martedì 29 ottobre 2019

(Quasi) 40



Si dice spesso che ai cambi di decina corrisponda un bilancio, un pò come quando alla fine dell'estate si fanno i propositi per il "nuovo anno", usando il calendario che resta dentro dai tempi della scuola.
Ci si guarda indietro, prima ancora di guardare avanti, per capire o almeno cercare di farlo quale strada abbiamo preso, o stiamo percorrendo.
Oggi compio quaranta cazzo di anni, ma non ho voglia di fare bilanci, voltarmi indietro, pensare troppo ai ricordi: più realisticamente, nonostante il mio conclamato obiettivo sia quello di arrivare a vivere fino a centotre anni, sono giunto a quel "mezzo del cammin" di cui scriveva un signore piuttosto famoso qualche secolo fa, e quindi, da buon ingordo di tutto quello che ci fa battere il cuore, ho deciso che la mia estate non è ancora finita, neanche per sbaglio.
Un paio di giorni fa, nel percorso che in casa Ford si è deciso di far fare ai Fordini rispetto alla "serata Cinema", abbiamo affrontato per la prima volta La storia infinita, e ho potuto rivedere la scena cult per eccellenza di quella pellicola che nel corso dell'infanzia mi vedeva identificarmi con Bastian, timido e "goonie", e che ora, invece, mi ha portato da un'altra parte.
Quando, tra le rovine, si fronteggiano i due emissari dell'Imperatrice e del Nulla, il giovane guerriero recita guardando in faccia il suo nemico: "Se tanto dobbiamo morire, preferisco morire lottando. Attaccami, Gmork, io sono Atreyu!".
A prescindere da come vada a finire - immagino che chiunque passi di qui l'abbia visto almeno una volta -, questo è quello che sento ora. Prima o poi anche uno come me viene vinto dal Tempo, nonostante il fatto che, in alcuni momenti della nostra vita, ci sentiamo invincibili, al di sopra di tutto.
Ma sinceramente, non mi importa.
Quello che importa è che voglio vivere, il più a fondo possibile.
A volte non ci rendiamo neppure conto di quanto sia importante l'elastico che ci lega alla vita, oppure pensiamo non sia abbastanza forte, o pensiamo di non essere abbastanza forti noi stessi.
Per quanto mi riguarda, a prescindere dal passato, dai bilanci, dall'età, da tutto quello che posso o potete metterci, ho voglia di vivere come mai prima. 
E sono pronto a farlo con tutto me stesso, "bevendo finchè non avrò più sete", come canta Kid Rock, lottando, soffrendo, amando il più a fondo possibile.
E se per farlo dovrò fare il culo a qualche Gmork di troppo, lo farò senza farmi troppi problemi.
In alto i calici, ragazzi. 
Si dice che al cambio di decina si debba bere sempre un pò di più.


MrFord

martedì 22 ottobre 2019

White Russian's Bulletin



Torna il Bulletin con uno dei suoi - o meglio, miei - classici ritardi di pubblicazione per una settimana che ha visto mescolarsi un nuovo tassello della revisione tarantiniana, un classico della mia infanzia che ha inaugurato i "sabati sera Cinema" con i Fordini ed una visione sorprendente di una novità dalla quale non mi aspettavo nulla, e invece ha finito per conquistarmi.
Un buon mix, dunque, in attesa che il piccolo schermo torni a fare capolino anche da queste parti, insieme ad almeno una parte dei numerosissimi recuperi che mi attendono.


MrFord



A PROVA DI MORTE (Quentin Tarantino, USA, 2007, 113')

