lunedì 28 febbraio 2011

Academy awards 2011 (quelli veri). Ovvero: Dio salvi la regina, perchè al re hanno già pensato i giurati

Anche in questo caso niente trama, solo un commento a quelli che sono stati i risultati della notte degli Oscar, uno degli appuntamenti più importanti dell'annata cinematografica.
Ci sarà chi sarà felice, e chi meno. 
Di certo, per il sottoscritto, si è trattata di una delle più scialbe premiazioni degli ultimi anni.

CORTO ANIMATO: The lost thing di Shaun Tan e Andrew Ruhemann.

Non l'ho visto e, sinceramente, al momento mi interessa poco. 
Lucido già le bottiglie per i premi maggiori.

DOCUMENTARIO CORTO: Strangers No More di Karen Goodman e Kirk Simon

Stesso discorso del corto animato. Forse anche di più.


CORTOMETRAGGIO: God of love di Luke Matheny


E' la notte degli Oscar, non il Sundance. Proseguiamo.


DOCUMENTARIO: Inside job di Chales Ferguson e Audrey Marrs


Questo sembra interessante. Forse, chissà, un giorno lo guarderò. 
Certo, resta un pò di rammarico per non aver visto premiato Banksy.


EFFETTI SPECIALI: Inception


Nonostante la presenza dell'ultimo, magnifico Eastwood, non posso certo protestare contro un premio alla magia di Nolan.


MONTAGGIO SONORO: Inception


Come sopra. Con la penuria di nominations avute, ogni statuetta è quasi una benedizione.


MIXAGGIO DEL SUONO: Inception


E siamo alla terza: non vorrete mica abituarmi troppo bene!?


CANZONE ORIGINALE: "We belong together" di Randy Newman, Toy story 3


Onestamente, in questo caso avrei premiato Dido. 
Ma in fondo, mi importa davvero dell'Oscar alla migliore canzone? Non particolarmente. 
Almeno quest'anno.


COLONNA SONORA: Trent Reznor e Atticus Ross per The social network


Alla grande! Oscar strameritato per uno dei grandi geni del rock - e non solo - degli ultimi vent'anni. Trent rules!


TRUCCO: Ric Baker e Dave Elsey per Wolfman


Non che ci fossero chissà quali candidati, ma devo proprio dirlo: Wolfman è uno dei film più brutti non solo dell'anno appena trascorso, ma credo almeno degli ultimi cinque.


COSTUMI: Colleen Atwood per Alice in wonderland


Mi associo a Lorant e dichiaro ufficialmente che un film da bottigliate selvagge come l'ultimo abominio di Tim Burton non meritava neppure la nomination più infima creata dall'Uomo, e con forza dichiaro che il look da country zozzo di True grit sarebbe stato il mio numero uno.


ART DIRECTION: Robert Stromberg e Karen O'Hara per Alice in wonderland


Ma siamo impazziti!? Non dico una, ma due statuette all'Alice da brutto trip burtoniana!? Giusto per dirne una, in questa categoria avrei addirittura preferito premiare Il discorso del re.


MONTAGGIO: Kirk Baxter e Angus Wall per The social network


Premesso che l'assenza di Inception tra i nominati è un crimine contro il Cinema e l'intelligenza, statuetta meritatissima per i montatori del monumentale lavoro di Fincher. Black swan si distringue tra gli altri, ma la gara di canottaggio è stato uno dei momenti - tecnici - più alti dei miei ultimi mesi di spettatore.


FOTOGRAFIA: Wally Pfister per Inception


Personalmente avrei preferito che il premio andasse a The social network, ma non posso obiettare rispetto ad alcun riconoscimento assegnato alla gigantesca opera di Nolan. 
Incasso felicemente e senza alzare neppure una bottiglia.


FILM STRANIERO: In un mondo migliore di Susanne Bier


Non l'ho ancora visto, quindi non mi sbilancio, anche perchè Susanne Bier è riuscita, negli anni, a produrre cose estremamente convincenti ed altre estremamente irritanti. Staremo a vedere.
Certo, era fantascienza sperare che potesse vincere Kynodontas.


FILM D'ANIMAZIONE: Toy story 3 di Lee Unkrich


E' andata come doveva andare. Troppa la differenza tra la Pixar e il resto dell'universo.


SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: Aaron Sorkin per The social network


Anche in questo caso io avrei premiato la splendida sorpresa Winter's bone, ma non faccio lo schizzinoso rispetto al lavoro superbo cucito attorno alla figura destabilizzante di Mark Zuckerberg. 
Applaudo e passo oltre, ad uno dei veri scandali della nottata.


