ma più che abusata - a parte la mitica Bawitaba di Kid Rock, che quasi regalava i quattro bicchieri a questo titolo, è la fiera del pur piacevole ma sempre troppo sfruttato Cat Stevens -, implausibile nella scrittura ed all'interno del quale Bill Murray fa il Bill Murray, dunque con tutti i limiti possibili ed immaginabili, eppure ho finito per godermelo dal primo all'ultimo minuto senza ritegno e particolari pretese.
L'odissea professionale, musicale ed umana di Richie Lanz, produttore discografico più simile ad un truffatore che ad uno scopritore di talenti, in un Afganisthan in bilico tra tensioni culturali, esercito statunitense, mercenari, trafficanti e signori della guerra, impreziosita dalle sempre gradite presenze di Zooey Deschanel e Kate Hudson è una giostra divertente e piacevole quanto basta per una serata senza troppo impegno ma comunque in grado di non far staccare completamente i neuroni, che si tratti di amore per il rock o di attenzione rivolta alla condizione delle donne all'interno di determinate culture - la dedica conclusiva della pellicola resta una delle idee migliori della stessa -.
Per il resto, nulla di nuovo sotto il sole e soprattutto nulla che la realtà non spazzerebbe via a colpi di sogni spezzati: ma il bello delle sette note e della settima arte è proprio regalare al proprio pubblico un'illusione magica e confortevole come una bella sbronza felice da risata facile e sonno profondo, come se non ci fosse un domani.
Dovendo compiere una scelta, migliore forse la prima parte, più spiccatamente Murraycentrica e scanzonata della seconda, senza dubbio incentrata sulla parte più sentimentale e profonda, ma a conti fatti tutto scivola via discretamente bene, e poco importa se, in un modo o nell'altro, Rock the kasbah si confonderà nella memoria sparendo di fronte a titoli simili ma ben superiori come Broken flowers, perchè sarà come aver ascoltato quella hit anni settanta già nota e stranota che, comunque, si finisce per canticchiare come se fossimo ancora presi dalla prima cotta per il pezzo.
Se, a questo cocktail forse annacquato aggiungiamo poi una riflessione sulla necessità assoluta dell'emancipazione proprio grazie all'arte, condita con un pò di ironia e buoni sentimenti, allora abbiamo il drink di sicurezza perfetto per le serate naufragate, la sega della buonanotte, il bacio in fronte per un sonno di sogni goduriosi ed il più rock possibili.
Del resto, se non si guarda in faccia ad una realtà spesso troppo triste con un pò di ironia ed un sorriso beffardo, si rischia di diventare troppo cinici o troppo tristi: e Richie Lanz non è nessuno dei due.
Lui crede, e c'è.
Una specie di piccolo Drugo.
Un pò come Bill Murray, che in questo vestito calza come nel pigiama preferito.




MrFord




"Now over at the temple
oh! They really pack 'em in
the in crowd say it's cool
to dig this chanting thing
but as the wind changed direction
the temple band took five
the crowd caught a wiff
of that crazy Casbah jive."
The Clash - "Rock the casbah" -






giovedì 28 aprile 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): per una volta, nel corso di questa primavera decisamente scialba per quanto riguarda la settima arte, mi pare di trovarmi di fronte ad una settimana che, almeno in una certa misura, potrebbe regalare qualche soddisfazione.
Quello che, invece, continua a non regalarmene neanche per sbaglio è quello scellerato del mio acerrimo nemico nonchè co-conduttore di rubrica Cannibal Kid, che continua a tormentare i lettori di White Russian con le sue bislacche opinioni legate alla settima arte: uno sporco lavoro, quello di sopportarlo, ma qualcuno deve pur farlo.

"Penso proprio che gli scritti di Cannibal e Ford saranno i primi a venire bruciati dopo il mio ritorno."
La foresta dei sogni

"Così quello è Ford!? E' davvero mostruoso come diceva Cannibal!"
Cannibal dice: Nuovo film di Gus Van Sant con Matthew McConaughey e Naomi Watts. Sembrerebbe un film uscito dai miei sogni, gli stessi in cui quando digito su Google “WhiteRussian” mi escono solo le ricette per preparare il cocktail, e non dei presunti blog cinematografici. Eppure questa pellicola è passata piuttosto inosservata/criticata al Festival di Cannes dell'anno scorso e più che un lavoro da sogno, potrebbe rivelarsi un diludendo da incubo.
Ford dice: tipico film pronto ad alimentare aspettative enormi sulla carta ed altrettanto a fornire su un piatto d'argento la delusione.
Personalmente, spero che possa rivelarsi una gran bella visione, anche se i dubbi sono quasi più di quanti non ne nutra tutti i giorni rispetto alle recensioni di Cannibal Kid.



