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lunedì 13 novembre 2017

Thor: Ragnarok (Taika Waititi, USA, 2017, 130')






Dai tempi delle scuole medie sono sempre stato un discreto appassionato di epica, da Omero alle leggende legate a tutte le grandi religioni pagane e politeiste dell'antichità, pantheon asgardiano compreso.
Il mito del Ragnarok - praticamente una versione dell'Apocalisse dei nostri cugini del Nord -, pronto ad incombere, inevitabile come la morte, perfino sugli Dei abitanti di Asgard, mi aveva sempre affascinato, prima da studente e dunque da lettore di fumetti, per quanto, lo ammetto, Thor non sia mai stato - come Superman e tutti gli eroi troppo potenti e troppo divini, per l'appunto - tra i miei preferiti: curioso dunque che, dopo un primo film discreto ed un secondo che mi aveva intrattenuto alla grande, con questo terzo capitolo delle avventure del figlio di Odino le aspettative della vigilia fossero quelle di un Ragnarok formato bottigliate, considerate le peste e corna lette in rete a proposito del lavoro di Taika Waititi - che, al contrario, è un regista interessante del quale andrebbero recuperati Hunt for the wilderpeople e What we do in the shadows -, probabilmente alimentate dai radical senza via di redenzione.
Fortunatamente, questo Ragnarok è stato decisamente meno tempestoso e molto più divertente di quanto potessi sognare, ed il regista neozelandese è riuscito nella non facile impresa di confezionare uno dei film Marvel figli del Cinematic Universe più divertenti e spassosi, in grado di pescare a piene mani dalla tradizione delle pellicole d'avventura anni ottanta, dalla sci-fi, dal fantasy - mi è quasi parso di schiaffarmi un cocktail di Star Wars, Il signore degli anelli e Howard e il destino del mondo in versione buddy movie Nuovo Millennio, per intenderci - e regalare al pubblico un'opera piacevolmente ignorante, che con ogni probabilità se fosse uscita nell'ottantacinque ora sarebbe considerata un piccolo cult, pronta a superare per gradevolezza molti dei Marvel movies recenti per piazzarsi subito dietro il secondo Guardiani della Galassia nella scala di gradimento del sottoscritto, confermando la grande chimica tra i charachters di Thor e Hulk - sfruttato a mio parere perfettamente nella sua chiave più comica -, portando avanti una trama tipica di questo genere con l'eroe sottoposto a prove e difficoltà fino alla "rinascita" finale e regalando anche uno spessore nuovo a Loki, nemesi e fratellastro di Thor, che si conferma come uno dei personaggi più profondi ed affascinanti di questo mosaico al quale si continuano ad aggiungere sempre nuovi pezzi.
Un plauso, dunque, a Taika Waititi, pronto a non farsi schiacciare dalla grande produzione, al piglio scanzonato dell'intera operazione - stupende le comparsate di Matt Damon e dell'ormai forse immortale Stan Lee, creatore di Thor e di quasi tutti i personaggi che hanno fatto la fortuna della Marvel e dei sogni di milioni di lettori di fumetti in tutto il mondo -, alle botte da orbi che partono da un pianeta chissà dove al limitare dell'Universo e finiscono ad Asgard, agli elementi che rimandano ai prossimi step dell'operazione che porterà ad Avengers - Infinity War la prossima primavera ed alla coesione di un cast che probabilmente ha finito per sentirsi così a proprio agio ed in gran scioltezza da regalare una perla dietro l'altra, che si tratti di ruoli principali o secondari.
Forse manca l'approfondimento - in particolare di Hela e del passato di Odino, nonchè del rapporto tra quest'ultimo ed i suoi figli -, ma sinceramente quando un giocattolone è così ben costruito, e soprattutto godibile nel suo sfruttamento, poco importano le introspezioni ed i tecnicismi, le posizioni radical e tutto quello che ne consegue: sinceramente, perdendomi tra le risate, in più di un momento ho desiderato, benchè certe battute mi sarebbero inesorabilmente sfuggite, di avere ancora dieci o dodici anni e ritrovarmi di fronte a questo spettacolo, sognando di spaccare accanto a Hulk o di avere un compagno di lotta potente e dalla battuta pronta come Thor - quel "figlio di" rifilato a Surtur in avvio di pellicola mi ha fatto tornare dritto dritto dalle parti di Deadpool, per intenderci - con il quale sbaragliare l'avanzata del supercattivo - o cattiva, come in questo caso - di turno, correndo incontro alla battaglia come se Grosso guaio a Chinatown ed Il ritorno del re avessero deciso di farsi un giro di giostra nel colorato mondo dei Fumetti.
Urlando, ovviamente, a squarciagola.




