sabato 30 novembre 2013

Battle of the damned

Regia: Christopher Hutton
Origine: USA, Singapore
Anno: 2013
Durata: 88'




La trama (con parole mie): Max Gatling, un veterano e mercenario di un numero imprecisato di guerre, è assoldato da un riccone affinchè recuperi la figlia dello stesso, rimasta prigioniera nel cuore di una città del Sud Est asiatico trasformata da una misteriosa epidemia in una sorta di banchetto per umani divenuti zombies iperattivi assetati di sangue.
Aiutato prima da una squadra di soldati e dunque da un manipolo di robot ai suoi ordini, Gatling dovrà rintracciare la ragazza, convincerla con le buone o le cattive a ripartire con lui ed affrontare le orde impazzite come soltanto un Expendable sa fare: peccato che i compagni di "prigionia" della giovane non siano d'accordo al vederla partire, e che la stessa sia incinta della persona che Gatling ha il compito di eliminare una volta messo al sicuro il suo "pacco".




Questo film partecipa più che orgogliosamente alla carrellata molto, molto Expendables denominata per l'occasione "Meniamo le mani".


L'iniziativa delle Expendables weeks sponsorizzata - e dal sottoscritto fortemente voluta - dal mitico Frank Manila e concretizzatasi in questi giorni passando come un testimone da un blog cinematografico all'altro è stata un piacevole pretesto per recuperare un titolo del quale di recente avevo spesso sentito parlare, e che immediatamente aveva toccato le corde del tamarro che risiede nel sottoscritto grazie ad una delle icone "minori" dell'action anni ottanta, quel Dolph Lundgren del "ti spiezzo in due" e di chicche quali Red scorpion.
Se, inoltre, al buon vecchio Ivan Drago aggiungiamo zombies e robot gli uni contro gli altri, andiamo ad ottenere un cocktail esplosivo ed imperdibile per qualsiasi appassionato del genere: il risultato finale è una tamarrata di quelle delle grandi occasioni, girato perfino poco meglio di quanto ci si potesse aspettare - io già consideravo di trovarmi di fronte ad una sorta di nuovo Sharknado - cui manca, però, se non nel finale, la zampata in grado di trasformare una normale uscita scassona in un vero cult da Expendables duri e puri.
Certo, vedere Lundgren - tra l'altro con visibili problemi di deambulazione - intento a sparare raffiche di mitra in compagnia di un gruppo di automi senzienti programmati per essere i suoi guardaspalle - con tanto di cameratismo e battute del caso - è un piacere per gli occhi ed il cuore, così come assistere a geniali tocchi di classe come il robot "infettato" dagli zombies come se fosse umano, eppure la prima parte del film fatica ad ingranare la marcia giusta, i comprimari non sono all'altezza - diciamo che il casting non è proprio quello delle grandi occasioni - e senza dubbio lo script patisce la mancanza di una dose decisamente più massiccia di ironia, sprecato in una partenza che vorrebbe ricalcare i fasti di prodotti di grande successo come The walking dead o 28 giorni dopo con tanto di homo homini lupus come morale senza pensare che pellicole di questo calibro non hanno alcun bisogno di etica, o giustificazione.
Non voglio comunque che passi un segnale sbagliato rispetto a Battle of the damned, che resta divertente e fracassone quanto basta per passare una serata di grandissima goduria a neuroni zero come se fossimo tornati indietro di trent'anni, quanto più semplicemente sottolineare quanto ormai per l'action sguaiata sia necessiario come l'ossigeno o i suoi eroi dei bei tempi che la componente ironica - se non addirittura comica - diventi parte integrante dell'insieme almeno quanto infetti assetati di sangue, automi, pallottole, calci rotanti ed esplosioni assortite.
Solo così, infatti, l'eredità di questo magico mondo continuerà a lottare anche e soprattutto per noi peccatori.



MrFord


"Oh Yoshimi, they don't believe me
but you won't let those robots eat me
Yoshimi, they don't believe me
but you won't let those robots defeat me."
The Flaming Lips - "Yoshimi battles the pink robots part 1" - 

venerdì 29 novembre 2013

Planes

Regia: Klay Hall
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
91'




La trama (con parole mie): Dusty Crophopper è un aereo da irrigazione stanco ed annoiato del suo lavoro nei campi. Il giovane velivolo, infatti, sogna da tempo di partecipare ad una gara che ogni anno porta i più veloci tra gli aeroplani a confrontarsi in una corsa a tappe da un capo all'altro del mondo: peccato che, se non con un paio di fidati amici del paese, Dusty non si sia mai davvero confrontato con l'esterno e la sua realtà. Quando, però, con l'aiuto dell'ex militare Skipper ed un pò di fortuna riesce a qualificarsi per la gara, il sogno pare essere a portata di un colpo d'ala.
Dusty inizia dunque la più grande avventura della sua vita, cercando, più che di vincere, di non sfigurare accanto a quelle che sono vere e proprie leggende dell'aria: ovviamente, il suo destino sarà decisamente più da protagonista di quanto non possa aspettarsi.





