domenica 30 giugno 2013

Dragon eyes

Regia: John Hyams
Origine: USA
Anno: 2012
Durata:
91'




La trama (con parole mie): St. Jude, un quartiere in mano a spacciatori e piccoli criminali simbolo di degrado urbano, è scosso dall'arrivo di Hong, ex detenuto addestrato proprio dietro le sbarre dal granitico Tiano in modo che, tornato per le strade, lo stesso possa cambiare i destini delle persone che vivono in periferie violente come quella, e di se stesso.
Le gang che si contendono il potere ed il pericoloso Mister V - il boss che regola la vita e la morte da quelle parti - dovranno dunque fare i conti con la variabile impazzita impersonata da questo nuovo paladino della Giustizia, pronto a mettere tutti l'uno contro l'altro e confrontarsi, dagli occhi, al cuore fino ai pugni, con gli ostacoli posti tra lui e l'ordine ristabilito finale.
Non sarà il vecchio JCVD, ma funzionerà comunque.




Ammetto di essermi imbattuto praticamente per caso, in Dragon eyes.
Senza sapere, tra le altre cose, che nel cast fosse presente un idolo fordiano come Jean Claude Van Damme.
Eppure, a volte, anche qualcosa di improvvisato è in grado di conquistare a suo modo un ruolo - nell'ambito del trash tamarro, sia chiaro - contro ogni possibile previsione, regalando soddisfazioni decisamente superiori a quelle che ci si sarebbero potute aspettare: a differenza, infatti, del recentemente passato su questi schermi 6 bullets - già sulla carta un titolo dal potenziale comico illimitato -, il lavoro di John Hyams risulta essere ben più "autoriale" della maggior parte delle proposte di questo tipo, a partire dalla fotografia e dall'uso della colonna sonora fino ad una sorta di look patinato decisamente inusuale per produzioni normalmente confezionate in paesi low budget con un taglio da scadente - ma non per questo meno geniale - soap opera.
E a sorpresa, questo lato involontariamente - forse - raffinato non stona neppure troppo con il risultato finale, clamorosamente ridicolo, sopra le righe e pacchiano quanto godibilissimo per ogni fan del genere nonostante nel ruolo del protagonista spaccaculi non figuri l'asso belga che tanto ha fatto sognare ben più di una generazione tra gli anni ottanta e novanta, bensì il poco noto Cung Le, campione vietnamita di kick-boxing già visto sul grande schermo in parti minori e riconoscibile soltanto agli occhi dei cultori assoluti dei film di botte - e sfido i più coriacei tra i bloggers a trovare almeno una delle sue interpretazioni precedenti senza correre a googlarne il nome -.
Le due cose che hanno colpito maggiormente il mio personale occhio di spettatore sono state, ad ogni modo, l'utilizzo del buon Van Damme nel ruolo del maestro - incredibile pensare che soltanto un battito di palpebre or sono era l'eroe giovane pronto ad affrontare i Tong Po che sgretolavano l'intonaco delle colonne - e quello di Peter Weller - storico interprete di Robocop nonchè volto cardine della quinta stagione di Dexter - a prestare carisma maledetto al poliziotto corrotto nonchè boss locale Mister V, che si distingue per alcune esclamazioni in italiano - anche in originale - da sbellicarsi dalle risate: questo giusto per sottolineare l'importanza dei nomi di rilievo anche in pellicole di cabotaggio decisamente basso come questa, che senza i due suddetti mostri sacri - a loro modo - sarebbe stata probabilmente declassata a produzione di infima serie destinata ai cestini dei computer o al dimenticatoio profondo, in barba alle arti marziali, ai twist che dovrebbero sconvolgere lo spettatore - come quello che riguarda il protagonista ed i suoi ricordi - e alle sonore legnate che in qualche modo hanno il potere di giustificare di fronte alla mente semplice dei dodicenni in crisi ormonale - dunque, la quasi totalità dei maschi adulti - la realizzazione di lavori come questo.
Non sono riuscito, comunque, Van Damme o Weller a prescindere, a considerare Dragon eyes alla stregua del peggio che il genere è in grado di regalare alla settima arte, e trovo che Hyams, in fondo, sappia il fatto suo almeno nell'ambito in cui si muove, e riesca a conferire al suo prodotto una certa onestà di fondo in grado di trasformarlo, rispetto ad altri figli della stessa tradizione, in qualcosa di decisamente più complesso e quasi visionario, neanche ci trovassimo di fronte ad una versione del Cattivo tenente di Herzog del Cinema dei cazzotti e dei calci rotanti.
Lungi da me descriverlo, in ogni caso, come qualcosa di diverso da quello che è - un titolo dalle pretese ben sotto lo zero -, eppure resto convinto che per gli appassionati delle legnate goduriose da grande schermo possa costituire una sorpresa buona per riempire una serata a tema nostalgia o porre le basi per una nuova generazione di proposte che possano garantire anche alle generazioni future - nonchè, ovviamente, agli Expendables old school come il sottoscritto - un pò di sano divertimento fatto di polvere mangiata che precede un addestramento durissimo e l'inevitabile ascesa da eroe in grado di raddrizzare i torti a suon di nemici lasciati con il culo per terra.


MrFord


"Poor pitiful creature 
the winner in heartbreak 
the winner in caring 
the winner in every miniscule method of wearing."
Metallica - "Dragon" -


sabato 29 giugno 2013

Bloglovin' time

La trama (con parole mie): a quanto pare avverranno dei cambiamenti dal primo luglio legati a Google Reader e ad altre grane tecnologiche delle quali continuo a non capire nulla.
Per evitare di essere tagliato fuori, intanto, ho portato il culo del Saloon su Bloglovin'.
Staremo a vedere che succede.

