lunedì 29 agosto 2016

Saloon's Bullettin #7




Lo dichiaro senza mezzi termini e con grande gioia: Una spia e mezzo è il cult fordiano dell'estate, con un The Rock scatenato - e divertentissimo - ed un Kevin Hart - che non ho mai particolarmente amato - perfettamente in parte, una spy-comedy ritmata, tamarra e sopra le righe di quelle buone per far gioire il popolo dei pane e salame ed imprecare tutti i radical come Cannibal.
Goduto dal primo all'ultimo minuto, questo prodotto chiaramente ad uso e consumo del grande pubblico, con lacune di scrittura evidenti, è una delle cose più spassose che siano capitate da queste parti negli ultimi mesi e nel pieno di un'annata che può dirsi ben lontana dall'essere memorabile.
Personalmente, me ne sbatto di quello che possano pensare i presunti puristi del Cinema: soprattutto in estate, pellicole come questa sono una manna dal cielo, specie quando, per un motivo o per un altro - ed in questo caso quello grosso come una casa si chiama Dwayne Johnson, alias The Rock - risultano particolarmente riuscite (due bicchieri).
In vena di pellicole estive e pronto a stimolare nuove visioni oltre i cartoni animati per il Fordino, ho recuperato in gran freschezza anche Tartarughe Ninja 2 - Fuori dall'ombra, sequel del reboot di un paio d'anni fa che prosegue nel trend positivo - almeno rispetto alle pellicole dedicate ai Teenage Mutant Ninja Turtles che si dovette sorbire la mia generazione - del brand pur non raccontando o aggiungendo nulla di nuovo, lasciandosi dimenticare abbastanza in fretta.
Plauso al regista per non aver quasi mai inquadrato i pollici di Megan Fox ed ai nuovi villains Bebop e Rocksteady - realizzati interamente in digitale come le tartarughe tranne che per la loro parentesi umana, che spicca considerato il volto prestato a Rocksteady dal wrestler WWE Sheamus -, rimandato invece il Casey Jones di Stephen Amell, sequenze spettacolari - la lotta sopra e nella giungla -, buon ritmo e risultato innocuo e leggero.
Quando si dice estate, per l'appunto (un bicchiere e mezzo).
Al centro, invece, di accesissime polemiche tra fan del cult anni ottanta, haters e nuovi sostenitori è giunto sugli schermi di casa Ford anche il nuovo Ghostbusters, che, lo ammetto, ha finito per sembrarmi enormemente inutile: il problema non è tanto la mancanza di rispetto o la differenza di valore rispetto al lavoro di Reitman, quanto la povertà di idee ed una certa superficialità complessiva - lo stesso Hemsworth, tanto celebrato per l'apparente svolta comica, mi è parso forzato e fuori luogo -.
Le menate, dunque, dei supernerdoni sono esagerate, ma di certo chiunque lo veda non si troverà di fronte quello che il Cinema, di norma, consegna alla Storia come un cult: idee riciclate, script scopiazzato - questo occorre ammetterlo - dall'originale, personaggi che non entrano nel cuore e si fanno ricordare soltanto per essere la prima squadra di questo tipo tutta al femminile, un piglio da commedia che rinuncia alla parte più fantasy e quasi spaventosa del film che l'ha ispirato ed un'atmosfera da "tiriamo a campare" che non lascerà segno alcuno, almeno nel sottoscritto.
E le apparizioni a scopo di marketing di Murray, Aykroid, Ernie Hudson e Sigourney Weaver hanno finito per farmi davvero una gran tristezza (un bicchiere e mezzo).
A cercare di far riprendere il sottoscritto è dunque giunto il nuovo Star Trek - Beyond firmato dal Justin Lin di Fast&Furious, senza dubbio il più debole dei tre titoli fino ad ora usciti legati al reboot/prequel del celebre franchise legato alle serie televisive ed ai film dedicati all'equipaggio dell'Enterprise, cui mancano sia l'approfondimento psicologico e di scrittura che l'epicità dei due precedenti firmati da J. J. Abrams, questa volta presente soltanto nella veste di produttore: nulla che non vada, nel mix tra ritmo indiavolato, battute niente male ed omaggi a Leonard Nimoy, eppure tutto è parso piuttosto piatto ed elementare nell'evoluzione, neanche ci trovassimo in una puntata di trenta minuti scarsi di un cartone animato che deve per contratto vedere i buoni essere messi in difficoltà e poi vincere, piuttosto che in un blockbuster intelligente da Nuovo Millennio.
Una mezza occasione sprecata, ma senza dubbio una mezza occasione sprecata che si lascia vedere un gran bene (due bicchieri).
A chiudere la settimana è tornato su questi schermi il sottovalutato Collet-Serra con The Shallows, adattato in maniera indegna dai distributori italiani e sparito nei meandri dell'estate almeno fino al suo recupero post-ferie giunto in tempo per far tornare il sottoscritto con la mente ai giorni passati al mare: Blake Lively, diretta neanche fossimo in una sorta di soft porno, tiene inchiodati alla poltrona per un'ora e venti scarsa raccontando come e meglio di quanto non venne fatto in Open Water l'odissea di una giovane surfista in Messico alla ricerca di se stessa e del ricordo della madre morta da poco costretta a lottare per la sopravvivenza contro uno squalo assetato di sangue.
Assolutamente non perfetto e senza dubbio esagerato sotto molti aspetti, questo The Shallows - o Paradise Beach - Dentro l'incubo, come lo vedrete nelle nostre sale in questi giorni - resta comunque un prodotto d'intrattenimento solido e molto interessante, pronto a rinnovare lo spauracchio che, da Spielberg a Sharknado, hanno rappresentato e rappresentano i predatori numero uno degli oceani.
Anche in questo caso, niente di nuovo sotto il sole, ma un niente di nuovo dai denti molto, molto affilati (due bicchieri).





