Visualizzazione post con etichetta Stellan Skarsgard. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Stellan Skarsgard. Mostra tutti i post

mercoledì 12 giugno 2019

White Russian's Bulletin



L'estensione del ritardo della rubrica dedicata alle uscite in sala al Bulletin è ormai una nuova e favolosa tradizione del Saloon, sempre più schiavo degli orari ballerini del lavoro e delle sessioni in palestra del vecchio cowboy. Questa settimana, però, non porta in dono solo il misero titolo rosicato resistendo alle penniche da divano, ma almeno un paio di interessanti visioni - una in particolare - pronte a scuotere lo spettatore nel profondo.


MrFord



ALADDIN (Guy Ritchie, USA, 2019, 128')

Aladdin Poster

Il primo dei titoli a passare dal bancone del Saloon, nonostante quello che ho scritto poco sopra, non rientra nel novero di quelli destinati a scuotere lo spettatore: consueto sfoggio di denaro, effetti e poche idee della Disney legata alle rivisitazioni live action dei suoi più classici film d'animazione - rivisitazioni che non sto amando per nulla -, il lavoro di Guy Ritchie - sono lontani i tempi di Lock&Stock - è tecnico ma da emozioni zero, il genio di Will Smith - che pure mi è sempre stato simpatico - troppo gigioneggiante per risultare simpatico quanto l'originale, la riproposizione della storia, per chi ha amato il cartoon, poco incisiva.
Perfino i Fordini, che per settimane avevano chiesto di guardarlo, hanno prestato scarsa attenzione se non nei momenti destinati alle nuove versioni delle canzoni più famose: nulla di particolarmente brutto, dunque, ma davvero incapace di rimanere davvero impresso nella memoria. Che forse è anche peggio.




UNICORN STORE (Brie Larson, USA, 2017, 92')

Unicorn Store Poster

L'esordio dietro la macchina da presa di Brie Larson, attrice molto amata sia dal grande pubblico che da quello radical, è passato attraverso Netflix e la blogosfera come una piccola tormenta, lasciando incantati molti dei miei colleghi da queste parti: approcciato quasi per caso nel corso di una cena in solitaria post palestra, si è rivelato un esperimento interessante e a tratti magico, coraggioso nel raccontare il disagio e anche la ricostruzione di se stessi attraverso una storia d'amore - perfetto il personaggio di Virgil, il migliore della pellicola -, in grado senza dubbio di incantare o, comunque, tornando al discorso a proposito di Aladdin e Guy Ritchie, di rimanere comunque nella memoria e nel cuore.
Di contro, si tratta senza dubbio di un'opera molto naif - in alcuni passaggi pure troppo, per usare un vecchio adagio -, rischiosa nell'utilizzo di personaggi come quello interpretato da Samuel Jackson - decisamemente caricaturale e forzato, a mio parere - e ostica per chi, di norma, lascia che i sogni e un certo tipo di approccio alla vita restino ben chiusi in un cassetto. 
Problemi loro, normalmente mi verrebbe da dire, e forse è così: ma se anche a chi quel cassetto lo tiene ben aperto la sensazione della sbronza da eccesso di "unicornità" viene, significa forse che la buona Brie si sia lasciata almeno in parte fuggire il controllo della sua creatura. 
Che comunque, difetti compresi, ha davvero dei signori colori.




CHERNOBYL (HBO, USA/UK, 2019)

Chernobyl Poster


Ricordo solo vagamente la primavera dell'ottantasei, quando anche in Italia giunse la paura della nube tossica figlia del terrificante incidente di Chernobyl, quando consigliarono di evitare insalate, latticini, prodotti freschi: la tragedia legata all'esplosione del reattore numero quattro della centrale, considerata - con quella di Fukujima del duemilaundici - la più grave della Storia dell'umanità nell'ambito del nucleare, ha generato nel tempo polemiche, sospetti, opinioni e ogni sorta di punto di vista nato e sviluppato prima e dopo la disgregazione dell'URSS.
Craig Mazin, a partire dalla cronaca dell'incidente, regala cinque episodi di quello che più volte mi è apparso come un vero e proprio horror, portato in scena dagli errori umani e dalle bugie che provocarono un disastro di proporzioni clamorose che, senza il sacrificio di uomini e donne impegnatisi per mesi per contenerlo avrebbe potuto essere addirittura biblico: dalle strade di Pripyat - la città più colpita dalle radiazioni, oggi fantasma - alla centrale stessa, per finire attraverso i corridoi del potere più o meno occulto dell'Unione Sovietica al principio della sua disgregazione, assistiamo ad una lotta di cui si fanno simbolo i personaggi - scritti alla perfezione - di Legasov e Shcherbina, i due responsabili delle operazioni di contenimento dell'incidente, interpretati ottimamente da Jared Harris e Stellan Skarsgaard.
Una storia terribile raccontata con la tensione del thriller ma che riesce, al contempo, a far riflettere sui ruoli della politica e della Scienza, e sull'indefessa ricerca della verità insita in quest'ultima, pronta a muovere i cuori e le vite di chi nella stessa ha deciso di credere.
Un lavoro monumentale e da brividi, che tiene inchiodati allo schermo e si presenta come uno dei titoli più importanti che il piccolo schermo abbia regalato al pubblico non solo quest'anno, ma dai tempi della prima stagione di True Detective.
Se non l'avete fatto, dunque, abituate le orecchie al raggelante ronzio dei contatori geiger, indossate le giuste protezioni ed avventuratevi in un viaggio dal quale sarà impossibile uscire come si era prima.