I frequentatori storici del Saloon ben sanno - anche grazie alle schermaglie del sottoscritto con il Cannibale in merito - della grande stima di cui godono da queste parti i geniacci della Pixar, casa di produzione nata come costola di Mamma Disney ormai una ventina d'anni fa e divenuta una realtà più che consolidata della settima arte, soltanto nel corso delle ultime stagioni in leggera flessione in merito a qualità, soprattutto per quanto riguarda idee e script.
Il suddetto calo, avvenuto quando alla passione e alla fantasia sono stati preferiti incassi e profitto, ha avuto la sua più - o meno, a seconda dei punti di vista - riuscita incarnazione in Cars 2, spentissimo sequel del bellissimo primo episodio del brand che ha ispirato proprio la grande D per la produzione di Planes, versione aerea delle vicende di Saetta McQueen curato nel dettaglio - anche se certo non ai livelli degli standard pixariani - per quanto riguarda l'animazione ma decisamente lontano da quello che ci si aspetterebbe da una proposta interessante non solo per i più piccoli.
Nato come titolo pronto ad essere distribuito direttamente in home video e dunque dirottato in sala, Planes condensa tutto il peggio della retorica cartoonesca da rincoglionimento precoce inforcando una serie di evoluzioni una più prevedibile dell'altra, dal buono sempre buono e sempre salvato - come nelle peggiori serie animate che già da bambino cominciarono a farmi prediligere il "bad guy" della situazione rispetto al protagonista a tutti i costi - al classico sviluppo che porta ad un'esaltazione iniziale un problema apparentemente insormontabile superato con agilità dal nostro eroe per chiudersi nel finale standard disneyano nella peggiore accezione del caso.
A questo si aggiunga un adattamento italiano da incubo - su tutti il passaggio da Rochelle, aereo dalle fattezze femminili canadese nell'originale tramutato in Aurora, seducente bellezza italiana: peccato che la bandiera canadese, per l'appunto, spicchi sulle fiancate della sua carena, neanche si avesse a che fare con una schiera di imbecilli più o meno cresciuti - e il danno è fatto: probabilmente il ritorno economico sarà comunque notevole, diviso tra incassi, giocattoli, videogames, modellini e chi più ne ha più ne metta ispirati a Dusty Crophopper e agli altri protagonisti, ma senza dubbio la credibilità Disney rispetto all'animazione, cresciuta negli ultimi anni grazie a proposte decisamente interessanti come Bolt e Ralph Spaccatutto, risulta minata - e non solo agli appassionati di Cinema o agli addetti ai lavori - tanto da far addensare nubi di tempesta sul già evitabile sequel annunciato, e molte riserve rispetto ai titoli che, con l'avvicinarsi delle Feste, verranno lanciati in sala dal colosso statunitense.
Un vero peccato, perchè i bambini sono piccole persone spesso più sveglie di quanto non si creda o si possa pensare, e prodotti come questo sono un insulto alla loro intelligenza così come al loro cuore, decisamente meritevole di più di una favoletta finta e posticcia affinchè possano davvero sognare di volare.


MrFord

"Yeah, I’m lookin’ to the sky to save me
lookin’ for a sign of life
lookin’ for something to help me burn out bright
I’m lookin’ for a complication
lookin’ ‘cause I’m tired of lyin’
make my way back home when I learn to fly high."
Foo Fighters - "Learn to fly" -

giovedì 28 novembre 2013

Thursday's child

La trama (con parole mie): nuova settimana di uscite con tanto di tripudio e giubilo del mio rivale ed antagonista, Cannibal Kid per gli amici ed i nemici Katniss, che vedrà approdare in sala il secondo capitolo delle sue avventure su grande schermo.
Roba da teen senza speranza a parte, poco di davvero interessante all'orizzonte, se si esclude la prima avventura da regista di Gordon Levitt: speriamo che tenga fede alle aspettative, perchè altrimenti il rischio di ritrovarsi di fronte all'ennesimo week end da recuperi diventerebbe decisamente alto.

"Dopo aver letto Pensieri cannibali, ho pensato di aprire un blog anche io: in fondo, se l'ha fatto il Cucciolo, possono farlo tutti!"

Hunger Games – La ragazza di fuoco di Jennifer Francis Lawrence


 
Il consiglio di Cannibal: Ford, la tua casa va a fuoco e sì, sono stato io!
Hunger Games – La ragazza di fuoco merita il successo che sta avendo nel mondo e merita di essere visto per un paio di semplici motivi. Nell’ambito del cinema hollywoodiano commerciale e per teen, il primo episodio rappresentava una bella boccata d’aria fresca. Un film basato non tanto su azione ed effetti speciali, quanto una pellicola lenta, riflessiva e persino politica. Ok, non sarà Orwell, ma meglio niente di niente. L’altro motivo è naturalmente lei, la Jennifer Lawrence di fuoco, giovane attrice e giovane donna straordinaria. Le uniche riserve sono sul fatto che si tratta di un secondo episodio ed è pur sempre una saga fantasy commerciale, quindi è difficile aspettarsi un capolavoro, anche considerando che alla regia è stato chiamato il pessimo Francis Lawrence di Constantine e Io sono leggenda, uno che con Jennifer ha in comune solo il cognome, non il talento.
Ford, sappi che ogni parola che dirai contro questo film è un insulto diretto nei confronti della magnifica Jennifer Lawrence. Non sto nemmeno a perdere tempo a prendere le difese di questa saga, perché tanto la mitica Katniss Kid sa farlo da sola ed è pronta a trafiggerti con le sue frecce!
Il consiglio di Ford: Katniss Kid - La ragazza di fuoco
Ed ecco finalmente sugli schermi il secondo capitolo della biografia del Cannibale, interamente girato a Casale e dedicato agli anni bui dell'adolescenza della gracile protagonista.
Non è un film sul passato di Peppa Kid, dite!? Peccato, perchè sarebbe stato sicuramente più interessante del secondo capitolo della saga più sopravvalutata del passato recente nell'ambito teen, una robetta pseudo commerciale che già con il primo film era riuscita a farmi davvero cagare.
Neppure la sempre splendida Jennifer Lawrence potrà risparmiare a questa roba le peggiori delle bottigliate.

"Forza, Katniss Kid, è la tua unica occasione di colpire Ford alle spalle!"

Don Jon di Joseph Gordon-Levitt


Il consiglio di Cannibal: viva Don Jon, abbasso Don Ford
Attenzione a Don Jon!
Anche in questo caso, il motivo per vederlo è duplice: da una parte c’è la curiosità di vedere Joseph Gordon-Levitt, grandissimo attore e unico vero erede di Heath Ledger, non solo davanti alla macchina da presa ma per la prima volta anche dietro. E poi vabbè, c’è una Scarlett Johansson che in questo film appare in una forma fisica strabordante. Doppie congratulazioni quindi a Joseph Gordon-Levitt: per l’esordio alla regia e per aver ingaggiato come partner femminile la Scarlettona.
Congratulazioni anche a Ford!
Per cosa?
Boh, me lo sono dimenticato…
Il consiglio di Ford: my pimp, my ride, my Ford!
In ritardo di oltre un mese, esce finalmente in sala anche in Italia l'interessante esordio da regista di Joseph Gordon Levitt, senza dubbio il titolo più interessante della settimana - e non solo -.
Se le premesse saranno mantenute, ci troveremo probabilmente di fronte ad una delle commedie romantiche parzialmente indie più interessanti dell'anno, nonchè all'ennesimo trampolino di lancio per uno dei volti più importanti della nuova generazione di attori made in USA.