Lui è tornato

"Eddai, Adolf! Perfino Ford sa cos'è un mouse, ormai!"
Cannibal dice: Film su un cattivone del passato che si trova del tutto spaesato nel mondo del presente...
No, ma che avete capito?
Non sto parlando di James Ford, ma di Adolf Hitler!
Ford dice: un film che racconta il ritorno online del Cannibale dopo l'ennesimo weekend lungo. La storia di un blogger un tempo prolifico ed ormai radical figlio dei fine settimana bene passati al mare o in montagna.



The Dressmaker – Il diavolo è tornato

"Dovevo saperlo che per raggiungere casa Ford non avrei potuto prendere neppure un calesse!"
Cannibal dice: Abbiamo capito che il diavolo è tornato...
Ah, ma qui non si parla più di Hitler, bensì di un'affermata stilista interpretata da Kate Winslet che ritorna nel paesino australiano in cui è cresciuta?
Sembra una vicenda in grado di coniugare un personaggio radical-chic molto Cannibal style con un'ambientazione da bifolchi fordiani. Credo quindi che questo film potrebbe essere apprezzato sia su Pensieri Cannibali che su WhiteRussian, sebbene per motivi opposti.
Ford dice: titolo che potrebbe essere la sorpresa della settimana, accolto molto bene ed in grado, almeno sulla carta, di soddisfare sia i radical che i pane e salame. Sarà davvero così? Personalmente, considerata la carestia dell'ultimo periodo, spero bene.



10 Cloverfield Lane

"Quel mostro di Ford sta di nuovo cercando di abbattere casa nostra: ma per chi ci ha preso, per i Goi!?"
Cannibal dice: Il sequel/prequel/remake/spinoff/nonhocapitocosacazzoè di Cloverfield, una delle pellicole sci-fi più particolari degli ultimi anni. Non sarà ai livelli del primo, ma un'occhiata ci sta.
Ford dice: il primo Cloverfield era stato, a mio parere, una gran bella sorpresa. Questo qualsiasi cosa sia rispetto a Cloverfield non sarà certo ai livelli dell'originale, ma nonostante questo mi metta sulla stessa barca di Peppa Kid, penso che un'occhiata ci stia tutta.



Zeta

"Noi sì che siamo giovani, altro che quel vecchietto di Cannibal Kid!"
Cannibal dice: Film sulla scena hip-hop underground italiana, con protagonista Salvatore Esposito, il Genny di Gomorra – La serie, e con un sacco di rapper nostrani. Il pubblico sarà già pronto a massacrarlo, yo invece non vedo l'ora di vederlo e magari di combattere una nuova rap-battle contro lo scarsissimo James Ford, lo Sceminem della blogosfera.
Ford dice: la scena rap italiana spesso e volentieri mi delude, ma sono quasi curioso di affrontare la visione di questo Zeta. Se non altro per avere le basi per l'ennesima rap-battle che vincerei con Cannibal Creed.



La coppia dei campioni

"Coppia di coglioni! Certo che quel Ford è un comico più bravo di noi!" "Massimo, non ci voleva poi tanto!"
Cannibal dice: La coppia dei campioni siamo io e Ford, che cacchio vogliono Massimo Boldi (perché, esiste ancora?) e Max Tortora (ma chi è?)?.
Ford dice: più che una coppia di campioni, Boldi e Tortora paiono una coppia di coglioni. Meglio pensare ad una coppia decisamente meglio assortita come il sottoscritto ed il Cucciolo Eroico.



Infernet

Un film talmente importante, che più che la locandina non sono riuscito a trovare.
Cannibal dice: Infernet, il titolo del nuovo inquietante blog di James Ford.
Ford dice: Infernet, il titolo del nuovo inquietante blog di Cannibal Kid.



Benvenuti... ma non troppo

"Casa Goi? Ci manda Ford, ha detto che potevate ospitarci per un anno o due."
Cannibal dice: Benvenuto Ford qui su Pensieri Cannibali... ma non troppo. Anzi, per niente. Vattene subito via!
Quanto al film, una commedia francese giocata sul confronto tra ricchi e poveri, e non sto parlando del gruppo preferito dal vecchio Ford, credo che non si rivelerà troppo male.
Ford dice: il Cinema francese è sempre un'incognita, specie da quando ho scoperto la passione per lo stesso del mio rivale Cannibal Chic. Tutto sommato, però, proposte come questa potrebbero essere non del tutto da buttare.