SCENEGGIATURA ORIGINALE: David Seidler per Il discorso del re


Spaventoso. Hai Inception nella cinquina dei nominati e premi la zolletta da sala da the più noiosa, buonista, tranquilla e finto autoriale dell'anno. 
Uno dei due premi che mi hanno fatto più male. 
Roba da gita nel paese della regina, bottigliate selvagge con furto e riassegnazione della statuetta. A Nolan, ovviamente.


REGIA: Tom Hooper per Il discorso del re


Ed ecco la seconda pugnalata. Ma dico, hai l'onesto David O. Russell del solido The fighter, i sempre sulla breccia Coen, il rinnovato, incredibile Aronofsky e soprattutto la chirurgia di Fincher e a chi consegni il premio!? A Tom Hooper, che sicuramente sarà anche più noioso del suo film, con quella faccia da plumcake che si ritrova. Bene. Bravi. Bis.
Vi seppellisco di bottigliate, caricature di giurati che non siete altro!

ATTRICE NON PROTAGONISTA: Melissa Leo per The fighter

Per essere stata brava lo è stata, ma Hailee Stainfeld cavalcava vigorosamente avanti a tutte.
Peccato davvero, ma del resto questa giuria non pareva brillare per coraggio nelle scelte.


ATTORE NON PROTAGONISTA: Christian Bale per The fighter


Meritatissimo. Se fosse stato assegnato a Geoffrey Rush l'avrei preso a bottigliate fino a farlo diventare balbuziente.


ATTRICE PROTAGONISTA: Natalie Portman per Black swan


E qui non c'erano proprio dubbi o discussioni. Solo il rischio di una rivolta. Vero, Cannibale?


ATTORE PROTAGONISTA: Colin Firth per Il discorso del re


L'Oscar più telefonato nella Storia dell'Academy. 
Peccato che, nonostante l'indubbio mestiere, l'interpretazione di Firth, così come il film che l'ha portato alla ribalta di gloria, siano di un tedio tale da lasciare ogni spettatore chino sul suo divano, indeciso se dormire o pensare ad altro, come testimoniato per bene dall'immagine.


MIGLIOR FILM: Il discorso del re


Dunque, ci sono Inception, The social network, Black swan, True grit, Toy story 3, Winter's bone tutti in gara per la stessa statuetta, ma perchè farsi venire dei dubbi a proposito di qualità artistica, talento, rivelazioni o rottura degli schemi? 
Meglio una scelta conservatrice e di continuità, in pieno stile monarchico. 
Benvenuti nel nuovo millennio.

MrFord

"Kill the king, the king is dead
I am the king, long live the king
kill the king, the king is dead
I am the king, long live the king."
Megadeth - "Kill the king" -









domenica 27 febbraio 2011

Academy awards 2011: la versione di Ford

Non c'è una trama, bensì una breve spiegazione: questa notte, magica da sempre nel mondo del Cinema, incoronerà tutti i vincenti - almeno agli occhi dell'Academy - dell'appena trascorsa stagione del grande schermo. 
Ma qui non troverete previsioni o riepiloghi di quanto sarà accaduto, ci sarà tempo domani per spettegolare come pazzi sui verdetti. 
Ora siete nel mio saloon, e come in una realtà alternativa o dopo una sbronza da ricordare, niente sarà quello che sembra agli occhi del mondo. Ecco, dunque, tutti i premiati solo ed esclusivamente dalla giuria composta, guardate un pò, dal vecchio Ford. Enjoy!

Inizio con il dire che, nonostante le mie critiche al 2010 appena trascorso, alla selezione conclusiva dell'Academy sono giunti molti ottimi film, addirittura alcuni davvero grandiosi, quindi, almeno in parte, dovrò ricredermi, anche se, per questioni sempre legate alle realtà alternative, in Italia molte di queste pellicole faranno parte del novero e delle classifiche del 2011 - meraviglie della distribuzione -.

Per evitare di annoiarvi - ed annoiarmi - mortalmente con categorie troppo tecniche - l'editing del suono è interessante, per gli addetti e gli specialisti del settore, un pò meno per chi vuole semplicemente godersi un buon film -, ho operato una selezione andando ad elencare soltanto le categorie principali, ovviamente tenendo regia e film per ultime, in modo da creare aspettativa e chiudere in bellezza.
Per ogni sezione troverete in bella mostra la locandina della pellicola vincitrice, ed eventualmente il link al mio post riferito alla stessa. 
Giustificherò ogni scelta, giusto per non fare la figura del giurato assolutista, e a seguire i vincitori, in ordine di preferenza personale, troverete gli altri nominati per ogni categoria.


Miglior montaggio

The social network (WINNER)

 











Avrebbe dovuto vincere Inception questa categoria, ma non essendo scandalosamente presente la mia statuetta va allo straordinario e chirurgico lavoro costruito attorno alla figura di Zuckerberg. 
Il montaggio alternato sulla gara di canottaggio è un pezzo da scuola del Cinema.