"Devo mettermi sotto con i pesi: non voglio che Ford sia l'unico palestrato della blogosfera!"
Free Birds – Tacchini in fuga di Ash Brannon
 


Il consiglio di Cannibal: Free Kids – Cuccioli in fuga da Ford
Pellicola d’animazione che ha il sapore di country e l’odore di bambinata fordianata. Ma questa è la settimana per regredire alla fase da bimbominkia teen per la saga di Hunger Games, non per tornare indietro fino all’infanzia. Lascio quindi ‘sta roba che nel trailer cita persino quell’atrocità di Braveheart a Ford. Io intanto fuggo a gambe levate. Dal film e soprattutto da lui.
Il consiglio di Ford: Free Kid - Un tacchino per il Ringraziamento di Ford
Filmetto d'animazione senza troppe pretese che ricorda - grazie al colpo di genio consueto dei distributori italiani - l'ottimo Galline in fuga di una quindicina d'anni or sono.
Non credo, purtroppo, che si raggiungeranno quei livelli, ma se dovesse capitarmi un'occhiata la darò, non fosse altro che per avere un riempitivo da serata senza impegno.
Per il Cucciolo, invece, non dovrò impegnarmi più di tanto: ormai si è così ammansito da non costarmi neppure lo sforzo di una Blog War come si deve.

"Fermi dove siete: dovrete aspettare la prossima Blog War per farvi le penne!"

C’era una volta un’estate di Nat Faxon, Jim Rash


Il consiglio di Cannibal: c’era una volta Ford, e purtroppo c’è ancora
Con un tempismo degno del mio blogger rivale, la distribuzione italiana ha scelto il periodo più indicato per fare uscire il super estivo film C’era una volta un’estate! Questa storiella di formazione che racconta le vacanze estive di un ragazzino impreziosito da un discreto cast rappresenterebbe in un altro momento proprio una visione gradevole. Mentre sta arrivando il freddo polare, non sembra invece il massimo.
Magari finirò per guardarlo comunque, anche se potrei preferire aspettare fino alla prossima estate, anche perché per me non ha molto senso vedere un film estivo d’inverno. È un po’ come guardare un film natalizio in piena estate. O come sentire parlare Ford di cinema, in qualunque momento dell’anno.
Il consiglio di Ford: c'era una volta Cannibal. Che un brutto giorno (per lui) incontrò Ford.
Se c'è una cosa che ho sempre detestato è guardare i film completamente fuori stagione.
Sarebbe un delitto guardare Fargo a ferragosto o Point break sotto natale, una cosa senza senso almeno quanto la programmazione delle uscite in sala.
E dunque cosa hanno architettato per noi i consueti, geniali distributori? Fare uscire un film da solleone proprio per festeggiare l'arrivo dell'inverno. Bene, bravi, bis.
La prossima volta deciderò di spararmi Bob Marley o i Mano Negra a dicembre e Berlin di Lou Reed mentre sono in spiaggia.

Un'immagine delle passate estati del Cucciolo eroico.

La mafia uccide solo d’estate di Pif


Il consiglio di Cannibal: …mentre i consigli di Ford uccidono anche d’inverno
Non sono un gran fan dei film sulla Mafia, credo di averlo già detto ma che ci volete fare? L’arterio di MrFord sta ormai contagiando pure me. Quando un personaggio televisivo italiano poi fa il grande salto nel mondo del cinema, un minimo, ma anche non solo un minimo, di diffidenza è necessario. In questo caso si tratta però di una commedia-inchiesta firmata da Pif, l’ex Iena Pif oggi autore del programma documentaristico di Mtv Il testimone, un personaggio intelligente e divertente, quindi il risultato potrebbe anche essere dignitoso. Difficile che si tratti di qualcosa di grandioso a livello cinematografico, ma chissà che non si riveli una sorpresa piacevole e originale all’interno dello stantio panorama nazionale.
Intanto sembra che Pif con il suo prossimo film punti a toccare un tema ancora più scottante della Mafia: il Fordismo.
Il consiglio di Ford: ... mentre le bottigliate piovono su Cannibal trecentosessantacinque giorni l'anno.
Pif mi sta simpatico. Dai tempi de Le iene a Il testimone, l'ho sempre trovato un tipo curioso e sveglio.
Lo ha confermato anche mio fratello, che lo ha intrattenuto da ubriaco - sempre mio fratello, non Pif - una sera alle Colonne di San Lorenzo.
Non mi dispiacerebbe che il suo lavoro si rivelasse una sorpresa, davvero.
Anche se è meglio non nutrire troppe speranze.
Un po’ come quando si apre Pensieri cannibali confidando di avere buoni consigli.

"Ford, Cannibal, il prossimo episodio de Il testimone lo giro su di voi."

Come il vento di Marco Simon Puccioni
 
 
Il consiglio di Cannibal: fuggite veloci come il vento
Se il film di Pif potrebbe, e il condizionale è più che mai d’obbligo, essere qualcosa di differente dal solito, ecco che questo Come il vento si presenta invece fin dal trailer come il classico film italiano: pesante, pretenzioso, noioso. Il cast che comprende Valeria Golino, Filippo Timi e Francesco Scianna non è nemmeno male, ma la mia voglia di vedere una cosa del genere è pari a quella di seguire un incontro di wrestling amatoriale con Ford sul ring vestito come Jack Black in Super Nacho.
Il consiglio di Ford: come il vento. Provocato dal movimento rotatorio del braccio che mena bottigliate.
Se c'è una cosa che detesto, ultimamente, è il Cinema italiano.
E se ce n'è una che detesto ancora di più, è il Cinema italiano pretenzioso.
Poi, certo, nel novero potrebbe entrare anche Peppa Kid, ma dato che è la mia spalla per questa rubrica, farò finta di niente.
Per questa volta.
Il film in questione, invece, temo sarà ignorato per sempre.

"Mi faccio l'ultima sigaretta: a breve questo film sarà massacrato da due blogger sempre pronti a sparare sul Cinema italiano."
 Lunchbox di Ritesh Batra


Il consiglio di Cannibal: chiudete Ford in una box
Pellicola indiana che ha vinto il premio del pubblico alla Settimana della Critica all’ultimo Festival di Cannes. Devo ammettere che non conosco granché la cinematografia indiana, un po’ come Ford dovrebbe ammettere di non conoscere granché la cinematografia in generale, e questo film potrebbe allora rappresentare l’occasione buona per saperne qualcosa in più. Peccato solo che il trailer mi abbia fatto addormentare, e per una volta non ho avuto manco bisogno di leggere il commento di Ford prima…
Il consiglio di Ford: sono sicuro che sarebbe divertente rubare il pranzo al Cucciolo eroico. Dopo averlo malmenato, ovviamente.
Ammetto di non essere troppo ferrato sul Cinema indiano, se si escludono il Maestro Ray e la pretenziosa Deepa Metha.
Certo, spesso e volentieri le pellicole anglofone con richiami alla patria di Gandhi mi hanno piacevolmente intrattenuto, adoro la cucina locale nonchè molte delle varietà di the prodotte da quelle parti.
Dunque penso mi dedicherò ad una serata culinaria a tema, piuttosto che buttarmi nella visione.
Ovviamente evitando di portarmi dietro Cannibal, che probabilmente ha lo stomachino troppo delicato per le spezie.