MrFord




giovedì 26 ottobre 2017

Thursday's child




Prosegue la nuova tradizione delle ospitate nella rubrica settimanale dedicata alle uscite in sala condotta da questo vecchio cowboy ed il suo finto giovane nemico Cannibal Kid: oggi, a fare compagnia con il suo modo un pò sofisticato da quasi radical, Lisa Costa, blogger ormai veterana che sta segretamente tramando per prendere il posto del mio rivale come critica più snob della blogosfera.
Come sarà andato questo incontro?



"FORD SPACCA!"

Thor: Ragnarok

"Merda! Con questa roba tecnologica sono messo peggio di Ford!"

Lisa: Credo che la mia ritrosia verso i film Marvel sia ormai risaputa. Non ne ho visto nemmeno uno. Nemmeno Cumberbatch con Doctor Strange o l’ironia di Deadpool mi hanno spinta in sala. Dubito lo possa fare questo vichingo di cui di sfuggita -a Vienna, un paio d’anni fa- sono incappata nel primo finale chiedendomi cosa diavolo stessi vedendo, come diavolo lavorano i doppiatori austriaci e cosa ci facesse lì in mezzo Natalie Portman.
Sono più snob e radical chic del Cannibale, che so non disdegnerà la visione di questo film, con la scusa di demolirlo.
Cannibal Kid: Io e Lisa potremmo dare vita ai Blogger Avengers uniti contro i film Marvel. Io prendo la parte di Cannibal America, quando è piccolo e rachitico, naturalmente. A lei tocca la parte di Vedova Nera, anche perché è l'unica donna. Ford invece può fare la parte del cattivone di turno, quello che difende a tutti i costi questi cinepanettoni ammeregani, più che cinecomics.
Lisa comunque ha ragione. I primi 2 me li ero visti per Natalie Portman e questo terzo, benché lei saggiamente si sia tirata fuori, lo guarderò per farlo a pezzi. E senza manco bisogno del martello di Thor.
Ford: nonostante la sovraesposizione degli ultimi anni, adoro i film Marvel e sono pronto a schiantare il martello di Ford in testa a Cannibal ed alla sua piccola allieva radical chic Lisa, anche e soprattutto perchè i primi due Thor sono tra i più convincenti prodotti del Cinematic Universe, e dunque da questo terzo capitolo non mi aspetto niente di meno che non una bella lezione a chi continua ad osteggiarli pubblicamente per poi goderseli nel silenzio della cameretta. Vero, Peppa?

Good Time

"Secondo te siamo vestiti più da finti giovani come Cannibal o da finti tamarri come Ford?" "Non saprei, ma mi sa che nessuna delle due cose piacerà a Lisa Costa!"

Lisa: Posso fare la saccentella? (Risposta: sì, che tanto lo so che questa nuova versione a tre della rubrica del giovedì è fatta per andar contro la MIA rubrica)
I fratelli Safdie li ho incrociati nello splendido Heaven Knows What (momento spam: http://incentralperk.blogspot.it/2017/09/heaven-knows-what.html), piccolo film dal sapore davvero indipendente. Ora voglio proprio vedere cos’hanno combinato con una produzione più grande, un attore più conosciuto –quel Robert Pattinson che in quanto a scelta di progetti per smarcarsi da certi ruoli teen è da applaudire- e soprattutto una storia diversa: quella di una rapina in banca finita male, e di un fratello in prigione da salvare e far evadere.
Io me lo segno.
Cannibal Kid: Lisa Costa che fa la saccentella me la immagino con la voce di Lisa Simpson, chissà perché...
Nonostante il suo consiglio di recuperare Heaven Knows What sia ancora rimasto inascoltato, cercherò di guardarlo. Approfittando magari per fare una doppietta di questi promettenti fratelli Safdie, insieme al loro nuovo film interpretato dal vampiro preferito di Ford. A parte forse giusto il Vampiretto del film di cui parliamo sotto.
Ford: questi fratelli Safdie mi puzzano di radical lontano un chilometro, ma dato che non voglio essere tacciato di essere un tipo prevenuto, potrei quasi quasi raccogliere il consiglio di Lisa e seguire i propositi del Cannibale, sfoderando una doppietta che potrebbe anche significare l'ennesimo massacro per titoli solo apparentemente cool di quelli che Lisa e Cannibal sono soliti consigliare.