lunedì 4 dicembre 2017

Borg McEnroe (Janus Metz, Svezia/Danimarca/Finlandia, 2017, 107')




Fin da bambino, ho sempre amato lo sport, praticato o vissuto da spettatore.
Merito, senza dubbio, della grande passione - ancora coltivata - di mio padre per il ciclismo, dei suoi racconti dei grandi campioni che l'avevano appassionato in gioventù, da Alì a Gilles Villeneuve, passando per Merckx e Rivera: e fin da bambino, pur non eccellendo tanto da poter quantomeno sognare una possibile carriera, ho sempre trovato lo sport praticato una valvola di sfogo, un banco di prova, un modo per crescere ed imparare.
Ricordo i tempi del calcio alle elementari e medie, del ciclismo e della pallacanestro tra le superiori e l'università, la palestra prima ed il crossfit oggi: e poi le grandi emozioni da spettatore, dalle stagioni passate ogni domenica a San Siro alla morte di Senna, dagli Harlem Globe Trotters visti dal vivo nell'allora Palalido di Milano all'Italia di USA '94 trascinata da Roberto Baggio, le grandi imprese di Chiappucci o i Mondiali del duemilasei.
Lo sport è un campo di prova e di crescita personale, che mette di fronte ogni suo praticante con i propri limiti, la paura, la fatica, il desiderio di farcela e la coscienza che, a volte, non ce la si può fare.
Lo sport che, individuale o di squadra, ci mette soli contro noi stessi, soli nella celebrazione più profonda di una vittoria o nella delusione più cocente di una sconfitta.
Borg McEnroe, racconto senza dubbio noto agli amanti dello sport in sala per metodo di narrazione, ha la sua forza proprio nel saper raccontare questo: a prescindere dai punti di vista personali - e quasi mai se ne trovarono a confronto due tanto diversi come quelli di Borg e McEnroe, due tra i tennisti più forti di tutti i tempi, per la prima volta a confronto su un palcoscenico unico come quello di Wimbledon nell'ottanta, il primo algido e controllato, il secondo iroso e ribelle -, lo sport forma chi lo pratica e mette in competizione ma anche accanto chi si trova testa a testa in qualsiasi disciplina.
Ricordo quando, ai tempi dell'infanzia e di buona parte dell'adolescenza, per me fosse un problema pensare di emergere e vincere, quasi la paura di affermarsi fosse incredibilmente più grande di quella di uscire sconfitti, e quanto ora, quando ad ogni allenamento il mio avversario è principalmente il me stesso dell'allenamento precedente, la sensazione che ho sia quella dell'adrenalina, dell'emozione.
Lo sport mette alla prova, logora, costa sacrificio e fatica, dolore e sofferenza fisica e mentale, ma fa sentire bene, forti ed in grado di comprendere chi condivide quell'esperienza come poche altre cose al mondo: Borg McEnroe ha colto in pieno questo spirito, e seppur non originale, è riuscito nell'impresa di trasmettere sensazioni che chi ha praticato una qualsiasi disciplina "sul campo" riconoscerà come sue pur non essendo stato un campione, perchè proprie dello spirito che sorregge questo tipo di confronti e manifestazioni fin dall'antichità.
Come se non bastasse, al lavoro di Metz va aggiunto il merito di aver reso uno dei match più belli ed importanti della storia del tennis praticamente come un thriller, che perfino qualcuno come il sottoscritto - che già conosceva il risultato - ha vissuto con il fiato sospeso fino all'ultimo istante, ennesima conferma che lo sport finisca per essere il Cinema più emozionante possibile, perchè pronto a pescare nel bacino profondo delle emozioni umane - bellissima la citazione di Agassi in apertura di pellicola, che mi permette di consigliare a tutti Open, splendida biografia del tennista americano - tanto quanto ad essere cassa di risonanza per le stesse, in grado di parlare a chi lo vive o l'ha vissuto sulla pelle così come a tutti coloro che si sono ritrovati ad incitare, soffrire, sperare e sognare da spettatori, non per questo meno toccati da quanto accadeva in un qualsiasi campo o disciplina.
Perchè qualcuno di noi sarà apparentemente controllato, metodico, superstizioso, vulcanico come Borg, e qualcun'altro iroso, ribelle, fuori dagli schemi come McEnroe; qualcuno giocherà da fondo campo, con furia e a due mani, e qualcuno sotto rete, tagliente come un rasoio; qualcuno vincerà oggi, ma perderà domani.
Perchè il bello dello sport è che non esistono numeri uno. O almeno, esistono solo per un pò.
E se non somiglia alla vita questo, nient'altro.