"Se Peppa Kid sa di cucina quanto di Cinema, mi sa tanto che questa roba sarà una schifezza!"

mercoledì 27 novembre 2013

Machete kills

Regia: Robert Rodriguez
Origine: USA, Russia
Anno: 2013
Durata: 107'




La trama (con parole mie): Machete, leggendario eroe rivoluzionario messicano, sconvolto dall'uccisione della sua partner Sartana, viene contattato dal Presidente degli Stati Uniti affinchè possa porre fine alla minaccia del predicatore Voz, che progetta un nuovo mondo da cercare nello spazio e dice di avere capacità precognitive praticamente divine.
Supportato - almeno apparentemente - dall'agente infiltrata Miss San Antonio, Machete si troverà ad affrontare nuove minacce e tentativi di toglierlo di mezzo dalla faccia del pianeta che dovrà debellare a suon di teste mozzate e proiettili, stando ben attento a guardarsi le spalle dai nemici, dagli alleati, dal misterioso killer Camaleonte e contando solo sulla vecchia compare Luz.
Riuscirà il nostro eroe a raddrizzare le cose e portare la sua lotta oltre l'atmosfera?






C'era una volta un regista promettente, un tizio da genio e sregolatezza, un brutto ceffo tamarro e sboccato cui poco importava della buona condotta, un bad guy vissuto all'ombra di un troppo grande compare - parliamo di Quentin Tarantino, mica l'ultimo degli stronzi - ed esploso proprio in un confronto diretto con lo stesso - niente discussioni, Planet terror mangia tranquillamente in testa allo spompato A prova di morte -, arrivando di conseguenza al punto più alto della sua carriera e maturazione proprio con una pellicola nata quasi per gioco dall'operazione Grindhouse, Machete.
E c'era una volta il suddetto Machete, antieroe messicano dall'animo rivoluzionario che un paio d'anni or sono era divenuto un'icona cult sia grazie al suo interprete - il leggendario Danny Trejo - sia grazie all'ironia, al sarcasmo e allo humour nero dalle forti tinte politiche delle sue avventure.
A quel punto, però, a guastare la festa è giunto il successo, insieme all'ammirazione non soltanto del grande pubblico, ma anche di quello di nicchia.
Il risultato, purtroppo e senza troppi giri di parole, è che Machete Kills, attesissimo sequel dell'appena citata pellicola, fa letteralmente, clamorosamente, indiscutibilmente cagare.
Finto, posticcio, noioso, assolutamente privo della profondità e dell'ironia del primo capitolo, scritto da cani e diretto senza la benchè minima passione o voglia, una carrellata di finto splatter da b-movie senza capo ne coda, uno spreco di denaro, risorse, volti e corpi che si sarebbero prestati decisamente meglio ad una sceneggiatura di altro - e più alto - calibro, senza contare che perfino la componente sopra le righe - e parlo sia del sesso che della violenza - appare, per quanto vistosa, volgare quanto edulcorata.
Un polpettone che va ben oltre la delusione - anche perchè, considerati i pareri che avevo letto in giro, c'era ben poco da aspettarsi se non una serata a neuroni zero -, e che entra dritto nel novero delle peggiori pellicole dell'anno, specie considerata la qualità che Rodriguez avrebbe potuto mettere nel suo lavoro, che purtroppo a questo punto e nonostante gli incassi disastrosi prospetta addirittura un terzo capitolo della saga, Machete kills in space, che considerato questo Kills e basta ha già il sapore della schifezza intergalattica.
Come Rob Zombie, il buon Rob Rodriguez pare essersi un tantinello sopravvalutato, dimenticando che la forza di ogni tamarrata che si rispetti è data quasi esclusivamente dall'autoironia, oltre ovviamente dalla saggezza di affidarsi a sceneggiatori competenti, perchè far ridere è sempre decisamente più difficile che fare schifo, o fare finta di farlo.
Sharknado docet, in questo senso.
Uniche consolazioni a questa visione davvero poco memorabile la presenza del fordiano Walton Goggins e di un discreto numero di signorine sempre belle da vedere, dalla tostissima Michelle Rodriguez ad Amber Heard - che mi ha fatto venire il dubbio se il suo fosse un signor push up o una signora operazione al seno -, dall'arrembante Sofia Vergara - che preferisco di gran lunga in Modern family - alla sempre ben accetta da queste parti Vanessa Hudgens - purtroppo in una parte davvero esigua -, e se vogliamo anche quella del sempre folle Mel Gibson, cui non riesco a non voler bene nonostante i suoi deliri pseudo religiosi, siano essi fiction oppure no.
Per il resto, più che da quelle di Machete kills, siamo dalle parti di Machete sucks.


MrFord


"Bang, bang, shang-a-lang
bang, bang, shang-a-lang
take it off
she bang-bang my shang-a-lang
she bang-bang my shang-a-lang
hey yeah."
Zz Top - "Bang bang" - 



martedì 26 novembre 2013

Wolf children

Regia: Mamoru Hosoda
Origine: Giappone
Anno: 2012
Durata: 117'




La trama (con parole mie): Hana è una studentessa universitaria, e nel corso di una delle lezioni che frequenta conosce un misterioso ragazzo che si rivela essere uno studente "abusivo". Stretto un legame con il giovane, Hana si innamorerà - ricambiata - di lui, scoprendo la natura di lupo mannaro di quest'ultimo: i licantropi, più simili agli animali che non ai mostri dei racconti, sono in via d'estinzione, e quando Hana rimane incinta prima di Yuki e dunque di Ame, scopre cosa significhi essere la madre di due piccoli bambini lupo.
Proprio quando tutto pare andare a gonfie vele nella famiglia, però, i piccoli restano orfani del padre, morto mentre cercava di procacciare il cibo per i suoi cari: Hana, spaventata dalla città e dai suoi rischi e fermamente convinta a tenere nascosta la vera natura dei suoi figli, decide di andare a vivere in montagna, proprio negli stessi luoghi in cui il suo compagno era cresciuto.
Inizia così il percorso di crescita dell'esuberante primogenita e dell'introverso secondo.







