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lunedì 27 novembre 2017

Nemesi (Walter Hill, Francia/Canada/USA, 2016, 95')





Se si potesse legittimare una petizione a favore dell'old school, sarei senza dubbio il primo firmatario.
Le lezioni che giungono dal passato - soprattutto se con due palle considerevoli - non andrebbero mai dimenticate nel momento in cui si decide di costruire il futuro, a prescindere dal fatto che non si saprà mai, quando lo stesso diverrà passato, se sarà stato abbastanza forte da fare la differenza.
Walter Hill è da sempre uno dei registi più importanti per quanto riguarda il Cinema americano del sottoscritto: I guerrieri della notte, I guerrieri della palude silenziosa, Danko sono solo alcuni dei cult che questo spigoloso Maestro ha regalato agli appassionati ai tempi della sua consacrazione, prima che la stessa spigolosità e l'essere parte di un'epoca in cui non si facevano sconti finissero per relegarlo in un angolo del mondo dorato della settima arte.
L'ultima volta che il vecchio Walt aveva dato sue notizie la ricordo piuttosto bene, grazie a quel Jimmy Bobo che vedeva tra i protagonisti Stallone e l'allora non così conosciuto Jason Momoa, una tamarrata vecchio stile che non sfigurava affatto - anzi - rispetto ai tentativi maldestri dei registi attuali di lanciarsi in esperimenti dello stesso tipo, che mi fece gridare il bentornato ad un vecchio leone del Cinema a stelle e strisce: questo Nemesi - terribile adattamento italiano dell'originale The Assignement - non raggiunge, purtroppo, il livello del lavoro precedente del regista, ma senza ombra di dubbio conserva alcuni dei tratti distintivi di un Autore che non ha mai fatto sconti a nessuno e che ancora oggi paga per il carattere che l'ha sempre contraddistinto.
Il plot di Nemesi, del resto, sarebbe stato più che bene sia negli anni ottanta che - oso - nei novanta, regala buoni twist e quasi strizza l'occhio all'ondata di tentativi pseudo pulp - ovviamente di caratura minore - nati all'inizio degli Anni Zero - da Sin City a 300, sono molti gli esempi in questo senso -, un finale decisamente interessante ed un'idea di base fuori dagli schemi del genere: peccato, di contro, che un limitato budget ed un approccio forse troppo artigianale finiscano per minare un prodotto implausibile e sopra le righe ma potenzialmente molto divertente, finendo per giungere ad una via di mezzo che con ogni probabilità schiferà l'audience radical lontana da un certo tipo di pellicole e lascerà perplessi i fan della prima ora, abituati al meglio che questo grande regista ha regalato in passato.
Non una produzione, comunque, da sottovalutare, ma da seguire con attenzione non tenendo troppo conto della trasformazione decisamente imbarazzante della protagonista Michelle Rodriguez - che pare più mascolina in veste femminile che truccata decisamente male da uomo nella prima parte - quanto più del racconto a posteriori della "nemesi" Sigourney Weaver, pronto a regalare spunti di riflessione sia in termini di intrattenimento che etici, senza contare il suo strano rapporto con l'antagonista, personaggio comunque negativo e costruito sulle ombre almeno quanto il suo.
Un duello, dunque, tra villains - pentiti o no che siano - inedito in termini di trama e svolgimento, non perfetto nella messa in scena o nello stile ma ugualmente efficace, segno che, seppur invecchiato e limitato da fattori più legati a scrittura e produzione che non regia, Hill abbia comunque ancora qualcosa da dire, un dettaglio assolutamente non trascurabile che alcuni registi che potrebbero essere suoi figli o nipoti possono anche tranquillamente scordarsi di immaginare.
Potrà senza dubbio considerarsi ben lontano dall'essere in prima linea, ma Walter Hill conferma, almeno idealmente, di essere ancora ed indiscutibilmente un "guerriero".




MrFord



 

lunedì 13 aprile 2015

Fast and furious 7

Regia: James Wan
Origine: USA
Anno: 2015
Durata:
137'





La trama (con parole mie): Deckhard Shaw, fratello di Owen, ridotto in fin di vita in seguito allo scontro con Dom Toretto e soci, giura vendetta alla crew di fuorilegge dall'alto senso dell'onore e della famiglia, bypassando la resistenza delle forze dell'ordine e di Hobbs e colpendo al cuore il gruppo.
Minacciati e braccati, i nostri dovranno fare appello a tutte le loro forze e risorse per guardarsi le spalle l'un l'altro, mettere i bastoni tra le ruote a Shaw ed al contempo vendicarsi a loro volta per le perdite subite.
Ma a quali livelli arriverà lo scontro tra le due forze, pronte a sconvolgere lo status quo di qualunque luogo sul globo ospiti il loro faccia a faccia?
Cosa saranno disposti a perdere i contendenti di questa faida, ora che è diventata materia di vendetta e dunque assolutamente personale da entrambi i lati della barricata?