Tra le altre cose, quando capirò come funziona esattamente ovviamente inserirò il link per collegarvi direttamente alla mia pagina da quelle parti e seguirmi lì!

In alto i calici, come sempre!

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MrFord

The wicked

Regia: Peter Winther
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
100'




La trama (con parole mie): nella piccola cittadina di Summerset da generazioni una storia terrorizza i bambini, ed è legata ad una vecchia casa che si dice infestata da una strega. Rompere uno qualsiasi dei vetri delle finestre della stessa pare significhi liberare lo spirito maligno e scatenare la caccia rispetto al responsabile del gesto.
Alla scomparsa della piccola Amanda, rapita dalla strega stessa, un gruppo di adolescenti mossi dal desiderio di un brivido decide di affrontare l'oscura magione trovandosi coinvolto nella lotta per la salvezza della bambina, all'interno della quale si inseriscono le forze di polizia ed un'altra coppia di ragazzi: i protagonisti dello scontro diverranno a questo punto due fratelli, che si troveranno a mettere in gioco la vita per imporsi sulla presenza malvagia.





Evidentemente questo non è l'anno migliore, per le streghe.
Dopo i fallimenti clamorosi, infatti, della merda d'autore propinataci da Rob Zombie con Le streghe di Salem e la merda e basta di Tommy Virkola Hansel&Gretel - Cacciatori di streghe, tocca a The wicked proseguire nella ben poco illustre tradizione duemilatredici dedicata al genere: il lavoro - per qualificarlo in maniera fin troppo lusinghiera - di Peter Winther, infatti, è degno dei "fasti" dell'agghiacciante Within che io e Julez affrontammo mandando avanti veloce - una cosa che non accade praticamente mai, in casa Ford - qualche anno fa nel corso di una vacanza funestata solo ed esclusivamente da quella terrificante - in termini qualitativi - visione.
Una robetta per adolescenti sprovvisti di cervello con tanto di tentativo di inserimento nel cast di una presunta sosia della gettonatissima Megan Fox cui non è stato detto che l'appena citata cagna maledetta resta inarrivabile fosse anche solo per i suoi orripilanti pollici ed una serie di imbarazzanti tentativi di spaventare l'audience ridicola almeno quanto il make up fatto in casa della strega, che finisce per apparire come la brutta copia di una comparsa da video metal di provincia della provincia.
Trama trita e ritrita figlia della tradizione slasher degli anni ottanta ma senza la minima traccia di (auto)ironia, cast preso dalla strada - e neppure quella principale -, regia a livelli meno che dilettantistici, evoluzione ovvia ed inutile finale "aperto" sono gli ingredienti di una delle visioni più basse dell'anno, che seppur salvata dal fatto di essere sostanzialmente innocua - del resto un prodotto di questo genere non può avere pretesa alcuna - resta davvero oltre ogni ragionevolezza, e se si esclude l'ormai famoso e sopranesco riciclo del denaro della malavita viene da chiedersi come sia stato possibile che qualcuno possa avere investito dei soldi in un progetto di questo genere - e parliamo comunque di ottocentomila dollari, mica bruscolini -: un titolo che, tra l'altro, stranamente pare non avere ancora trovato una distribuzione qui nel Bel Paese - che per una volta le cose possano essere andate per il verso giusto nella Terra dei cachi? - ma che mi aspetto di vedere in sala nelle settimane centrali di agosto, quando l'horror da vacanza di turno viene dato in pasto agli adolescenti alle prese con gli ultimi giorni al mare e con una scusa per limonare in santa pace da trovare come alternativa ad un'eventuale affollata spiaggia la sera di fronte ad un falò.
Difficile approfondire ulteriormente senza citare le classiche situazioni che fecero la fortuna di Notte horror negli anni della mia infanzia - il lago di Venerdì 13, lo spirito maligno in caccia dei bambini di Nightmare, la casa infestata alla base della leggenda che nessuno si è ancora preso la briga di demolire o acquistare per costruirci sopra un campo da golf o un resort con spa ed effetti simili a quelli di Pet cemetary - e continuare a sottolineare la differenza in peggio che pesa come l'età su una signora che tenta di salvarsi dall'inesorabile scorrere del tempo riempiendosi di botulino.
Il problema, nel caso di The wicked, è che anche sotto il trucco e le operazioni di ritocco, non c'è davvero nulla che possa far passare per la testa una qualsiasi associazione alla bellezza.
E non basteranno migliaia di bambini a questa imbarazzante strega, per tornare ai fasti che immagina di poter sfoggiare in condizioni ottimali: brutture di questo tipo sono davvero senza ritorno.
Roba da far cagare sotto perfino l'horror stesso.


MrFord


"Someone stole the starlight from the backside of your hand
weak without the magic you lay passed out in the sand
with controls set for night flights when witches ruled the world
in a twinkling moment you see cockroaches and crows."
Candlemass - "Witches" -


venerdì 28 giugno 2013

7 psicopatici

Regia: Martin McDonagh
Origine: UK
Anno: 2012
Durata: 110'




La trama (con parole mie): Marty, uno sceneggiatore in crisi con qualche problema di dipendenza dalla bottiglia, deve stringere i tempi per la consegna del suo ultimo lavoro, chiamato 7 psicopatici, dovendo al contempo gestire il conflittuale rapporto con la fidanzata Kaya e soprattutto l'inseparabile e scombinato amico Billy, che si offre di aiutarlo nella stesura dello script raccontandogli storie decisamente curiose a proposito di killer di esponenti di spicco della mala e di uomini di fede più fedeli alla vendetta che alla religione.
Quando proprio Billy rapisce il cane di un vero boss malavitoso sperando in un riscatto - uno standard per il suo lavoro di "accalappiacani" portato avanti con il socio Hans -, la vicenda dei nostri si complica, e per Marty verrà il momento di affrontare davvero sulla pelle quello che diventerà il copione del suo film.