Lo stato contro Fritz Bauer

"Lo stato contro di me, e nessuno contro Cannibal? E' un vero scandalo!"
Cannibal dice: Il cinema tedesco negli ultimi tempi sta offrendo buone cose, ja, però per questa settimana direi che è meglio puntare su Lui è tornato che non su questo, così come se si cerca un bel post è meglio scommettere su Pensieri Cannibali che non su WhiteRussian.
Ford dice: preferirei vedere lo stato contro Cannibal Kid, ma se dovesse capitare, una visione di questo titolo made in Germany potrebbe starci senza problemi.



Sole alto

"Mi pare quasi di essere la protagonista di un film di Malick!"
Cannibal dice: Film croato/serbo/sloveno che riflette sulla guerra nell'ex Jugoslavia. Mi sembra un po' un mattonazzo buono per l'ex Ford, quello che una volta fingeva di guardare pellicole impegnate e ora non finge manco più, troppo impegnato com'è a vedere unicamente delle schifezzone tamarre per gente tutta steroidi e niente cervello.
Ford dice: altra possibile scommessa autoriale della settimana, anche se, dai tempi di Kusturica, non ho più trovato un film o un regista in grado di raccontare con la stessa potenza le vicende dell'ex Jugoslavia. Le riserve restano, ma chissà. Rispetto a Cannibal, invece, nessuna riserva: è senza speranza da fin troppo tempo.



Cavallo denaro

"Non ti avvicinare a Cannibal Kid, è pericoloso!"
Cannibal dice: Lavoro portoghese che mi sa di autorialità eccessiva persino per un radical come me, e pure per il Ford più snob dei tempi migliori.
Ford dice: settimana ad alta concentrazione autoriale, il che non significa necessariamente garanzia di qualità. Un po' come quando si apre Pensieri Cannibali.



Appena apro gli occhi – Canto per la libertà

"Ed ora una ballad che dedico alla mia fan numero uno: Katniss Kid."

Cannibal dice: Ennesimo film impegnato della settimana. Ma i distributori italiani non farebbero meglio ad aprire gli occhi e vedere che sta arrivando la bella stagione e la gggente c'ha voglia di leggerezza?
Ford dice: dopo settimane di nulla assoluto, la settimana del radical chic!? È una congiura orchestrata da Cannibal?






Fuga dal pianeta Terra

"Hey Cannibal, vieni a fare il protagonista di un cartone animato con me?" "Ford, sei forse più ubriaco del solito?"
Cannibal dice: Se non esce almeno una pellicola d'animazione a settimana, la distribuzione italiana e Ford vanno in crisi. Io comunque, che sono più terra terra, mi accontento anche solo di una fuga dal pianeta WhiteRussian.
Ford dice: più che una fuga dal pianeta Terra, io propongo una fuga dal pianeta Cannibal.


mercoledì 27 aprile 2016

Il segreto dei suoi occhi

Regia: Billy Ray
Origine: USA
Anno:
2015
Durata:
111'







La trama (con parole mie): nel pieno della lotta al terrorismo post-undici settembre, un team di investigatori scopre che la figlia di una dei membri dello stesso è stata violentata ed uccisa prima di essere scaricata in un cassonetto accanto ad una moschea già sorvegliata a causa dei possibili legami con cellule pronte ad attaccare Los Angeles.
Quando i sospetti si concentrano su Marzin, un giovane frequentatore della moschea stessa, i coordinatori dell'indagine cercano in tutti i modi di mettere un freno a Ray Kasten, deciso a catturare il colpevole dell'omicidio, in modo da non pregiudicare l'intera operazione: quando i conflitti interni diverranno così evidenti da non poter essere più arginati, Kasten abbandonerà l'incarico ed il tempo trascorrerà.
Tredici anni dopo, convinto di aver ritrovato Marzin sotto un'altra identità, Ray tornerà dai suoi vecchi colleghi in modo da riaprire il caso che ha sconvolto le loro vite: ma le cose non andranno come poteva sperare.