Quando ci si cimenta in un campo artistico, o nella critica dello stesso, occorrono sempre una buona dose di follia e di coraggio, ed è fondamentale non avere timore di rischiare, o di esprimere le proprie opinioni in assoluta libertà, condividendole con il mondo come un barbarico YAWP.
Proprio per questo, pane e salame a parte, ho sempre pensato che, quando si finisce per rifugiarsi nelle proprie idee, schemi e pregiudizi senza alcuno sforzo riposto nel gettare il cuore oltre l'ostacolo, quello stesso coraggio viene inevitabilmente meno, insieme all'ispirazione e a tutto quello che ne consegue di positivo.
E so bene che molti di quelli che leggeranno questo post, soprattutto dopo aver dato una sbirciata al voto, storceranno il naso come fossero depositari di chissà quale scienza infusa che la settima arte ha donato solamente a loro, eletti di chissà quale circolo ove possono fregiarsi del titolo di "re del cazzo e della merda".
Ma tant'è: non ho mai avuto paura di dire la mia, e tantomeno di scriverla.
Dunque, fiato alle trombe: Fast and furious 7 non solo è il film migliore della serie, ma anche l'action più tamarro, potente, sguaiato - e toccante, non dimentichiamolo - dai tempi di Expendables 2, nonchè uno dei vertici del genere da almeno vent'anni a questa parte.
E sì, istintivamente, artigianalmente, visivamente, caratterialmente mi è piaciuto da morire.
L'esaltazione di sequenze assolutamente lontane dalla realtà, auto che volano tra i grattacieli di Dubai o contro elicotteri in piena manovra, The Rock che con la forza del bicipite spezza il gesso dopo non si sa neppure quanti giorni di degenza in ospedale, Statham e Vin Diesel che si battagliano a suon di sprangate alternando ai colpi della domenica mosse di wrestling non ha prezzo per chi, come me, è cresciuto a pane ed action, e che ancora oggi, alle spalle anni passati a riscoprire i grandi Classici ed il Cinema d'autore, riconosce l'importanza di questi prodotti come figli della sospensione dell'incredulità che fu propria di quegli anni ottanta tanto bistrattati eppure assolutamente fondamentali per quella che è stata la formazione di ben più di una generazione di spettatori.
A questi brividi sopra le righe si aggiungano poi le sensazioni provate guardando l'ormai ribattezzato "lungo addio" a Paul Walker, il divertimento di godermi la pellicola in parte insieme al Fordino - che tra un gioco e l'altro, è stato distratto dai "bimbi grandi con le macchinine" - l'impressione di assistere ad uno spettacolo come quelli che mi facevano spalancare gli occhi più di vent'anni fa, fino alla commozione di fronte ad una parte conclusiva toccante e sentita, addirittura in grado di riportare alla mente le lacrime versate per il finale di Spartacus: onestamente non so se sia perchè anche io ho perso di recente un amico che era e sarà sempre in qualche modo parte della mia famiglia, ma soltanto i dieci minuti finali varrebbero un applauso a scena aperta per la sincerità con la quale Wan e tutta la crew protagonista di questa tamarrata si spoglia della realtà cinematografica per rendere - e bene - l'idea che una perdita di questo genere finisce per lasciare a chi resta.
E nonostante "non ci siano addii, ma arrivederci", riesce difficile davvero credere che quelle due vetture che si separano possano essere il preludio, prima o poi, di un nuovo incontro.
Così come riesce difficile pensare che chi pensa che il Cinema sia altro possa trovare intenso ed importante quello che è stato fatto qui, pur applaudendo ad un tempo il revisionismo storico - splendido, sia chiaro - di un altrettanto eccessivo Tarantino o gridando al miracolo di fronte a supposte invenzioni dai significati oscuri se non per i loro autori.
Eppure quello cui ho assistito con Fast 7 è un vero e proprio miracolo, nonchè uno sdoganamento di quella che è sempre stata considerata settima arte bassa, una cocktail in grado di mescolare (auto)ironia e machismo, botte da orbi e sparatorie improbabili con massimi sistemi cui di norma preferiamo non fare cenno per evitare di essere considerati troppo normali ma che, al contrario, fanno parte della vita di tutti noi, dal primo all'ultimo.
Perchè tutti noi siamo figli, padri, fratelli, amici, in qualche misura ed almeno una volta nella vita.
E questo film, per quanto i suoi difetti e le sue assurdità possano essere macroscopiche, mostra proprio questo, con una schiettezza che le pellicole cosiddette d'autore tendenzialmente non hanno quasi mai.
Non voglio fare una colpa a questi ultimi, ma un merito a Fast 7.
Personalmente, non mi intendo di macchine e detesto guidare, eppure quando mi trovo di fronte a gioiellini di questo calibro, non toglierei il piede dall'acceleratore neppure per un secondo.
Per me, la mia Famiglia, un amico fraterno.
E per il Cinema.
Che ha bisogno di respirare ossigeno vero, gridare all'orizzonte e sentirsi davvero libero.
Come solo quando diamo sfogo ai nostri istinti "bassi" sentiamo essere possibile.
Come mi sono sentito sui titoli di coda di questo grande film.