MrFord




giovedì 30 aprile 2015

Cenerentola

Regia: Kenneth Branagh
Origine: USA, UK
Anno:
2015
Durata:
105'






La trama (con parole mie): a grande richiesta del sottoscritto, torna al bancone del Saloon con una nuova recensione Julez, che ormai è diventata la specialista di casa Ford nello sciropparsi tutti quei titoli apparentemente molto poco fordiani che finisco per non avere voglia di schiaffarmi.
Questa volta tocca alla nuova Cenerentola targata Kenneth Branagh, regista che in passato è riuscito a regare al sottoscritto ottime soddisfazioni così come schifezze abominevoli.
Quale sarà stato il risultato, questa volta?
Alla mia compagna di viaggio l'ardua sentenza.









Finalmente un film che ti da esattamente quello che ti aspetti quando decidi di vederlo.
Che può essere un’arma a doppio taglio, eh.
Cenerentola è precisamente quello che è Cenerentola. 
La morale, l’insegnamento, l’attesa del buono, la fantasia, un bel vestito, scarpe inventate da De Sade o dal signor Compeed, il lieto fine, i buoni che vincono sui cattivi.
Questo mi aspettavo, questo ho avuto.
Certo io non sono tanto tipo da principesse (se escludiamo Ariel e Merida, ma loro non contano vero? Sono ancora rock vero?) e ad un principe azzurro, per quanto buono e profondo e ricco sfondato preferisco tutta la vita un Sawyer o un Tim Riggins che di principesco non hanno una favazza secca.

Merida rock.
Quindi Cinderella non è mai stata la mia fiaba preferita, anche perché hai voglia ad essere gentile (e si metta agli atti vostro onore che io lo sono eccome) ma dopo un po’, o anche prima, io le sorellastre le avrei sfanculate e avrei loro tagliato i capelli di nascosto o fatto lo scherzo del dentifricio nelle scarpe come in Il cowboy con il velo da sposa.
Eppure devo ammettere che, complice il comparto tecnico – di mestiere e centratissimo –, mi sono goduta questa favola che non pretende di essere il nuovo “geniale” genere degli stravolgimenti delle fiabe (vedasi Into the Woods), ma riesce nell'intento di rispettare il classico che non stanca mai.
Quindi non si grida al miracolo, non è stata messa una pietra miliare lungo la strada del mondo della settima arte, non c’è stata alcuna sorpresa, però avercene film che non deludono le aspettative, anche quando non altissime. 
E bravo Kennettone mio che ci avevi lasciato un po’ per strada con un’egomania che aveva inficiato i tuoi ultimi lavori. Siamo lontani dai tuoi migliori Shakespeare (Molto rumore per nulla) ma anche dai tuoi peggiori flop (Il flauto magico).

Principesse come piacciono a me.
Il principe (che stavolta non è protagonista delle terribili nozze di sangue) è sicuramente meno noioso di altri visti in precedenza.
Cenerella si comporta in un determinato modo non solo perché è scema ma perché crede nella magia della gentilezza, così come insegnatole dalla madre, di cui è la fotocopia.
La trasformazione di zucca, topi, lucertole e oca è veramente magica.
Non ci sono grandi buchi di logica e la storia scorre liscia e senza inciampi.
Insomma, niente male per un film dal quale non mi sarei aspettata praticamente nulla.
Se dovessi avere una figlia femmina glielo farei vedere volentieri. 
Salvo poi mostrarle le foto di Tim Riggins a petto nudo.
Giusto per insegnarle il buon gusto.



Julez



 
"I sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d'amor."
Maria Cristina Brancucci - "I sogni son desideri" - 




 

mercoledì 9 aprile 2014

Nymphomaniac Vol. II

Regia: Lars Von Trier
Origine: Danimarca, Francia, Germania, Belgio, UK
Anno: 2013
Durata: 123'




La trama (con parole mie): prosegue il racconto di Joe, soccorsa in strada dal colto e pacato Seligman, divenuto il suo confessore nel viaggio attraverso la vita e le vicissitudini sessuali della donna, che non esita a definirsi malvagia e ninfomane.
Stretto un legame con Jerome ed avuto un figlio da lui, Joe pare estraniata dalla realtà, impossibilitata a provare il piacere dell'orgasmo malgrado lo desideri ardentemente. La sua ricerca del godimento perduto la porterà sulla strada di uomini sempre più violenti e legati al lato oscuro della società, costandole la storia con lo stesso Jerome e la custodia del bambino.
Anni dopo, divenuta una specialista del recupero crediti, la donna si troverà a svezzare ed educare alla sua stessa attività una giovane ragazza che finirà per prendere il suo posto in tutto e per tutto, letto di Jerome compreso.
La confessione riuscirà in qualche modo a purificare l'anima di Joe? O Seligman riserverà risposte inaspettate?