So già che molti storceranno il naso - almeno in parte - dando un'occhiata al voto che ho deciso di assegnare all'ultima fatica del promettente Martin McDonagh, salito agli onori della cronaca con l'ottimo In Bruges qualche anno fa, considerandola, di fatto, alla pari del suo esordio: io per primo sono ben cosciente del fatto che con 7 psicopatici l'autore britannico abbia dovuto piegarsi a qualche concessione alla grande produzione e alle stelle e strisce, eppure la sua prima esperienza oltreoceano - al contrario di quelle di molti talentuosi registi che finiscono fagocitati dalla "terra promessa" ammmeregana - può senza indugio essere considerata chiusa con un successo, e la consegna al pubblico di una pellicola scombinata e divertente, ironica e nerissima, pulp e da più di un punto di vista malinconica all'interno della quale figura un cast all star è la prova del grande talento di questo nuovo interprete di quella che ormai si può definire l'eredità dei vari Tarantino e Ritchie.
Scritto sfruttando un meccanismo di realtà e finzione e racconto nel racconto che ha la struttura di un allucinato balletto di scatole cinesi sotto acido e costruito sulle ottime interpretazioni dei suoi protagonisti - grande come sempre il vecchio leone Christopher Walken, meraviglioso il caotico Billy di Sam Rockwell, gigioneggiante e mitico Woody Harrelson con il suo Charlie -, 7 psicopatici ha una partenza fulminante, preludio ad una prima parte in grado di stimolare il dubbio che ci si trovi di fronte ad un vero e proprio miracolo, affronta una leggera flessione nella sezione centrale - forse avrebbe giovato una decina di minuti in meno nel momento del viaggio nel deserto di Hans, Marty e Billy - prima di sfoderare un finale decisamente efficace, all'interno del quale al gusto irriverente del grottesco tipico del genere e dell'approccio del regista si lega - come era stato anche per In Bruges - una commozione di fondo che risulta addirittura toccante, presa di coscienza dei propri limiti e della fine che ci attende inevitabile - nonchè figlia di vicende spesso decisamente curiose - simboleggiata alla perfezione dai due charachters di Hans - meraviglioso il rapporto con la moglie, ed il confronto "finale" di quest'ultima con Charlie, da pelle d'oca - e Zachariah, cui Tom Waits regala il pizzico di follia giusto che pare uscito dai suoi dischi migliori, in bilico tra la sbronza, la perdizione ed una lucidità che si riesce ad avere solo quando si è incredibilmente saggi o incredibilmente folli.
O entrambe le cose.
Ma certamente 7 psicopatici non è un film di quelli pronti a piangersi addosso, e accanto alle sequenze più struggenti troviamo una vera e propria miniera d'oro di clamorose chicche, dalla pistola inceppata di Charlie all'approccio bambinesco alla vita e alla morte - e tutto quello che si trova in mezzo - di Billy, dai conigli di Zachariah alla sua rivelazione a proposito di Zodiac - un vero e proprio colpo di genio piazzato dalla penna del regista e sceneggiatore - per giungere al tormentone a proposito del problema di alcolismo di Marty, che - forse per solidarietà tra bevitori - mi ha letteralmente piegato in due in ben più di un'occasione: l'idea di un rimprovero legato alla facilità con cui il protagonista si ritrova ad alzare il gomito venuto da personaggi - o psicopatici!? - abituati ad ammazzare cristiani, tagliarsi la gola da soli o far saltare la testa a vecchiette malate terminali è decisamente curiosa, e contribuisce a fare in modo che l'audience possa prendere coscienza di quanto la vita e la morte siano relative - che ci si trovi ad avere a che fare con pazzi criminali, oppure no - e che proprio quando la direzione di una storia pare essere perduta, basta guardarsi dentro per trovare l'ispirazione in grado di ridefinire la nostra intera esistenza - tematica cara a McDonagh, che aveva già affrontato la questione nel già più volte citato In Bruges -.
Certo, il viaggio che ci condurrà a questa sorta di epifania non sarà certo lastricato di imprese facili e buone intenzioni, eppure, come spesso si dice, sarà proprio quello, alla fine, a dare significato alla destinazione: l'importante sarà fare attenzione a non sbronzarsi così tanto da non ricordare quello che si è detto ed evitare di trovarsi con la testa tra un proiettile vagante e l'altro.


MrFord


"The first cut is the deepest 
baby I know the first cut is the deepest
but when it come to being lucky she's cursed
when it come to loving me she's the worst."
Rod Stewart - "The first cut is the deepest" -



giovedì 27 giugno 2013

Thursday's child


La trama (con parole mie): è iniziata l'estate - anche se si potrebbe dire scoppiata -, e con lei quelli che dovrebbero essere i mesi meno interessanti dal punto di vista delle uscite in sala, normalmente concentrate sui blockbusteroni da spiaggia che non su proposte davvero interessanti.
Il problema è che veniamo da una primavera pessima, e con una bella stagione ancor meno ispirata di fronte ho come l'impressione che arriveremo a settembre e ai giorni di Venezia con l'acqua alla gola: l'unica cosa buona è data dal fatto che, quando le aspettative sono molto basse, si potrebbe anche finire per essere sorpresi in positivo.
Quello che è certo, invece, è che io continuerò a dovermi sciroppare tutta la negativa influenza del mio rivale nonchè spalla nella conduzione di questa rubrica: Cannibal Kid.

Gli accaniti fan di Stoker assetati del sangue di Ford e Cannibal.
 