MrFord




"And oh, my my, it would break your heart,
if you knew how I loved you, if I showed you my scars,
if I played you my favorite song lying here in the dark.
oh my my, it would break your heart."
The Gaslight Anthem - "Break your heart" - 



Così come James Wan e soci hanno dedicato questo film a Paul, io dedico il post, una volta ancora, a Emiliano. Anche se per me esistono gli addii, e non gli arrivederci.



mercoledì 27 novembre 2013

Machete kills

Regia: Robert Rodriguez
Origine: USA, Russia
Anno: 2013
Durata: 107'




La trama (con parole mie): Machete, leggendario eroe rivoluzionario messicano, sconvolto dall'uccisione della sua partner Sartana, viene contattato dal Presidente degli Stati Uniti affinchè possa porre fine alla minaccia del predicatore Voz, che progetta un nuovo mondo da cercare nello spazio e dice di avere capacità precognitive praticamente divine.
Supportato - almeno apparentemente - dall'agente infiltrata Miss San Antonio, Machete si troverà ad affrontare nuove minacce e tentativi di toglierlo di mezzo dalla faccia del pianeta che dovrà debellare a suon di teste mozzate e proiettili, stando ben attento a guardarsi le spalle dai nemici, dagli alleati, dal misterioso killer Camaleonte e contando solo sulla vecchia compare Luz.
Riuscirà il nostro eroe a raddrizzare le cose e portare la sua lotta oltre l'atmosfera?






C'era una volta un regista promettente, un tizio da genio e sregolatezza, un brutto ceffo tamarro e sboccato cui poco importava della buona condotta, un bad guy vissuto all'ombra di un troppo grande compare - parliamo di Quentin Tarantino, mica l'ultimo degli stronzi - ed esploso proprio in un confronto diretto con lo stesso - niente discussioni, Planet terror mangia tranquillamente in testa allo spompato A prova di morte -, arrivando di conseguenza al punto più alto della sua carriera e maturazione proprio con una pellicola nata quasi per gioco dall'operazione Grindhouse, Machete.
E c'era una volta il suddetto Machete, antieroe messicano dall'animo rivoluzionario che un paio d'anni or sono era divenuto un'icona cult sia grazie al suo interprete - il leggendario Danny Trejo - sia grazie all'ironia, al sarcasmo e allo humour nero dalle forti tinte politiche delle sue avventure.
A quel punto, però, a guastare la festa è giunto il successo, insieme all'ammirazione non soltanto del grande pubblico, ma anche di quello di nicchia.
Il risultato, purtroppo e senza troppi giri di parole, è che Machete Kills, attesissimo sequel dell'appena citata pellicola, fa letteralmente, clamorosamente, indiscutibilmente cagare.
Finto, posticcio, noioso, assolutamente privo della profondità e dell'ironia del primo capitolo, scritto da cani e diretto senza la benchè minima passione o voglia, una carrellata di finto splatter da b-movie senza capo ne coda, uno spreco di denaro, risorse, volti e corpi che si sarebbero prestati decisamente meglio ad una sceneggiatura di altro - e più alto - calibro, senza contare che perfino la componente sopra le righe - e parlo sia del sesso che della violenza - appare, per quanto vistosa, volgare quanto edulcorata.
Un polpettone che va ben oltre la delusione - anche perchè, considerati i pareri che avevo letto in giro, c'era ben poco da aspettarsi se non una serata a neuroni zero -, e che entra dritto nel novero delle peggiori pellicole dell'anno, specie considerata la qualità che Rodriguez avrebbe potuto mettere nel suo lavoro, che purtroppo a questo punto e nonostante gli incassi disastrosi prospetta addirittura un terzo capitolo della saga, Machete kills in space, che considerato questo Kills e basta ha già il sapore della schifezza intergalattica.
Come Rob Zombie, il buon Rob Rodriguez pare essersi un tantinello sopravvalutato, dimenticando che la forza di ogni tamarrata che si rispetti è data quasi esclusivamente dall'autoironia, oltre ovviamente dalla saggezza di affidarsi a sceneggiatori competenti, perchè far ridere è sempre decisamente più difficile che fare schifo, o fare finta di farlo.
Sharknado docet, in questo senso.
Uniche consolazioni a questa visione davvero poco memorabile la presenza del fordiano Walton Goggins e di un discreto numero di signorine sempre belle da vedere, dalla tostissima Michelle Rodriguez ad Amber Heard - che mi ha fatto venire il dubbio se il suo fosse un signor push up o una signora operazione al seno -, dall'arrembante Sofia Vergara - che preferisco di gran lunga in Modern family - alla sempre ben accetta da queste parti Vanessa Hudgens - purtroppo in una parte davvero esigua -, e se vogliamo anche quella del sempre folle Mel Gibson, cui non riesco a non voler bene nonostante i suoi deliri pseudo religiosi, siano essi fiction oppure no.
Per il resto, più che da quelle di Machete kills, siamo dalle parti di Machete sucks.