MrFord

lunedì 22 agosto 2016

Saloon's Bullettin #6




La marcia attraverso quest'estate più rilassata - in termini di visioni e di blog - prosegue la sua marcia verso la conclusione, e come ogni estate che si rispetti - anche se l'ambientazione non rispecchia affatto la stagione - qualche horror finisce per fare sempre capolino sugli schermi: Cell, ispirato da un romanzo di Stephen King e massacrato un pò ovunque nella blogosfera e non, è un'accozzaglia di idee mal scritte e confuse che pescano a piene mani dagli zombie movies, i survival, videogiochi e serial televisivi, partite con un principio anche interessante - l'epidemia originata dall'uso smodato dei cellulari - e naufragate in una fiera del già visto banale, diretta malissimo ed interpretata anche peggio da due bollitissimi John Cusack e Samuel Jackson.
Davvero un peccato per la chance sprecata, per il Maestro del brivido e i due protagonisti - cui ho sempre voluto bene -: un film, però, davvero impossibile da salvare anche in minima parte, già candidato ad un posto di rilievo nella decina del peggio dell'anno (un bicchiere).
E' andata decisamente meglio con Race - Il colore della vittoria, biopic senza dubbio patinato ed hollywoodiano eppure funzionale ed emozionante incentrato sulle imprese sportive di Jesse Owens, che fu eroe alle Olimpiadi del trentasei a Berlino vincendo quattro medaglie in barba al nazismo e ad Adolf Hitler: una pellicola solida e piacevole da vedere, che non inventa nulla ma racconta bene, culminata con i passaggi legati all'amicizia nata proprio dalla rivalità sportiva tra lo stesso Owens ed il saltatore tedesco Luz.
Senza dubbio gli amanti del Cinema d'autore storceranno il naso, eppure lo sport e le vicende pane e salame come questa fanno sempre bene al cuore, soprattutto in momenti complicati come quello che stiamo vivendo: il bello dello sport e delle sue icone, del resto, è anche e soprattutto questo (due bicchieri).
A proposito di film d'essai, invece, ho approfittato della curiosità stimolata da alcuni pareri più che buoni raccolti nella blogosfera per affrontare 11 minuti, pellicola di Jerzy Skolimowski sviluppata come un gioco ad incastro, un mosaico di storie pronte a convergere abbracciando proprio un arco di undici minuti: esperimento decisamente interessante legato alla riflessione sul destino e la casualità, impreziosito da un finale pazzesco ed a suo modo mitico, graziato da un minutaggio perfetto e da un ritmo serrato, finisce di contro per risultare un pò troppo "sconnesso" in alcuni passaggi e forzatamente autoriale in altri.
Un peccato, perchè con un paio di aggiustamenti soprattutto sullo script avrebbe potuto rappresentare una delle sorprese più interessanti dell'estate: quello che vi consiglio, però, è di vederlo comunque, senza informarvi troppo sulla trama e la sua evoluzione prima della visione.
Buttatelo giù d'un fiato come lo shot che scatena il tracollo della sbronza.
Non avrà tutto questo gran sapore, ma di sicuro non lo dimenticherete, nel bene o nel male (due bicchieri).
A chiudere la settimana di visioni prima della mia partenza per il mare - scrivo attorno alla metà di luglio - ho voluto festeggiare ferie e stagione con l'ennesima visione di Weekend con il morto, che ancora oggi mi fa sbellicare dalle risate tanto quanto ai tempi, quando con mio fratello riuscivamo a vederlo almeno tre o quattro volte la settimana non appena finivano le scuole: le peripezie dei due protagonisti con il loro defunto capo Bernie Lomax, per quanto assurde e decisamente di bassa lega, mi paiono funzionare ancora oggi, dalla festa del venerdì sera alla scoperta del piano dello stesso Lomax, fino allo scontro decisivo con il sicario Vito, che fin dai tempi era rimasto nel cuore dei fratelli Ford con quel suo "Sambuca con ghiaccio, minchia!", in originale così come nella versione italiana. Intramontabile (un bicchiere e mezzo).
I viaggi in treno per andare a trovare i Fordini già al mare, invece, hanno veicolato anche la lettura dell'ultimo Nesbo, Sole di mezzanotte, altro romanzo slegato dalla creatura più fortunata della penna dell'autore norvegese, Harry Hole: il successo, l'aumento esponenziale della produzione e la mancanza del detective alcolista, però, paiono non fare troppo bene al buon Jo, che come per Sangue e neve incappa in un mezzo passo falso, rimbalzando da una prima parte interessante legata soprattutto alla descrizione dei paesaggi del Finnmark ad una seconda con poco mordente ed anche parzialmente scontata.
Niente di irreparabile, ed un libro comunque piacevole e scorrevole, ma il vero Nesbo sta da un'altra parte.
Forse ad ubriacarsi con Hole. E forse è il caso di fare un pensierino a proposito del ritorno di quest'ultimo (due bicchieri).