Caro Lars,
ti scrivo, molto contrariato, per la seconda volta in due giorni.
Ieri sera ho visto il Volume II del tuo Nymphomaniac, e passati i primi cinque minuti ho pensato che, forse, finalmente c'eravamo ritrovati: la partenza con la levitazione di Joe bambina e la visione duplice a seguito dell'orgasmo spontaneo era degna delle tue pagine peggiori, e ammetto di aver pregustato l'idea di un vero e proprio massacro della parte conclusiva di questo tuo ambizioso progetto.
Ma niente da fare. Questa volta ti sei proprio impegnato per fare in modo che la rivalità tra me e il Cannibale continui a rimanere tutto sommato sopita. Perchè posso capire perfino che ad uno spostato radical chic come il mio antagonista possa essere piaciuto questo tuo pippone.
Hai letto bene. Lo posso addirittura capire.
Non che questo significhi che Nymphomaniac mi sia piaciuto, sia chiaro: personalmente ritengo che questa seconda metà sia nettamente peggiore della prima, noiosa ed involontariamente comica in più di una sequenza, ed inutile per la maggior parte del suo minutaggio.
La realtà dei fatti, però, è che nelle quattro ore complessive di visione qualche idea interessante si può sicuramente trovare - giusto per citare un momento, nel confronto tra Joe e Seligman che precede il pessimo epilogo mi è quasi parso di intravedere un tuo grido d'aiuto, una sorta di confessione della difficoltà che devi avere a relazionarti in maniera socialmente umana con il mondo -, e probabilmente, se avessi realizzato un director's cult da un'ora e venti scarsa con il "greatest hits" di quello che hai mostrato, avresti perfino rischiato di incontrare un mio favore. Quasi.
E invece niente: tra un Jamie Bell decisamente poco credibile nel ruolo del dominatore pronto a punire e la parte dedicata al recupero crediti che pare uscita da un film di genere mal riuscito, hai voluto allungare il brodo finendo per diventare soporifero e decisamente poco scandaloso, se non per la questione - per quanto mi riguarda assurda e discutibile, che potrebbe addirittura far pensare ad un'altra confessione - decisamente interessante da discutere legata alla comprensione del pedofilo che non ha mai consumato le sue fantasie da parte di Joe, che di tanto in tanto esplode in passaggi al limite del ridicolo involontario come la fuga tra le montagne della protagonista, girata come capita con i porno amatoriali arrangiati nel giardino dietro casa o l'agghiacciante sequenza con la discussione dei due simpatici e decisamente dotati partner di letto della nostra "eroina" di origini africane - e bada bene, caro Lars, che non ho parlato forbito per evitare la tua trappola a proposito della Libertà e della Democrazia costruita attorno alla parola negri -.
Tralasciando, comunque, la tua evidente invidia del pene rispetto ai due signori appena menzionati, quello che resta è un verboso pistolotto radical chic che, però - e lo dico davvero con dispiacere - non raggiunge neppure alla lontana i vertici di follia cui mi avevi abituato, e finisce per scorrere senza far venire voglia di prenderti a pugni fino a farsi male alle mani o di esplodere in un'esultanza necessaria come una boccata d'aria giunta la conclusione.
Semplicemente, quello che hai portato sullo schermo è una complessa ed egoriferita analisi pseudo colta che racconta una delle storie più vecchie del mondo - la dipendenza da un certo tipo di istinti che tutti, in misura più o meno pronunciata, abbiamo -: peccato che non lo faccia in modo liberatorio ed interessante come avrebbe potuto.
E peccato che tu abbia perso completamente la tua caotica e malvagia follia.
Vedi di tornare in te, caro Lars, perchè se continui su questa strada di pseudo redenzione potresti finire, un giorno, per mettere d'accordo anche tu il sottoscritto e Cannibal.
E tutti gli dei e non solo ce ne scampino.
Atei o devoti, Oriente o Occidente, penitenza o godimento.



MrFord




"La visione della figa da vicino, 
la visione della figa da vicino, 
la visione della figa da vicino, 
la visione della figa. 
Passano i secoli, passano i millenni, 
passano gli uomini che si alternano ai governi."
Elio e Le Storie Tese - "La visione" -  




martedì 8 aprile 2014

Nymphomaniac Vol. I

Regia: Lars Von Trier
Origine: Danimarca, Germania, Belgio, Francia, UK
Anno: 2013
Durata: 118'




La trama (con parole mie): Joe, una donna adulta vittima di un pestaggio, è ritrovata e soccorsa da Seligman, un vecchio pescatore di origini ebree che la conduce nella propria dimora, ripulendola e dandole un letto in cui recuperare dalle ferite. Costretta al riposo forzato e spinta dalla curiosità del suo nuovo confessore, Joe inizia il racconto della propria vita e del rapporto che ha avuto con il sesso fin dalla più tenera età, passando attraverso il legame con il padre, le prime scoperte e giochi adolescenziali, le "relazioni" adulte.
E tra un parallelo con la pesca ed il passato che si mescola al presente, la donna finisce per definirsi ninfomane ed una persona assolutamente malvagia, mentre Seligman, dal canto suo, cerca di riportarla ad una misura più equilibrata nel giudizio.