MrFord


"Bang, bang, shang-a-lang
bang, bang, shang-a-lang
take it off
she bang-bang my shang-a-lang
she bang-bang my shang-a-lang
hey yeah."
Zz Top - "Bang bang" - 



venerdì 7 giugno 2013

Fast and furious 6

Regia: Justin Lin
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 130'




La trama (con parole mie): l'agente speciale Hobbs, supportato dalla nuova collega Riley, è alle calcagna di una banda dalle capacità incredibili che pare stia mettendo insieme un pezzo alla volta un'arma che potrebbe valere miliardi sul mercato nero e mettere in ginocchio un intero Paese capeggiata da un ex dei servizi segreti britannici di nome Shaw.
Per poter colpire il bersaglio grosso, però, Hobbs sa bene di doversi rivolgere ai migliori sulla piazza, ovvero Dom Toretto e la sua squadra, ormai in pensione a godersi i proventi dell'ultimo colpo brasiliano: per poter essere sicuro della loro partecipazione all'operazione, oltre all'amnistia e la possibilità di tornare negli States da uomini liberi, il mastodontico ufficiale è pronto a mettere sul piatto un'offerta che la famiglia Toretto non potrà rifiutare.
Tra le fila della banda di Shaw, infatti, figura anche Lettie, ex fidanzata di Dom creduta morta tempo prima nel corso di una missione d'infiltrazione.