MrFord

giovedì 18 agosto 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): ancora nel pieno dell'estate e del post-Ferragosto, in sala trovano spazio giusto un paio di titoli che, però, in un modo o nell'altro, potrebbero addirittura rivelarsi interessanti. In particolare, uno degli horror più chiacchierati dell'anno distribuito straordinariamente in tempi non biblici anche qui nella Terra dei cachi.
Purtroppo, a rendere nefasta anche questa settimana, resterà come sempre il co-conduttore della rubrica, Cannibal Kid, la vera strega cattiva della Blogosfera.

"Facciamo vedere a quei due tronchi di Cannibal e Ford come si balla!"
The Witch

"Cannibal, rassegnati: ormai anche i Kids si convertono alla fede del diabolico Ford!"
Cannibal dice: Con un ritardo nemmeno eccessivo rispetto alla potenza dell'Internet, ecco che arriva anche nei cinema italiani un horror inquietante, ben girato e con una giovane protagonista sensazionale, Anya Taylor-Joy. Per quanto mi riguarda non è il capolavoro assoluto spacciato da alcuni blogger, però una visione se la merita tutta e la mia recensione satanista si merita una lettura (http://www.pensiericannibali.com/2016/05/burn-vvitch.html). Quella dello stregone Ford anche no, grazie.
Ford dice: una delle produzioni horror più interessanti degli ultimi mesi giunge con un ritardo neppure eccessivo nelle sale italiane. Un miracolo o opera del Demonio? La risposta al botteghino: nel frattempo, potete sempre leggere la mia recensione -http://whiterussiancinema.blogspot.it/2016/05/the-vvitch-new-england-folktale.html -, che sottolinea il valore di questo film ma cerca di contenere l'entusiasmo che, per una volta, non ha fatto andare in pappa il cervello al mio antagonista. Anche perché non ci sarebbe stato più nulla da mandare in pappa.



New York Academy

"Sei proprio un figurino: mica come quella strega di Cannibal Kid!"

Cannibal dice: Nonostante abbia adorato Il cigno nero e la serie Flesh and Bone, il mondo della danza classica non è che mi entusiasmi molto. Sempre più del wrestling, per carità, però questa porcheruola a metà strada tra Saranno famosi e Step Up la lascio volentieri all'ex duro Ford che inaspettatamente negli ultimi tempi nelle robette sulla danza ci sguazza manco fosse Carla Fracci.
Ford dice: nonostante alcune tamarrate come Battle of the year mi abbiano divertito e sia rimasto ammirato da altre cose molto radical come Pina di Wenders, direi che la mia attitudine al ballo - protagonista o spettatore che sia - è la stessa che ha Cannibal per il wrestling.

Passo dunque volentieri, anche perché questi saranno i giorni dell'attesissimo Summerslam.