E' universalmente noto ad appassionati e non di Cinema quanto possa essere difficile realizzare sequel all'altezza degli originali, che possano appassionare e convincere senza risultare copie sbiadite degli stessi, conquistare se possibile una parte di pubblico ancora maggiore - discorso già fatto ieri, tra l'altro, rispetto a Il cacciatore e la regina di ghiaccio -.
Allo stesso tempo, penso sia ancora più difficile realizzare un remake che possa in qualche modo eguagliare il livello - quando è buono - del titolo che l'ha ispirato, riuscendo all'occorrenza anche ad aggiungere qualcosa che ne definisca addirittura una profondità maggiore: in questo senso, in tempi recenti l'unico titolo che posso pensare di inserire in questa categoria è il Millennium di David Fincher, in grado di superare - e neppure di poco - il suo epigono scandinavo, ma parliamo, comunque, di merce molto rara.
Il segreto dei suoi occhi, film cileno vincitore dell'Oscar come miglior film straniero nel duemiladieci, per tematiche, tecnica ed intensità emotiva, aveva fatto breccia nel mio cuore ai tempi della sua uscita, lasciando un segno che ancora oggi posso quasi toccare con mano: l'idea di un remake in salsa a stelle e strisce già di partenza risultava, a prescindere dalla così breve distanza temporale dal suo ispiratore, davvero fuori luogo, anche e soprattutto perchè priva della carica che la questione della dittatura di Pinochet garantiva al lavoro originale di Campanella, qui presente in veste di produttore.
Il risultato, senza dubbio ottimamente portato sullo schermo e reso interessante da un cast di prim'ordine - dalla Kidman ad un'ottima Julia Roberts, passando per Chiwetel Ejiofor -, in grado di funzionare discretamente come thriller a sè stante, finisce però per perdere nettamente il confronto, dimostrandosi ad un tempo privo del carattere necessario per risultare in qualche modo memorabile per chi non ha ancora avuto modo di gustarsi l'originale, della tecnica per emularlo - sequenze come quella dello stadio, per quanto ben trasposte, parlano da sole - e soprattutto in grado di far ricredere chi, come questo vecchio cowboy, lo approcciava con il dubbio che non potesse esserne all'altezza.
Non che questo secondo Il segreto dei suoi occhi sia un brutto film - anzi, oserei dire il contrario -, che non coinvolga - del resto, le tematiche restano profonde ed importanti, pur cambiando l'ordine degli addendi, per dirla come ai tempi della scuola - o non catturi l'attenzione quanto basta per rimanerne avvinti: più che altro, pare mancare la scintilla che distingue i grandi film da quelli che si possono guardare - o riguardare - al loro passaggio in tv ma finiscono per essere sempre e comunque pellicole tra le tante, perse nell'oceano di proposte di un genere - come il thriller - decisamente sfruttato soprattutto oltreoceano.
Un risultato a metà, dunque, per Billy Ray ed il suo cast, di quelli che funzionano ma non convincono, non hanno nulla di cui rimproverarsi ma, allo stesso tempo, che possa davvero distinguerli dal resto: sarei comunque eccessivo se affermassi di non essermi goduto la visione - e quasi mi sentirei di consigliarla a tutti coloro che ancora non avessero visto l'originale, fosse anche solo un tentativo per approcciare il genere -, o allo stesso tempo promuoverlo senza riserve.
Va riconosciuto, comunque, a regista ed attori l'impegno profuso ed il coraggio di mostrare una certa comunanza di idee con la pellicola d'ispirazione nonostante, di fatto, in questo caso si parlasse del decisamente più politicamente corretto mercato distributivo statunitense ed internazionale.
Niente di perfettamente riuscito, dunque, ma un tentativo: e, chiedetelo pure a Ray, un tentativo, a volte, è in grado di fare la differenza rispetto a silenzi pesanti come macigni.





MrFord





"I saw you creeping around the garden
what are you hiding?
I beg your pardon don't tell me "nothing"
I used to think that I could trust you
I was your woman
you were my knight and shining companion
to my surprise my loves demise was his own greed and lullabies."
Lana Del Rey - "Big eyes" - 





martedì 26 aprile 2016

Il cacciatore e la regina di ghiaccio

Regia: Cedric Nicolas-Troyan
Origine: USA
Anno: 2016
Durata:
114'







La trama (con parole mie): Eric il cacciatore, ormai da tempo in pace nel regno di Biancaneve, si trova al centro di una nuova guerra legata alla minaccia di Freya, regina del Nord responsabile dell'apparente morte di sua moglie sette anni prima e del suo addestramento fin dai tempi dell'infanzia. Coinvolto nel recupero dello Specchio magico, rubato dai goblin ma preso di mira proprio da Freya, Eric scoprirà non solo che sua moglie è viva, ma che l'illusione della Regina del ghiaccio ha convinto la stessa a motivare un odio profondo per lui.
Riuscirà dunque a ricucire il rapporto e compiere la sua missione?
E quando, proprio attraverso lo Specchio, la terribile e spietata ex regina Ravenna tornerà in vita, riuscirà l'uomo, aiutato dai suoi compagni di viaggio, a debellare ancora una volta la minaccia che rappresenta la matrigna di Biancaneve?