Terapia di coppia per amanti

"Smettiamo di suonare queste cose da concerto indie lisacostiano, attacca con un pò di rock in stile Ford, per favore!"

Lisa: Ultimamente Pensieri Cannibali si è dato alla strenua difesa del cinema italiano. Io resto titubante, soprattutto di fronte a commedie degli equivoci, romantiche e “psicologiche” che sembrano aver creato un nuovo filone di cui son già stanca. Non me ne voglia Sermonti che sempre mi affascina, ma questa terapia preferisco incontrarla su carta, in quel romanzo omonimo che grida più leggerezza e meno Ambra Angiolini.
Cannibal Kid: La difesa del cinema italiano fa molto Pensieri Cannibali del 2016. Nel 2017 il mio rapporto con le nostre pellicole si è invece un po' incrinato, tanto che sta quasi andando meglio il mio rapporto con Ford...
Nah, non è vero. Volevo solo spaventarvi un po', visto che Halloween si avvicina.
Quanto ad Ambra, ai tempi in cui ero un bimbetto dell'età dei protagonisti di It, Stranger Things e Big Mouth mi piaceva decisamente. Adesso mi sta un po' sulle scatole, anche se mai quanto Ford.
Riguardo al film, mi sembra che c'è poco da stare Allegri... :D
Ford: filmetto italiano che nonostante il simpatico Sermonti si prospetta come una di quelle robette che Cannibal finisce non si sa come per esaltare, forse per l'effetto che hanno avuto su di lui le fiction Rai. Io me ne tengo alla larga, e prenoto una bella seduta di terapia di coppia per me e Peppa tenuta dalla dottoressa Costa.

La ragazza nella nebbia

"Vestito come Ford mi sento proprio a mio agio."

Lisa: Un thriller tutto italiano, tratto dal romanzo di Donato Carrisi e da lui diretto al suo esordio dietro la macchina da presa. L’aria rude dei paesi di montagna e l’aspetto cupo dell’agente interpretato da Toni Servillo è quella polverosa che mi fa gridare “film fordiano”. Ma visto il cast che promette bene e la mia vena crime ultimamente rispolverata, credo gli darò una chance.
Sì, per questa settimana il cinema italiano da difendere è proprio quello più “vecchio”.
Cannibal Kid: Lisa me la immagino un po' come una ragazza nella nebbia, misteriosa e affascinante...
Ci sto provando?
No, dai, è andata da un po' a convivere e non mi va di fare il rovinafamiglie. E poi non vorrei passare per l'Harvey Weinstein di turno.
Più che gridare al “film fordiano”, che sarebbe un grido di terrore, mi fa gridare al “film da Mr Ink”, visto che quel topo di biblioteca mi pare abbia già parlato in più di un'occasione di questo Donato Carrisi, che se devo essere sincero non mi ispira troppo, soprattutto come regista. Toni Servillo poi mi gusta solo quando lavora con Sorrentino, quindi mi sa che aspetto di vederlo nei panni del Berlusca. Mi consenta, Signorina Costa.
Ford: più che domandarmi se questo film si rivelerà la solita roba all'italiana wannabe film ammeregano - molto probabile -, mi chiedo se la ragazza nella nebbia sia Lisa circondata dall'atmosfera fumosa del bar in cui è cresciuta o Cannibal che decide di andare a correre nelle prime ore del mattino in barba alle manifestazioni autunnali. E ho paura di scoprire la risposta.

Manifesto

"Ero abituata ai party mosci del Cannibale, non ce la faccio proprio a reggere i ritmi di bevuta di Ford!"