World War Z di Marc Forster


Il consiglio di Cannibal: meglio una bella Blog World War Z, fidatevi
World War Z è il filmone di richiamo della settimana. Già un buon successo negli USA, si prepara a risollevare il botteghino italiano dopo che da noi Supermerd non ha sfondato più di tanto.
Personalmente, un po’ come per L’uomo d’acciaio, punto sul fatto che possa rivelarsi un’altra delle blockbuster porcate dell’anno. Il regista Marc Forster è un mestierante che non mi ha mai convinto più di tanto, Brad Pitt a parte qualche ruolo qua e là (vedi Bastardi senza gloria) è dai tempi di Fight Club e L’esercito delle 12 scimmie che non mi entusiasma e già dal trailer questo film mi sembra una baracconata assurda che punta tutto sugli effetti speciali e sull’effetto “WOW!” del pubblico più sprovveduto e facilmente impressionabile. Come Ford.
Più che Brad Pitt contro gli zombie, sarebbe allora più divertente vedere Cannibal Kid contro uno zombie, il walking dad Ford, in una nuova Blog World War Z.
Il consiglio di Ford: la vera World War è la Blog War!
E' arrivata l'estate, e con lei i super blockbusteroni pronti ad attrarre stormi - o almeno così sperano i distributori - di studenti in piene vacanze estive e lavoratori in ferie.
Sinceramente, mi aspettavo decisamente di più da questo titolo, superpubblicizzato da mesi: il trailer non mi ha detto nulla, Marc Forster non mi ha mai detto quasi nulla, gli zombies ormai hanno stancato quasi più dei supermen e dei vampiri.
Insomma, le premesse non sono per nulla positive, dunque possiamo solo sperare che almeno lasci in disaccordo il sottoscritto e Peppa Kid, in modo da poter sopperire alla World War con una bella Blog War!

"Scappa, presto! Meglio che tu non veda il brutto muso di Peppa Kid!"
Doppio gioco - La verità si nasconde nell’ombra di James Marsh


Il consiglio di Cannibal: Ford dovrebbe nascondersi e basta
Clive Owen è uno di quegli attori che una decina d’anni fa, grazie a ottime interpretazioni in film come Closer, Sin City, Inside Man e I figli degli uomini, sembrava dovesse spaccare il mondo. Poi ha solo spaccato i maroni, manco si trattasse di Ford, con una serie di filmetti che manco Ford (forse) ha mai avuto la forza di guardare.
Adesso con questa storia di terrorismo irlandese potrebbe tornare sui livelli di un tempo?
Ne dubito, ma se non altro questo Doppio gioco potrebbe rivelarsi un thrillerino estivo decente. Sperando non sia un mattonazzo politicoso di quelli in cui sguazza il mio blogger rivale.
Il consiglio di Ford: la verità non si nasconde affatto, Peppa Kid è un pusillanime. lo sanno tutti.
Secondo film che potrebbe rivelarsi una visione d'intrattenimento puramente estiva e secondo film il cui trailer non mi ha ispirato per nulla.
Clive Owen, alle spalle i fasti di film in grado di mettere d'accordo perfino i due antagonisti per eccellenza della blogosfera come Inside man e I figli degli uomini, si è perso per strada, e questo nuovo tentativo non pare essere in grado di risollevare le sue sorti.
Per il momento lascio in stand by, chissà che un'eventuale recensione negativa di Cannibal non mi faccia cambiare idea!

"Merda, mi sa che siamo finiti dentro al solito pippone di Malick!"

Blood di Nick Murphy


Il consiglio di Cannibal: We want blood. Ford’s Blood.
Certo che quelli che si occupano di distribuire i film in Italia sono dei gran furboni. Ford, e dillo che tu sei uno di loro!
Lanciare due thriller britannici la stessa settimana non mi sembra una mossa brillantissima, considerando che non è che da noi arrivino tutti ‘sti thriller britannici. In più, con Doppio gioco questo film ha in comune il fatto di avere come protagonista un attore, in questo caso Paul Bettany, fino a qualche anno fa molto promettente e poi persosi per strada a girare pagliacciate come Legion e Priest.
Al di là di ciò, Blood promette abbastanza bene. Le cose in arrivo dal Regno Unito sono sempre ben accette dalle mia parti e quindi, in attesa di veder scorrere il blood di Ford in una futura Blog War, ecco che mi posso accontentare di vedere Blood il film.
Il consiglio di Ford: Sly chiede vendetta per il suo mancato festeggiamento. E Katniss Kid pagherà con il sangue.
Thriller che è stato spacciato come il nuovo Mystic river - che è spararla grossa almeno quanto affermare, nello stile del mio rivale, che la saga di Hunger games è interessante - e che, sostanzialmente, è un film di attori: oltre a Paul Bettany, altro perduto per strada come Clive Owen, infatti, troviamo un Brian Cox in forma strabiliante, la vicenda è interessante e le location d'impatto.
Eppure tutto è un pò troppo semplice, ed il risultato finale ha il sapore del compitino senza guizzi.
Una cosa che passa e va, insomma. Un po’ come le opinioni del Cannibale.
Recensione fordiana a brevissimo.

"Ma non avevi seppellito qui il Cucciolo Eroico?" "Ne ero sicuro: forse è riemerso come zombie ed ora sta dando la caccia a Ford."