La vita dura dei sequel è da sempre una delle grandi certezze del Cinema, pronta a regalare più delusioni che non successi: quando, poi, il film originale non rappresenta certo una pietra miliare nella Storia della settima arte la situazione si fa anche più difficile.
Biancaneve e il cacciatore, uscito qualche anno fa sulla scia della nuova moda della trasposizione delle favole su grande schermo, pur non essendo niente di meritevole di essere ricordato, risultò quantomeno più piacevole di versioni da incubo della storia di Biancaneve come quella firmata da Tarsem Singh, e finì per non essere stroncato come si sarebbe convenuto qui al Saloon.
Con questo secondo capitolo, si cerca di mantenere un'atmosfera simile sfruttando il fascino della regina malvagia Ravenna - decisamente più carismatica di Biancaneve, e decisamente più bella da vedere, considerato l'impietoso confronto Charlize Theron/Kristen Stewart - affiancando a quest'ultima una versione piuttosto sciapa della protagonista di Frozen interpretata da Emily Blunt - che non poteva essere pesce fuor d'acqua più di così - opposte alla coppia Hemsworth/Chastain - che pare un omaggio non dichiarato alla sempre disneyana eroina di Brave, oltre che un gran bello spettacolo per la vista del pubblico maschile - testimoniando una ricerca, da parte degli autori, in termini di estetica piuttosto che di profondità o fascino della storia.
Per il resto, il risultato è un mix ancora meno interessante del precedente capitolo delle immagini ed atmosfere de Il signore degli anelli e Lo hobbit, con qualche schermaglia amorosa divertente tra i già citati Hemsworth e Chastain ed un paio di momenti spassosi con i nani che li accompagnano e richiami a Once upon a time, nel complesso, però, troppo poco interessante per risultare brutto o giustificare una stroncatura come si conviene: non bastano, comunque, l'alto coefficente di fascino femminile ed un ritmo tutto sommato scorrevole per non rimpiangere cose come Willow che, nel corso degli anni ottanta, risultavano magiche dall'inizio alla fine e che ancora oggi sanno imporsi senza neppure troppa fatica su cose inconsistenti come questa.
Quantomeno l'utilizzo del prequel come parte introduttiva della pellicola non risulta troppo indigesto, e riesce a legarsi e giustificare quello che accade nello svolgimento e nel finale della pellicola: senza dubbio, resta un popcorn movie poco significativo buono per una serata di svacco totale, per far contente le vostre signore ed essere sicuramente contenti anche voi - e non parlo di settima arte, ovviamente - e far salire ulteriormente l'hype per l'imminente nuova stagione di Game of thrones, che in ambito fantasy offre spunti, emozioni ed orizzonti decisamente più ampi delle favole rivisitate più per mancanza di idee che per esigenze - fossero anche solo economiche -.





MrFord





"You're like ice
I-C-E,
feels so nice
scorching me,
you're so hot hot
baby, your love is so hot, hot."
Kelly Rowland - "Ice" - 





lunedì 25 aprile 2016

Fermati, o mamma spara!

Regia: Roger Spottiswoode
Origine: USA
Anno: 1992
Durata:
87'






La trama (con parole mie): Joe Bomowski, poliziotto allergico alle regole ed alla manifestazione dei propri sentimenti di servizio a Los Angeles, abituato a sparatorie e scontri a viso aperto con i criminali per le strade della metropoli, appare molto più in difficoltà quando finisce per dover fare i conti con il rapporto agli sgoccioli con la sua superiore Gwen, che vorrebbe l'uomo deciso a compiere il fatidico passo piuttosto che rimanere un apparente scapolo a vita.
Quando la madre di Joe decide di volare dal New Jersey in California per passare qualche giorno con il figlio, la situazione del detective si complica ulteriormente: preso in una vera e propria morsa da madre e quasi ex compagna ed alle prese con un caso di traffico di armi e truffe assicurative che vede come testimone proprio la genitrice, dovrà fare appello a tutta la sua pazienza e volontà per risolvere ogni cosa, portare a casa la pelle e, chissà, anche la sanità mentale.