- Black swan
- 127 ore
- The fighter
- Il discorso del re


Miglior fotografia

The social network (WINNER)

Questa è stata una scelta non facile: obiettivamente, Il discorso del re è curatissimo da questo punto di vista, ma scelte da paraculi come il patchwork sulle pareti dello studio del logopedista per fare da contrasto ai completi grigio scuro degli attori suscitano pesantissimi pruriti alle mie bottiglie. Quindi vado con l'eleganza strafatta di Fincher, anche se True grit ha tallonato Zuckerberg fino alla fine.



- True grit - Il grinta
- Inception
- Black swan
- Il discorso del re


Miglior film straniero

Kynodontas - Dogtooth (WINNER)

 











Inutile negarlo: alla prima visione lo osteggiai, ma più passa il tempo e macera nel cuore, e più ritengo quest'opera come l'Inception dell'autorialità più sfrenata, una riflessione geniale ed incredibile sull'incomunicabilità e la manipolazione del linguaggio nel nostro tempo.

- Biutiful
- In un mondo migliore
- La donna che canta
- Hors la loi

Miglior film d'animazione

Toy story 3 (WINNER) 

 











Sorry, Cannibale. Dragon trainer è davvero ottimo, la cosa migliore mai prodotta da Dreamworks, ma la Pixar è sempre la Pixar. Tecnicamente superbo, ritmo serratissimo ed emozioni forti condite da uno dei migliori cattivi dell'annata, l'orso Lotso.

- Dragon trainer
- L'illusionista

Miglior sceneggiatura non originale

Winter's bone - Un gelido inverno (WINNER)










Altra scelta molto difficile: Il grinta e The social network avrebbero ugualmente meritato, ma non potevo non assegnare almeno un premio a questo straordinario gioiellino del "new western" indipendente, una storia struggente e scritta con decisione e sensibilità. Non è da tutti.

- The social network
- True grit - Il grinta
- Toy story 3
- 127 ore

Miglior sceneggiatura originale

Inception (WINNER)


  










Pochi cazzi, qui si parla del Lost del Cinema, nonchè di una sceneggiatura ad orologeria. Una vera bomba. Prendere e portare a casa.

- Another year
- The fighter
- I ragazzi stanno bene
- Il discorso del re

Miglior regia

David Fincher per The social network (WINNER)











Anche in questo caso pesa la mancanza di Nolan nella cinquina dei nominati, ma occorre dire che il buon, vecchio Finch ha davvero realizzato il lavoro della vita, con The social network. Una direzione impeccabile, degna dei migliori film Usa anni settanta in stile Tutti gli uomini del presidente. Chapeau.

- Darren Aronofsky per Black swan
- Joel&Ethan Coen per True grit - Il grinta
- David O. Russell per The fighter
- Tom Hooper per Il discorso del re

Miglior attrice non protagonista

Hailee Steinfeld per True grit - Il grinta (WINNER)













Ancora non capisco per quale motivo la giovanissima, straordinaria interprete di True grit sia stata relegata nella categoria dei non protagonisti, ma tant'è: la sua Mattie, oltre ad avere molto più carattere dell'originale, incarna perfettamente tutti i dolori della crescita e dell'esperienza nel western targato Coen.

- Amy Adams per The fighter

- Melissa Leo per The fighter
- Jacki Weaver per Animal kingdom
- Helena Bonham Carter per Il discorso del re

Miglior attore non protagonista

Christian Bale per The fighter (WINNER)

 

  









The fighter è un buon film, totalmente fordiano. Ma non sarebbe stato lo stesso senza l'immensa interpretazione di Christian Bale, che porta tutto il suo peso sulle spalle.
Un'altra grande prova del nostro cavaliere oscuro preferito. 

- John Hawkes per Un gelido inverno
- Jeremy Renner per The town
- Mark Ruffalo per I ragazzi stanno bene
- Geoffrey Rush per Il discorso del re

Miglior attrice protagonista

Natalie Portman per Black swan (WINNER)











La Portman, dopo Leon, non è più stata in grado di stupirmi davvero, ma qui c'è davvero da gridare al miracolo. Un'interpretazione straordinaria, una trasformazione incredibile. 
Dopo The wrestler, Aronofsky si conferma un grandissimo direttore d'attori, riuscendo ad innescare la scintilla che la sua protagonista trasforma, soprattutto nel crescendo della seconda parte della pellicola, in un vero e proprio incendio. Unico dispiacere: il premio "rubato" a Jennifer Lawrence, protagonista intensissima di Winter's bone.