La quinta stagione di Peter Brosens, Jessica Woodworth


Il consiglio di Cannibal: non so cosa sia la quinta stagione, ma se è una stagione senza Ford, ben venga
Film incognita della settimana. Potrebbe essere una delle sorprese più positive di una stagione estiva che non promette cose enormi, così come potrebbe anche essere una pellicola pretenziosa di quelle che Ford non vede l’ora di bollare come “radical-chic”.
Io però sono fiducioso e voglio scommettere su questo piccolo film in arrivo dal belgio, una pellicola catastrofista che, se non altro, si rivelerà molto più originale rispetto a World War Z. Anche se incasserà un miliardesimo del film con Brad Pitt.
Il consiglio di Ford: mi sa tanto che Peppa Kid non arriverà neppure alla seconda, di stagione!
Film belga che, nonostante riesca a stuzzicare la curiosità, non mi attira quasi per nulla, complice il rischio di una potenziale cannibalata di quelle che sarei costretto a bottigliare fino a disarticolarmi la spalla.
Dato che tengo al mio regime di allenamento quotidiano, dunque, per il momento desisterò, considerato che ho ancora qualche importante recupero da effettuare alle spalle.

Ford: "Chissà cosa ne pensano gli Slipknot!?" Cannibal: "Chissà cosa ne pensa Malick!?"

Madoka Magica - Il film di Yukihiro Miyamoto, Akiyuki Shinbo


Il consiglio di Cannibal: madoska che roba
Madoka Magica è un anime di grande successo, soprattutto in Giappone ma non solo, che ora approda anche su grande schermo. Io del cartone avevo visto solo il primo episodio e mi era sembrata una storia di streghette originale e con lampi improvvisi di genialità tipicamente nipponica. Non avevo poi avuto la voglia e la costanza di continuare a seguirlo, ma con un film vero e proprio potrei fare un tentativo.
Per Ford potrebbe essere una cosa troppo teen e innovativa, quindi è meglio che lasci perdere e torni ai suoi cartoni per bimbetti, come quello che mi vede protagonista: Peppa Kid.
Il consiglio di Ford: Cannibal Magika
Ed ecco il film dell'estate per quella groupie scatenata che ho per avversario: una pellicola ispirata ad una serie animata che in Giappone ha raccolto consensi soprattutto tra i teen che pare una di quelle cose talmente lontane dagli standard fordiani da indurmi a vederla solo per il gusto di divertirmi un po’ alle spalle di chi è pronto ad osannarne la presunta genialità, un po’ come Peppa Kid.
Potrebbe per questo diventare, in una settimana così poco appetibile, il titolo con l'hype maggiore.

Katniss Kid  - la prima a destra - insieme alle sue compagnucce di merende.

Amore carne di Pippo Delbono


Il consiglio di Cannibal: a morte carne
Ma come si fa a intitolare un film così?
Peggio che chiamare un blog WhiteRussian…
Al di là del titolo che non invoglia certo alla visione, il trailer è l’apoteosi del radical-chicchismo più estremo. Roba che persino io potrei strapparmi la carne dalla pelle vedendo il film completo. Posso quindi solo immaginare la reazione che potrebbe provocare al mio pessimo conduttore di rubrica.
La cosa originale del film comunque è che girato per lo più con uno smartphone…
E vabbè, allora a questo punto una pellicola potrebbe girarla persino Ford con il suo cellulare e provocare così la morte definitiva del cinema.
Il consiglio di Ford: se questa è la carne, preferisco il Blood!
Ho un moto di rabbia solo al pensiero del trailer di questo film.
Così forte da superare perfino quelli provocati dal mio fastidioso galoppino ed aiutante in questa rubrica.
Non consiglierei questa roba neppure a lui, figuratevi.

"Chissà se avrò mai la possibilità di riprendere il Cannibale!? Quello vive chiuso nella sua cameretta!"

Tra cinque minuti in scena di Laura Chiossone


Il consiglio di Cannibal: tra cinque minuti mi sono rotto di Ford, mi sa anche meno di cinque minuti
Filmetto italiano sulla realizzazione di un’opera teatrale.
Probabilmente, avrebbero dovuto impegnarsi di più a realilzzare un’opera cinematografica.
Il trailer però è funzionale. Mi ha fatto capire che io questo film non lo guarderò mai.
Anche WhiteRussian è funzionale. Ogni giorno mi fa capire come non voglio che il mio blog diventi, uahahah!
Il consiglio di Ford: tra cinque minuti, forse meno, il Cannibale sarà KO.
Non bastava un titolo radical chic italiano, questa settimana, hanno dovuto bissare per provocarmi, i nostri amici distributori. Si direbbe quasi che siano d'accordo con il Cucciolo Eroico, o con Kevin Spacey!
Se non altro, questo Tra cinque minuti pare essere un po’ più sopportabile di Amore carne, ma non basta perchè si possa anche solo pensare di concedergli anche cinque minuti di visione.

Una spettatrice al termine della visione dell'ultimo Malick.

Multiplex di Stefano Calvagna


Il consiglio di Cannibal: un film che spero di non trovare al multiplex
Altro film italiano della settimana (e non è ancora finita), altra schifezza sicura sicura.
Una pellicola che fin dal trailer trasuda amatorialità e pessima recitazione da tutti i pori.
Non so quali multiplex avranno il coraggio di proiettare una roba del genere, spero giusto quelli di Lodi, ma se proprio dovessero darlo dalle vostre parti, il consiglio è di cercare rifugio in un’altra sala.
Il consiglio di Ford: già di norma non frequento i multiplex, figuriamoci per vedere immondizia di questo tipo!
Caro Cannibal, è ufficiale.
Dovremo indire una War senza Blog contro i distributori italiani che portano in sala certa merda.

"Questo è più bruto di quel bruto di Ford!"