Prima di iniziare un nuovo e come sempre graditissimo viaggio nel passato di uno dei simboli del Saloon, Sylvester Stallone, occorre che lo ammetta: non ho mai particolarmente amato, neppure e soprattutto ai tempi della sua uscita, Fermati o mamma spara!, titolo troppo virato alla commedia per un action hero tutto d'un pezzo come lo Stallone Italiano, paragonabile a Un poliziotto alle elementari con Arnold Schwarzenegger, giusto per rendere l'idea di quelli che erano i miei due indiscutibili riferimenti per il genere all'epoca: non ricordo, infatti, di aver più rivisto questa commedia giocata sul rapporto tra madri e figli - specie troppo cresciuti - da allora - un caso più unico che raro, quando si tratta di un film con protagonista Sly, considerato che i vari Rambo, Rocky, Cobra, Tango e Cash, Sorvegliato speciale e Over the top finiscono puntualmente per tornare a fare capolino nel lettore bluray del sottoscritto almeno una volta l'anno -, timoroso di trovarmi nella posizione di dover criticare troppo aspramente il titolo stesso.
Affrontarlo, invece, oggi, è stato quantomeno - e ben conscio della pochezza della pellicola, davvero una produzione di stampo televisivo - divertente e spassoso se non altro nell'ottica del tema trattato, in grado di farmi pensare ad un paio di amici e colleghi "prigionieri" della propria madre anche a quasi quarant'anni suonati: i duetti tra il sempre mitico Sly - che, inconsapevolmente, stava di fatto entrando nel suo decennio più buio - e l'assolutamente sopra le righe e macchiettistica Estelle Getty hanno infatti fatto il loro dovere regalando le risate ed i rutti liberi necessari di quando in quando per rilassare il cervello o accompagnare uno dei tanti pomeriggi di gioco accanto al Fordino, che crescendo ed arricchendo la costruzione delle vicende che vedono protagonisti i suoi giocattoli sta richiedendo sempre più attenzione del sottoscritto rispetto ai tempi in cui bastavano un paio di lanci di palla o un paio di giri di pista con le macchine per portare a casa il risultato.
Personalmente, dunque, mi sarei aspettato molto di peggio dal recupero di uno dei titoli della filmografia stalloniana che ancora mancavano all'appello qui al Saloon, e devo ammettere di aver raggiunto i titoli di coda contento di essermela spassata senza troppe pretese con il lavoro dell'improbabile Roger Spottiswoode, che i nostalgici più irriducibili degli anni ottanta ricorderanno dietro la macchina da presa in Turner e il casinaro o Air America, le tipiche battute e situazioni legate al rapporto madre/figlio - che, a volte, soprattutto con l'età adulta, assume connotati effettivamente grotteschi rispetto al modo in cui le nostre mamme continueranno a vederci sempre e comunque - e le espressioni imbarazzate di Sly, che doveva aver cominciato a fare grande scorta dell'ironia che l'avrebbe rilanciato in un'epoca più recente per noi rinunciando all'aura di uomo d'azione tutto d'un pezzo e spaccaculi per passare per un bamboccione in balia dell'anziana, furbissima ed assolutamente sopra le righe madre in visita - la scena del sogno con il pannolone gigante deve essere ancora impressa a fuoco nella memoria del nostro amico Silvestrone -.
Come di consueto in questi casi, evito a priori di consigliare la visione ai critici più hardcore di Sly, che troverebbero cinematograficamente soltanto conferme ai loro dubbi, quantopiù al pubblico pane e salame come il sottoscritto alla ricerca dei brividi di un'epoca ormai putroppo tramontata o a chi non ha paura di ammettere che il Cinema serve anche - e, a tratti, soprattutto - per rilassare anima e corpo sul divano, lontani da una realtà che, vista attraverso la sua lente deformante, passa dall'essere drammatica al diventare divertente.
Chiedetelo pure ad un qualsiasi vostro amico che ancora condivide il tetto con la madre.






MrFord





"Hush now, baby, baby, don't you cry
mama's gonna make all of your nightmares come true
mama's gonna put all of her fears into you
mama's gonna keep you right here under her wing
she won't let you fly but she might let you sing
mama's gonna keep baby cosy and warm."
Pink Floyd - "Mother" - 





domenica 24 aprile 2016

The last shift

Regia: Anthony DiBlasi
Origine: USA
Anno:
2014
Durata:
90'








La trama (con parole mie): Jessica Loren, un'agente di polizia fresca di nomina, è incaricata di coprire il turno di notte che precede la chiusura di una vecchia stazione di polizia, di fatto un lavoro di routine rispetto a quello svolto dal padre, ucciso in azione poco più di un anno prima nel corso dell'azione che portò alla cattura di John Michael Paymon, leader di una setta responsabile di una serie di omicidi di giovani ragazze.
Tutto pare procedere in tranquillità, per Jessica, in attesa degli uomini dell'azienda che si deve occupare dello sgombero e della pulizia dell'ex centrale di polizia, quando misteriosi fenomeni e telefonate turbano la ragazza: i segnali paiono tutti indicare proprio la banda dell'ex leader Paymon, che potrebbe contare ancora su alcuni sopravvissuti in cerca di vendetta.
Ma gli eventi che coinvolgono l'agente Loren paiono essere testimonianza di qualcosa di molto più grande, terribile e malvagio: riuscirà la recluta a fare fronte agli stessi?