lunedì 15 agosto 2016

Saloon's Bullettin #5


L'estate è entrata nel vivo - quantomeno nel momento in cui scrivo queste righe - e tra vacanze, una partita e l'altra degli Europei di calcio - anche se, probabilmente, in questo momento saranno già nel pieno del loro svolgimento le Olimpiadi - e viaggi in treno sono comunque riuscito a gustarmi film e libri quantomeno discreti, lontani dagli standard solitamente bassi ed ignoranti del periodo più rilassato ed easy dell'anno.
The Nice Guys, diretto dallo specialista in buddy movies Shane Black, è un film super fordiano, frescolinissimo, veloce e divertente, un buon mix tra le atmosfere di Chandler e gli scombinamenti del Drugo e Doc Sportello, con un Russell Crowe in gran forma da picchiatore ed un Ryan Gosling perfetta spalla: una di quelle proposte che è sempre un piacere vedere e rivedere, che non inventerà nulla di nuovo ma si lascia guardare alla grande, mescolando humour, crime ed un'atmosfera anni settanta che da queste parti è sempre ben accetta.
E tra un cazzotto, una bottiglia e villains misteriosi - sempre affascinante Kim Basinger, che fa ancora mangiare la polvere ad un sacco di giovincelle - si arriva ai titoli di coda ben consci di essersi divertiti ma di non aver mandato in ferie il cervello. Ed è una cosa da non sottovalutare (due bicchieri e mezzo).
Allo stesso modo non è da sottovalutare The good kill, ultimo lavoro di Andrew Niccol - al quale sarò sempre affezionato per l'ottimo Lord of war - con Ethan Hawke e Zoe Kravitz, forse non completamente risolto e privo di una vera e propria direzione - è una denuncia rispetto al disumano utilizzo dei droni da combattimento o un grido d'aiuto lanciato nell'ottica di chi "preme il grilletto" e si porta dentro le conseguenze di ordini impartiti dall'alto? - ma in grado di far riflettere su uno degli aspetti più terrificanti della "guerra moderna": pensare che un drone che vola a tremila metri di altitudine guidato da una squadra che sta dall'altra parte del pianeta possa scaricarci su per il culo un missile in grado di fare a pezzi tutto quello che si trova nel raggio di un isolato è onestamente agghiacciante, e, per quanto preferirei non pensare ad un'esistenza imperitura della guerra, che forse le battaglie dei tempi antichi, a loro modo, erano più umane e sincere di questa lotta al terrore combattuta attraverso il terrore.
Echi di The hurt locker ed American Sniper, pur non arrivando all'altezza di nessuno dei due, per una pellicola comunque da recuperare, fosse anche per una sola visione (due bicchieri).
Ben più di una, invece, ne raccoglierà al Saloon The Conjuring - Il caso Enfield, tratto da cronache di eventi realmente accaduti ed incentrato come il precedente sull'esperienza di esorcisti dei coniugi Warren nel corso degli anni settanta, forse tra i più solidi horror ad ampio raggio degli ultimi mesi, nonchè sequel all'altezza dell'originale, che allo stesso modo da queste parti aveva convinto: le due pellicole sono molto diverse tra loro, e dall'horror classico del primo film le atmosfere di questo Il caso Enfield finiscono per avvicinarsi più a quelle del thriller psicologico, quasi si trattasse di un cocktail tra L'esorcista ed un Polanski in salsa Poltergeist.
Forse meno spaventoso del precedente, ma decisamente più inquietante, in grado di far riflettere a proposito del concetto di Fede - più rispetto alle persone che non in Dio o in una vita dopo la morte -, tecnicamente realizzato alla grande da James Wan e pronto a mostrare la tenacia di una famiglia presa di mira da un'entità demoniaca, l'approccio in bilico tra scienza e fede, per l'appunto, dei Warren ed un punto di vista - quello del contatto tra i protagonisti ed i loro "assistiti" - che si riassume alla grande in una risposta data a Lorraine Warren che suona più o meno così: "Non crederei a queste cose, ma ho perso mia figlia in un incidente anni fa, e se questo esiste, significa che c'è una vita dopo la morte, dunque so che un giorno avrò la possibilità di vederla ancora". Da ateo miscredente, non me la sento proprio di non essere d'accordo con un punto di vista simile (due bicchieri e mezzo).
Chiude la settimana l'agghiacciante visione di Warcraft, terribile fantasy tutto effetti e niente sostanza che pare la versione dei poverissimi de Il signore degli anelli purtroppo firmata dall'ex bambino prodigio Duncan Jones, che a ben guardare dopo Moon non è più stato in grado di produrre qualcosa di decente.
Due ore di effetti ad uso e consumo del 3D ed una sceneggiatura sforbiciata per restare in linea con le esigenze della distribuzione, attori sprecati - e mi dispiace per il buon Travis Fimmel, il Ragnar di Vikings, e Ben Foster -, sapore di già visto e sentito, tentativi di fare apparire come figo e coinvolgente un prodotto che è pura spazzatura nerd.
Il pensiero che possa essere il primo capitolo di una saga solletica il terrore, anche se fa ben sperare il pesantissimo flop al botteghino: per una volta, confido nelle buone scelte del grande pubblico (un bicchiere).
In termini di lettura, invece, Don Winslow è tornato a fare capolino da queste parti con il suo primo romanzo, London Underground, incentrato sul giovane investigatore Neil Carey, spedito dai suoi misteriosi capi da New York a Londra per ritrovare la figlia di un senatore che nasconde segreti piuttosto scomodi.
Non parliamo certo del Winslow dei Capolavori Il potere del cane e Il cartello, quanto più che altro di un ottimo scrittore ancora attento a "prendere le misure" e a porre le fondamenta di quelle che saranno le certezze della sua carriera, di fatto rendendo London Underground una sorta di fratello minore del più recente - e molto bello - Missing: New York. Ai tempi, il vecchio Don dedicò a Neil Carey - interessante main charachter fallibile e tormentato da buon giovane di belle speranze - una saga di cinque episodi che pare ora verrà completamente ristampata: sono già curioso di scoprire se con il secondo volume, China girl, la prosa di quello che è considerato uno dei maestri del noir contemporaneo si sarà già evoluta (due bicchieri e mezzo).



MrFord




giovedì 11 agosto 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): come da tradizione d'agosto, le pellicole in uscita in sala finiscono per essere poche, ma al contrario del solito, può capitare che, in questo strambo e spento duemilasedici, possano riservare sorprese niente male.
Quello che, al contrario, sorprese non ne riserva affatto, è il mio antagonista Cannibal Kid, che continua ad essere combinato e poco competente come al solito.


Cannibal e Ford a spasso nei boschi.
Suicide Squad
(nei cinema da sabato 13 luglio)

"Una bella martellata in testa a Cannibal? E' cosa fatta!"

Cannibal dice: Oh mio Dio. C'è un film sui supereroi che mi intriga! Sarà forse perché in realtà non è un film sui supereroi, ma su dei supercattivi?
È clamoroso poi che arrivi in Italia, con una decisione incredibilmente audace, non solo prima di Ferragosto, ma pure in una giornata inconsueta per le uscite, il sabato. Si rivelerà una scelta vincente, in grado di cambiare le abitudini di lancio dei film nel nostro paese, oppure una mossa suicida?
Il fatto che sia un film della DC Comics mi spaventa un po', soprattutto dopo quella merdaccia di Batman v Superman, però sono fiducioso soprattutto nel Joker di Jared Leto e nella Harley Quinn di Margot Robbie. Due villain con i fiocchi pronti insieme a me a sconfiggere il buonismo di tutti i Ford del mondo!
Ford dice: incredibilmente, arriva in sala un film supereroistico che potrebbe mettere d'accordo perfino il sottoscritto e quel radical anti fumetti di Cannibal Kid. Il cast è pazzesco, la regia di Ayer una bella prospettiva soprattutto per la parte action, l'hype a mille.
Speriamo solo non si riveli tutto fumo e niente arrosto come Batman VS Superman o Pensieri Cannibali.






