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lunedì 7 ottobre 2019

White Russian's Bulletin



Settimana di pausa nel recupero tarantiniano - comunque in cima alla lista delle mie priorità di visione - che ha portato al Saloon due nuove uscite e un paio di serie che erano da parecchio nel menù di casa Ford: e in bilico tra pellicole premiate, supereroi e vecchie glorie fordiane, non c'è stato davvero modo di annoiarsi.
Anche se i punti di vista potrebbero essere diversi da quelli raccolti in rete e sui social.


MrFord



THE BOYS - STAGIONE 1 (Amazon Original, USA, 2019)

The Boys Poster


Tratto da una serie firmata dal Garth Ennis di Preacher e legato per ispirazione a Watchmen, The Boys è giunto sugli schermi del Saloon quasi a sorpresa, nonostante il passato legato a doppio filo al mondo del Fumetto del sottoscritto: acclamata e ben accolta, la produzione Amazon centra il bersaglio grazie ad una serie di personaggi e trovate di grande efficacia, oltre ad una manciata di episodi - quelli iniziali - davvero notevoli.
Si spegne un pò alla distanza, ma senza dubbio presenta materiale che, se ben trattato, potrebbe trasformare The Boys in una delle realtà da supereroi più interessanti del passato recente, grazie principalmente al gruppo di outsiders protagonisti/antagonisti e ad un villain d'eccezione - il Patriota di Anthony Starr, che in barba al passato tagliato con l'accetta di Banshee ha svolto un lavoro d'interpretazione notevole -, oltre ad una visione che porta il mondo del superpotere strettamente a contatto con i difetti che tutti noi portiamo dentro da esseri umani.
E cosa accade quando un essere umano in grado di sfondare muri o volare o correre a velocità supersonica non è in grado di mantenere il controllo?
Who watch the Watchmen?, recitava la graphic novel cult di Alan Moore. Ci sarebbe da chiederselo.




WU ASSASSINS - STAGIONE 1 (Netflix, USA, 2019)

Wu Assassins Poster


Giunta sugli schermi di casa Ford principalmente grazie alla presenza nel cast di Iko Uwais e alla promessa di un sacco di calci rotanti, Wu Assassins ha finito per non rispettare appieno le attese: la produzione Netflix, ambientata in una San Francisco splendidamente ripresa, ha vissuto nel corso dei suoi dieci episodi una sorta di lotta tra la componente action e botte da orbi e quella fantasy, legata a doppio filo alla trama principale che vede il protagonista ritrovarsi ricettacolo del potere di Assassino dei Wu, esseri una volta umani divenuti sovrannaturali grazie al ritrovamento di reliquie in grado di donare loro caratteristiche uniche ma anche una propensione al "lato oscuro" non indifferente.
Personalmente, ho di gran lunga preferito la prima, legata agli stilemi classici del "buono contro cattivo" in ambiente metropolitano con tante mazzate e dose di pane e salame elevata rispetto alla seconda, più dispersiva, senza particolari idee e confusa, purtroppo pronta a prevalere nel ciclo di episodi che concludono la stagione, ancora senza una conferma a proposito di una seconda.
Faccio giusto tesoro delle evoluzioni di Uwais - uno dei migliori interpreti attuali del "Cinema di botte" - e di Katheryn Winnick, la Lagertha di Vikings.




JOKER (Todd Phillips, USA/Canada, 2019, 122')

Joker Poster

Ho fatto di tutto, nonostante le recensioni entusiastiche lette in ogni dove in rete e sui social, per non farmi influenzare dall'hype rispetto al Joker fresco vincitore del Leone d'Oro a Venezia, in modo da evitare l'eventuale delusione. Oggettivamente, c'è da congraturarsi con Todd Phillips per la confezione e la realizzazione di una pellicola dal sapore di anni settanta disturbante e molto autoriale, considerato il genere, e con Joaquin Phoenix per un'interpretazione ottima, almeno tre scene cult - la discesa dalla scalinata una volta completata la "mutazione" in Joker, gli omicidi in metropolitana e quello nello studio televisivo - ed un lavoro di oppressione rispetto allo spettatore più che efficace, eppure devo ammettere di essere uscito dalla sala emotivamente distaccato, con la sensazione di aver assistito ad un grande spettacolo con la grande pecca di essere stato studiato clamorosamente a tavolino.
Anche se non è giusto - perché si tratta di pellicole diverse - fare paragoni, questo Joker è più simile a quello macchiettistico di Nicholson nel primo Batman di Tim Burton che non a quello distorto e caotico di Heath Ledger nel Cavaliere Oscuro di Nolan, e proprio per questo, forse, non sono riuscito a sentire tutta la carica emotiva che avrebbe dovuto avere.
Resta senza dubbio un lavoro con i fiocchi, ma non quelli che restano stampati nella memoria.