Non saprei davvero dire se quasi tre decenni da appassionato di horror, oltre che di Cinema, abbiano finito per indurirmi, o se semplicemente, con l'età, certe suggestioni stiano scomparendo, fatto sta che, nell'ultima dozzina di primavere abbondante, trovare un titolo che riuscisse davvero a farmi terminare la visione turbato è stato sempre più difficile: personalmente, ricordo giusto una manciata di produzioni in grado di toccarmi al punto giusto - The Descent e Eden Lake per questioni "etiche" ed umane, Radice quadrata di tre e Lake Mungo per pura e semplice inquietudine, detta volgarmente paura -.
Ma i tempi delle prime visioni di Freddy Krueger tra le elementari e le medie o, ancor di più, di Twin Peaks - che ha consegnato alla Storia il mio più grande spauracchio, Bob - non hanno trovato più alcuna replica, ed hanno finito per alimentare aspettarive e speranze rispetto a quei pochi titoli appartenenti al genere sponsorizzati nella blogosfera e non come nuovi cult, finendo per spingere gli stessi nel baratro delle delusioni: ricordo benissimo i tonfi al Saloon di Innkeepers o It follows, pellicole incensate praticamente ovunque letteralmente massacrate dallo scontro tra le aspettative ed i risultati conseguenti.
The last shift, pur se non agli stessi livelli, ha sofferto quel fardello dal primo all'ultimo minuto.
Considerato un piccolo cult da molti appassionati e da mesi inseguito dal sottoscritto - a proposito, un grazie del "passaggio di consegne" al mio fratellino Dembo -, dalle rimembranze carpenteriane e ben ritmato dall'inizio alla fine, il lavoro di Anthony DiBlasi ha finito, purtroppo, per non fare chissà quale figurone agli occhi di un vecchio veterano del genere come il sottoscritto, regalando i suoi momenti di massimo terrore soltanto quando - e non succede praticamente mai - il Fordino è arrivato con il passo incerto del mezzo addormentato in sala chiedendo di essere riaccompagnato in cameretta creando il sempre divertente "effetto esorcista" pronto a far saltare sul divano qualsiasi genitore.
Pur azzeccando il setting, infatti, ed un incedere che non lascia fondamentalmente pause allo spettatore, The last shift finisce per avere il sapore della minestra riscaldata per temi e situazioni, che pur se cucinata bene risulta al palato come la maggior parte dei piatti della sera prima passati nel microonde il giorno seguente nel corso della pausa pranzo al lavoro: dagli adepti indemoniati della setta al finale "a sorpresa", passando per l'utilizzo del suono e delle suggestioni prima ancora che delle immagini, tutto appare funzionale e d'impatto almeno quanto già visto, sentito e sperimentato, quantomeno da chi è cresciuto con questo tipo di proposte fin dall'infanzia.
Non voglio, però, risultare troppo duro con il buon DiBlasi, che regala un più che discreto intrattenimento di genere - un pò come fu Kristy tempo fa, malgrado questo spacchi in due l'opinione degli occupanti di casa Ford, con il sottoscritto a favore del titolo appena citato e Julez di quello qui presente - ed un risultato che, considerata la media del "Cinema di paura" attuale, è quasi da leccarsi i baffi, o scoraggiare chi ancora non si è imbarcato nella visione, quanto più che altro smorzare eventuali entusiasmi o misurare hype eccessivi che potrebbero portare a danneggiare più del dovuto un prodotto onesto ma certo non memorabile come questo.
Ad ogni modo, un occhio al futuro del suo regista andrebbe buttato senza troppi dubbi, e nel caso in cui, alla prima notte di lavoro, vi trovaste in un posto in cui accadono cose decisamente troppo fuori dall'ordinario, il consiglio del sottoscritto resta uno solo: alzate il culo, salite in macchina e date gas fino a trovarvi il più lontano possibile.
Sperando che prima o poi il messaggio e le regole di base possano essere insegnati o recepiti anche da tutti i protagonisti di un qualsiasi film horror.