- Jennifer Lawrence per Un gelido inverno
- Nicole Kidman per Rabbit hole
- Michelle Williams per Blue Valentine
- Annette Bening per I ragazzi stanno bene

Miglior attore protagonista

Jeff Bridges per True grit - Il grinta (WINNER)







So già che storcerai il naso, Cannibale. Ma qui, nel saloon di Ford, avevi davvero qualche dubbio che il premio per il miglior attore non sarebbe andato ad un vecchio cowboy ubriacone?
Unforgiven.
In barba a tutti i bevitori di the.

- Jesse Eisenberg per The social network
- Colin Firth per Il discorso del re
- James Franco per 127 ore
- Javier Bardem per Biutiful

Miglior film

Inception (WINNER)













Ammetto di essere stato in bilico fino alla fine, e sono tutt'ora incerto.
Premesso il fatto che, se fosse stato nominato per qualcosa in più degli effetti speciali, avrei premiato Hereafter, il dubbio di optare per una scelta più radicale e meno ovvia ancora mi attanaglia: una scelta che non prevede di vedere premiato The social network, o True grit, bensì Winter's bone, che è stato penalizzato soltanto dal fatto di ragionare in termini da Academy. 
Fossimo stati nella mia Cannes, forse forse avremmo potuto assistere ad un piccolo miracolo.
Ad ogni modo, un plauso enorme a Nolan, che è stato in grado di stupirci ancora una volta, ma un altro altrettanto sentito a Debra Granik, che ha saputo commuovere e colpire durissimo con quella che, ad oggi, è la rivelazione dell'anno.

- Winter's bone - Un gelido inverno
- The social network
- True grit - Il grinta
- Black swan
- Toy story 3
- The fighter
- I ragazzi stanno bene
- 127 ore
- Il discorso del re


MrFord

"We are the champions, my friends 
and we'll keep on fighting till the end."
The Queen - "We are the champions" -  

sabato 26 febbraio 2011

Parto col folle

La trama (con parole mie): Peter è un architetto di successo che si trova ad Atlanta per lavoro, in attesa di prendere il primo aereo per tornare a L. A. ed assistere alla nascita di suo figlio. Peccato che sulla sua strada irrompa Ethan, istrionico aspirante attore con il nostro riluttante protagonista sarà costretto ad intraprendere un viaggio allucinante attraverso gli Stati Uniti.
Ovvero: tutto quello che può accadere quando si trasforma Una notte da leoni in road movie.

E' incredibile quanto alcuni titoli obiettivamente inutili, o cinematograficamente vicini allo zero assoluto, in termini d'importanza, riescano a rilassarci e farci gustare una sana, goduriosissima serata schiaffati sul divano, cocktail in una mano e compagna circondata dall'altra. 
Ammetto che, con il senno di poi, pellicole come questa e un pò di sano Stallone sarebbero state una manna dal cielo al mio addio al celibato, specie considerato che - e Julez è testimone, nonchè salvatrice, in questo senso -, nonostante tutti i progetti del giorno prima, ho finito per essere sobrio alle sette del mattino chino a pulire il vomito che quasi tutti i partecipanti alla ricorrenza si erano prodigati a seminare in tutta la casa dei miei, dai numerosi luoghi in bagno alle pareti del corridoio, fino alle scale dei vicini fuori dalla finestra.
Perlomeno, dunque, anche se non sbronzo come avrei voluto, mi sarei goduto qualcosa di simile al mio progetto iniziale.
In questo senso, in quella sciagurata notte tra il 30 aprile e il 1 maggio 2009, mi sono sentito in più di un momento come il buon Peter, travolto dall'entusiasmo e dagli eccessi non di uno, ma di una dozzina di loschi figuri che avevo accuratamente selezionato per l'evento.
Parto col folle è un nuovo inno dell'ormai specialista agli addi al celibato e deliranti situazioni simili Todd Phillips - che peraltro si ritaglia anche una piccola parte nella pellicola interpretando il fidanzato all'occorrenza di uno dei miti femminili della mia prima adolescenza, Juliette Lewis -, che raccoglie il testimone di Una notte da leoni - curioso quanto entrambe le pellicole siano state bistrattate selvaggiamente per quanto riguarda l'adattamento italiano - e, in attesa del già celeberrimo sequel della suddetta, tiene a bada i suoi fan raccontando un viaggio che pare una sorta di Rain man in ciucca totale ed incontrollata.
Se il suddetto Hangover - ma quanto suona meglio il titolo originale!? - mi ha ricordato tremendamente episodi grotteschi della mia vita quali la notte del trionfo ai mondiali 2006 o Amsterdam nel 2007, questo Parto col folle è riuscito a strapparmi sonore risate da chi si sente passato dall'altra parte, e, dunque, in piena sintonia con Peter, non ho potuto resistere a momenti magici come il confronto con i figli della spacciatrice o l'incredibile incidente in macchina: l'urlo durante la caduta, come un'istantanea scattata all'interno dell'abitacolo poco prima dello schianto, mi ha riportato, come la madeleine di Ratatouille, a quello di Colin Firth in Febbre a 90°, quando il bravissimo attore inglese ancora non si svendeva al miglior offerente per l'Academy. 
Uno di quei momenti magici, per quanto apparentemente insignificanti, che restano dentro per tutta la tua carriera di spettatore.
Con questo non voglio dire che Parto col folle sia una pellicola imperdibile, o che necessiti di una visione: ma di certo, arrivati (quasi) alla fine della settimana di lavoro, con il mondo che si perde dietro a ciarpame politico e rivolte che richiederebbero almeno una riflessione, è una buona alternativa alla sbronza triste e alle domande che potrebbero risultare scomode.
Potrà suonare sbagliato, come discorso.
Ma a me, sinceramente, pare umano volersi concedere un pò di svacco appena si può.
Non siamo perfetti, ma ci sbattiamo anche per non esserlo, ed è giusto così.
Nonchè divertente da matti, quando scopriamo che c'è qualcuno anche più fuori di noi in grado di riservarci la sorpresa di rimanere a bocca aperta, o esplodere di emozioni.
Che le stesse, poi, riservino un momento di amicizia virile, o una sana gragnuola di bottigliate, sta a voi, e al destino, decidere.