Salvo di Fabio Grassadonia, Antonio Piazza


Il consiglio di Cannibal: no, Ford non lo salvo e nemmeno questo film
Ed ecco il film italiano che ha vinto due premi alla Settimana della Critica all’ultimo Festival di Cannes. Un’opera prima che sembra promettente e diversa dalle solite italianate. Bene, bene.
Ci troviamo finalmente di fronte a una proposta italiana fresca e degna di nota?
Pare di sì.
Fino a che non ho sentito la canzone dei Modà con Emma Marrone come colonna sonora del trailer, manco fosse il nuovo film di Moccia, e lì qualche dubbio mi è venuto. Non è che a Cannes hanno preso un abbaglio come quelli che quotidianamente si prende l’autore del blog WhiteRussian?
Il consiglio di Ford: non siamo per niente salvi.
Ho visto qualche tempo fa - e non ricordo neppure perchè - il trailer di questo film, che già mi puzzava di marcio prima che arrivasse quella canzone.
Poi è arrivata, e non ho avuto dubbi.
D'ora in poi non concederò più tregua alle proposte italiane. Almeno fino a quando non comincerà ad arrivare in sala roba almeno vagamente decente.
Altrimenti preferisco farmi del male leggendo tutti i giorni Pensieri Cannibali.

"Cannibal, ti porto sempre nel cuore!"

Sei gradi di separazione

Regia: Fred Schepisi
Origine: USA
Anno: 1993
Durata: 112'




La trama (con parole mie): Ouisa e Flan, due ricchi beniamini della società bene e radical chic newyorkese, nel corso di una serata passata con l'amico di lunga data Geoffrey alla ricerca di un finanziamento per un affare legato ad un Cezanne, si ritrovano in casa il giovane Paul, che afferma di essere stato compagno di scuola dei loro figli nonchè il figlio del divo afroamericano Sidney Poitier. La serata che segue è così piacevole che i coniugi sviluppano una sorta di curiosa attrazione per Paul, nonostante siano costretti a cacciarlo la mattina successiva dopo averlo trovato a letto con uno sconosciuto rimorchiato durante la notte.
Lo stesso tipo di esperienza, come i due scopriranno raccontando la vicenda nel corso dei numerosi appuntamenti da salotto, è stata vissuta anche da altre coppie: la curiosità, dunque, avrà la meglio, e un gruppo di famiglie si ritroverà ad investigare sulla vera identità di quel curioso ed improvvisato ospite di una notte.





Era da parecchio tempo che in casa Ford si attendeva il passaggio di Sei gradi di separazione, pellicola di chiara origine teatrale che ancora mancava alla lista delle visioni di Julez, che, di contro, parlando dello stesso regista, lo scorso anno mi aveva anticipato proponendo Roxanne, che ero invece io a non avere mai visto.
Fred Schepisi, uno dei tanti artigiani della settima arte rimasto sempre in bilico tra le produzioni di nicchia ed i grandi successi commerciali, trova con questo lavoro l'apice creativo della sua carriera, e trasforma una sorta di concerto da camera in una vera e propria sinfonia di attori, situazioni e battute di uno script davvero di ottimo livello, trasformando l'allora divo del piccolo schermo Will Smith in un attore completo - insieme ad Alì di Michael Mann, siamo di fronte senza dubbio alla sua migliore performance - e regalando una riflessione per nulla scontata sulla lotta di classe e la casualità della vita che ha il pregio di non apparire mai troppo leggera o pesante, in equilibrio sul sottilissimo filo del Caso e rappresentata alla grande - e con un radicalchicchismo mai irritante, quanto più ironico e divertito - da un quadro di Kandinsky che resta cucito addosso al giovane protagonista Paul, ragazzo di strada alla scoperta di un mondo a lui completamente sconosciuto come quello dell'elite culturale ed economica newyorkese fatta di party, matrimoni, chiacchiere tra un affare milionario e l'altro, cene organizzate per uomini che non hanno contanti nel portafogli ma cifre astronomiche da girare senza battere ciglio da un conto corrente all'altro.
L'epopea di Paul, passato dall'essere considerato una minaccia allo status di figlio acquisito - in tutti i sensi - dei sofisticati e a tratti ridicoli Ouisa e Flan, è come una tempesta che si abbatte su un universo che non conosce drammi che non siano dati da una camicia rosa regalata impunemente o al rendersi protagonisti con aneddoti "borderline" al pranzo successivo: raramente, nella Storia della settima arte, si era visto portare sullo schermo con la stessa levità un tema normalmente trattato come conflittuale e teso, quasi come se il cuore urbano di Paul si fondesse con l'eleganza delle riprese, in equilibrio tra piani sequenza e dialoghi fittissimi, del mondo dorato che lo stesso protagonista invade più o meno pacificamente.
Non è un caso, in questo senso, che la parte più drammatica del lavoro di Schepisi sia quella dedicata al rapporto tra Paul e la coppia di aspiranti artisti formata da Elizabeth e Rick, destinata a crollare sotto il peso del carisma del charachter interpretato da Will Smith proprio perchè, come lui, costretti a lottare ed arrancare senza riuscire a giungere neppure ad un briciolo del successo dell'altra metà di New York, quella del denaro e delle posizioni che contano.
Come se non bastasse, a queste riflessioni decisamente importanti, si aggiungono quella legata al rapporto tra padri e figli - curioso quanto Paul sia sinceramente interessato a compiacere ogni suo ospite, proprio mentre le famiglie da lui visitate paiono un concentrato di scontri e conflitti tra generazioni - ed una seconda che, di fatto, mostra il lato self-made che sta alla base della filosofia USA, trovando in Paul un alfiere perfetto ispirato da un'altra figura venuta dalla strada ed affermatasi come una delle più importanti dello stardom hollywoodiano di qualche decennio fa, Sidney Poitier, forse il primo, grande divo afroamericano a tutto tondo.
Proprio nella presentazione ad opera del giovane truffatore del presunto padre e della loro storia troviamo la sequenza più importante e meglio realizzata di una pellicola che ancora oggi, a distanza di vent'anni, conserva fascino ed interesse sociale, in barba, per una volta, anche alla mia ostilità allo stile radical chic che in questo caso è stato reso dal regista come una riuscitissima parodia senza per questo apparire come un quadro senz'anima.
E si torna a Kandinsky, e a Paul.
A volte, per comprendere l'ordine, occorre che il caos getti il mondo nello scompiglio più assoluto.
E non è detto che sia un male venuto per nuocere.