RAMBO: LAST BLOOD (Adrian Grunberg, USA/Spagna/Bulgaria, 2019, 89')

Rambo: Last Blood Poster


La settimana è stata chiusa dal più consueto festival della tamarrata fordiana, quel Rambo che, come Rocky ed in modo ancora più pane e salame continua a non voler mollare e continuare a combattere, in barba ad età, mondo che cambia ed essere fuori tempo massimo.
Riprendendo il canovaccio di Taken alimentando pessimismo e violenza, il buon Sly riesuma uno dei suoi charachters simbolo in un tributo che ha poco senso in termini di scrittura e di logica narrativa ma è una gioia per gli occhi ed il cuore di tutti i fan che, come il sottoscritto, l'hanno visto attraversare mezzo mondo e spaccare culi a prescindere dalla latitudine geografica ed ora tornano ad apprezzarlo tra le mura di casa sua, spinto come il passato vuole dalla vendetta e dal desiderio di raddrizzare i torti.
Con ogni probabilità i radical chic o i finti intenditori di Cinema come Cannibal Kid protesteranno di fronte a un titolo come questo, eppure messi da parte i pregiudizi ed accettata l'operazione per quello che è, resta un festival del gore versione action come solo il Rambo precedente era stato.
Segno che, per quanto fantasmi, certi personaggi hanno ancora il diritto ed il dovere di far sentire la loro presenza al pubblico.


mercoledì 20 settembre 2017

La torre nera (Nikolaj Arcel, USA, 2017, 95')




Il Re del brivido della Letteratura, Stephen King, ha finito, nel corso della sua lunga carriera, per essere secondo solo a Shakespeare per numero di opere adattate per il grande e piccolo schermo, dalle ciofeche inguardabili ai cult generazionali, passando per vere e proprie pietre miliari - impossibile dimenticare lo Shining di Kubrick, ma anche il Misery di Rob Reiner -: da lettore, soltanto una parte della sua immensa produzione ha finito per arricchire la mia biblioteca, e senza dubbio almeno un paio dei suoi lavori sono tra i miei favoriti - La lunga marcia e Cujo, in particolare -, mentre ricordo che La torre nera, con il suo primo capitolo, osannata come qualcosa di imperdibile da schiere di fan, mi risultò non tanto poco valido, quanto spento e un pò noioso.
Dunque, già in partenza, il destino di un film come questo, massacrato in lungo e in largo, si faceva davvero infausto: certo, Matthew McConaughey nel ruolo dell'Uomo in nero e la Lagertha di Vikings nel cast alzavano almeno in parte l'asticella, ma le aspettative restavano molto basse.
Non mi sarei mai aspettato, però, che il risultato sarebbe stato addirittura inferiore - e di molto - alle aspettative stesse.
Purtroppo Arcel - autore, qualche anno fa, dell'ottimo A royal affair -, importato dalla Danimarca, ha finito per rinfoltire i ranghi delle schiere di registi di belle speranze sputtanati completamente da Hollywood e dai meccanismi delle majors asservite al botteghino: perchè La torre nera è un film come se ne sono già visti - e non di belli - a decine negli ultimi anni, un goffo tentativo di unire l'avventura per ragazzi in stile Divergent, Hunger Games e compagnia al fantasy apocalittico sulla scia di Mad Max, un prodotto sbrigativo, noioso, che io ricordi decisamente lontano dall'atmosfera che si respirava tra le pagine del romanzo, risollevato solo a tratti dal già già citato McConaughey che imperversa in lungo e in largo impartendo ordini ai malcapitati di turno che sono costretti ad obbedire al suo volere.
Ma è troppo poco perfino per uno come il sottoscritto cui il vecchio Matthew ha regalato un sacco di soddisfazioni in questi ultimi anni, da True Detective a Mud, passando per Killer Joe: e mi pare ridicolo che King possa da sempre essersi schierato contro la versione kubrickiana di Shining e rimanere impassibile di fronte a cose davvero di livello infimo come questa, emblema di quel Cinema di cassetta che, come troppo spesso accade ultimamente, è distante anni luce da quello di ben altra caratura targato anni ottanta.
La speranza, ora, è che critiche ed incassi - piuttosto bassi - interrompano sul nascere quella che avrebbe dovuto essere una serie, e che in tutta onestà mi risparmio ben volentieri, con buona pace dei Re del brivido e degli Uomini in nero.
Questo Pistolero ha tutta un'altra strada da compiere.




