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venerdì 29 dicembre 2017

Ford Awards 2017: i film (N°30-21)



Ed eccoci giunti alla classifica più importante, quella dedicata ai film che più hanno conquistato i favori del sottoscritto tra quelli usciti in sala nel corso dell'anno: ovviamente, come di consueto, mancano all'appello alcuni titoli più o meno importanti, e considerato che nonostante un inizio anno notevole la qualità si sia abbassata a questo giro ho deciso di diminuire il numero dei titoli in classifica dai consueti quaranta a trenta.
Scopriamo dunque quali sono gli apripista della classifica.


N°30: L'INGANNO di SOFIA COPPOLA


Apre la classifica Sofia Coppola, regista discontinua ma di talento, che riporta sullo schermo un classico di Don Siegel, La notte brava del soldato Jonathan, riuscendo comunque a non sfigurare troppo nel confronto. Nell'anno della rivincita delle donne, una pellicola che pare quantomai attuale.

N°29: DUNKIRK di CHRISTOPHER NOLAN

 

L'illusionista del Cinema, Christopher Nolan, torna sul grande schermo con un film bellico celebratissimo - forse troppo - alla sua uscita, considerato dal primo giorno uno dei favoriti per la prossima corsa agli Oscar. Peccato che, nonostante l'indubbia ed incredibile tecnica, al cuore non resti nulla se non una bella confezione.
N°28: CARS 3 di BRIAN FEE

 

Alle spalle la delusione cocente di Cars 2, Saetta McQueen torna sullo schermo con un terzo capitolo decisamente nelle corde del primo, grazie al quale assistiamo al passaggio di ruolo del protagonista da allievo a maestro. Parabola sul rapporto tra vecchie e nuove generazioni che conserverò tra i ricordi più vivi in quanto primo film visto in solitaria al Cinema con il Fordino.
N°27: THOR - RAGNAROK di TAIKA WAITITI


Irrompe nella classificona il Dio del Tuono in versione Taika Waititi, fracassonata divertentissima che pare uscita dritta dritta dagli anni ottanta e che rilancia alla grande lo spirito più guascone dei film Marvel del Cinematic Universe sul modello di Guardiani della Galassia - ma avremo modo di riparlarne -. Ci si diverte, ci si intrattiene, si spacca. 

N°26: DETROIT di KATHRYN BIGELOW

 

La cazzutissima Bigelow, più che attesa alla vigilia, è una delle delusioni di questa classifica: avrei voluto che Detroit irrompesse come una tempesta piazzandosi decisamente più in alto, ma benchè la confezione sia ineccepibile, questo lavoro comunque importante ha lo stesso difetto di Dunkirk. Si ammira, ma non si ricorda.

N°25: IL DIRITTO DI CONTARE di THEODORE MELFI


Il The Help del duemiladiciassette. Forse confezionato per le candidature ai passati Oscar, ma genuino, piacevole e scorrevole da guardare. Inoltre, parliamo di una storia vera che non ha perso in termini di attualità ed è in grado di mettere d'accordo spettatori con gusti profondamente diversi tra loro. 

N°24: T2 - TRAINSPOTTING 2 di DANNY BOYLE

 

I ragazzacci di Welsh e Boyle tornano sullo schermo a un ventennio di distanza dal cult che li aveva consacrati, e spazzano via i sospetti di una bieca operazione commerciale con un perfetto mix di nostalgia ed ironia. Tornare da Bagby e soci è stato come rivedere gli amici del quartiere che si sono persi con la vita, e continuare, con loro, a scegliere a vita stessa.
N°23: BORG MCENROE di JANUS METZ

 
 
Una delle sorprese di fine anno. Senza strafare in termini di tecnica ed originalità, Metz porta sullo schermo con grande tensione e partecipazione uno dei match più belli della storia del tennis, e lo fa riuscendo nella non facile impresa di rendere al meglio lo spirito che c'è dietro la pratica sportiva, a qualsiasi livello sia praticata.

N°22: GIFTED - IL DONO DEL TALENTO di MARC WEBB

 

Alle spalle l'ottimo 500 giorni insieme e i decisamente meno interessanti Spider Man, Marc Webb torna in un territorio che gli è più congeniale, e regala al pubblico uno di quei film dei quali innamorarsi senza chiedere troppe spiegazioni, ma seguendo la pancia ed il cuore.
Immedesimazione o età, ho trovato vivo e sentito il racconto di questo rapporto che mette i sentimenti prima del talento, e ricorda a tutti che non esiste un genio senza qualcuno che lo sostenga.

N°21: SCAPPA - GET OUT di JORDAN PEELE


Una delle sorprese più piacevoli della stagione: in bilico tra tensione e spavento, critica sociale ed ironia, Jordan Peele regala al pubblico una piccola chicca che, con un finale meno consolatorio, avrebbe conquistato una posizione ben più alta di questa.
Un paio di scene sono instant cult, gli interpreti funzionano, il messaggio è chiaro. Avercene.