Il drago invisibile

"Quello è il leggendario Ford: è più incredibile di quanto si potesse immaginare."
Cannibal dice: Prima di Ferragosto arrivano in sala non uno, bensì due potenziali blockbusteroni ammeregani. A dispetto del più cattivo Suicide Squad, questo sembra un filmettino favolistico made in Disney perfetto per Ford & family, però una visione potrebbe meritarla pure dalle parti di Cannibalandia. Se non altro per Bryce Dallas Howard, pronta con questo film a rivaleggiare con la madre dei draghi Emilia Clarke.
Ford dice: classico film da grandi incassi targato Disney che mi sarei risparmiato volentieri, se non che il Fordino ha già espresso la volontà di vederlo, forse memore del successo che ha sempre raccolto da queste parti Dragon Trainer.
Speriamo solo non sia una roba troppo, troppo zuccherosa di quelle che Peppa Kid finge di non sopportare.



1001 grammi

"Ford!? Non ci penso neppure a farlo guidare!"
Cannibal dice: In mezzo a due filmoni riempi sala, almeno nelle intenzioni della stranamente coraggiosa distribuzione italiana estiva, ecco che arriva un drammone norvegese che potrebbe essere una sorpresa, ma che per il periodo non sembra proprio indicato e rischia di rivelarsi un mattonazzo pesante da sollevare persino per uno pseudo culturista come Mr. Ford. Nonostante 1001 grammi riuscirei a sollevarli persino io.
Ford dice: da Nesbo in poi, per me la Norvegia ha trovato un posto speciale nel cuore.
Eppure, con tutta la buona volontà, non posso pensare di mettermi, nel pieno di agosto, a guardare un potenziale mattonazzo come questo.
Al massimo potrei valutare l'idea di lanciare un mattonazzo sulla nuca del mio blogger rivale.


martedì 9 agosto 2016

Cabal (Clive Barker, USA, 1990, 102')


Se penso ai gloriosi anni di Notte Horror ed alla meravigliosa sigla che, nei primi anni novanta, portava tutti noi ragazzini di allora nello spaventoso mondo di una seconda serata condita con il terrore propiziata, come sempre, dall'estate e dalle vacanze scolastiche, non posso non tornare con il pensiero a Cabal, che grazie alla comparsata di uno dei suoi protagonisti - nonchè tra i personaggi più affascinanti del genere, almeno ai tempi, la Bestia, che campeggia su locandina e copertina del dvd in barba al vero main charachter, Aaron Boone pronto a divenire Cabal, per l'appunto - faceva la parte del leone ed alimentava l'hype rispetto ad una visione che, a dispetto degli anni che passano, continua a mantenersi affascinante.
Senza alcun dubbio, il lavoro di Clive Barker ricorda più un thriller fantasy che non un horror vero e proprio, e conta principalmente sul fascino di un David Cronenberg versione psichiatra serial killer e su Midian, la città dei mostri che potrebbe essere considerata un personaggio a tutti gli effetti: il cimitero che cela la comunità dei reietti ed i vicoli e le strutture sotterranee che nascondono l'esercito delle creature senza controllo, le grandi volte pronte ad evocare per chiunque abbia avuto occasione di visitarne miniere come quelle di Wieliczka in Polonia - se non l'avete fatto, dovreste: è un posto che non si dimentica - regalano emozioni anche a quasi trent'anni dalla realizzazione, spinti da una vicenda che, nonostante il chiaro sapore anni ottanta - Cabal è l'incarnazione dell'antieroe action tipico del periodo ed estremamente fordiano - è profondamente legata all'epica delle seconde possibilità ed alla rivincita degli outsiders, nonchè dell'accettazione del diverso.
La geografia "umana" di Midian, con le tipologie così diverse di creature, dalle più pericolose alle più scenografiche, da quelle innocue e delicate a quelle spietate e letali, è uno specchio, pur se distorto, della società cosmopolita attuale, con le sue tensioni, differenze ed incongruenze, ed il destino di Midian stessa rispetto a quella che sarà la sua nuova guida - sempre Cabal, forse il primo protagonista di un film horror che finisce per essere un accessorio al vero messaggio della pellicola e non il suo fulcro - strizza l'occhio anche al romanticismo del circo e del primo novecento dei freak show e dei vagabondi in cerca di fortuna, oltre che sottolineare l'importanza dell'istinto e del bisogno che ognuno di noi ha di liberare i propri demoni e, in un modo o nell'altro, quello che si porta dentro.
Un titolo che resta uno dei miei favoriti del tempo e dell'estate, quando il bisogno di provare un brivido lungo la schiena al chiaro di luna diventa quasi fisiologico, così come qui al Saloon parteggiare per chi vive, lotta e si batte da outsider, guadagnando ogni centimetro con il sudore della fronte, che si tratti di pelle morbida e vellutata o coriacea struttura da predatore assetato di sangue.