MrFord


"Hanging out behind the club on the weekend,
acting stupid, getting drunk with my best friends."
Blink 182 - "The rock show" - 

venerdì 25 febbraio 2011

Cliffhanger

La trama (con parole mie): Gabe Walker, una guida alpina nonchè tra i migliori scalatori al mondo - per forza, è Stallone! - si gioca l'amicizia del collega Hal quando a seguito di un incidente perde la vita la fidanzata di quest'ultimo.
Per riunire i due ci vorrà una banda di rapinatori precipitati in aereo e l'inevitabile scontro all'ultimo sangue tra l'inossidabile Sly ed il perfido capo della banda, quel John Lithgow che tutti noi conosciamo per pellicole certamente più autoriali di questa.
Ma chissene, in fondo basta ci sia l'expendable numero uno, no!?

In una discussione a proposito della rivalità tra anni ottanta e novanta di qualche giorno fa, il buon Frank Manila mi ha ricordato una delle perle più incredibili vissute nell'infanzia di spettatore, nonchè uno dei pochi film passabili dello Stallone formato anni novanta - altro motivo per sostenere il primato degli eighties è dato dalla qualità comparata dei film del Sylvester di noi tutti -: Cliffhanger.
Girato sulle nostrane Dolomiti, ricordo che fu una vera e propria bomba quando, con mio fratello, su consiglio dell'ormai mitico Paolo - beccati questa, Cannibale! -, me lo schiaffai un giorno di inizio estate, nell'attesa del pomeriggio al parco e con la gioia della scuola appena finita, nei tempi in cui, prima delle partenze che svuotavano progressivamente Milano, il programma standard prevedeva mattino film, pomeriggio calcio fino allo sfinimento, sera obbligo e verità nella speranza di avere la scusa per limonare con la tipa che ci piaceva di turno.
A quei tempi, in cui il valore del Cinema era misurato solo ed esclusivamente dalla tamarraggine della pellicola - particolarità che, almeno in parte, è rimasta in qualche modo parte del mio bagaglio -, questo cult totale mi parve un vero e proprio Capolavoro, teso e serrato nello svolgimento della trama e con un cattivo di prim'ordine - del resto, parliamo dell'uomo che avrebbe dato volto a Trinity! - pronto a dare del filo da torcere al buon, vecchio Sly.
Inoltre, la tragedia iniziale - la morte della fidanzata del co-protagonista Hal -, spiazzò tutti i fan hardcore dello Stallone Italiano che, senza colpo ferire, falliva clamorosamente nel tentativo di salvataggio della ragazza lasciando a bocca aperta chi - come gli abitanti dell'allora casa Ford - si aspettava già nei primi minuti di pellicola un bel salvataggio con tutti i crismi.
L'inseguimento ed il duello a distanza con la banda di fuggitivi, uniti all'incertezza della solidità del rapporto con il collega ed ex amico - il succitato Hal -, rendevano digeribili anche momenti che apparivano cinematograficamente terribili anche allora come la scalata della parete di roccia a mani nude e in t-shirt sotto la tormenta di neve che il buon Gabe/Stallone compie, essendo, e cito, "uno dei tre uomini al mondo in grado di farlo".
L'inevitabile riproporsi, sul finale, della situazione che provocò il dramma di apertura della pellicola, tranquillizzava dopo l'adrenalinico svolgimento tutti i fedelissimi del nostro expendable preferito, effettivamente soggetto a errori, ma sempre, ovviamente, pronto ad uscire vittorioso anche da sfide sulla carta impossibili.
Del resto, razza di smidollati, lui è Stallone, no!?