Grindhouse - A prova di morte Poster

Non è affatto un mistero, soprattutto per gli avventori del Saloon, che io abbia sempre considerato A prova di morte il film più debole del ragazzaccio di Knoxville Quentin Tarantino.
In un periodo in cui, probabilmente, il Nostro si stava godendo appieno di tutto il successo raccolto con Kill Bill e le schiere di fan adoranti, non si preoccupava come all'inizio della sua carriera di quanto rivoluzionarie e potenti potessero essere le sue opere: può capitare, del resto, di sedersi.
E la sua seduta è stata, per l'appunto, A prova di morte. 
Un film supercool, divertente, crudele, piacione, con un antagonista super fordiano, eppure troppo "omaggio a se stessi" per portare sullo schermo lo spessore mantenuto dalle opere precedenti del regista - Kill Bill compreso -.
Rivedendolo ancora una volta, nel pieno relax di una serata post palestra con birrone e kebabbazzo, ho riflettuto sul fatto che questo sia un film equivalente agli stessi, la cena zozza da una volta la settimana, lo shot a fine serata che è la goccia che fa traboccare il vaso, il pompino nel bagno di un locale regalato da una ragazza che non vedrai mai più.
Potrà essere godurioso nell'immediato, ma sarà sempre sterile a lungo termine.




GHOSTBUSTERS (Ivan Reitman, USA, 1984, 105')

Ghostbusters (Acchiappafantasmi) Poster

Da qualche tempo, ormai, ho iniziato un percorso con i Fordini che possa portarli a vivere sulla pelle le prime esperienze da spettatori "grandi" grazie ai film che, ormai qualche anno fa, hanno formato questo vecchio cowboy: nelle ultime settimane sono passati su questi schermi, dopo il successo del primo Jumanji, I Goonies, La storia fantastica e, in attesa di nuovi capitoli di questo viaggio, Ghostbusters.
Il lavoro di Reitman, che con mio fratello ho visto e rivisto fino allo sfinimento, è ancora oggi un concentrato di divertimento, ironia, avventura e magia del Cinema come solo nella magica fabbrica degli anni ottanta se ne facevano: fantastico il cast - Murray già mattatore con Aykroyd come sempre ottima spalla -, ottime gag perfette per grandi e piccoli, una divinità distruttrice che assume la forma di un innocuo pupazzone, battute a profusione ed uno spirito che rappresenta ancora oggi quell'innocenza magica che negli eighties permise a tanti autori di portare sullo schermo veri e propri miracoli.
E dal "non incrociare i flussi" al "sei tu un dio?" sfilano momenti esilaranti e per nulla invecchiati, che fanno perdonare gli effetti naif e regalano ancora la magia che spero possa trasmettersi dai miei occhi a quelli dei Fordini quando guardiamo insieme titoli come questo.




YESTERDAY (Danny Boyle, UK/Russia/Cina, 2019, 116')

Yesterday Poster

Danny Boyle è un tipo tosto, secondo me. E' arrivato ad una bella età spaziando di genere in genere, senza mai avere paura di rischiare, sporcarsi le mani, passare dalla nicchia al pop: da Trainspotting a The Millionaire, passando per Sunshine e 28 giorni dopo, non si può dire che non abbia percorso strade diverse.
Non mi ero fatto alcuna aspettativa o pregiudizio, rispetto a Yesterday, un film che racconta la "scomparsa" del gruppo pop per eccellenza attraverso una pellicola che porta in dono tutti gli stilemi del pop: o forse solo il pensiero che sarebbe stata una visione leggerina buona per una serata di decompressione.
E invece, come gli spettatori di Jack Malik alle sue esibizioni post-blackout, sono rimasto colpito: perchè Yesterday, con tutti i suoi aspetti da canzone pop, è riuscito ad arrivarmi dritto al cuore, raccontando la storia di un dilemma che probabilmente colpisce molte più persone di quante non lo facciano davvero credere.
Il successo porta la felicità? E l'amore? Cosa comporta una strada, e cosa l'altra?
Fino a dove siamo disposti ad arrivare, da una parte o dall'altra?
Happyness is a warm gun, qualcuno cantava.
Ma anche All you need is love.
Non è facile capire quale strada prendere.
Di sicuro, nel suo piccolo, questa canzone pop è riuscita a regalarmi una scena che non dimenticherò.
E questo la rende senza dubbio più speciale di tanta roba d'autore tanto figa ma altrettanto frigida.
Quindi non ho potuto fare altro che viverla. Let it be.


lunedì 14 ottobre 2019

White Russian's Bulletin



Settimana ai minimi storici al Saloon, considerati gli impegni sociali - non ricordavo quanto fossero fisicamente devastanti i matrimoni -, la palestra, l'appuntamento mensile con il pay per view di wrestling, la clamorosa stanchezza che si accumula per poi esplodere come una bomba il venerdì sera, ormai noto per essere l'alimentatore del coma profondo da divano: solo un titolo, infatti, è passato su questi schermi, di quelli che in questi giorni hanno fatto il giro del web principalmente per l'opera incredibile dalla quale è stato originato.