In pochi, considerando il panorama del Cinema d'animazione - e del Cinema in generale, a ben guardare -, sono riusciti negli ultimi trent'anni della sua storia a mantenere un equilibrio pressochè perfetto tra semplicità ed emozione, riuscendo a parlare a qualsiasi età e latitudine: uno di questi pochi è senza dubbio Hayao Miyazaki, indiscusso Maestro riconosciuto anche da grandissimi come Kurosawa - che, ricorderò sempre, in una delle sue ultime interviste aveva affermato quanto potesse essere riduttivo per il papà di Totoro essere associato a lui -.
Proprio a Totoro e alla sua magia è legato l'ultimo, splendido lavoro di Mamoru Hosoda, già autore di opere decisamente interessanti come La ragazza che saltava nel tempo e Summer Wars, giunto senza dubbio alla sua piena maturità come autore proprio con questo Wolf children: la storia di Hana e dei suoi figli Yuki e Ame è infatti resa unica dalla stessa magia che ha toccato molte delle creazioni del già citato Miyazaki e di meraviglie come Up, nonchè da una sceneggiatura a dir poco splendida in grado di raccontare i dolori e le gioie che si vivono da compagni, genitori e figli con una sensibilità da brividi.
Così, alla storia d'amore che vede la protagonista abbracciare l'unicità del suo partner, in grado di rendere leggera ed estatica la prima parte, succede il caos delle difficoltà di una madre single e costretta a fare fronte all'eredità che i figli hanno ricevuto dal padre, e dalla bucolica poesia del trasferimento lontani dalla città dei protagonisti il pubblico finisce per essere travolto dall'ultima parte della pellicola, che diviene una sorta di formazione per Yuki e Ame, pronti a crescere ed affrontare la loro esistenza.
E se il personaggio di Hana è straordinario - una madre fiera, combattiva, sempre pronta a sorridere di fronte alla vita e allo stesso tempo mai sopra le righe, o prevaricatrice - i due giovani licantropi non sono da meno, in grado di travolgere l'audience grazie alla loro energia tanto quanto alla fragilità: in questo senso, Hosoda regala momenti di poesia pura come la prima nevicata in montagna, e riesce a mantenere una tensione costante pur raccontando, di fatto, la quotidianità di una vita da famiglia - pur se legata a caratteristiche "particolari" -.
Dal viaggio verso le montagne ai diversi caratteri di Yuki e Ame, dal loro rapporto con la scuola - altra sequenza meravigliosa lo scorrere degli anni raccontato attraverso il corridoio che separa le classi dei due bambini - a quello con la Natura, dal progressivo inserimento di Hana nella sparuta comunità locale - da applausi il vecchio contadino in pieno stile Walt Kowalski - ai sentieri differenti presi dai suoi pargoli, tutto ha il sapore della sincerità, di una realtà filtrata attraverso la forza d'animo che permette ai personaggi di continuare ad andare avanti nel loro cammino, sempre e comunque.
E se l'evoluzione caratteriale di Yuki e Ame che porta fratello e sorella ad una sorta di scambio avvenuto con la crescita, dalla Natura alla civiltà e viceversa, i tormenti dell'adolescenza e la passione e la lotta di un genitore sono portati sullo schermo con la stessa forza - se non maggiore - dei grandi eventi, perchè in realtà ogni piccolo cambiamento del quotidiano e attorno ad un focolare domestico è, a tutti gli effetti, parte della categoria.
E dunque ci si aspetta di tutto, guardando Wolf children.
Un dramma, una catastrofe, una caccia al diverso, qualcosa che sconvolga il mondo di Hana, Yuki e Ame come se ci trovassimo all'interno di un film fantasy, sempre pronti affinchè quel qualcosa accada: ma, come nel corso della visione è stata bravissima a sottolineare Julez, quello che accade è semplicemente la vita.
E dunque si cresce, si cade, si impara, si cambia, si ama, si piange, si ride.
E ad ogni tempesta, si finisce per allargare le spalle ed affrontare quello che ci aspetta, ritagliandoci un ruolo che possa essere importante per noi e chi amiamo.
Non sarà facile, o quello che ci aspettiamo. 
Eppure, quando vedremo i nostri figli crescere e muovere i loro primi passi nel mondo, tutto avrà avuto un senso.
Ogni caduta, ogni lacrima, ogni perdita.
E soprattutto ogni sorriso.


MrFord


"Oh the mother and child reunion
is only a motion away
oh the mother and child reunion
is only a moment away."
Paul Simon - "Mother and child reunion" - 



lunedì 25 novembre 2013

Thor - The dark world

Regia: Alan Taylor, James Gunn
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 112'




La trama (con parole mie): archiviati i fatti legati all'invasione aliena di New York, Thor si sta occupando di ripristinare l'ordine e la pace nei nove regni che Odino, dal trono di Asgard, si impegna ad amministrare come sovrano. Nel frattempo, dall'ombra, sorge la minaccia degli elfi oscuri guidati da Malekith, che da millenni attendono di rimettere le mani su un potentissimo artefatto che potrebbe mettere a rischio la vita dell'intero universo conosciuto.
Nel frattempo Loki, imprigionato nelle segrete di Asgard, si troverà ad allearsi con l'odiato fratello per fare fronte alla comune minaccia ed avere la possibilità di vendicarsi non soltanto dei nemici di Asgard, ma anche di Asgard stessa, proprio mentre Thor sarà troppo impegnato a ricostruire il rapporto con Jane Foster.