MrFord


"I'm not sure that I enjoy this journey,
they've got their guns to my head,
I turn myself into the black of darkness
they chase their shadows instead."
Shadow Gallery - "Cliffhanger" -


giovedì 24 febbraio 2011

Pom Poko

La trama (con parole mie): I Tanuki, sorta di procioni, vivono in tribù in tutto il territorio giapponese, alternando momenti di aggregazione ad altri di grandi battaglie, in pieno rispetto del loro spirito sanguigno. L'avanzata di Tokyo durante il boom economico dei primi anni sessanta costringe uno dei nuclei più grandi della loro civiltà a fronteggiare la scelta radicale di combattere gli umani o arrendersi al progresso.
Un fratello colorato, fiabesco e universale della lotta armata di Mononoke.

Chi capita diciamo regolarmente da queste parti sa bene quanto il sottoscritto adori Miyazaki, con la sua magia e leggerezza, con il suo incredibile Studio Ghibli, praticamente l'equivalente Pixar del sol levante: certo, in questo caso non c'è il digitale, bensì la straordinaria perizia dell'animazione artigianale, e le fiabe raccontate sono universali quanto legate alla profonda e vastissima cultura nipponica, ma il concetto non cambia.
Miyazaki e soci hanno dato origine ad una realtà, ormai più di vent'anni or sono, che ancora oggi resta una delle più felici nel mondo dell'animazione e del Cinema.
Pom Poko, realizzato da uno dei fedelissimi del grande Hayao, Isao Takahata - autore, tra l'altro, del Capolavoro Una tomba per le lucciole, che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita -, porta con se il bagaglio di tutta la poetica dell'autore di Totoro, dal rispetto e l'amore per la Natura alla difficile convivenza dell'Uomo con la stessa, dal confronto tra la riflessione e la passione ad una voglia travolgente di vivere.
E nonostante Pom Poko, soprattutto nella prima parte, possa apparire come una sorta di versione edulcorata di Princess Mononoke, legata più ai riferimenti alle fiabe ed alla cultura giapponesi che non ad un reale confronto, o alla tematica del conflitto diretto, quasi fosse un divertente, dolceamaro sogno grottesco, nella seconda metà la pellicola trova una sua identità ben precisa, emancipandosi, pur rispettando le stesse tematiche, dall'autorialità del Maestro Miyazaki per sviluppare una sua personale identità, ed allargare il suo raggio d'azione non soltanto al rapporto tra Uomo e Natura, ma a quello che ogni essere vivente ha con la società, o il suo concetto.
L'idea che, per sopravvivere, sia praticamente istintivo dover scendere a patti con se stessi e con gli altri esseri viventi che vivono nel nostro contesto, accompagnata dalla certezza che, in un modo o nell'altro, troveremo sempre chi combatte - anche fino ad una fine dolorosa -, chi sogna, chi si arrende, chi si lascia trasportare, o si abbandona, chi reinventa una vita e chi, semplicemente, la vive.
Che siano Tanuki, volpi, gatti o perfino umani, poco importa.

La trasformazione, e il suo utilizzo, sta alla base di quello che sarà il nostro rapporto con il mondo esterno. Quando ci invade o quando siamo noi a tuffarci in esso.
E quando la stessa può rischiare di portarci via tutto quello che siamo, o per cui abbiamo lottato.
E in tutto questo oceano di riflessioni, la meraviglia e l'incanto di colori che fanno tornare bambini, le risate contenute e profonde che contagiano ad ogni età, e momenti di Cinema di valore assoluto, come i ricordi del vecchio esperto di trasformazione o l'incredibile sequenza della parata dei mostri di fronte agli umani.
Pellicole come questa sono una lezione per tutti i detrattori dell'animazione, o per chi ha sempre sottovalutato la potenza del suo linguaggio, e riescono a parlare non solo a più e differenti culture, ma a tutte le stagioni della vita: è un pò come tornare tutti quanti a scuola, perchè in fondo, quella con la esse maiuscola comincia il giorno della nostra nascita e termina quando lo spettacolo finisce.
Fortunatamente, di tanto in tanto, il nostro cammino incrocia quello di qualche vecchio saggio come Takahata - o Miyazaki, ovviamente - capace di mostrarci che non esiste mai soltanto una strada, ma che le possibilità sono infinite, e possono essere terribili o salvifiche, costrette o felicemente, totalmente liberatorie.
Ma che la cosa più importante di tutte è che, se saranno dettate da ciò che siamo, potranno solo essere incondizionatamente nostre.