MrFord



EL CAMINO: IL FILM DI BREAKING BAD (Vince Gilligan, USA, 2019, 122')

El Camino: Il film di Breaking Bad Poster


Breaking Bad è, parlando di piccolo schermo, una delle vette più alte che siano state mai raggiunte, nonchè una delle mie tre serie televisive preferite di tutti i tempi insieme a Lost e Twin Peaks.
Il lavoro che fece Vince Gilligan con Walter White e Jesse Pinkman resta ancora oggi insuperato anche e soprattutto per essere andato in crescendo, senza perdere un colpo ed aggiungendo anzi carichi sempre più importanti fino allo splendido finale.
A distanza di qualche anno e già da prima della sua "pubblicazione" chiacchierato in tutta la rete attraverso Netflix El Camino, vero e proprio film che riprende le fila a partire dagli ultimi episodi della serie per poi rivelarci cosa ne è stato di Pinkman, e dove lo porterà il futuro.
Il fan service è molto - anche se resta un'arma a doppio taglio -, la fotografia ottima, la scrittura ben strutturata - del resto Gilligan ha ampiamente dimostrato di essere uno sceneggiatore fenomenale -, la tensione a tratti in grado di bucare lo schermo - strepitosa la sequenza del "duello" in pieno stile western -: resta, come principale limite di questo lavoro, il fatto che a meno che non si sia finito ieri di guardare l'ultimo episodio dell'ultima stagione si rischia di restare spiazzati da situazioni e charachters che, nel frattempo, si erano dimenticati o quantomeno messi in secondo piano, tanto da dover correre ai ripari ricorrendo a riassunti e simili.
Da questo punto di vista, El Camino resta una pellicola ben realizzata ad uso e consumo dei soli fan di Breaking Bad più che dello spettatore occasionale - che probabilmente non capirebbe una beata mazza di molti degli scambi temporali di narrazione -, e che proprio per questo permette che il dubbio si potesse fare decisamente di più si faccia strada come, ai bei tempi, gli improbabili soci Walter White e Jesse Pinkman nel mondo del traffico della metanfetamina.


lunedì 7 ottobre 2019

White Russian's Bulletin



Settimana di pausa nel recupero tarantiniano - comunque in cima alla lista delle mie priorità di visione - che ha portato al Saloon due nuove uscite e un paio di serie che erano da parecchio nel menù di casa Ford: e in bilico tra pellicole premiate, supereroi e vecchie glorie fordiane, non c'è stato davvero modo di annoiarsi.
Anche se i punti di vista potrebbero essere diversi da quelli raccolti in rete e sui social.


MrFord



THE BOYS - STAGIONE 1 (Amazon Original, USA, 2019)

The Boys Poster


Tratto da una serie firmata dal Garth Ennis di Preacher e legato per ispirazione a Watchmen, The Boys è giunto sugli schermi del Saloon quasi a sorpresa, nonostante il passato legato a doppio filo al mondo del Fumetto del sottoscritto: acclamata e ben accolta, la produzione Amazon centra il bersaglio grazie ad una serie di personaggi e trovate di grande efficacia, oltre ad una manciata di episodi - quelli iniziali - davvero notevoli.
Si spegne un pò alla distanza, ma senza dubbio presenta materiale che, se ben trattato, potrebbe trasformare The Boys in una delle realtà da supereroi più interessanti del passato recente, grazie principalmente al gruppo di outsiders protagonisti/antagonisti e ad un villain d'eccezione - il Patriota di Anthony Starr, che in barba al passato tagliato con l'accetta di Banshee ha svolto un lavoro d'interpretazione notevole -, oltre ad una visione che porta il mondo del superpotere strettamente a contatto con i difetti che tutti noi portiamo dentro da esseri umani.
E cosa accade quando un essere umano in grado di sfondare muri o volare o correre a velocità supersonica non è in grado di mantenere il controllo?
Who watch the Watchmen?, recitava la graphic novel cult di Alan Moore. Ci sarebbe da chiederselo.