Lisa: Chi glielo dice a Ford e al Cannibale che il film-evento in questione è uscito solo per tre giorni (23-24-25 ottobre) e non c’è già più in sala?
Che poi mi son sempre chiesta, quanto ci vanno loro in sala?
In ogni caso, già li avevo preceduti parlandone la scorsa settimana nella MIA rubrica, e questa installazione con Cate Blanchett protagonista assoluta in 13 monologhi diversi, già la sono andata a vedere e se ne parlerà presto dalle MIE parti.
Cannibal Kid: Io e Ford in sala ci andiamo solo a vedere i film che contano per davvero. Tipo quelli con Boldi e/o De Sica. Non abbiamo tutti 'sti soldi da spendere come Lisa la capitalista. Questo Manifesto del cinema radical-chic mi sa di esperimento sulla carta molto interessante, ma nella pratica potrebbe rivelarsi pesante quanto uno di quei mattonazzi russi che un tempo il Ford si sparava per passare una serata relax leggera leggera. In più Cate Blanchett è sì un'attrice bravissima, però personalmente non è mai stata tra le mie preferite. Con questo tour de force che mette alla prova le sue doti recitative, e pure la pazienza dello spettatore, riuscirà a farmi cambiare idea?
Ford: mi pare che la rubrica di questa settimana stia diventando un manifesto di quella wannabe radical di Lisa, che rischia davvero di dover subire un paio di mosse di wrestling che il sottoscritto di norma riserva a Cannibal. Solo, saranno eseguite per l'occasione da Cate Blanchett in tredici modi diversi.

La forma della voce

"Ciao, mi chiamo Lisa, e sono una giovane e timida studentessa: non farete i bulli con me, vero signori Ford e Cannibal?"

Lisa: Ma chi l’ha fatto il calendario di questa rubrica? Altro film evento già passato in sala, quei film evento che si fanno pagare il doppio rispetto al solito e che però tra fan dell’anime fan faville. Io lo sono in parte, e prima o poi potrei anche vedermelo, visto il tema del bullismo mai così attuale.
Cannibal Kid: C'è il tema del bullismo, c'è un alone di romanticismo teen tipo versione anime di Colpa delle stelle, e c'è pure aria di piccolo grande cult. Credo che questo film, in modi e per ragioni diverse, potrebbe piacere a tutti e tre. L'unico di questa settimana.
Ford: il film pare interessante. Meno interessante il fatto che sia Cannibal a curare il calendario di questa rubrica. E ancora meno che la piccola Lisa venga qui come ospite a bullizzarlo. L'unico che ha questo dovere, diritto e piacere resto io.

Vittoria e Abdul

La versione da film in costume delle chiacchierate da radical di Lisa e Cannibal.

Lisa: Li sento già lamentarsi entrambi: un altro film di e per vecchini secondo il Cannibale, un altro film di Frears uguale a se stesso e che ha perso lo smalto per Ford.
Arrivo prima di loro anche in questo caso –ve l’ho detto, io, che nemmeno in due mi battono- e visto a Venezia posso dire che sì è un film con e di vecchini e che è sempre lo stesso Frears ironico e leggero, ma è come sempre capace di commuovere e smuovere gli animi. E mica e poco. Se volete saperne di più spammo la mia recensione qui: http://incentralperk.blogspot.it/2017/09/venezia-74-victoria-e-abdul.html
Cannibal Kid: Ford, uniamo le forze contro Lisa e contro il suo tentativo, destinato a fallire miseramente, di convincerci a vedere questo classico film da “matinée fra carampane” [WhiteRussian cit.].
Ford: per una volta le unisco volentieri, anche perché occorre che Lisa abbassi un po' questa cresta da radical, prima che piovano su di lei bottigliate a cascata. Il ruolo da snob poco sopportabile di questa rubrica è già stato assegnato da tempo.

Vampiretto

"E' inutile che ti vesti come fossi un ragazzino, sei un vampiro, hai settecento anni: non vorrai mica fare la figura del Cannibale!"

Lisa: Sarò anche la più accanita fan dell’animazione fra i tre, ma certi filmetti di serie B fatico a mandarli giù.
La presenza di Max Gazzé e Carmen Consoli tra i doppiatori dovrebbe farmi pensare a un film più profondo di quello che sembra –ovvero l’inutile e ripetitivo film a tema mostri per Halloween. Lascio però il campo ai fordini.
Cannibal Kid: Lisa, tra te e Ford non so chi sia più fan dell'animazione. Quando si tratte di bambinate assurde, di certo lui. Se però questa roba che sta al dark come i Tokio Hotel stanno ai Cure non la vai a vedere manco te, io mi tengo al largo come i vampiretti dai crocifissi.
Ford: ho visto il trailer di questa roba. E ho pensato che non l'augurerei neanche a Lisa e Cannibal. Che è tutto dire.

Cure a domicilio

"La prossima volta a portare le scorte di bottiglie a Ford ci mando Lisa Costa!"