MrFord

"Arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione
e adesso è questo giorno di monsone
col vento che non ha una direzione
guardando il cielo un senso di oppressione 
ma è la mia età dove si sa come si era 
e non si sa dove si va, cosa si sarà."
Jovanotti - "La linea d'ombra" - 

4400 Stagione 3

La trama (con parole mie): Continua la saga dei 4400, rapiti dagli uomini del futuro e rispediti indietro nel tempo per salvare la Terra da un disastro incombente grazie ai loro poteri. In questa terza stagione, l'attenzione si sposta su Shawn, ormai a capo della fondazione che fu del magnate Jordan Collier, ed Isabelle, figlia di due dei ritornati cresciuta di colpo a scapito della madre, apparentemente invincibile e destinata ad essere il principale nemico della pace e dei 4400 stessi.

Devo ammettere che la sci-fi, soprattutto di stampo anni cinquanta/sessanta, ha sempre avuto un effetto ammaliante, sul sottoscritto, specie quando mi ricorda particolari albi a fumetti letti da piccolo e particolarmente amati.
Fu Julez a scoprire, quasi per caso, questa serie, in una delle prime incursioni sul digitale terrestre del plasma appena comprato: ammetto che non trovò resistenza alcuna da parte del sottoscritto - come, per esempio su altri titoli quali Buffy, The vampire diaries and so on -, e anzi, una volta visionato il pilota, la mia curiosità aveva probabilmente raggiunto e superato la sua.
Purtroppo, con il passare delle puntate, la serie ha perso progressivamente lo smalto della sua prima annata, e pur rimanendo un prodotto godibile, accusa, soprattutto in fase di script, alcune lacune legate, probabilmente, alla voglia di rimescolare continuamente le carte inserendo elementi sempre nuovi da parte degli autori: è stato difficile con Lost - che era Lost, mica bruscolini -, figuriamoci con 4400.
Ma, anche all'interno di quella che è stata la stagione finora meno efficace del serial - staremo a vedere con la quarta, ed ultima, cosa accadrà -, è stato possibile trovare almeno alcuni spunti interessanti, legati proprio ai due protagonisti effettivi di questo ciclo di episodi: Shawn e Isabelle.
Il primo, vero e proprio "angelo" dei ritornati, buono, bello e con il potere di guarire grazie al tocco delle sue mani, trova il suo primo, vero confronto con le responsabilità di crescita e gestione del potere, aprendo, con i sogni premonitori avuti sul finire della serie, anche possibili scenari alquanto interessanti in vista dell'ultima stagione.
La seconda, passata dalla neonata misteriosa delle prime due serie alla giovane curiosa di scoprire il mondo di questa, scopre piano piano una sorta di naturale inclinazione non tanto alla malvagità, quanto ad un atteggiamento predatorio e sottilmente dispotico legato all'incredibile portata dei suoi poteri, che, almeno apparentemente, la rendono immortale - sarebbe divertente osservare un incontro con l'impareggiabile Nathan di Misfits, in questo senso -.
Gli agenti dell'NTAC, questa volta, pur rimanendo i charachters di riferimento, mantengono un ruolo più convenzionale, a tratti addirittura noioso o poco logico, come dimostrato dal cambiamento nel rapporto tra Tom e Alana o nella scoperta dell'amore della vita di Diana.
La vera bomba ad orologeria, nonchè speranza più concreta di un ritorno alla qualità dei primissimi episodi, è il ritorno, nelle ultime due puntate, di Jordan Collier, il più sfaccettato e complesso tra i ritornati, il Foster Kane dei 4400, già salvato dalla morte una volta da Shawn ed ora addirittura resuscitato, con un look ed un approccio simili a quelli di una sorta di Messia.
Con Isabelle e l'esercito pronto a mettere in campo i primi soldati dotati di poteri, esattamente come i ritornati, ed un futuro di guerra che incombe, il materiale per recuperare confezionando una grande, ultima stagione, c'è tutto.
Per amore della sci-fi e soprattutto di una visione che soddisfi ed accompagni al meglio possibile le cene di casa Ford, speriamo che le attese non siano tradite.


MrFord

"We don't like children anyhow
I've seen the future, baby:
it is murder."
Leonard Cohen - "The future" -



mercoledì 23 febbraio 2011

Il grinta

La trama (con parole mie): Risulta quasi superfluo parlare della trama di True grit - Il grinta, già ampiamente raccontata nel post dedicato allo splendido remake dei Coen sul percorso di crescita e vendetta di Mattie, e sul ruolo di Rooster Cogburn nello stesso. Anche perchè il pur piacevole film di Hathaway risulta un pò troppo pulito per tempi come i nostri e, forse, per allora. Ma la questione è che, questa volta, c'è l'incredibile John Wayne ad interpretare il guercio, inossidabile sceriffo: un mito, una leggenda, un attore entrato nel cuore di generazioni intere di spettatori.