WU ASSASSINS - STAGIONE 1 (Netflix, USA, 2019)

Wu Assassins Poster


Giunta sugli schermi di casa Ford principalmente grazie alla presenza nel cast di Iko Uwais e alla promessa di un sacco di calci rotanti, Wu Assassins ha finito per non rispettare appieno le attese: la produzione Netflix, ambientata in una San Francisco splendidamente ripresa, ha vissuto nel corso dei suoi dieci episodi una sorta di lotta tra la componente action e botte da orbi e quella fantasy, legata a doppio filo alla trama principale che vede il protagonista ritrovarsi ricettacolo del potere di Assassino dei Wu, esseri una volta umani divenuti sovrannaturali grazie al ritrovamento di reliquie in grado di donare loro caratteristiche uniche ma anche una propensione al "lato oscuro" non indifferente.
Personalmente, ho di gran lunga preferito la prima, legata agli stilemi classici del "buono contro cattivo" in ambiente metropolitano con tante mazzate e dose di pane e salame elevata rispetto alla seconda, più dispersiva, senza particolari idee e confusa, purtroppo pronta a prevalere nel ciclo di episodi che concludono la stagione, ancora senza una conferma a proposito di una seconda.
Faccio giusto tesoro delle evoluzioni di Uwais - uno dei migliori interpreti attuali del "Cinema di botte" - e di Katheryn Winnick, la Lagertha di Vikings.




JOKER (Todd Phillips, USA/Canada, 2019, 122')

Joker Poster

Ho fatto di tutto, nonostante le recensioni entusiastiche lette in ogni dove in rete e sui social, per non farmi influenzare dall'hype rispetto al Joker fresco vincitore del Leone d'Oro a Venezia, in modo da evitare l'eventuale delusione. Oggettivamente, c'è da congraturarsi con Todd Phillips per la confezione e la realizzazione di una pellicola dal sapore di anni settanta disturbante e molto autoriale, considerato il genere, e con Joaquin Phoenix per un'interpretazione ottima, almeno tre scene cult - la discesa dalla scalinata una volta completata la "mutazione" in Joker, gli omicidi in metropolitana e quello nello studio televisivo - ed un lavoro di oppressione rispetto allo spettatore più che efficace, eppure devo ammettere di essere uscito dalla sala emotivamente distaccato, con la sensazione di aver assistito ad un grande spettacolo con la grande pecca di essere stato studiato clamorosamente a tavolino.
Anche se non è giusto - perché si tratta di pellicole diverse - fare paragoni, questo Joker è più simile a quello macchiettistico di Nicholson nel primo Batman di Tim Burton che non a quello distorto e caotico di Heath Ledger nel Cavaliere Oscuro di Nolan, e proprio per questo, forse, non sono riuscito a sentire tutta la carica emotiva che avrebbe dovuto avere.
Resta senza dubbio un lavoro con i fiocchi, ma non quelli che restano stampati nella memoria.




RAMBO: LAST BLOOD (Adrian Grunberg, USA/Spagna/Bulgaria, 2019, 89')

Rambo: Last Blood Poster


La settimana è stata chiusa dal più consueto festival della tamarrata fordiana, quel Rambo che, come Rocky ed in modo ancora più pane e salame continua a non voler mollare e continuare a combattere, in barba ad età, mondo che cambia ed essere fuori tempo massimo.
Riprendendo il canovaccio di Taken alimentando pessimismo e violenza, il buon Sly riesuma uno dei suoi charachters simbolo in un tributo che ha poco senso in termini di scrittura e di logica narrativa ma è una gioia per gli occhi ed il cuore di tutti i fan che, come il sottoscritto, l'hanno visto attraversare mezzo mondo e spaccare culi a prescindere dalla latitudine geografica ed ora tornano ad apprezzarlo tra le mura di casa sua, spinto come il passato vuole dalla vendetta e dal desiderio di raddrizzare i torti.
Con ogni probabilità i radical chic o i finti intenditori di Cinema come Cannibal Kid protesteranno di fronte a un titolo come questo, eppure messi da parte i pregiudizi ed accettata l'operazione per quello che è, resta un festival del gore versione action come solo il Rambo precedente era stato.
Segno che, per quanto fantasmi, certi personaggi hanno ancora il diritto ed il dovere di far sentire la loro presenza al pubblico.