MrFord


"I want to be naked, running through the streets
I want to invite this so called chaos, that you’d think I dare not be
I want to be weightless, flying through the air
I want to drop all these limitations and return to who I was meant to be."
Alanis Morissette - "So-called chaos" - 


mercoledì 26 giugno 2013

Paulette

Regia: Jerome Enrico
Origine: Francia
Anno: 2012
Durata: 87'




La trama (con parole mie): Paulette è una vecchia signora che vive alla periferia di Parigi, inacidita dalla vita e dalle vicissitudini che l'hanno portata a vendere il ristorante in cui ha lavorato fin da ragazza accanto al marito e passare il tempo a rifiutare quasi ogni contatto con l'esterno diffidando degli immigrati, dei vicini e perfino della figlia, sposata con un commissario di polizia di origini africane che le ha dato un nipote che Paulette si rammarica non sia bianco.
Ritrovatasi alle strette con la pensione troppo bassa e venuta per caso in contatto con il boss del quartiere, la donna finisce per reinvertarsi dapprima spacciatrice di hashish e dunque pasticcera di torte "speciali": di colpo, aiutata dalle sue più care amiche, il suo "giro" si allargherà tanto da impressionare - e preoccupare - perfino il boss del suo boss.




I nostri cugini transalpini da me tanto detestati, occorre ammetterlo, vivono un momento di grazia per quanto riguarda la settima arte che dura ormai da due stagioni piene, praticamente una situazione agli antipodi rispetto a quella in cui versa il Nostro Paese, sprofondato in un oblìo cinematografico capace di destare quasi più preoccupazione di quello politico o sociale.
Tra i molti grandi prodotti distribuiti, però, capita anche che perfino loro facciano qualche passo falso, seppur decisamente meno grave di quelli che siamo in grado di mettere in piedi noi della Terra dei cachi, quando ci mettiamo di buona lena: uno di questi è senza dubbio Paulette, commedia nera carina giusto per intrattenere un'ora e mezza scarsa ma assolutamente lontana non solo dai migliori standard del genere - e rispetto allo stile "geriatrico", decisamente meglio hanno fatto Irina Palm, Svegliati Ned e L'erba di Grace -, ma anche dalle proposte francesi cui ci siamo fin troppo ben abituati di recente.
Certo, gli spunti non mancano, le battute divertenti ed irriverenti ci stanno tutte, gli elementi dell'integrazione e del razzismo sono giocati bene, Bernadette Lafont - acidissima protagonista - e la sua spalla Carmen Maura - vecchia conoscenza dei fan di Pedro Almodovar - funzionano benissimo, eppure tutto viaggia su binari fin troppo facili, e all'interessante riflessione sull'arte di arrangiarsi nei tempi della crisi - ma in questo senso non ci sono paragoni con opere monumentali nello stile di Breaking bad - si contrappone un'aura fin troppo consolatoria da fiaba finto alternativa, che priva la protagonista con il suo gruppetto di irriducibili compagne - mitica Alzheimer! - di quella scintilla in grado di tracciare un confine tra la proposta d'autore da "Sundance style" europeo e la pellicola buona giusto per dare l'illusione di aver assistito alla proiezione di un film diverso dal solito ad un pubblico per nulla abituato al genere.
Da un lato mi dispiace anche, essere così duro con un titolo che mi ha comunque soddisfatto, con tutti i suoi limiti, e che è stato cornice di un pomeriggio "father&son" passato con il Fordino a farmi compagnia in assenza di Julez - stranezze della cassa integrazione -, ma nonostante ci abbia provato, in bilico tra il ricordo della famigerata serata post tortino magico ad Amsterdam di qualche anno fa e l'idea che ormai l'approccio di Quasi amici abbia lasciato il segno nella settima arte transalpina, o almeno nella sua componente più irriverente, non sono riuscito a voler bene ad un film che non ha davvero nulla che lo differenzi da molte altre proposte di medio livello che, seppur senza colpe, finiscono per essere dimenticate prima che il pubblico stesso possa accorgersi di essersele perse per strada.
Un peccato di certo, perchè senza dubbio l'idea che un anziano possa reinventarsi spacciatore per fronteggiare la crisi è interessante almeno quanto il fatto che la nuova professione possa finalmente ed una volta per tutti abbattere i muri tra le frontiere - niente male il rapporto tra Paulette ed i giovani del vicinato -, anche perchè sono certo che non è stata solo una vecchia vedova della periferia parigina a pensare ad una carriera di questo tipo per fronteggiare il disagio economico, eppure sono mancate, al lavoro di Enrico, la cattiveria e le scintille necessarie per compiere il passo che separa un filmetto da pomeriggio in relax da un titolo destinato a diventare un piccolo cult.


MrFord


"No hay chinas, no hay chinas hoy.
No hay chinas, no hay chinas hoy.
¡LEGA LEGALIZACIÓN!
CANNABIS de calidad y barato.
¡LEGA LEGALIZACIÓN!
CANNABIS basta de prohibición."
Ska P - "Cannabis" -



martedì 25 giugno 2013

Richard Matheson (1926 - 2013)

So long, Leggenda.