Lisa: Sarò anche votata allo snobismo, ma quando un film arriva dall’Europa dell’est alzo lo sguardo al cielo. Mi aspetta un mattonazzo o una sorpresa di quelle da vera radical-chic? In questo caso –visto il trailer- il dubbio è lecito, e mando in avanscoperta gli altri due.
Cannibal Kid: Dal trailer 'sto film sembra uno di quei lavori del Dogma 95 girati dall'amico di Ford Lars Von Trier. Solo che siamo nel 2017 e ciò non fa più nemmeno radical-chic. Fa solo schifo. Le cure a domicilio comunque le manderei a Ford. Cure a opera di un certo Pennywise.
Ford: Pennywise manda a dirvi che la prossima volta che lo mandate a casa di Ford ci pensa due volte. L'ho chiuso nello sgabuzzino e costretto a leggere entrambi i vostri blog. Non l'ha presa troppo bene.

Il Vangelo secondo Mattei

"Certo che questi Ford e Cannibal sono davvero due tipi inquietanti. E non oso neppure immaginare quella Lisa Costa."

Lisa: Va bene il cinema italiano leggero e divertente, va bene quello più serio e di genere, ma quello intellettualoide e serioso no. Proprio no. Nel trailer si citano in ordine sparso Pasolini, la parola iconoclasta, e si legge Il Quotidiano. Cos’altro aspettarsi se non la pesantezza da un film simile?
Cannibal Kid: Cos'è 'sta roba? L'adattamento di Secondo Matteo, il libro capolavoro “scritto” da Matteo Salvini, in realtà opera del suo ghost-writer Ford?
A quanto pare no. Questo potrebbe essere persino peggio.
Oddio, peggio no, dai.
Ford: questa roba da salottino finto ribelle e tanto radical se la schiaffino pure i miei due compari qui presenti. Penso potrebbe rendere il loro Halloween decisamente spaventoso.

martedì 8 agosto 2017

Song to song (Terrence Malick, USA, 2017, 129')





Ebbene sì, nonostante tutte le bottigliate piovute sulla sua testa da The tree of life in poi, ho voluto ugualmente sottopormi alla tortura della visione di Song to song, ultima creatura del regista un tempo grandioso e meno prolifico di Kubrick, Terrence Malick, divenuto oggi una sorta di Woody Allen in preda a crisi di divinità e passata giovinezza pronto a sfornare una pellicola dietro l'altra, nonostante la recente tonnellata di merda distribuita con Knight of cups.
E posso affermare, sentendomi tranquillo e libero, che Song to song finisce per essere addirittura peggio.
Perchè, se nei suoi orrendi lavori precedenti Malick mostrava quantomeno di poter dilettare l'occhio dello spettatore con la sua perizia tecnica, ora pare di assistere all'esibizione da cazzo piccolo di un giovane regista figlio della generazione del 4K e della Go Pro, o di un uomo che, giunto alla vecchiaia, abbia preso a desiderare quasi morbosamente di finire preda di un incantesimo pronto a portarlo indietro di quarant'anni e metterlo nei panni dei vari Fassbender e Gosling, e di filosofeggiare a vuoto e scopare e pensare di essere in cima al cazzo di mondo, intoccabile ed invincibile.
Ma sai che ti dico, Terrence?
Hai tirato fuori un'altra merda.
Ed è vergognoso, considerato il regista che eri.
Sappi, con tutto il dolore che provo nello scrivere queste parole, che stai superando perfino Lars Von Trier.
Dunque, vaffanculo.
Ti salvi da parole peggiori - o da un singolo bicchiere in bianco, meno ancora di quando scrissi di Knight of cups - perchè sei riuscito a mostrare Rooney Mara e soprattutto Natalie Portman - che pure non è tra le mie preferite - come delle fighe stratosferiche.
Ma questo non cambia tutto il resto.
E non cambia quello che, ormai, penso di te e del letame che spacci per grandi produzioni artistiche.




MrFord




 

mercoledì 23 marzo 2016

Truth - Il prezzo della verità

Regia: James Vanderbilt
Origine: Australia, USA
Anno: 2015
Durata: 125'






La trama (con parole mie): siamo nel duemilaquattro, in pieno periodo elettorale con la sfida tra George Bush e John Kerry in pieno svolgimento, quando Mary Mapes, pluripremiata giornalista CBS fresca di un servizio che fece scalpore a proposito delle torture perpetrate dai soldati americani ai prigionieri iracheni ad Abu Ghraib, con la sua squadra si mette al lavoro su una nuova indagine che vorrebbe far luce sul misterioso periodo in cui Bush prestò servizio militare.
La tesi sulla quale il team si mette all'opera è legata al fatto che, tramite una serie di agganci altolocati in politica ed esercito del padre, a George W. fu di fatto parato il culo in modo che lui, come tanti altri rampolli di famiglie importanti del Texas dei tempi, evitasse di essere spedito in Vietnam.
Peccato che, una volta andata in onda la trasmissione preparata dalla Mapes e dai suoi, la politica e le alte sfere chiedano un tributo pesante in termini di pressioni lavorative e personali.