Caro Lars,
devo ammetterlo. Sono decisamente deluso, da te.
Dopo avermi fatto incazzare a morte con quella merda di Antichrist e sfracellato i maroni con Melancholia, attendevo al varco e con ansia Nymphomaniac, fiducioso nel fatto che avrebbe provocato non solo una delle mie recensioni più divertenti in termini di bottigliate e stroncature decise, ma anche alimentato la rivalità con il mio ormai quasi ex nemico Cannibal Kid.
E invece tu che combini!?
Mi sfoderi un filmetto senza troppo carattere che non riesce a smuovermi e che addirittura presenta una storia tutto sommato credibile, neanche fossi tornato alla prima parte della tua carriera, che tra una stronzata da radical chic e l'altra - vogliamo parlare dell'addizione e del parallelo tra i colpi ed i numeri di Fibonacci? Ma che pensavi di fare, un Lost da letto? - ogni tanto riesce perfino ad avere qualche idea interessante - le reazioni degli uomini alla bugia sul primo orgasmo di Joe, per esempio -, e che, alla fine, mi è parso quasi innocuo, lontano dai tuoi fasti sia in termini di provocazioni e scandalo - fa più specie il riferimento all'antisionismo rispetto all'antisemitismo, che non il sesso, presentato in modo molto più esplicito e provocatorio in cose decisamente migliori di questa come L'impero dei sensi di Oshima o Shortbus - che di aggressione mentale al pubblico.
Certo, i radical chic come Peppa Kid o i colleghi de Gli spietati andranno tutti in brodo di giuggiole per questa epopea sessuale suddivisa in capitoli neanche fossimo in Barry Lyndon - che poi, sceneggiate a parte, ormai lo sai anche tu di non essere Kubrick! -, ma ormai io sono vaccinato alle tue robette, e avendo già affrontato un prodotto simile - Dancer in the dark, altro pippone dei tuoi più memorabili - mi sono onestamente quasi trovato a provare un pò di compassione, per te.
Sì, so che adori far credere di essere un duro, un cattivo - anzi, il più cattivo tra i cattivi -, e che ti crogioli nello stato di "persona non grata", ma quello che mi pare venga fuori da questa prima metà del tuo Nymphomaniac è il ritratto di una persona che con il sesso deve avere proprio un rapporto pessimo - sempre che un rapporto con il sesso l'abbia, ovviamente -, perchè più che ninfomania o scandalo, ricerca o patologia clinica, mi è parso di trovare solo una grande tristezza, nelle immagini che hai scelto di portare sullo schermo: al contrario, invece, io ho sempre - o quasi - pensato al sesso come una delle cose più divertenti, liberatorie, selvagge che possiamo concederci nella vita.
In questo senso, ho trovato decisamente più "nymphomaniac" il superfilmone dell'anno The Wolf of Wall Street che non il tuo sproloquio pseudo intellettuale infarcito di Freud, Bach e teoremi matematici: forse non era quello che volevi rappresentare, o sono io ad averlo percepito in questo modo, ma l'impressione è stata di una di quelle scopate in cui la lei di turno è ferma sotto di te rigida come uno stoccafisso, in attesa giusto che la cosa finisca, pronta, forse, a contare i colpi proprio come hai fatto anche tu.
Quello che mi aspettavo, invece, era un vero e proprio amplesso da urlo, una roba da buttare giù i muri e spaccare le molle del letto, tante le bottigliate che avrebbe causato, o la sorpresa per aver assistito al ritorno dell'Autore di Dogville, perso chissà dove nell'illusione di essere un nuovo Tarkovsky.
E invece, perfino i miei ormai noti colpi proibiti destinati alle delusioni finiscono quasi per essere smorzati, privi di entusiasmo, come anestetizzati da un mordente che è mancato, se non in paio di momenti - le analogie con la pesca, la musica d'apertura, il pompino in treno -.
Troppo poco, caro Lars.
Specialmente per te, che aspiri così tanto ad essere il primo della classe da diventare l'ultimo per protesta se quello non ti riesce.
Sappi, dunque, che se non dovessi cambiare marcia nella seconda parte della tua ambiziosa opera, quello che ti destinerò sarà un posto centrale, perso nell'anonimato di una qualsiasi classe.
E penso che per te sarebbe davvero una condanna.



MrFord



"S is for the simple need.
E is for the ecstasy.
X is just to mark the spot,
Because that's the one you really want."

Nickelback - "S. E. X." -





lunedì 25 novembre 2013

Thor - The dark world

Regia: Alan Taylor, James Gunn
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 112'




La trama (con parole mie): archiviati i fatti legati all'invasione aliena di New York, Thor si sta occupando di ripristinare l'ordine e la pace nei nove regni che Odino, dal trono di Asgard, si impegna ad amministrare come sovrano. Nel frattempo, dall'ombra, sorge la minaccia degli elfi oscuri guidati da Malekith, che da millenni attendono di rimettere le mani su un potentissimo artefatto che potrebbe mettere a rischio la vita dell'intero universo conosciuto.
Nel frattempo Loki, imprigionato nelle segrete di Asgard, si troverà ad allearsi con l'odiato fratello per fare fronte alla comune minaccia ed avere la possibilità di vendicarsi non soltanto dei nemici di Asgard, ma anche di Asgard stessa, proprio mentre Thor sarà troppo impegnato a ricostruire il rapporto con Jane Foster.