martedì 1 ottobre 2019

White Russian's Bulletin



Alle spalle lo special organizzato con il mio rivale Cannibal Kid e spinto dall'uscita della sua ultima fatica, ho deciso di dedicare il poco tempo delle visioni settimanali all'inizio del recupero della filmografia tarantiniana, sulla scia dell'operazione che feci qualche anno fa con Kubrick.
Oltre, dunque, ad affrontare l'ultima fatica del ragazzaccio di Knoxville, ho deciso, archiviato la scorsa settimana il suo debutto con Le iene, di riportare al Saloon quelli che forse sono i suoi due lavori più noti e celebrati, Pulp Fiction e Kill Bill.


MrFord



KILL BILL - VOLUME 1 (Quentin Tarantino, USA, 2003, 111')

Kill Bill - Volume 1 Poster

Kill Bill fu il primo Tarantino che vidi in sala. Ai tempi dell'uscita de Le iene e Pulp fiction ero troppo piccolo, e quando arrivò Jackie Brown ancora non mi ero avvicinato al Cinema "d'autore" da appassionato: ricordo bene che le attese e l'hype erano davvero altissime, anche perchè fino a quel momento il buon Quentin non mi aveva mai deluso.
Ricordo anche che uscii dalla sala pervaso da una sensazione d'incompiutezza, come se il regista avesse voluto semplicemente divertirsi inserendo in una cornice realizzata come al solito alla grande tutte le sue passioni, le sue fisse, le sfumature dell'essere, in una buona misura, un nerd cinematografico fatto e finito, ma che mancassero sia la forza distruttiva che la profondità dei suoi lavori precedenti.
Certo, la Sposa è un personaggio indimenticabile, il film ha una colonna sonora incredibile, la parte tecnica ed alcune idee sono strepitose, eppure, nonostante potrebbe essere considerato il film forse più amato di Tarantino - almeno dal grande pubblico -, Kill Bill, e soprattutto questa prima parte, non è mai stato uno dei miei preferiti. Parlando, ovviamente, sempre del lavoro dell'autore.
Resta comunque un divertissement con i fiocchi, ma poco di più.




KILL BILL - VOLUME 2 (Quentin Tarantino, USA, 2004, 137')

Kill Bill - Volume 2 Poster


La saga della Sposa, che probabilmente andrebbe vista come un'unica pellicola, in sala e di conseguenza per l'home video fu spezzata in due, finendo per farmi rivalutare l'intera operazione grazie ad una seconda parte decisamente più efficace ed intensa della prima: merito dell'addestramento di Pai Mei, della parte dedicata a Budd, fordiano fino al midollo, e del destino del main charachter che si compie nel decisivo confronto con la sua nemesi nonchè ex amato Bill.
Certo, il lungo monologo di quest'ultimo legato alla "filosofia di Superman" è stato fin troppo sopravvalutato, ma è un peccato veniale all'interno di quella che è una vera e propria fiera dei peccati veniali, una pellicola bellissima e realizzata alla grande che, di contro, non manifesta, se non a sprazzi, un'anima vera.
Kill Bill, in un certo senso e per quanto popolare sia, è il lavoro più "fighetto" di Tarantino, quello in cui non ha voluto osare pur osando il più possibile, e se da un lato merita il successo che ha avuto, dall'altro continuo a trovare assurdo, da appassionato di Cinema, che abbia avuto più fortuna di lavori - come il già citato Jackie Brown - che gli sono decisamente superiori.
Kill Bill, del resto, è come la Sposa: da una parte un angelo sceso dal cielo, dall'altro una fastidiosa pertica succhiacazzi.