Una delle più grandi libertà conquistate dalla società più o meno civile nella quale viviamo è indiscutibilmente, almeno per quanto mi riguarda, quella di pensiero ed espressione della quale anche la blogosfera tutta fa parte: la possibilità di informarsi, parlare, essere curiosi a proposito del mondo e di se stessi, vivere la propria vita e le proprie passioni in prima linea, per evitare di ritrovarsi in un angolo e spegnersi lentamente.
Non conoscevo la vicenda di Mary Mapes e della sua squadra di reporter d'assalto, passata molto in sordina negli States ed uscita in Italia probabilmente trainata dal successo dell'altro film inchiesta principe del periodo, Il caso Spotlight, fresco di vittoria dell'Oscar come miglior pellicola, e le recensioni lette non deponevano certo a favore del lavoro - il primo dietro la macchina da presa - di James Vanderbilt, eppure il risultato è stato decisamente sorprendente in positivo.
Truth è un film dall'impianto molto classico - forse troppo, affermeranno alcuni -, sostenuto da un cast in grandissima forma - su tutti un Redford in spolvero totale ed una Cate Blanchett pazzesca - ma soprattutto in grado di raccontare una storia avvincente ed importante come quella di questo gruppo di giornalisti molto di pancia coinvolgendo e lasciando trasparire tutto il pane e salame che piace qui al Saloon, senza per questo cadere nella trappola della retorica e del buonismo - anche perchè, ma questa è cronaca, e attenzione allo spoiler eventuale, le cose non sono andate affatto bene per i nostri eroi di "60 minutes", storica trasmissione CBS -.
Inoltre, per quanto ormai sia lontana - fortunatamente - l'epoca di George W. Bush, e nella speranza che non se ne debba fronteggiare una di Donald Trump, è decisamente interessante seguire il percorso umano, professionale e legale che il team di Mary Mapes fu costretto ad intraprendere dopo aver messo nero su bianco - ed in televisione, alla portata del popolo americano, non dimentichiamolo - il passato da "imboscato" di Bush rispetto al servizio militare nel corso dei delicati anni del Vietnam, esempio di come e quanto - e non solo nel caso dell'ex Presidente USA - i privilegiati economici e sociali siano sempre riusciti - e, purtroppo, probabilmente sempre riusciranno - a salvare le chiappe alla facciazza di chi privilegiato non è neanche per sbaglio.
Interessanti, inoltre, anche le dinamiche interne del gruppo capitanato dalla Mapes e delle loro reazioni alle pressioni esercitate su di loro a seguito di quelle subite dalla CBS: dalla rabbia allo scoramento, dall'orgoglio ferito della stessa Mapes di fronte al padre alla delusione di Rather - anchorman leggendario nell'ambito del piccolo schermo statunitense - rispetto alle influenze sempre maggiori del Potere costituito a scapito della libertà di stampa, passando attraverso al legame costruito passo dopo passo tra il militare Charles e l'alternativo Mike Smith, tutto pare molto umano e senza dubbio in grado di stimolare una sensazione di partecipazione alla lotta di questi giornalisti nel pubblico, o almeno nella parte di pubblico che non riesce a tenere a bada la curiosità e la passione, la voglia di esprimersi e di sentirsi libero di farlo.
Non sarà raccontato in modo nuovo, originale o particolarmente potente, ma Truth è arrivato dritto al punto e lo ha fatto in modo naturale e sentito: per quanto mi riguarda, questo vale più di qualche acrobazia con la macchina da presa o trovata in termini di sceneggiatura, perchè colpisce il bersaglio grosso senza fronzoli o sotterfugi.
Dritto, tosto e coraggioso: un pò come Mary Mapes ed i suoi.




MrFord




"Se ho sbagliato un giorno ora capisco che 
l'ho pagata cara la verità,
io ti chiedo scusa, e sai perché?
Sta di casa qui la felicità."