E' curioso vedere un originale dopo il suo remake, anche quando non è propriamente la prima volta che gli occhi lo incrociano.
Vidi Il grinta, con molta probabilità, quando ero ancora troppo piccolo per ricordarmene ora, sdraiato sul divano del salotto di mio nonno, stringendo il pupazzo dell'Uomo Ragno che ancora oggi dev'essere da qualche parte, a casa dei miei genitori.
Ricordo che, sul finire degli anni ottanta, quando decise di acquistare il videoregistratore, il mio vecchio fornitore Paolo - te lo ricordi, Cannibale? -, nella videoteca di quartiere, gli duplicò l'intera filmografia di John Wayne, con tanto di fotocopie in bianco e nero delle copertine: le immagini di quel salotto, così come delle pellicole che allora mi sembravano così lontane da farmi pensare fossero state girate praticamente ai tempi del vecchio West, tornano come sogni, o quasi a sorpresa quando, in qualche Classico che scopro o riscopro oggi, mi accorgo di sequenze che avevo già vissuto, in quegli anni ormai tanto lontani da apparire quasi come racconti essi stessi.
Sicuramente, l'impressione che da ora Il grinta firmato da Hathaway è proprio quella di una favola, pur se cruenta, se paragonata al recentissimo lavoro dei Coen, segnato senza dubbio da un disincanto e da una cornice praticamente dark che avvolgono l'impresa della piccola Mattie trasportandola dal West del mito alla realtà di una Frontiera in cui non esistono meriti - per citare una volta ancora Eastwood - e, se si è fortunati, si porta a casa la pelle, ma non il cuore, almeno per intero.
A rendere così speciale anche ora questo film, e non farlo passare per un'obsoleta fuori serie, arriva in soccorso di noi poveri peccatori John Wayne, un uomo che, cinematograficamente parlando, non dovrebbe aver bisogno di presentazioni - o sono bottigliate per tutti! -, e che, a tutti gli effetti, è stato una sorta di eroe omerico per generazioni intere, e anche ora, a trentadue anni dalla sua scomparsa, raccoglie fan non solo tra gli appassionati di western, ma, più semplicemente, attraverso gli occhi e le anime di chi tutti gli amanti veri del Cinema.
Un'icona che ha rappresentato, da Ombre rosse in poi, la vera essenza del West come luogo inesplorato e selvaggio, crudele ed incomparabilmente mozzafiato, e che, pur interpretando sempre uomini tutti d'un pezzo, ha portato sul grande schermo la sobrietà militare come la vendetta senza requie, il senso di famiglia ed onore come la più implacabile delle crudeltà guerresche.
E' sulle spalle dell'interpretazione più incredibile di questo personaggio mitologico che si appoggia l'intera struttura de Il grinta originale, da un punto di vista moderno troppo patinato per riuscire a sfondare lo schermo ed affondare nei cuori nonostante la naturale partecipazione suscitata anche in questo caso dalla vicenda umana di Mattie: il gigonesco Cogburn di Wayne, sicuramente meno perduto della sua controparte firmata Jeff Bridges, ipnotizza lo spettatore che, più che all'evoluzione della vicenda, guarda con un sorriso malinconico e curioso al protagonista in attesa della sua prossima mossa, sguardo di sbieco, rimbrotto all'indirizzo della giovane protetta.
E se non fosse per lui, a poco varrebbero i paesaggi in stile Marlboro Country confezionati per l'occasione dall'imponente produzione di Hal Wallis, e tutto si ridurrebbe ad un amarcord di un'epoca remota e velata dai ricordi sbiaditi, per l'appunto, e alle presenze illustri degli allora giovani - o poco più - Dennis Hopper e Robert Duvall.
L'ispirazione letteraria alla base dell'opera è molto simile - del resto, il romanzo è quello, starete pensando - al lavoro dei Coen, ma è evidente che lo stile dei due fratelli matti del Cinema Usa è stato in grado di riportare non solo Rooster, ma l'intera vicenda ad una condizione di universalità che a questo originale manca, se non fosse per il torvo occhieggiare di Wayne.
Ed è proprio a quello che voglio pensare, ora, prima di addormentarmi.
Come facevo allora, su quel divano.
In fondo, mi sento in qualche modo legato, all'inossidabile John, che ancora oggi, a vederlo, sembra praticamente immortale.
La potenza del Cinema.
E del West.
Ma, come ci hanno insegnato i Coen, il tempo passa per tutti.
E John Wayne è morto.
Proprio nell'anno in cui sono nato.

MrFord

"I am not affraid
And I won't go down in fate
Nothing's gonna be the same
And everything you know
Keep inside your soul
Tonight I'm gonna be John Wayne."
Billy Idol - "John Wayne" -

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