Occorre ammettere, senza dubbio alcuno, quanto ormai Mamma Marvel comprenda la portata dei suoi poteri e delle sue responsabilità - per sfruttare il motto di uno dei suoi eroi più famosi ed amati - quando si tratta di portare sul grande schermo le gesta dei personaggi che hanno fatto la sua fortuna: negli ultimi anni, grazie anche al complesso mosaico del progetto che ruota attorno agli Avengers, la qualità delle proposte dell'editore di fumetti più importante del mondo si è notevolmente alzata, gestendo alla grande l'unione delle tre componenti più importanti di questo tipo di prodotto: spettacolarità, azione ed ironia.
E' proprio quest'ultima, malgrado nel corso della visione si incappi in almeno due momenti drammatici, l'ingrediente più importante di Thor - The dark world, secondo capitolo delle avventure del Dio del tuono che diverte ed intrattiene il pubblico a prescindere dall'età dello stesso e riesce a migliorare il risultato portato a casa dal già discreto prodotto firmato Kenneth Branagh: mescolando scenari che paiono pescare a piene mani da Star Wars e Il signore degli anelli, Taylor e Gunn portano il Dio del tuono ad una dimensione più simile a quella dei film d'avventura anni ottanta fatta di battute pronte a stemperare anche i momenti più bui delle vicende narrate, sviluppando parallelamente a sequenze a dir poco esilaranti - l'arrivo di Thor sulla Terra e l'incontro con Eric Selvig, astrofisico che aveva incrociato il cammino dell'eroe già nel primo capitolo e comparso anche nel già citato The Avengers - tematiche decisamente profonde come quella del rapporto tra fratelli, sfruttato alla grande per approfondire le figure di Thor stesso e di Loki, gettare le fondamenta per un eventuale terzo capitolo - davvero niente male la prima delle due "code" al finale - e presentare i due nella veste di insoliti alleati, sfruttando la loro fuga da Asgard per regalare all'audience il pezzo migliore - tecnicamente parlando - della pellicola, un ottimo crescendo costruito sul montaggio alternato e le narrazioni su piani temporali separati che pare uscita da un classico heist movie più che da una pellicola di supereroi.
Un risultato, dunque, sorprendentemente positivo che fa ben sperare sia nella realizzazione de I Guardiani della galassia - in uscita la prossima estate ed anticipato dalla seconda "coda" della conclusione, con un Benicio Del Toro più che gigioneggiante nel ruolo del Collezionista - che sarà a sua volta il traino per The Avengers 2, senza contare Capitan America: soldato d'inverno, pronto ad accogliere tutti i fan delle creature di Stan Lee tra qualche mese - un Cap con valori annessi e connessi sbeffeggiato clamorosamente da Loki proprio in uno dei primi passaggi della succitata fuga da Asgard -.
Certo, tutto appare fin troppo lineare, e Malekith con il suo sgherro Kurse avrebbero potuto essere resi decisamente più carismatici, ma siamo pur sempre dalle parti dei giocattoloni ad uso e consumo dei bambini grandi e piccoli pronti ad esaltarsi in sala assaporando tutta la magia del grande schermo: in fondo, per i più esigenti, si può sempre contare su un più che convincente Tom Hiddleston, ormai sempre più calato nel ruolo di Loki, uno dei villains più sfaccettati ed interessanti dell'Universo Marvel, non a caso ormai co-protagonista quasi fisso dell'universo degli Avengers cinematografici.
E se i risultati continueranno ad essere questi, allora ben venga un futuro (?) regno del Dio dell'inganno.
Qui al Saloon saremo tutti dalla sua parte.


MrFord


"Angel girl
in a cold dark world
I'm gonna be your man
angel girl
in a cold dark world
I'll make you understand."

Weezer - "Cold dark world" -




domenica 24 novembre 2013

Killing season

Regia: Mark Steven Johnson
Origine: USA, Belgio
Anno: 2013
Durata:
91'




La trama (con parole mie): nella prima metà degli anni novanta, nel pieno della guerra nell'ex-Jugoslavia, Emil Kovac faceva parte di un gruppo armato serbo responsabile di torture, morte e stupri messo a tacere dall'esercito americano, pronto a fare piazza pulita di alcuni dei loro nemici catturati ed uccisi neanche ci si trovasse ancora ai tempi del selvaggio West.
Kovac, però, è miracolosamente scampato alla morte e guarito completamente, e dopo vent'anni si prepara ad una spedizione negli States in modo da rintracciare e sfidare ad una sorta di caccia uno contro uno lo stesso nemico che premette il grilletto con il fucile puntato alla base del suo cranio due decenni prima: il colonnello Benjamin Ford, che vive tra le montagne in compagnia dei dischi di Johnny Cash e dei dolori - fisici e mentali - delle ferite di guerra.
Lo scontro tra i due avrà il potere di cambiare il destino più di quanto non abbia fatto il conflitto tra serbi e bosniaci.




Dovete sapere che se esiste un altro blogger Expendable e pane e salame almeno quanto il sottoscritto - se non di più - è senza dubbio il mitico Frank Manila.
L'uomo più spiccio della blogosfera si trova in perfetta sintonia con questo vecchio cowboy quando si tratta di parlare di film di botte, esplosioni, tamarrate action e quant'altro: capirete dunque la mia preoccupazione quando, a proposito proprio di una di queste ultime, Killing season per l'appunto, il suddetto Frank si espresse in maniera decisamente negativa finendo per demolire le aspettative che nutrivo rispetto ad uno scontro di una certa caratura tra due ormai ex grandi attori - uno più dell'altro, a dire il vero -, Robert De Niro e John Travolta.
In cuor mio speravo che, per una volta, il Manila si sbagliasse, ed invece mi sono trovato a confermare la sua posizione minuto dopo minuto di una visione decisamente prevedibile, noiosa, qualitativamente molto bassa e come se non bastasse resa ancora peggiore da un finale che, più che buonista, ha tutto il sapore delle peggiori edizioni di Studio Aperto.
Un De Niro bolso come non mai ed un Travolta pronto a sfoggiare un improbabile accento dell'Est Europa accompagnato alla mimica di Vincent Vega si danno battaglia neanche ci trovassimo in una versione di serie molto b del magnifico I duellanti o del discreto The Hunted - La preda, mandando minuto dopo minuto in fumo - con il contributo di uno dei registi peggiori del panorama USA, Mark Steven Johnson - un'idea di base neppure così malvagia: peccato davvero, perchè sarei andato volentieri a nozze con un'ambientazione ed un plot come questi, fatti di montagna, amicizia virile, rivalità profonda, Jagermeister - marchettone galattico quello della bevuta dello storico amaro, che la scorsa ho riscoperto grazie alla cosiddetta Jagerbomb -, cottage di legno, camino e Johnny Cash in sottofondo.
Purtroppo resta soltanto una produzione che a stento riesce a raggiungere la qualità necessaria per il piccolo schermo - una cosa in stile sabato sera su Italia Uno, tanto per rimanere in tema - con riferimenti a metà tra la retorica ed il fuori tempo massimo sulla guerra che lacerò l'ex Jugoslavia e alla condizione attuale del Medio Oriente, soluzioni al limite della fantascienza - il personaggio di Travolta, colpito alla base del cranio da un proiettile, che miracolosamente riacquista l'uso di gambe e braccia e torna a vendicarsi di chi premette il grilletto vent'anni dopo - ed una presentazione dei due protagonisti che invece di fornire la descrizione del duello all'ultimo sangue di due macchine per uccidere tratteggia una scampagnata un pò più movimentata del solito di due compagnoni che vorresti avere accanto per animare qualche bel weekend in campeggio nei boschi.
Onestamente, nonostante tutta questa vagonata di merda spalata sul discutibile lavoro del discutibile Johnson, non riesco comunque a volere male a Killing season, che finisce principalmente di avere come unica colpa quella di non avere semplicemente i mezzi per potersi imporre come piccolo riferimento del genere: considerato quanto produzioni decisamente più grosse e dalle ambizioni maggiori mi hanno fatto incazzare nel corso degli ultimi mesi, potrebbe quasi - ma dico quasi - essere un successo.