Ai tempi del suo esordio cinematografico e dei primi capitoli, detestavo non troppo cordialmente il franchise di Fast&furious: troppo tamarro nel senso brutto degli anni zero e troppo poco rispetto a quello davvero divertente degli eighties, completamente - o quasi - legato alle corse d'auto clandestine - che per uno che ha preso la patente ad oltre trent'anni soltanto nell'estate duemilaundici non sono proprio come il miele per le api - ed affidato ad una coppia di protagonisti uno più cane maledetto dell'altro, Vin Diesel e Paul Walker.
Poi venne l'epoca dei Free drink del Saloon, e a seguito di una richiesta del mio antagonista Cannibale, finii per recuperare l'intera saga, dal pessimo capitolo ambientato a Tokyo fino ad arrivare in contemporanea all'uscita del quinto in sala: il risultato fu una parziale rivalutazione di situazioni e personaggi, certo non all'altezza degli action heroes che avevo amato alla follia nel corso dell'infanzia ma comunque in grado di garantirmi un pò di sano divertimento da neurone spento e quell'ironia da amicizia virile che tanto fa bene a noi maschietti che vorremmo sempre atteggiarci a duri, vissuti o entrambe le cose.
E' stato però solo con l'entrata di The Rock - alias Dwayne Johnson - nel cast che le cose hanno cominciato a prendere effettivamente un'altra piega: il quinto capitolo, infatti, è un vero tripudio di sequenze talmente ridicole da risultare divertentissime, un sacco di botte ed un'atmosfera finalmente degna di quelli che sono state le pellicole cult della mia giovinezza.
Il tutto senza contare una discreta perizia nel portare in dono allo spettatore un giocattolone da leccarsi i baffi, con tanto di finale con il botto che apriva la strada a questo sesto giro di giostra: questo - probabilmente non ultimo - film dedicato alle gesta di Toretto e soci, come di consueto - e nello spirito dei primi capitoli - legato a doppio fila ai temi della Famiglia e dei legami di sangue, amicizia ed amore - nonchè quel senso dell'onore da machos esibizionisti - riprende quasi dallo stesso punto in cui avevamo lasciato i protagonisti, gettandoli nella mischia per una sfida che, più che correre in macchina, li vedrà mettersi in qualche modo a nudo rispetto al pericolo, al desiderio di rimanere uniti - e di nuovo torna la Famiglia - ed al ritorno di Lettie, che sconvolgerà e non poco i nostri, finendo per metterli alla prova anche e più della lotta senza quartiere con Shaw ed i suoi, sorta di "gemelli cattivi" del Team Toretto neanche ci trovassimo in un cartone animato giapponese figlio degli ormai stracitati eighties.
Rispetto al precedente, si possono notare però due grandi differenze - evoluzioni o involuzioni, a seconda dei punti di vista - che pongono questo numero sei leggermente più indietro nella mia personale classifica di gradimento del brand: minutaggio a parte - centotrenta minuti sono decisamente troppi per un prodotto di questo tipo -, infatti, si notano da un lato la volontà del regista di cercare qualche spunto insolitamente profondo - i legami, per l'appunto, ma anche i rapporti che alcuni charachters hanno sviluppato tra loro, come Han e Gisele o la paternità di Brian - e dall'altro un aumento esponenziale dei numeri da fantascienza che i protagonisti riservano al pubblico più scatenato, dai carri armati in autostrada ai voli da un ponte all'altro, senza contare un The Rock talmente pompato da far apparire Vin Diesel - che non è esattamente Luigi il pugilista campione dei pesi paglia - come un ragazzino rachitico, sempre pronto a scagliare gente in giro per le sale interrogatori neanche si trattasse di bambole di pezza - ed è proprio questo il The Rock che vogliamo al Saloon, certo non la sua versione tiepida ed edulcorata di Snitch -.
Inutile che stia qui a sottolineare quale sia stata la parte che ho preferito: spero, con il settimo film che presto o tardi arriverà, di poter godere di uno spettacolo magari più breve ma completamente concentrato sull'aspetto più scanzonato, roboante e tamarro, senza regalare neppure un pensiero all'idea che, con un pò di profondità in più, si potrebbe portare questo tipo di blockbuster ignorantone ad un altro livello.
Non ce n'è bisogno: Fast&furious è Fast&furious.
Ci vogliono macchine veloci, gusto kitsch, inseguimenti, gran belle signorine ed un sacco di esplosioni e cazzotti pronti a riempire lo schermo: il resto - preghierine buoniste conclusive comprese - lo lasciamo volentieri al Cinema d'autore o ai successi per famiglie.
Qui si spinge sull'acceleratore. E non serve nient'altro.


MrFord


"Oh I'm begging Lord to save me and let me go,
to see my family,
and keep it inside,
dry eyes, while my brother weeps."
Ed Sheeran - "Family" -


mercoledì 10 ottobre 2012

Resident evil: retribution

Regia: Paul W. S. Anderson
Origine: Germania, Canada, UK
Anno: 2012
Durata: 96'




La trama (con parole mie): Alice, dopo gli sfaceli che fecero esplodere l'epidemia del virus diffuso dalla Umbrella Corporation in tutto il mondo e la resero portatrice di poteri sovrumani, si ritrova suo malgrado alleata dell'ex nemico Albert Wesker - l'uomo che la privò di quegli stessi poteri - prigioniera di una struttura che fu dell'ex Unione Sovietica all'interno della quale la corporazione sta sviluppando scenari ipotetici rispetto ad un nuovo propagarsi dell'infezione.
Il ritorno del computer Regina rossa e l'utilizzo di cloni ed infetti affetti da ogni genere di mutazione renderanno la fuga della donna una vera e propria impresa nonostante l'aiuto di una squadra inviata appositamente per darle una solida mano, ed una volta riconquistata la libertà l'incubo non sarà comunque finito: tra gli zombies e gli umani, infatti, pare essere divampata una vera e propria guerra.