MrFord






lunedì 8 agosto 2016

Saloon's Bullettin #4



Se qualcuno mi avesse detto che un giorno sarei riuscito a non trovare un film firmato Checco Zalone non vomitevole avrebbe rischiato le più prepotenti bottigliate immaginabili, e invece è successo: certo, venivo da otto giorni consecutivi di lavoro ed agognavo al riposo ed al coma irreversibile da pre-ferie, eppure Quo Vado?, titolo che alla sua uscita in sala ha sbriciolato ogni record d'incasso per quanto riguarda la Terra dei cachi, non mi ha fatto cacare quanto avrei previsto.
Principalmente, credo che il "merito" di questo "successo" sia legato al fatto che Zalone, per una volta, è riuscito a toccare un tema d'attualità - l'inferno dantesco della situazione lavorativa e l'importanza del famigerato "posto fisso" - senza finire a raccontarlo attraverso la volgarità di grana grossa tipica dei prodotti televisivi e non cinematografici.
Certo, la settima arte sta da tutt'altra parte, ma tutto sommato qualche risata ed un sottile senso d'appartenenza allo Stivale portano a casa la pagnotta (un bicchiere e mezzo).
Incredibilmente - considerati i miei standard esterofili - si resta dalle nostrane parti con La felicità è un sistema complesso, tentativo quasi indie che pare un ibrido tra Il capitale umano ed il Cinema sociale anni settanta, non completamente riuscito ed un pò troppo nebuloso a tratti, eppure capace di farsi voler bene con il passare dei minuti, quasi fosse un appuntamento che si crede non abbia speranza o partito in modo disastroso finito poi con una delle migliori scopate della propria vita.
Ora, sono ben lontano dall'esaltare il lavoro di Zanasi - che soffre di molti dei limiti offerti dal "troppo italiano", a partire da un livello recitativo molto basso -, ma una visione, a mio parere - considerato il rapporto non proprio idilliaco che ho avuto nel corso delle ultime stagioni con i prodotti made in Italy - ci potrebbe stare tutta, fosse anche solo per il moonwalk tra un lato e l'altro della banchina del treno alla stazione di Trento (due bicchieri e mezzo).
Non potevo poi, a seguito della sua scomparsa - che mi è costata un dolore profondo ed inaspettato legato ai tantissimi ricordi legati alla mitica figura -, non concedermi una serata in memoria di Bud Spencer, consacrata alla visione di uno dei miei titoli favoriti nella carriera dell'attore: uscito nel pieno degli anni ottanta e pronto a cavalcare l'onda del successo del brand di Rocky, Bomber, per quanto artigianale sotto tutti i punti di vista, risulta ancora oggi magico e divertentissimo - non avrei mai pensato di poter ridere ancora così tanto di fronte alle battute da Drive In di Jerry Calà -, con almeno un paio di sequenze cult legate al mito di Bud - il ballo alla tirolese condito dai ceffoni su tutte - e tutta quella pancia che manca al trash attuale.
Ne ho già parlato in occasione della giornata dedicata al leggendario attore, ma sono felice di aver lasciato un riferimento della visione anche qui.
Un cult intramontabile per i fan del fu Carlo Pedersoli, ma anche uno di quei prodotti di nicchia che andrebbero riscoperti e rivalutati dalle nuove generazioni. Mitico (un bicchiere e mezzo obiettivo, tre per il cuore e per Bud).
Sul fronte del piccolo schermo, invece, come ogni estate casa Ford si trasforma in una sorta di succursale del Grey-Sloane Memorial, considerata l'affezione che qui al Saloon si continua a nutrire - Julez in primis - per la creatura numero uno di Shonda Rhimes: Grey's Anatomy potrà essere ormai praticamente una soap mascherata da medical drama, il mio favorito Karev non più un bad guy, si patisce ad ogni secondo l'assenza di personaggi come Dottor Stranamore e Dottor Bollore, eppure ammetto che ogni ciclo scorre con grandissima scioltezza a colpi anche di tre o quattro episodi al giorno, e ad ogni anno, tra morti, abbandoni e storie d'amore, si finisce sempre per attendere il successivo giro di giostra: per quanto riguarda questo numero dodici, sono contento di non aver assistito a drammi particolarmente catastrofici o abbandoni da lacrime facili, nonostante non si sia, di fatto, concluso troppo.
Ormai il nucleo principale degli ex specializzandi - o almeno, quello che ne resta - è costituito da strutturati, e la seconda generazione non è ancora giunta a compiere il grande salto: quindi, direi quasi che si è trattato di una piacevole, comprensibile transizione (due bicchieri).
Il punto forte della settimana - anche se sicuramente, con la nuova struttura del blog, giungerò in ritardo clamoroso - è stato dato dalla conclusione della sesta stagione di Game of thrones, uno dei serial più chiacchierati, amati e discussi della blogosfera e non, divenuto il fenomeno di costume più importante in termini di numero di personaggi ed affezione agli stessi dai tempi di Lost.
Con quest'annata, finalmente, i tempi per i protagonisti della lotta per Westeros - in tutti i sensi - si stringono, abbandonando la noia diffusa della stagione precedente - forse la peggiore della serie - per pigiare sull'acceleratore bruciando, a volte, fin troppo le tappe: a fare la parte del leone, senza ombra di dubbio, l'episodio dedicato al gigante buono Hodor - uno dei più belli dei sei anni di programmazione -, il ritorno - SPOILER - del Mastino, ed una doppietta conclusiva giocata sullo scontro tra l'esercito del redivivo Jon Snow affiancato dalla sorellastra Sansa Stark ed il perfido Ramsay Bolton, per molti versi il charachter più odiato dai tempi di Joffrey, la partenza di Daeneris e delle sue armate alla volta di Westeros e la conquista del trono di Cersei, che guadagna qualche punto liberando gli schermi - SPOILER - dalla spiacevole presenza dell'Alto Passero.
Senza dubbio non perfetta ed assolutamente criticabile, la creatura nata dai romanzi di George Martin sta assumendo connotati sempre più epici, finendo per diventare una sorta di versione da piccolo schermo de Il signore degli anelli.
Speriamo che la qualità, per le prossime due stagioni - che dovrebbero essere le conclusive -, possa solo che migliorare.
Considerato che "Winter has came", non sarebbe male avere qualcosa per scaldarsi (tre bicchieri).