MrFord


"Don't take your guns to town son,
Leave your guns at home Bill,
Don't take your guns to town."
Johnny Cash - "Don't take your guns to town" -


sabato 23 novembre 2013

Shameless - Stagione 2

Produzione: Showtime
Origine:
USA
Anno: 2012
Episodi:
12




La trama (con parole mie): è arrivata l'estate rovente, a Chicago, e per i Gallagher capitanati dalla consueta, infaticabile Fiona la priorità è mettere da parte abbastanza denaro per poter sopravvivere all'inverno. Così, mentre Lip si barcamena tra la collaborazione con l'esercito e la vendita di erba Ian continua a lavorare nel market dell'ormai ex fidanzato vessato dalla moglie, Debbie si occupa di una sorta di "asilo in casa" e Carl cerca modi nuovi per sperimentare il suo esubero di energie da bambino difficile in una periferia difficile.
Il tutto mentre Jimmy detto Steve risulta sparito in Sud America, Kevin e Veronica sono sempre al fianco dei loro amici e vicini, il piccolo Liam fa da spettatore alle stranezze della sua famiglia e Frank è sempre ubriacone e stronzo come al solito.
Tre tempeste, però, sono pronte ad abbattersi sui Gallagher: perchè pare che Lip aspetti un figlio da Karen, figlia della strana compagna di Frank in procinto di sposarsi con il metallaro dal cuore d'oro Jody, la mamma dei ragazzi è pronta a fare di nuovo razzia delle loro vite e soprattutto Balena Peggy, nonna Gallagher, sta per uscire di galera a causa delle sue condizioni di salute.





Io voglio davvero un sacco di bene ai fottuti Gallagher.
A modo mio, e non a tutti allo stesso modo. Ma se lo meritano davvero, questo bene.
Perchè Shameless è una delle serie più vitali, sentite, coinvolgenti e toste del piccolo schermo, e dai tempi di Six feet under nessuno era riuscito a raccontare meglio il crogiuolo di casini che può riversarsi su ognuno di noi tra le mura di casa e a causa delle persone che più dovremmo amare al mondo, e che a volte finiscono per essere quelle che, al contrario, più odiamo.
E dato che non voglio sembrare uno che fa sconti a tutti solo perchè questo titolo è un must see assoluto, comincio proprio raschiando il fondo del barile, e togliendomi tutti i sassi dalle scarpe: voglio un sacco di bene ai Gallagher, ma detesto Frank, nel profondo, perchè essere una vera merda è molto ma molto peggio che essere un vero stronzo.
E Monica, perchè è la degna compagna del suddetto capostipite dei Gallagher: fortunatamente non ho provato sulla pelle la sfortuna di una madre come lei, e a mente fredda posso dire che se fossi al posto dei suoi ragazzi la porta della mia casa, per un elemento di questo genere, sarebbe sempre chiusa.
E Karen, perchè se le colpe dei padri ricadono sui figli, lei ha raccolto a piene mani l'eredità del suo tanto detestato papà riversandola sul figlio in attesa di nascere come veleno.
E da queste parti, una cosa del genere non conosce perdono.
Poi, certo, nessuno degli altri è perfetto, ma hanno sempre un motivo per farsi amare, ognuno a suo modo: e dunque voglio bene a Liam, così piccolo e così indifeso, in mezzo ai lupi.
E a Carl, che ha imparato a tirare fuori gli artigli per sopravvivere in un mondo in cui vale solo la legge del più forte - o del più stronzo, per l'appunto -.
A Ian, che ha il cuore grande ma non è così buono da sembrare stupido, e riesce a dare l'impressione, con quel suo fare da Billy Elliot dei bassifondi, di poter davvero essere qualcuno cui affideresti il tuo Paese.
A Jody, che è così buono e anche stupido, il Candido di questa serie, impagabile con Kiss from a rose a fare da sottofondo ad ogni amplesso.
A Debbie, che porta in dono tutto il fascino che hanno le Little Miss Sunshine da una parte e dall'altra dello schermo, e che meriterebbe un principe pronto a prenderla dal suo degradato quartiere e portarla a scoprire il mondo.
A Steve - o Jimmy -, che in fondo, per quanto non proprio ligio alle regole, è un pò quel tipo di principe.
A Kevin e Veronica, perchè amici come loro sono quelli che tutti vorremmo a coprirci le spalle per sentirci sicuri come sotto una coperta in inverno, così belli da vedere uno accanto all'altra da far venire voglia di innamorarsi a chi non ne ha affatto intenzione.
A Lip, genio e stregolatezza, figlio della sindrome da Will Hunting che porta quelli come lui a chiedersi perchè il fardello del migliore debba essere portato proprio da loro. Semplicemente, perchè lo sono senza neppure farci troppa fatica.
E a Fiona, che è una forza della natura, una meraviglia, una principessa sporca con il potere di cambiare la vita di chi avrà la fortuna - e l'onore, e l'onere - di stare accanto a lei e alla sua scombinata famiglia.
Tutto questo senza dimenticare Peggy.
Perchè, caro Frank, è meglio essere veri stronzi che vere merde.
E perfino lei, scorbutica, cattiva, selvaggia, iraconda, sporca tanto da far apparire il Walt Kowalski di Gran Torino una scolaretta pudica, riesce in qualche modo a farsi voler bene, alla fine.
E ad uscire di scena con una sua dignità.
Invece tu, Frank, sei come gli scarafaggi. Resisterai anche ad un cazzo di olocausto nucleare.
E noi saremo qui a vederti, studiarti, fissarti: perchè sei troppo brutto per essere vero.
Peccato che come te, là fuori, ce ne siano più di quanti non si possa pensare.