Occorre ammettere, senza dubbio alcuno, quanto ormai Mamma Marvel comprenda la portata dei suoi poteri e delle sue responsabilità - per sfruttare il motto di uno dei suoi eroi più famosi ed amati - quando si tratta di portare sul grande schermo le gesta dei personaggi che hanno fatto la sua fortuna: negli ultimi anni, grazie anche al complesso mosaico del progetto che ruota attorno agli Avengers, la qualità delle proposte dell'editore di fumetti più importante del mondo si è notevolmente alzata, gestendo alla grande l'unione delle tre componenti più importanti di questo tipo di prodotto: spettacolarità, azione ed ironia.
E' proprio quest'ultima, malgrado nel corso della visione si incappi in almeno due momenti drammatici, l'ingrediente più importante di Thor - The dark world, secondo capitolo delle avventure del Dio del tuono che diverte ed intrattiene il pubblico a prescindere dall'età dello stesso e riesce a migliorare il risultato portato a casa dal già discreto prodotto firmato Kenneth Branagh: mescolando scenari che paiono pescare a piene mani da Star Wars e Il signore degli anelli, Taylor e Gunn portano il Dio del tuono ad una dimensione più simile a quella dei film d'avventura anni ottanta fatta di battute pronte a stemperare anche i momenti più bui delle vicende narrate, sviluppando parallelamente a sequenze a dir poco esilaranti - l'arrivo di Thor sulla Terra e l'incontro con Eric Selvig, astrofisico che aveva incrociato il cammino dell'eroe già nel primo capitolo e comparso anche nel già citato The Avengers - tematiche decisamente profonde come quella del rapporto tra fratelli, sfruttato alla grande per approfondire le figure di Thor stesso e di Loki, gettare le fondamenta per un eventuale terzo capitolo - davvero niente male la prima delle due "code" al finale - e presentare i due nella veste di insoliti alleati, sfruttando la loro fuga da Asgard per regalare all'audience il pezzo migliore - tecnicamente parlando - della pellicola, un ottimo crescendo costruito sul montaggio alternato e le narrazioni su piani temporali separati che pare uscita da un classico heist movie più che da una pellicola di supereroi.
Un risultato, dunque, sorprendentemente positivo che fa ben sperare sia nella realizzazione de I Guardiani della galassia - in uscita la prossima estate ed anticipato dalla seconda "coda" della conclusione, con un Benicio Del Toro più che gigioneggiante nel ruolo del Collezionista - che sarà a sua volta il traino per The Avengers 2, senza contare Capitan America: soldato d'inverno, pronto ad accogliere tutti i fan delle creature di Stan Lee tra qualche mese - un Cap con valori annessi e connessi sbeffeggiato clamorosamente da Loki proprio in uno dei primi passaggi della succitata fuga da Asgard -.
Certo, tutto appare fin troppo lineare, e Malekith con il suo sgherro Kurse avrebbero potuto essere resi decisamente più carismatici, ma siamo pur sempre dalle parti dei giocattoloni ad uso e consumo dei bambini grandi e piccoli pronti ad esaltarsi in sala assaporando tutta la magia del grande schermo: in fondo, per i più esigenti, si può sempre contare su un più che convincente Tom Hiddleston, ormai sempre più calato nel ruolo di Loki, uno dei villains più sfaccettati ed interessanti dell'Universo Marvel, non a caso ormai co-protagonista quasi fisso dell'universo degli Avengers cinematografici.
E se i risultati continueranno ad essere questi, allora ben venga un futuro (?) regno del Dio dell'inganno.
Qui al Saloon saremo tutti dalla sua parte.


MrFord


"Angel girl
in a cold dark world
I'm gonna be your man
angel girl
in a cold dark world
I'll make you understand."

Weezer - "Cold dark world" -




domenica 14 ottobre 2012

King Arthur

Regia: Antoine Fuqua
Origine: USA
Anno: 2004
Durata: 126'
 



La trama (con parole mie): siamo nel quinto secolo dopo Cristo, e l'Impero romano è allo sbando, schiacciato ai confini dalle orde barbariche pronte a dare inizio alla loro invasione.
Artù e i suoi cavalieri, discendenti di nobili guerrieri sarmati da generazioni costretti a servire l'esercito romano, sono al termine del loro periodo di leva durato quindici anni ed interamente trascorso come difensori della Britannia e delle terre a Sud del Vallo di Adriano: quando, però, il vescovo Germanius chiede loro di compiere un'ultima missione ed il senso del dovere di Artù smuove anche i suoi più riluttanti compagni, comincia a farsi strada nei cuori dei cavalieri l'idea che Roma non sia quella che hanno sempre sognato e difeso con il sangue ed il sudore, e che forse, con il ritiro di quest'ultima dalla Britannia e la minaccia dei Sassoni con la quale fare i conti, occorrerà mettere da parte la rivalità con le popolazioni locali guidate da Merlino e dare inizio ad un nuovo regno ed una nuova civiltà.