Caterina Caselli - "Nessuno mi può giudicare" - 







lunedì 11 gennaio 2016

Carol

Regia: Todd Haynes
Origine: UK, USA
Anno:
2015
Durata:
118'







La trama (con parole mie): Therese, un'introversa aspirante fotografa che si barcamena tra un lavoro in un grande magazzino come commessa e la storia con un fidanzato che non ama nella New York degli anni cinquanta incontra proprio sul luogo di lavoro Carol, una donna più vecchia di lei, madre ed in procinto di divorziare, ricca ed affascinante.
Tra le due ha inizio un gioco di seduzione ed avvicinamento progressivo che le condurrà ad una vera e propria fuga alla scoperta di se stesse attraverso la provincia americana, verso Ovest, fino a quando Harge, marito di Carol, non metterà i bastoni tra le ruote alle due donne in modo da avere gli strumenti per ricattare la futura ex moglie rispetto alla custodia della figlia.
Cosa accadrà quando Carol e Therese dovranno scegliere quale strada prendere, e cosa sarà davvero meglio per il loro futuro?












Il Tempo, l'età e l'esperienza hanno un potere davvero enorme.
E' curioso quando si pensa a quanto si girava intorno alle cose quando si era ragazzini, e piuttosto che ammettere che una ragazza ci piaceva si negava all'inverosimile: ed è altrettanto curioso come una manciata di anni e di cicatrici possano cambiare radicalmente un approccio, un avvicinamento, un modo di intendersi.
Questione di prospettive, sempre e comunque.
Del resto, nessuno potrà mai percepire l'amore - o il sesso, ovviamente - a vent'anni come a quaranta, vivere una storia e raccontarla a se stesso e con il partner con un trasporto ed un modo di vedere le cose simile: noi stessi combattiamo una battaglia non solo contro il Tempo che inevitabilmente scorre, ma anche contro l'immagine che abbiamo avuto, abbiamo e speriamo di avere di noi.
Todd Haynes è nel pieno di un testa a testa di questo genere dai tempi di Velvet Goldmine, ed ha proseguito nella sua lotta anche con lo splendido Lontano dal Paradiso e l'ottimo I'm not here, giocando e non poco sull'estetica senza dimenticare una profondità decisamente passionale per prodotti sulla carta estremamente autoriali: non è da meno quest'ultimo Carol, accolto decisamente bene oltreoceano ma con molte riserve qui al Saloon, considerati i rischi concreti di polpettone d'essai buono giusto per Cannibal Kid.
Fortunatamente la vicenda di Therese e Carol ha finito per smentire ogni timore della vigilia, ed appoggiandosi a due splendide interpretazioni di due protagoniste impeccabili - Cate Blanchett e Rooney Mara, nonostante la prima mi stia sempre e comunque sul cazzo e la seconda abbia perso tutto il fascino della decisamente più fordiana Lisbeth Salander -, un comparto tecnico senza alcuna sbavatura - forse solo Steve McQueen riesce ad avvicinarsi alla classe delle pellicole di Haynes nel panorama mainstream mondiale - ma soprattutto ad un crescendo d'intensità che non solo inchioda alla poltrona a dispetto dell'apparente lentezza e delle quasi due ore di durata, ma smuove nel profondo proprio perchè in grado di raccontare con una passione smisurata una storia d'amore come ricordo quelle de I ponti di Madison County o I segreti di Brokeback Mountain, giusto per citare due tra i film romantici che ho più amato nella vita.
Ed il bello di questo magnifico affresco dipinto da Haynes sta proprio nelle differenze tra Therese e Carol, nella gioventù della timidezza, dello struggimento e dei sensi di colpa e nella maturità che pare sminuire l'amore ma che, di fatto, lo traduce in compromesso, rischio, dedizione verso i figli, che ad un certo punto della vita diventano la vera incarnazione del sentimento più forte che noi che calpestiamo questa terra possiamo provare - da questo punto di vista, il confronto legato all'affidamento della piccola Rindy di Carol e Harge è da brividi -: due realtà che possono sfiorarsi, ma forse non avranno mai la possibilità di vivere una accanto all'altra davvero, come tradotto in immagini dal perfetto ribaltamento della stessa sequenza girata da diverse angolazioni in apertura e chiusura della pellicola.
Così come il finale, volutamente sospeso, che quasi riporta alla mente l'altrettanto efficace Two lovers, pronto a lasciare nelle mani dell'audience una risposta che, a conti fatti, non sarà mai definitiva: Therese e Carol si guardano l'un l'altra come in uno specchio che porta la prima vent'anni nel futuro e la seconda altrettanti nel passato.
Se questo sguardo significherà qualcosa, non è dato saperlo, a meno di non immaginare un lieto fine.
Nel frattempo, resta la sensazione di un ricordo, una nostalgia, un momento che ha segnato il viaggio di due persone, che si è amato e odiato, e che, quando verrà l'istante in cui dovremo tirare le somme, senza dubbio tornerà, come un brivido, dalla pelle al cuore.