MrFord

giovedì 4 agosto 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): entrati nel vivo dell'estate e ad un passo dalle - finalmente - vacanze di Cannibal Kid, che spero potrà sparire dalla blogosfera per almeno un paio di settimane, proseguono le uscite in numero limitato perfette per conciliare il tono easy e rilassato della stagione pigra per eccellenza.
Ma saranno anche uscite di qualità, o avremo tutti l'occasione di darci ai recuperi?
Alla sala l'ardua sentenza.

"Siamo più carini di Ford e Cannibal!"
Le sorelle perfette

"Siamo più casalinghe disperate di Ford e Cannibal quando si fanno i bigodini insieme!"
Cannibal dice: Commedia con Tina Fey ed Amy Poehler che ho già visto e devo dire che è molto carina e simpatica. Una pellicola dedicata a noi eterni giovani che non ce la facciamo a crescere. Al contrario di Ford, che fin da quando era un ragazzino era già mort... volevo dire era già vecchio dentro.
Ford dice: titolo che pare fresco e buono per la stagione, nonostante la puzza di fregatura Cannibale sia dietro l'angolo. Spero, sinceramente, che per una volta il mio antagonista non comprometta con il suo nefasto influsso una visione.



Equals

"In questa mensa si mangia da schifo: e non servono neanche il White Russian."
Cannibal dice: Pellicola di fantascienza “umanistica” e dai toni romantici che, rispetto alle nerdate schi-fi amate da Ford, sembra parecchio più cannibale e adatta a me. Complice anche la presenza come protagonisti dei due teen idol Kristen Stewart e Nicholas Hoult, più la regia di un regista indie promettente come Drake Doremus (da non confondere con il rapper). Si astengano i seguaci hardcore, se ne esistono ancora, dell'ormai quasi abbandonato WhiteRussian.
Ford dice: tipico film di fantascienza finto autoriale e finto fantascientifico che potrebbe piacere al mio rivale, considerato anche il fatto che il buon Peppa si fa infinocchiare da un cast a lui congeniale come l'ultimo dei fessi.
Sarà comunque un piacere stroncarlo.



Lights Out – Terrore nel buio

"E chi è quella!? Katniss Kid durante il ciclo!?"
Cannibal dice: Horrorino con Teresa Palmer che sembra una minchionata, però come dire di no in piena estate a un rinfrescante horrorino minchiatona con Teresa Palmer?
Ford dice: piuttosto che spararmi l'ennesimo horrorino cannibalesco, preferisco recuperare qualche cult e sfruttarlo per la rassegna di Notte Horror.