TO BE CONTINUED...

lunedì 4 dicembre 2017

Borg McEnroe (Janus Metz, Svezia/Danimarca/Finlandia, 2017, 107')




Fin da bambino, ho sempre amato lo sport, praticato o vissuto da spettatore.
Merito, senza dubbio, della grande passione - ancora coltivata - di mio padre per il ciclismo, dei suoi racconti dei grandi campioni che l'avevano appassionato in gioventù, da Alì a Gilles Villeneuve, passando per Merckx e Rivera: e fin da bambino, pur non eccellendo tanto da poter quantomeno sognare una possibile carriera, ho sempre trovato lo sport praticato una valvola di sfogo, un banco di prova, un modo per crescere ed imparare.
Ricordo i tempi del calcio alle elementari e medie, del ciclismo e della pallacanestro tra le superiori e l'università, la palestra prima ed il crossfit oggi: e poi le grandi emozioni da spettatore, dalle stagioni passate ogni domenica a San Siro alla morte di Senna, dagli Harlem Globe Trotters visti dal vivo nell'allora Palalido di Milano all'Italia di USA '94 trascinata da Roberto Baggio, le grandi imprese di Chiappucci o i Mondiali del duemilasei.
Lo sport è un campo di prova e di crescita personale, che mette di fronte ogni suo praticante con i propri limiti, la paura, la fatica, il desiderio di farcela e la coscienza che, a volte, non ce la si può fare.
Lo sport che, individuale o di squadra, ci mette soli contro noi stessi, soli nella celebrazione più profonda di una vittoria o nella delusione più cocente di una sconfitta.
Borg McEnroe, racconto senza dubbio noto agli amanti dello sport in sala per metodo di narrazione, ha la sua forza proprio nel saper raccontare questo: a prescindere dai punti di vista personali - e quasi mai se ne trovarono a confronto due tanto diversi come quelli di Borg e McEnroe, due tra i tennisti più forti di tutti i tempi, per la prima volta a confronto su un palcoscenico unico come quello di Wimbledon nell'ottanta, il primo algido e controllato, il secondo iroso e ribelle -, lo sport forma chi lo pratica e mette in competizione ma anche accanto chi si trova testa a testa in qualsiasi disciplina.
Ricordo quando, ai tempi dell'infanzia e di buona parte dell'adolescenza, per me fosse un problema pensare di emergere e vincere, quasi la paura di affermarsi fosse incredibilmente più grande di quella di uscire sconfitti, e quanto ora, quando ad ogni allenamento il mio avversario è principalmente il me stesso dell'allenamento precedente, la sensazione che ho sia quella dell'adrenalina, dell'emozione.
Lo sport mette alla prova, logora, costa sacrificio e fatica, dolore e sofferenza fisica e mentale, ma fa sentire bene, forti ed in grado di comprendere chi condivide quell'esperienza come poche altre cose al mondo: Borg McEnroe ha colto in pieno questo spirito, e seppur non originale, è riuscito nell'impresa di trasmettere sensazioni che chi ha praticato una qualsiasi disciplina "sul campo" riconoscerà come sue pur non essendo stato un campione, perchè proprie dello spirito che sorregge questo tipo di confronti e manifestazioni fin dall'antichità.
Come se non bastasse, al lavoro di Metz va aggiunto il merito di aver reso uno dei match più belli ed importanti della storia del tennis praticamente come un thriller, che perfino qualcuno come il sottoscritto - che già conosceva il risultato - ha vissuto con il fiato sospeso fino all'ultimo istante, ennesima conferma che lo sport finisca per essere il Cinema più emozionante possibile, perchè pronto a pescare nel bacino profondo delle emozioni umane - bellissima la citazione di Agassi in apertura di pellicola, che mi permette di consigliare a tutti Open, splendida biografia del tennista americano - tanto quanto ad essere cassa di risonanza per le stesse, in grado di parlare a chi lo vive o l'ha vissuto sulla pelle così come a tutti coloro che si sono ritrovati ad incitare, soffrire, sperare e sognare da spettatori, non per questo meno toccati da quanto accadeva in un qualsiasi campo o disciplina.
Perchè qualcuno di noi sarà apparentemente controllato, metodico, superstizioso, vulcanico come Borg, e qualcun'altro iroso, ribelle, fuori dagli schemi come McEnroe; qualcuno giocherà da fondo campo, con furia e a due mani, e qualcuno sotto rete, tagliente come un rasoio; qualcuno vincerà oggi, ma perderà domani.
Perchè il bello dello sport è che non esistono numeri uno. O almeno, esistono solo per un pò.
E se non somiglia alla vita questo, nient'altro.




MrFord




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