MrFord

"Qualche volta aveva indugiato nel sogno a occhi aperti di incontrare qualcuno.
Più spesso, però, aveva cercato di adattarsi a ciò che gli pareva sinceramente inevitabile: l'idea di essere rimasto solo al mondo. Almeno nella porzione di mondo che poteva sapere di conoscere."
da Io sono leggenda (1954)

Stoker

Regia: Park Chan Wook
Origine: Corea del Sud, USA
Anno: 2013
Durata:
99'




La trama (con parole mie): India Stoker è una ragazza introversa e complessa, legata fin dalla tenera età al padre, che si occupa di lei, le resta vicino e la porta a caccia, insegnandole l'arte del silenzio, dell'attesa e del colpo messo a segno.
Quando, il giorno del suo diciottesimo compleanno, proprio il padre muore in un incidente, India si sente crollare il mondo addosso: anche perchè, con il funerale del genitore, fa la sua ricomparsa Charles, suo zio, tornato da un apparente viaggio di lavoro intorno al mondo per stare accanto a lei e sua madre in un momento difficile come quello.
L'uomo, seducente ed apparentemente esperto di ogni genere di cosa, finisce per creare scompiglio nella routine di lotta tra India e sua madre: ma proprio quando la ragazza pensa che Charles sia venuto per prendere le parti della sua non troppo sopportata mamma, una rivelazione porta la giovane a pensare che ci siano molte più cose in comune tra lei e lo zio di quante non ne avesse effettivamente con il defunto padre.




Evidentemente, non bastavano la riconferma a pippa del secolo di Shyamalan ed il crollo verticale di Rob Zombie, a questo duemilatredici non proprio generoso in quanto a titoli clamorosi: doveva mettercisi perfino Park Chan Wook, fino a qualche anno fa idolo del sottoscritto nonchè del Cinema internazionale salito alla ribalta delle cronache grazie all'incredibile Trilogia della vendetta e piano piano crollato sotto il peso delle sue stesse ambizioni.
Probabilmente è stato un errore del sottoscritto, quello di sopravvalutarlo, perchè già con il vuoto Thirst - tecnicamente notevole, ma privo di qualsiasi spessore - di qualche anno fa avrei dovuto capire che la parabola dell'enfant prodige coreano stava già piegando verso la china discendente, eppure non ho voluto arrendermi, finendo per aspettarmi sfracelli da quello che è stato il suo esordio sul suolo americano: niente di più sbagliato, perchè Stoker - che già prevedo sarà adorato da una certa parte di critica giovanilistica e radical chic - è un polpettone come non ne sopportavo da tempo, noioso e bolso, totalmente incentrato sulla sua componente estetica, posticcio e finto come i suoi protagonisti - dalla sempre più rifatta Nicole Kidman ad un'impalpabile Mia Wasikowska, alla sua performance più inutile -, che vorrebbe rispolverare i modelli del primo Dexter e del Capolavoro La morte corre sul fiume senza di fatto avere la forza - soprattutto emotiva e contenutistica - per poter andare oltre ad una sequenza di un'ora e mezza di immagini patinate che il regista vorrebbe danzate come quelle del suo lavoro più maturo, Old Boy, che nonostante la ripresa della seconda parte - legata principalmente alla risoluzione della storia - non riesce a scrollarsi di dosso un'aura da proposta irritante ed eccessivamente autoriale di quelle che, se fossi giurato di un grande Festival, mi piacerebbe davvero molto bastonare ed escludere con grande goduria da ogni categoria di premio.
Perfino l'evolversi del rapporto tra India e Charles, culminato in una sequenza potente come quella dell'esecuzione dei due al pianoforte - un passaggio che mi ha rimandato al meraviglioso Lezioni di piano -, è in grado di risollevare le sorti di una pellicola che segna il passaggio di Park Chan Wook tra le fila dei registi meteore capaci di strabiliare il pubblico con una prodigiosa fiammata per poi spegnersi lentamente, soffocati dal loro stesso talento, e l'ellissi apparentemente vestita di tutto punto per stupire che allaccia gli irritanti titoli di testa alla chiusura in pieno spirito finto-alternativo consolatorio ne è la prova.
Ripensando alla forza dirompente e di pancia di Mr. Vendetta, e alla sua naturale evoluzione concretizzata dal già citato Old Boy - in perfetto equilibrio tra esecuzione tecnica ed esplosività di contenuti -, il destino di Park risultò in effetti intuibile già dal pur notevole Lady Vendetta, nato per trovare la sua dimensione nella mera esecuzione di evoluzioni di macchina da capogiro: non so se il cineasta coreano abbia finito per ubriacarsi degli elogi e dei premi raccolti, o se semplicemente, le sue ambizioni non siano mai state all'altezza dell'effettivo talento, così come non posso che sospettare di una distribuzione a stelle e strisce limitante, ma il suo lavoro pare ormai un gioco di specchi privo della sostanza che lo aveva reso il nome di riferimento della seconda ondata venuta da oriente, pronta a raccogliere l'eredità di John Woo, Takeshi Kitano e Johnnie To, insieme a Kim Ki Duk e Wong Kar Wai.
Ora, invece, resta davvero poco della speranza che sconvolse Tarantino al Festival di Cannes di quasi dieci anni fa, ed ancor meno della potenza di Park, smarritosi in fotografia curatissima, inquadrature da pittore, messa in scena ed apparenti colpi di genio: non resta che aggrapparci al suo ricordo e a Joon Ho Bong, vera speranza per il Cinema coreano.
Sempre che l'imminente approdo sul suolo USA con il prossimo Snowpiercer non finisca per rovinare anche lui.


MrFord


"Cause there's a monster,
living under my bed,
whispering in my ear
and there's an angel,
with a hand on my head
she say I got nothing to fear."
Everlast - "Put your lights on" -


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