lunedì 1 agosto 2016

Saloon's Bullettin #3



Preparando con molto anticipo questi primi "episodi" della nuova rubrica del Saloon e finendo per calzare la stessa come la tuta più comoda che possiate immaginare da indossare nei giorni in cui non vi frega nulla del mondo, è curioso affrontare la carrellata dei film della settimana appena trascorsa avendo appena riletto, per questioni di programmazione, uno dei post migliori che abbia scritto prima della decisione di dare una nuova direzione al blog.
Ma il bello del viaggio e dei cambiamenti è dato anche da una certa malinconia, giustamente compensata dall'elettricità delle novità e del futuro, metafora che potrebbe rendere bene l'effetto macchina del tempo delle visioni che troverete di seguito: parlando di Cinema, parto dal ritratto tutto legato all'epoca d'oro dei grandi studios di Marilyn, operazione certo più che patinata ma resa preziosa da un cast stellare - e strepitoso -, da Kenneth Branagh pronto a mettersi nei panni di Lawrence Olivier alla protagonista Michelle Williams, passando per Eddie Redmayne, Judi Dench, Emma Watson ed una marea di altri volti più o meno noti della settima arte anglosassone.
Lo spirito è simile a quello dell'Hitchcock di Sacha Gervasi, solo più concentrato sulle ombre della solitudine da diva di Marilyn che non sull'ironia del biopic dedicato al Maestro del brivido: un film in grado di accontentare il grande pubblico - storia d'amore, volti riconoscibili, messa in scena ineccepibile - così come gli appassionati soprattutto dell'epoca classica della settima arte, rappresentata dal modo di porsi naif e magnetico di una delle dive più amate e sfortunate di sempre (due bicchieri e mezzo).
La macchina del tempo, però, pur se in modo diverso, non smette di funzionare qui: direttamente dal passato del sottoscritto, la prima adolescenza degli anni novanta passati a consumare vhs con mio fratello, una sera abbiamo finito per incrociare in tv Misery non deve morire - tagliato e censurato in modo così terrificante da far apparire la prima versione apparsa ai tempi sulle reti Mediaset una cosa da Tarantino più Roth al quadrato -, uno dei migliori film tratti da Stephen King nonchè uno dei thriller che ancora oggi amo di più, sarà per l'angosciosa performance di Kathy Bates o perchè da ragazzino mi immaginavo scrittore rapito da una fan squilibrata pronto a lottare fino alla fine come Paul Sheldon.
Rivedere la pellicola di Rob Reiner, uno dei mestieranti più sottovalutati di Hollywood, oggi, a distanza di decenni e non so neppure io quante visioni, non ha tolto fascino ad un prodotto claustrofobico e costruito alla grande, dal ritmo serrato e dai meccanismi semplici ma potenti come solo i prodotti semplici ma potenti sanno essere (tre bicchieri).
Ma il Tempo non si ferma, e dunque a sole ventiquattro ore di distanza, eccomi a recuperare il recente 10 Cloverfield Lane, prodotto dai vecchi pazzoidi di Bad Robot - che avranno sempre la gratitudine del sottoscritto per Lost -, nato da una costola del primo - e da queste parti molto amato - Cloverfield seppur lontanissimo dal monster/disaster movie fracassone classico: sfruttando un ottimo John Goodman - che andrebbe goduto in versione originale - ed una serie di twist pronti a cambiare prospettiva davvero niente male, Dan Trachtenberg costruisce una vicenda in grado di mettere a nudo i pericoli dell'essere umano e la capacità di adattarsi anche a fronte dell'incredibile.
E' difficile scriverne senza correre il rischio di rivelare qualcosa che potrebbe nuocere ad una visione "vergine" della pellicola, dunque l'unico consiglio che mi sento di darvi è di viverla come se, nella situazione in cui si trovano i protagonisti, ci foste voi: prendereste per buono quello che vi è stato detto o lottereste per scoprire la verità, per quanto pericolosa, assurda e sconvolgente possa essere (due bicchieri e mezzo)?
Dato, però, che sono in vena di salti temporali, passando al piccolo schermo il balzo corrisponde a qualche secolo ed alla seconda stagione di Vikings: le vicende di Ragnar e della sua famiglia sempre più allargata portano il Jax medievale a fronteggiare minacce interne ed esterne, a partire dal fratello e rivale Rollo fino ai re anglosassoni, passando per il suo stesso sovrano, Oric.
Splendido il lavoro sui charachters di Floki - uno dei più sfaccettati e complessi della serie - ed Athelstan, sesso e violenza come se piovessero, un personaggio femminile che si candida come il più cazzuto dell'anno - e forse degli anni a venire -, Lagertha, ed una prospettiva futura che apre scenari sempre più interessanti per un titolo che pareva partito in sordina - come una sorta di costola di poco conto di Spartacus - ed ora è divenuto uno dei riferimenti per i duri da serie tv (tre bicchieri).
Chiudo in bellezza, sempre a balzi tra le epoche e riferendomi al piccolo schermo, con Vinyl, serie già di culto prodotta da Martin Scorsese e Mick Jagger ambientata nella New York degli anni settanta e dei discografici rappresentati dallo scombinato Ritchie Finestra: nonostante la perfezione tecnica e di cornice, la colonna sonora ed un'ambientazione perfetta per il sottoscritto - per quanto suonare mi rilassi tantissimo, se dovessi lavorare nella Musica adorerei fare il discografico o il manager - ho patito clamorosamente questa serie per una buona metà della stagione, finendo quasi per dare ragione a Julez, che rispetto a prodotti di questo tipo si ritrova come un pesce fuor d'acqua.
L'idea maturata, infatti, fino all'episodio dedicato ad Elvis, era che Vinyl fosse una gran bella confezione priva di contenuto, una sorta di tutto fumo niente arrosto impacchettato con il miglior cazzo di fumo esistente sulla piazza: peccato che, nell'escalation delle ultime puntate, la produzione ingrani una marcia pazzesca, non solo alimentando l'hype per la seconda stagione - che, purtroppo, pare essere stata cancellata a causa dei costi - ma dando un senso a tutta la prima.
E tutto il circo del rock and roll, quel pezzo di stronzo di Finestra, i Nasty Bits ed ogni nota suonata, sudata, scopata o sniffata diventa quello che ogni generazione, ognuno di noi, nel periodo della formazione che è quel buco nero dell'adolescenza, e da lì in avanti, sente dentro quando scopre quali sono gli artisti che cantano quello che vorrebbe cantare nel modo in cui lo canterebbe se fosse lui, davanti a quel dannato microfono.
Pronto a far venire giù l'arena (tre bicchieri).





MrFord


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