MrFord





"Oh, Carol
don't let him steal your heart away
I'm gonna learn to dance
if it takes me all night and day."
The Rolling Stones - "Carol" - 






giovedì 30 aprile 2015

Cenerentola

Regia: Kenneth Branagh
Origine: USA, UK
Anno:
2015
Durata:
105'






La trama (con parole mie): a grande richiesta del sottoscritto, torna al bancone del Saloon con una nuova recensione Julez, che ormai è diventata la specialista di casa Ford nello sciropparsi tutti quei titoli apparentemente molto poco fordiani che finisco per non avere voglia di schiaffarmi.
Questa volta tocca alla nuova Cenerentola targata Kenneth Branagh, regista che in passato è riuscito a regare al sottoscritto ottime soddisfazioni così come schifezze abominevoli.
Quale sarà stato il risultato, questa volta?
Alla mia compagna di viaggio l'ardua sentenza.









Finalmente un film che ti da esattamente quello che ti aspetti quando decidi di vederlo.
Che può essere un’arma a doppio taglio, eh.
Cenerentola è precisamente quello che è Cenerentola. 
La morale, l’insegnamento, l’attesa del buono, la fantasia, un bel vestito, scarpe inventate da De Sade o dal signor Compeed, il lieto fine, i buoni che vincono sui cattivi.
Questo mi aspettavo, questo ho avuto.
Certo io non sono tanto tipo da principesse (se escludiamo Ariel e Merida, ma loro non contano vero? Sono ancora rock vero?) e ad un principe azzurro, per quanto buono e profondo e ricco sfondato preferisco tutta la vita un Sawyer o un Tim Riggins che di principesco non hanno una favazza secca.

Merida rock.
Quindi Cinderella non è mai stata la mia fiaba preferita, anche perché hai voglia ad essere gentile (e si metta agli atti vostro onore che io lo sono eccome) ma dopo un po’, o anche prima, io le sorellastre le avrei sfanculate e avrei loro tagliato i capelli di nascosto o fatto lo scherzo del dentifricio nelle scarpe come in Il cowboy con il velo da sposa.
Eppure devo ammettere che, complice il comparto tecnico – di mestiere e centratissimo –, mi sono goduta questa favola che non pretende di essere il nuovo “geniale” genere degli stravolgimenti delle fiabe (vedasi Into the Woods), ma riesce nell'intento di rispettare il classico che non stanca mai.
Quindi non si grida al miracolo, non è stata messa una pietra miliare lungo la strada del mondo della settima arte, non c’è stata alcuna sorpresa, però avercene film che non deludono le aspettative, anche quando non altissime. 
E bravo Kennettone mio che ci avevi lasciato un po’ per strada con un’egomania che aveva inficiato i tuoi ultimi lavori. Siamo lontani dai tuoi migliori Shakespeare (Molto rumore per nulla) ma anche dai tuoi peggiori flop (Il flauto magico).

Principesse come piacciono a me.
Il principe (che stavolta non è protagonista delle terribili nozze di sangue) è sicuramente meno noioso di altri visti in precedenza.
Cenerella si comporta in un determinato modo non solo perché è scema ma perché crede nella magia della gentilezza, così come insegnatole dalla madre, di cui è la fotocopia.
La trasformazione di zucca, topi, lucertole e oca è veramente magica.
Non ci sono grandi buchi di logica e la storia scorre liscia e senza inciampi.
Insomma, niente male per un film dal quale non mi sarei aspettata praticamente nulla.
Se dovessi avere una figlia femmina glielo farei vedere volentieri. 
Salvo poi mostrarle le foto di Tim Riggins a petto nudo.
Giusto per insegnarle il buon gusto.



Julez



 
"I sogni son desideri
chiusi in fondo al cuor
nel sonno ci sembran veri
e tutto ci parla d'amor."
Maria Cristina Brancucci - "I sogni son desideri" - 




 
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