Probabilmente Paul W. S. Anderson spera di stabilire un record di presenze fisse nella top ten fordiana dedicata al peggio della stagione per più e più anni di seguito.
Probabilmente Milla Jovovich non è ancora stata messa al corrente di essere la regina delle cagne maledette.
Probabilmente quel "retribution" nel titolo dell'ennesimo capitolo della saga cinematografica tratta dal franchise di videogiochi di Resident evil allude al fatto che chiunque assista a questo spettacolo andrebbe retribuito - e ringraziato - dalla produzione.
Probabilmente tante, tante cose.
E in mezzo a tutte loro, una sola, granitica certezza: l'ultima fatica dell'Anderson peggiore del Cinema è una schifezza di proporzioni bibliche che rischia davvero grosso di entrare prepotentemente sul podio della succitata classifica di fine anno anche a scapito di altre schifezze mortali uscite in sala nel corso degli ultimi dodici mesi.
Considerata l'esperienza "irripetibile" de I tre moschettieri, lo scorso anno, e assodato il fatto di aver trovato pessimi tutti - ma proprio tutti - i capitoli precedenti di questa serie, mi sarei dovuto costringere a risparmiare ad occhi e cervello una visione che neppure una sbronza da record sarebbe in grado di cancellare: regia ridicola, script scriteriato - Julez ha ipotizzato fosse il prodotto di un reality in cui un gruppo di sceneggiatori avrebbe composto una sequenza per ogni membro dello stesso senza curarsi di quello che gli altri avevano prodotto -, effetti speciali che di speciale non hanno nulla se non la pessima qualità, un cast che riuscirebbe a fare brutta figura perfino al cospetto delle "stelle troppo italiane" di Boris.
Eppure, per dovere di recupero delle novità in sala e forse per una discreta dose di masochismo legato alla settimana del rientro dalle ferie, non ho saputo dire di no.
Voi, però, che potete, ascoltate il mio consiglio: se un amico, il fidanzato, il marito, la moglie, l'amante, Gesù Cristo sceso appositamente sulla Terra, gli alieni o chiunque altro dovesse chiedervi di aggregarvi per una visione, fate un bel respiro, afferrate la prima bottiglia che vi capita a tiro e sfracellatela sulla testa del vostro interlocutore. Lui potrebbe anche non capire, ma tendenzialmente direi che potrebbe ringraziarvi una volta ripresosi per averlo salvato da una delle esperienze cinematografiche più imbarazzanti degli ultimi anni.
Dalla trama risibile ai personaggi tratteggiati a colpi d'accetta - non che fosse mai stata una grande attrice, ma Michelle Rodriguez non potrebbe finire più "lost" di così - fino all'incubo di un incombente nuovo capitolo, tutto prosegue come un videogioco a schermi di quelli che fecero impazzire generazioni intere nel corso degli anni ottanta senza per questo riuscire a conservarne minimamente il fascino, affidandosi ad interpreti che paiono le riserve delle riserve di attori di professione - il capo della squadra di supporto ad Alice, sosia sbiadito del Sawyer lostiano cui devo il "nome", pare essere stato ripescato dopo un rifiuto di Josh Holloway di tornare a sfoggiare le sue due espressioni in un altro film di infima categoria dopo il terribile Il respiro del diavolo - e a situazioni al limite del ridicolo.
Neppure la parte sguaiata, tamarra ed action riesce a mettere una pezza almeno ironica su un vero e proprio disastro, e soltanto il minutaggio breve e la totale assenza di ambizioni - uno dei principali difetti che portarono l'orrendo Gamer, altro film ispirato al mondo dei videogiochi, in cima alla classifica del peggio nel 2010 - risparmiano al pubblico la sofferenza del ritmo lento e lo sguardo fisso al contatore sul lettore pregando che i titoli di coda possano arrivare il più presto possibile o di addormentarsi senza ritegno prede della stanchezza.
A me, sfortunatamente, non è accaduto.
Forse avrei dovuto aspettare qualche giorno, con i ritmi di lavoro tornati a premere sulle palpebre la sera.
O forse non avrei proprio dovuto neppure considerare di schiacciare play.
Una cosa, però, voglio dirla: non mi ha fatto incazzare.
Ho solo riso forte pensando che forse Anderson può farcela davvero, a portare a casa il record di presenze tra i worst movies di casa Ford.


MrFord


"But you see, it's not me, it's not my family
in your head, in your head they are fighting
with their tanks and their bombs
and their bombs and their guns
in your head, in your head, they are crying."
Cranberries - "Zombie" -

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