MrFord


"You remain,
my power, my pleasure, my pain, baby
to me you're like a growing addiction that I can't deny.
won't you tell me is that healthy, baby?"
Seal - "Kiss from a rose" - 


venerdì 22 novembre 2013

Player one

Autore: Ernest Cline
Origine: USA
Anno: 2010
Editore: ISBN Edizioni




La trama (con parole mie): Wade Watts è un diciottenne del prossimo futuro, figlio di un mondo decisamente duro e del popolo costretto alla sopravvivenza, che trova la sua realizzazione soltanto nel tempo passato collegato ad OASIS, una simulazione virtuale di vita all'interno della quale, grazie al suo avatar Parzival, può sperare in un futuro migliore. Quando James Halliday, geniale inventore della piattaforma, muore dando il via ad una sorta di caccia al tesoro che prevede per il vincitore il premio di diventare il suo erede - nel controllo di OASIS e finanziariamente -, Wade coltiva il sogno di uscire per sempre dalla povertà e dall'anonimato mettendo a frutto la sua incredibile conoscenza di videogiochi e cultura degli anni ottanta, l'epoca che vide Halliday crescere.
L'avventura che ne deriva sarà la più grande che il giovane abbia mai affrontato, e lo porterà non solo a salvare il suo mondo - almeno quello virtuale - ma anche a scoprire che la realtà nasconde il segreto più prezioso di tutti.




Cominciamo ad essere in pochi, ormai, nell'epoca dell'espansione delle nuove realtà "smart" e delle console di gioco di ultima generazione basate sul gioco online, a ricordare i bei tempi del VIC-20, dell'Atari o del Commodore 64, che precedettero i primi Sega a otto bit: era il pieno dei gloriosi anni ottanta, ero alle elementari e ricordo una notte passata ad attendere che il Commodore di un mio compagno di classe caricasse la cassetta di Ghouls and ghosts, che riuscimmo a sfruttare per un'oretta prima che suo padre si svegliasse e ci rispedisse dritti a letto dopo una sfuriata.
Vennero poi il Master System ed il Mega Drive, che portavano, di fatto, la meraviglia della sala giochi nel salotto di casa, ed interminabili partite a Shinobi, Double dragon, Alex Kidd, Rampage.
Giochi semplici almeno quanto i cartoni animati che giungevano a frotte da Giappone e USA, visti allora come realtà lontane ed esotiche, dai robot giganti ai campi di calcio destinati a non finire mai.
E poi i film dai Goonies a Karate Kid, passando per War games e Ritorno al futuro, senza dimenticare i primi ascolti delle band di parrucconi rock del tempo, dagli Europe a Bon Jovi.
E Dungeons&Dragons.
Ero in terza elementare, quando cominciai a dilettarmici, a casa di un amico con un fratello che era "già alle medie": e tra un Librogame ed un cambio di compagnia, la passione dei giochi di ruolo rimase, accanto a quella per i fumetti.
Ma questo è un post dedicato alla recensione di un romanzo - stupendo, tra le altre cose, forse addirittura il miglior titolo fantasy del nuovo millennio - o un viaggio nell'amarcord del vecchio cowboy?
In realtà entrambe le cose, perchè Player one è un omaggio sentito ed emozionante di un ragazzo cresciuto a quei tempi, Ernest Cline - classe '72, dunque un pò più grandicello del sottoscritto -, collezionista di tutto quello che riporta agli eighties e geek all'ultimo stadio, pronto a raccontare la straordinaria avventura di Wade Watts, diciottenne di un futuro più prossimo che remoto dominato dalla realtà alternativa di OASIS, piattaforma che simula un'esistenza a tutti gli effetti pronta a sostituire una realtà decisamente poco piacevole per i più, e da una gara indetta dal multimilionario James Halliday, inventore della stessa OASIS pronto a lanciare una strepitosa caccia al tesoro affinchè la sua creatura ed il patrimonio accumulato grazie ad essa possano finire nelle mani di un cercatore - ed un giocatore - meritevole ed il più equilibrato possibile.
Ha così inizio una delle avventure più incredibili vissute nel corso della mia esistenza da lettore, un viaggio attraverso scenari ispirati a videogames, serie televisive, fumetti, giochi di ruolo, film e tutto quello che ancora oggi fa sospirare noi "ragazzi degli anni ottanta" per la nostalgia di un periodo unico, magico, sopra le righe quanto mitico praticamente per antonomasia.
La ricerca dei Gunter e la caccia all'Easter Egg di Halliday regala, oltre ad una manciata di personaggi splendidi - Wade, Art3mis, Aech, Shoto e Daito, goonies del virtuale, losers in una realtà che non sa che fare di loro e vincenti assoluti all'interno di OASIS -, ambientazioni dal fantasy al tecnologico estremo, scenari da 1984 ed esaltazione da bambini - nel momento della prima messa in moto del Leopardon con gli AC/DC pompati nell'abitacolo ho avuto un brivido lungo la schiena, neanche fossi salito a bordo di una macchina del tempo, altro che lo spompato Pacific rim! -, senza dimenticare l'importante analisi del rapporto tra la felicità che può dare una simulazione e quella che, pur dopo aver collezionato delusioni e sofferenze, arriva dalla vita vera.
Perchè è questo, il succo di Player one.
Dacci dentro, vivi al massimo i tuoi sogni, ma non dimenticarti che quello che vale sta dall'altra parte dello schermo, e passa attraverso ogni cosa che si possa toccare e della quale fare esperienza sulla pelle, e non solo attraverso la simulazione, e l'immaginazione.
Forse è proprio a questo che ci hanno preparato gli anni ottanta, e forse è proprio questo che omaggia questo libro meraviglioso.
Dunque infilatevi jeans e maglietta, inforcate i Rayban, inserite una cassetta nello stereo della vostra DeLorean, preferibilmente 2112 dei Rush, e volate verso l'orizzonte: l'importante è che sappiate bene dove atterrare una volta svegli.

MrFord

"We've taken care of everything
the words you hear, the songs you sing
the pictures that give pleasure to your eyes.
It's one for all and all for one
we work together, common sons
never need to wonder how or why."
Rush - "The temples of Syrinx" - 



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