MrFord





"Stow your gear and charge your lamp
say goodbye to dark and damp
DSS will pay your stamp
last shift, close her down."
Richard Thompson - "Last shift" - 





sabato 23 aprile 2016

Ti va di ballare?

Regia: Liz Friedlander
Origine: USA
Anno: 2006
Durata: 118'






La trama (con parole mie): Pierre Dulaine, insegnante di danza abituato agli ambienti di classe del ballo da sala, viene a contatto con la dura realtà dei giovani cresciuti nelle periferie più degradate, abituati a sopravvivere alla meglio e a difendersi dal mondo con le unghie e con i denti.
Convinto di poter fare la differenza, l'uomo decide di farsi avanti con la preside di uno degli istituti più "difficili" dal punto di vista della gestione degli alunni, lo stesso dove studia un ragazzo che Dulaine ha visto di persona vandalizzare un auto: quando, quasi senza speranza, Augustine James - questo il nome della preside - decide di accettare l'offerta di Pierre di insegnare danza agli studenti del doposcuola destinato alle punizioni, non saprà di aver dato inizio ad un progetto destinato a lasciare il segno nella storia delle istituzioni scolastiche newyorkesi.












So già cosa state pensando: se Ford si è ridotto a postare recensioni di titoli legati alla danza deve essere invecchiato forte o ubriaco forte.
Effettivamente, occorre ammettere di essermi imbattuto nella visione di Ti va di ballare? - come di consueto, terrificante adattamento italiano dell'originale Take the lead, ispirato alle reali vicende dell'insegnante di danza Pierre Dulaine - totalmente per caso, nel corso di una delle mitiche cene dalla suocera Ford - sempre pronta a sfamare alla grandissima anche una cavalletta come il sottoscritto - con film in sottofondo a fare numero: eppure, sarà perchè Banderas mi è sempre stato e sempre mi starà simpatico o per la sorpresa che fu, tempo addietro, Battle of the year, non ho trovato affatto terribile - nell'ambito di questo genere, e di un livello comunque ben lontano da quello delle produzioni di qualità - il lavoro di Liz Friedlander, incentrato sul ruolo che Dulaine ebbe rispetto al "recupero" dei ragazzi problematici delle scuole più "toste" di New York negli anni novanta, incentrato sull'insegnamento della danza e sulla focalizzazione del ballo di sala, che nel passato recente anche i cinefili più navigati hanno avuto modo di sperimentare sulla pelle grazie all'ottimo Il lato positivo.
L'unione, dunque, della volontà di riscatto dei ragazzi, della condizione di outsiders degli stessi, della costruzione del rapporto maestro/allievo - spassosi passaggi come l'esibizione di tango di Dulaine e della sua ballerina che convince la maggior parte dei reticenti maschietti della classe, tra i quali spicca l'indimenticato Dante "Rufio" Basco, a dedicarsi con maggiore interesse all'argomento - e del racconto della vita negli istituti più problematici della Grande Mela - quasi come se The Principal incontrasse i teen movies soft degli Anni Zero - ha fatto il resto, a braccetto con la cucina della suocera Ford e ad un ottimo White Russian preparato come di consueto a fine cena dal sottoscritto.
Per il resto, sarei quantomeno ipocrita ad affermare di essere rimasto schifato, considerato che, tutto sommato e pur essendo praticamente un tronco di sequoia quando si tratta di ballare, ho trovato il ritmo della pellicola gradevole ed il lavoro perfetto come sottofondo per passare una serata con chiacchiera libera e passaggi di gioco intensivo con il Fordino: certo, non andrei avanti a titoli di questo genere come se nulla fosse, o li sostituirei ai tanto amati film action perfetti per staccare il cervello, ma di tanto in tanto ho finito per rivalutare perfino questo tipo di proposte: segno di un deterioramento cerebrale a seguito delle sbronze potenti o di un precoce segnale del destino che mi attenderà tra qualche anno, quando la più piccola di casa Ford entrerà nella fase adolescenziale da balla che ti passa.
Sempre che non riesca, nel frattempo, a convertirla al wrestling ed ai calci rotanti.
In quel caso, mi dispiace per Banderas, ma non ci sarà trippa - o ballo - per gatti.




MrFord





"Oh, don't you dare look back.
Just keep your eyes on me."
I said, "You're holding back, "
She said, "Shut up and dance with me!"
This woman is my destiny
She said, "Ooh-ooh-hoo,
Shut up and dance with me."
Walk the Moon - "Shut up and dance" -






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