C'ERA UNA VOLTA A... HOLLYWOOD (Quentin Tarantino, USA, 2019, 161')

C'era una volta a... Hollywood Poster


Nel corso degli anni, ad ogni nuova uscita firmata dal vecchio Quentin, l'attesa ha sempre giocato un ruolo importante, quasi fondamentale. 
Del resto, quando sei un fenomeno, il pubblico si aspetta che sempre e comunque tu sarai un fenomeno, senza se e senza ma.
Una sorta di condanna, si potrebbe pensare.
E così C'era una volta a Hollywood si trasforma, per i non cinefili o per chi si aspetta il sangue di Kill Bill o la rivoluzione di Pulp Fiction, una sorta di "so tutto io" di un appassionato della settima arte che si diverte a mettersi un gradino - e forse di più - al di sopra dello spettatore medio, che probabilmente riconoscerà Bruce Lee e poco più per oltre due ore di vera e propria goduria da divoratori di film: eppure, nonostante l'apparente sterilità, anche questo C'era una volta a... Hollywood è una raccolta di scene cult - lo scontro tra Cliff e Bruce Lee, la visita di Cliff alla fattoria della Manson Family, la scena del western con protagonista Rick Dalton alle prese con il rapimento di una bambina -, il consueto stile, la colonna sonora sempre strepitosa, ottime interpretazioni ma soprattutto una mezzora finale da urlo, figlia della tendenza più recente di Tarantino di mostrare la potenza del Cinema nel riscrivere addirittura la Storia, cambiando le carte e andando oltre il Destino, il già scritto.
Probabilmente c'è chi non riesce a giustificare un film di quasi tre ore che assume la sua dimensione solo nel finale, ma per chi, come me, ama lo sport, sa bene che a volte basta anche un secondo per cambiare una partita, un incontro, una vita: ed è facile passare dal fallimento più completo alla gloria.
O viceversa. 
In questo senso, C'era una volta a... Hollywood è un film da Zona Cesarini, che allunga la zampata proprio quando tutti, seduti ai propri posti, aspettavano i supplementari o i calci di rigore, e lo fa con una rovesciata che neppure i cazzo di Holly e Benji si sarebbero potuti immaginare.
Un esecuzione così straordinaria da rendere impossibile il fatto di lasciare il culo poggiato alla sedia.
Occorre alzarsi ed applaudire. Fosse anche che questo Quentin vi sia stato sul cazzo almeno un pò.




PULP FICTION (Quentin Tarantino, USA, 1994, 154')

Pulp Fiction Poster


Nel corso della sua relativamente breve Storia, la settima arte ha regalato al suo pubblico alcuni titoli oggettivamente indiscutibili, film che hanno segnato intere generazioni di spettatori, appassionati, futuri registi o attori: mi vengono in mente cose come Apocalypse Now, La sottile linea rossa, 2001, Ran, Aurora, 8 e 1/2, tanto per citarne alcuni.
E in mezzo a tutti questi mostri sacri, c'è un titolo che di sacro non ha proprio nulla, ma che gode e costruisce la sua grandezza a partire, più che dal profano, da quello che si nasconde sotto il profano: Pulp Fiction.
Palma d'Oro a Cannes nel novantaquattro - non mi stancherò mai di ricordare che il Presidente della Giuria era un signore di nome Clint Eastwood -, cult assoluto per qualsiasi nuova generazione almeno fino a Kill Bill - ma in questo caso è un pò come paragonare Ghali a Frankie Hi NrG -, manuale di sceneggiatura, festival di scene cult, una delle colonne sonore migliori di tutti i tempi, dramma e grottesca comicità, massaggi ai piedi e colpi al cuore.
Personalmente, credo esistano pochi titoli che siano riusciti ad influenzare il mio amore per il Cinema come Pulp Fiction: lo vidi ai tempi dell'ultimo anno di superiori, in ritardo rispetto all'uscita, su una videocassetta di un compagno di classe che l'aveva registrato sull'allora TelePiù, e niente fu lo stesso, dopo quella volta.
Fu come comprendere in due ore e mezza la magia di tutti gli Scorsese e i Coppola che erano passati prima e trovare un ponte ideale per tutto quello che sarebbe venuto dopo.
E il bello è che Pulp Fiction è uno di quei titoli che non può essere recensito, raccontato, spiegato: va vissuto. Punto e basta. Perchè è venuto per risolvere problemi. E quanto cazzo è bravo nel farlo.
Perchè sono venticinque anni, eppure è ancora un "cazzo, che botta, che botta cazzo".


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