Il Cinema epico - così come la letteratura - è da sempre uno dei più "fortunati" della settima arte, considerate le sue possibilità di arrivare a stimolare sentimenti travolgenti in qualunque tipo di pubblico, dallo spettatore occasionale con ben poche pretese all'appassionato abituato ai colpi magici dell'autorialità: questo perchè, principalmente, gasarsi piace sempre a tutti, e molto, e l'idea di rimanere incollati allo schermo immaginando di lottare - ovviamente dalla parte giusta - per concetti come la libertà, la vita e, in una certa misura, la sopravvivenza finisce per coinvolgere anche chi non vorrebbe.
Di solito, pellicole come questo King Arthur fanno la fortuna delle grosse fette di pubblico - che di norma finiscono per uscire a mezzo metro da terra dalla sala - e causano notevoli snobismi tra i cinefili più colti, che in realtà non perdono occasione per buttarsi nella visione tenendo il tutto - esaltazione compresa - nascosto come un segreto peccaminoso: perchè nonostante la meraviglia di Capolavori come I sette samurai - in questo caso più che omaggiato da Fuqua, curiosamente chiamato a dirigere un lavoro di tale respiro dopo il discreto e tutto urbano Training day - o l'influenza di successi come Braveheart o Il gladiatore, l'epica di grana grossa riesce sempre in qualche modo a spuntarla, anche quando la qualità risulta decisamente bassa.
E' questo il caso di King Arthur, che perde clamorosamente il confronto con cult del passato come Excalibur o con titoli più recenti come I 13 assassini - anch'esso influenzato dal già citato I sette samurai - finendo nella stessa categoria di cose come Troy, L'ultimo samurai ed affini: eppure, sarà per il cast sicuramente interessante - da Clive Owen ad una Keira Knightley in versione Domino dei tempi andati passando per Stellan Skarsgaard e Mads Mikkelsen -, sarà per la resa tutto sommato buona dei combattimenti - lo scontro sul lago ghiacciato mi pare si rifaccia addirittura all'Alexandr Nevskij di Ejzenstejn - o per il comparto tecnico di tutto rispetto - ottima la fotografia firmata da Slawomir Idziak -, devo dire di essermi goduto la visione senza colpo ferire, riuscendo tranquillamente a far coesistere il giudizio "duro e puro" con la voglia di assistere ad un pò di sana avventura marchiata Secoli bui - periodo storico per me sempre molto affascinante - senza chiedere troppo al buon Fuqua, che lontano dalle strade di L. A. e dai traffici di South Central pare un pò spaesato, e finisce per pescare a piene mani dai punti di riferimento del genere.
Alcune idee risultano comunque interessanti - l'idea di rappresentare Artù ed i suoi cavalieri come dei riluttanti ufficiali al servizio di una Roma ormai sull'orlo del baratro, corrotta ed ottimamente rappresentata da una Chiesa melliflua e vile, funziona alla grande soprattutto agli occhi di un anticlericale come il sottoscritto -, i membri della Tavola rotonda caratterizzati - pur se non perfettamente - ognuno da un proprio carattere, look e preferenza in battaglia aiuta a far scattare l'immedesimazione e ad indurre il pubblico a scegliere da subito il proprio beniamino - nel mio caso, il Tristano di Mads Mikkelsen, dal look vagamente orientaleggiante e lontano parente del mitico One Eye di Valhalla rising -, lo scontro con i Sassoni ha il giusto livello di coinvolgimento - anche se, più che i barbari, a stimolare il mio istinto per le bottigliate sono stati i romani, con la loro Santa Chiesa e la tendenza alla schiavitù - ed il personaggio di Ginevra è finalmente rappresentato con le palle giuste per risultare interessante agli occhi del sottoscritto, stanco di vedere la futura moglie di Artù sempre portata sullo schermo come una damigella da vestiti griffati.
Poi, certo, occorrerà che vi tappiate il naso rispetto a cose non propriamente riuscite - Merlino ed i suoi paiono usciti dritti dritti dalla Pandora di Avatar - e consideriate di avere di fronte una pellicola completamente d'intrattenimento, ma tutto sommato, non penso sarà troppo difficile: immaginatevi giusto di essere a cavallo e brandire una spada come foste tornati bambini, e tutto sarà presto dimenticato.
Soprattutto i limiti.


MrFord


"I can hear you, can you hear me?
I can feel you, can't you feel me?
Fertility Mother Goddess
celebration, sow the seeds of the born
the fruit of her body laden
through the corn doll
you will pray for them all."
Iron Maiden - "Isle of Avalon" -


martedì 25 ottobre 2011

Melancholia

Regia: Lars Von Trier
Origine: Danimarca
Anno: 2011
Durata: 136'


La trama (con parole mie): Justine e Michael si sono appena sposati, felici e contenti e pronti a farsi due risate nonostante il loro ritardo al ricevimento del matrimonio a causa di una limo troppo ingombrante per i tornanti che portano al fiabesco eremo dove li attendono parenti ed amici.
Peccato che, appena arrivati, la sposa diventi una depressa completamente imprevedibile cui non frega più nulla di quello che ha attorno, più che altro perchè c'è qualcosa di molto più importante, ad attendere la Terra.
Qualcosa che si chiama Melancholia.
Un pianeta venuto da chissà dove che piove dritto dritto sulle nostre teste, pronto a seminare distruzione nella vita borghese e tutta certezze della sorella tutta d'un pezzo Claire, moglie del fu Jack Bauer, ex uomo d'acciaio improvvisamente convertito ad astronomia e cagasottismo.