MrFord




 

giovedì 30 luglio 2015

Vikings - Stagione 1

Produzione: History
Origine: Irlanda, Canada
Anno:
2013
Episodi:
9






La trama (con parole mie): Ragnar Lothbrok, figlio del profondo Nord, guerriero, padre e marito, medita da tempo di andare oltre all'idea delle semplici razzie ordinate dal suo Conte, Haraldson, costruendo una nave che lo conduca ad Ovest, alla scoperta di nuove terre.
Disobbedendo agli ordini dello stesso Conte, Ragnar giungerà in Inghilterra, dando inizio ad un'avventura che accrescerà la sua fama tra le tribù vichinghe, lo porterà al conflitto con Haraldson e ad una nuova fase della sua vita, ricca di successi e riconoscimenti ma non per questo meno difficile da affrontare.
Cosa attenderà, dunque, questo guerriero ed esploratore apparentemente prescelto da Odino?
E come cambierà la sua famiglia, a seguito degli eventi che la vedranno coinvolta?
Gli uomini che da sempre sono al suo fianco rimarranno fedeli all'idea, ai sogni e alla persona di Lothbrok?
Solo il Tempo, il sangue e, forse, gli Dei e gli Uomini, conosceranno la risposta.








Nel corso degli anni, come per il grande, il piccolo schermo ha finito per presentare, di tanto in tanto, proposte così clamorosamente fordiane da finire per essere promosse quasi a scatola chiusa: una di queste è senza dubbio Vikings, giunta in clamoroso ritardo su questi schermi dopo un timido affacciarsi del pilota un paio di estati or sono, quando ancora eravamo scossi dall'onda lunga del finale - splendido - di Spartacus.
Rimasto ai box non si sa neppure per quale motivo - in fondo, l'impressione di quella visione fu buona, e ricordò al sottoscritto proprio le atmosfere della saga del gladiatore ribelle -, approfittando di un periodo di magra dal punto di vista delle serie tv "da tavola", Ragnar Lothbrok e i suoi compari hanno fatto il loro esordio in casa Ford conquistando al volo la mia approvazione grazie ad atmosfere splendide, violenza, sesso a profusione, un buon numero di intrighi ed un'ottima alternanza tra passaggi decisamente fisici ed action ed altri di grande potenza lirica - si veda la chiusura della quasi psichedelica puntata "Il sacrificio", forse l'episodio che è riuscito a colpirmi di più, cinematograficamente parlando -, supportati da un cast decisamente in parte capitanato dal Charlie Hunnam del profondo Nord Travis Fimmel, perfettamente in parte nel ruolo di un protagonista coraggioso e carismatico, perfettamente descritto dal termine "cocky" di kidrockiana memoria.
Nove episodi, dunque, ricchi di avvenimenti e distribuiti lungo un arco di tempo notevole rispetto a quanto di norma accade nel corso della normale season di una serie, a partire dalla volontà di Ragnar di esplorare l'Ovest contro il volere del suo conte - un riesumato Gabriel Byrne - fino al conflitto con il conte stesso, passando dunque ad una seconda fase dedicata ai viaggi ed alle razzie nell'allora Inghilterra - ben resi i confronti tra i cattolici anglosassoni ed i "barbari" vichinghi - per concludere con l'esplorazione del mondo degli uomini del Nord, a partire dalle usanze religiose - e di nuovo torna il già citato episodio "Il sacrificio" - fino alle gerarchie tra il re ed i conti delle numerose e spesso molto distanti tribù.
Volontà di lottare e di godere, rivalità in fieri - tra gli spunti più interessanti per la seconda stagione, il rapporto decisamente complesso tra Ragnar ed il fratello Rollo, ma sono sicuro che anche Lagertha, moglie di Ragnar, e la sua nuova fiamma Aslaug faranno scintille -, l'esplorazione di un mondo selvaggio e crudele, all'interno del quale soltanto i più forti, o i più fortunati finivano per sopravvivere a carestie, malattie, guerre ed un rapporto con la Natura certamente più diretto e difficile di quello che abbiamo ora.
Dal punto di vista storico è interessante notare la ricostruzione ed immaginare quanto dura potesse essere la vita anche quotidiana ai tempi, malgrado senza dubbio l'approccio più diretto e "pane e salame" dei vichinghi, che per quanto mi riguarda e nonostante alcuni riti decisamente fuori da ogni logica - i sacrifici umani in primis - risultano più comprensibili e decisamente alla mano degli spocchiosi e poco sopportabili inglesi cattolici: da questo punto di vista l'introduzione e lo sfruttamento del charachter di Athelstan, monaco rapito da Ragnar alla prima razzia in terra inglese divenuto non solo una guida del mondo occidentale per il vichingo, ma anche e soprattutto un occhio razionale e più sensibile posto innanzi alla dura fisicità anche culturale dei vichinghi.
Forse ho finito per essere fin troppo rosicato con il voto, ma ho pensato che una proposta di questo tipo, con così tanti personaggi in grado di evolvere ancora e sottotrame da risolvere, possa puntare ad un'escalation qualitativa così impressionante da richiamare davvero alla memoria le gesta qui al Saloon celebrate con grandi brindisi del trace che fece tremare l'Impero Romano.



MrFord




"When the winds of Valhalla run cold
be sure that the blood will start to flow
when the winds of Valhalla run cold
Valhalla."
Black Sabbath - "Valhalla" - 




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