Permettetemi di parafrasare L'attimo fuggente.
Escrementi.
Ecco cosa penso del Cinema attuale di Lars Von Trier.
Ho appena concluso la visione di quello che, da parte di molti, in questi giorni, ho letto essere considerato un Capolavoro.
Mi ci sono voluti un bel pò di patatine, altrettanta Coca Cola e molto, molto più Jack Daniels.
Non tanto perchè fosse noioso - e lo è stato, senza se e senza ma -, o perchè la tanto celebrata Dunst non sia stata minimamente all'altezza delle sue interpretazioni migliori.
Non tanto perchè il buon Lars passi le due ore e oltre della pellicola a smanettarsi di fronte al seno della suddetta.
Non tanto perchè pare quasi di avere di fronte un figlio di papà che più borghese non si potrebbe tentare - senza successo, peraltro - di disconoscere la sua natura.
Più che altro perchè Melancholia è l'ennesimo tentativo di riportare Kubrick in sala cercando di dimostrarsi l'erede ultimo di quello che è stato uno dei più grandi registi di tutti i tempi.
Ci aveva già provato, con risultati decisamente negativi, anche Malick, qualche mese fa, in occasione dello stesso Festival di Cannes che ha visto Von Trier cacciato per le sue inutili sparate da esibizionista dall'ego troppo grande perchè il talento possa sorreggerne le ambizioni.
E dove ha fallito Malick, dal sottoscritto sempre profondamente amato, cosa poteva fare il povero Lars, autore di uno degli scempi cinematografici più clamorosi di tutti i tempi - per chi non lo sapesse, Antichrist -?
Niente, è la risposta.
Tant'è che Melancholia si rivela pessimo fin dall'incipit, che cerca di ricalcare l'unico barlume di talento intravisto nel crimine contro il Cinema citato poco sopra: una sequenza terrificante di immagini random che vorrebbero sconvolgere lo spettatore - o creare aspettativa - di quello che si rivelerà poi la pellicola: un'interminabile attesa del momento in cui Melancholia metterà fine alle sofferenze dello spettatore, intrappolato in un incubo che rimanda - oltre a Kubrick - all'Altman di Un matrimonio e a Bergman, ovviamente senza raggiungere neanche per scherzo i livelli di Maestri che l'ex profeta del Dogma potrà solo e soltanto continuare a sognarsi, almeno quanto le tette della Dunst, che insegue per buona parte della pellicola e sfodera per il suo - e di numerosi spettatori - piacere in una scena che sfiora per ridicolo le peggiori della sua indecorosa opera precedente.
Infarcito di terrificanti prese di posizione - siamo soli nell'universo perchè io lo so - e da una spocchia che vorrebbe tanto, ma proprio tanto, sconvolgere quelli che sono i dogmi - per l'appunto - della più "buona" società di cui il regista è il primo e più importante esponente - un pò come il suo irritante cast, Rampling e Hurt su tutti -, a Melancholia non basta l'attesa, ma desidera ardentemente che noi martiri in sala si vada fino in fondo: in questo senso, diviene agghiacciante ed involontariamente ridicola tutta la prima parte dedicata alla festa del matrimonio, preludio di una ancora più terribile seconda metà completamente dedicata all'apocalittico arrivo del pianeta "nascosto" pronto a cancellare la nostra esistenza dall'universo - e se non c'è nessuno a parte noi, chi se ne fregherà mai, dico io!? - nel corso della quale le due sorelle protagoniste danno libero sfogo all'agghiacciante approccio del regista, neppure per un istante sincero o sentito.
Tutto, in questo film povero e traboccante ego, è vuoto ed assolutamente lontano a quello che dovrebbe essere il grande Cinema.
Le uniche cose azzeccate paiono essere il "bacio" tra i due pianeti nel delirio dell'incipit e la presenza di Antares e del "mio" scorpione.
Ne avevo già parlato, in occasione di Drive.
Lo scorpione non perdona.
E adora pungere le sue rane.
Specialmente quelle che pensano che il loro saper nuotare implichi, in qualche modo, il fatto di essere prescelte.
E a voi anfibi insignificanti dico: la vostra grotta magica non vi servirà.
Se questo mondo cattivo di cui tanto avete paura dovesse essere schiacciato da questo piccolo pianeta melanconico, finirete in polvere come tutti noi.
A proposito della grotta magica: ancora rido, cazzo.
La grotta magica.
E di nuovo ho Antichrist davanti agli occhi.
Fortunatamente solo per un istante.
Perchè poi penso alle tette della Dunst.
E al fatto che Von Trier deve averle desiderate oltre ogni limite. 
Ma c'è un ma.
Von Trier, per loro, l'avrà sempre davvero molto, molto piccolo.
E puzzolente.
E la macchina da presa - mi spiace per te, Lars -, non potrà mai essere un surrogato valido.

MrFord


"La noia è come il blues ti fa pensare a dio
leggera come un gas che penetra il tuo io
la noia è nostalgia di un posto che non c'è
è voglia di andar via da tutti e anche da te
è la malinconoia che uccide a questa età
è il cuore che si scuoia cercando quel che ha già
e il cielo cade giù con la sua tenda buia
e non esisti più nella malinconoia."
Marco Masini - "Malinconoia" -




Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...