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lunedì 23 luglio 2018

Jurassic World - Il regno distrutto (J. A. Bayona, USA, 2018, 127')






Non sono mai stato un fan sfegatato del franchise di Jurassic Park, e fin dai tempi del pur cultissimo primo capitolo non ho mai capito tutto il clamore che suscitò e le schiere di fan che riuscì a raggruppare: tant'è che, se non in molto posteriori recuperi parziali in televisione, non mi preoccupai affatto dei vari sequel fino a Jurassic World, firmato qualche anno fa da Colin Trevorrow che riportò in auge il brand e si presentò come il classico, cazzaro e divertente giocattolone che fa felici i bambini troppo cresciuti come questo vecchio cowboy.
Capirete, dunque, che le aspettative rispetto a questo nuovo capitolo - non che ce ne fosse bisogno, sia chiaro - erano decisamente più alte rispetto a quelli sfornati nel corso degli anni novanta, complici il ben assortito duo composto da Chris Pratt e Bryce Dallas Howard e la speranza che potesse ripetersi l'esperienza ludica e senza pretese del film precedente: e invece, al termine della visione di The fallen kingdom, il bilancio è stato decisamente peggiorativo rispetto al titolo che l'aveva preceduto.
La scelta, infatti, di evitare l'ormai classica location esotica dell'isola che funge da parco per i bestioni preistorici con una villa di campagna dagli oscuri segreti neanche ci trovassimo in un thriller gotico inglese anni quaranta/cinquanta - del resto l'autore è Bayona, che ha costruito la sua carriera su questo tipo di atmosfere - non risulta particolarmente azzeccata, così come la questione etica che poteva senza dubbio essere sviluppata in modo più profondo piuttosto che spettacolare rispetto al legame con la "nuova estinzione" dei dinosauri; come se non bastasse, il passaggio da popcorn movie d'avventura neanche L'isola di fuoco - straordinario gioco da tavolo risalente ai tempi della mia infanzia - fosse stato portato sullo schermo ad action thriller che rimanda ad una versione di Cluedo - altro mitico intrattenimento degli stessi tempi - risulta poco consono a T-Rex, Velociraptor ed affini, ricco di caratteristi ma privo, purtroppo, di carattere - anche goliardico -.
Inoltre, cosa da non sottovalutare nonostante la stanchezza di questo vecchio cowboy dell'ultimo periodo da pennica serale sul divano, per essere un prodotto quale si prefigge di essere, questo Jurassic World - Il regno distrutto ha messo a dura prova la resistenza delle mie palpebre in ben più di un'occasione, un segno certo non incoraggiante per un titolo d'intrattenimento estivo con queste caratteristiche, che dovrebbe sulla carta scuotere anche i più morti dei morti e garantire una visione rapida, indolore e senza pensieri dall'inizio alla fine.
Non ho idea se il tutto sia dovuto al tentativo neppure troppo velato di dare uno spessore eccessivo all'intero lavoro - sfruttando un meccanismo simile a quello della trilogia di Planet of the Apes - in vista di un numero tre che, a questo punto, non attenderò con la stessa impazienza, o se il cambio in regia abbia in qualche modo intorpidito l'atmosfera rendendola cupa come la nuova location, o se l'estate non mi permette di essere collaborativo rispetto a proposte anche vagamente più pesanti della più leggera delle commediacce o del più tamarro degli action movies, ma tant'è.
Sarò troppo old school, ma se devo pensare ai dinosauri immediatamente immagino giungle selvagge, inseguimenti mozzafiato, battute a raffica ed effettoni più che filosofeggiamenti, esperimenti biologici ed aste da crime: per quelli ci sono un sacco di thrillers e spy stories più adatti a ricoprire il ruolo di tentativo dal sapore gotico di mascherare una semplice trama di inseguimenti, mostri, sparatorie e buoni contro cattivi nella migliore tradizione del "film di cassetta".
E anche in quel caso, riuscire nell'impresa non è mai così semplice.




MrFord




 

mercoledì 11 ottobre 2017

Twin Peaks - Stagione 3 (Showtime, USA, 2017)




Se torno indietro nel tempo al periodo che si accavallò tra la fine delle elementari e l'inizio delle medie, ricordo bene l'impatto che ebbe Twin Peaks, folle creatura di David Lynch che cambiò radicalmente il mondo delle proposte da piccolo schermo iniziando la rivoluzione che portò, un passo alla volta - e grazie anche alla tempesta che fu Lost anni dopo - alla realtà consolidata attuale in cui i titoli per la televisione finiscono spesso e volentieri per superare in qualità quelli cinematografici.
Ricordo anche l'impatto che ebbe il charachter di Bob sul sottoscritto, diventando l'unico, vero, grande spauracchio per anni e anni, alla faccia di tutti gli horror che avevo divorato a mazzi fin da bambino.
Con Twin Peaks, e la morte di Laura Palmer, terminava in qualche modo l'età dell'innocenza delle produzioni da piccolo schermo, le regole venivano cambiate o sovvertite, la follia entrava a far parte del nostro mondo, ed il Male assumeva sembianze da porta accanto.
Un quarto di secolo dopo, a realizzare i sogni di fan accaniti e completare il puzzle, è giunta questa terza stagione atta a chiarire quello che accadde all'Agente Cooper al termine del finale della season two, chiusa tra il suo doppelganger, il sempre presente Bob, la Loggia Nera e dimensioni parallele varie - andatevi a rileggere il botta e risposta "futuristico" tra Julez, il sottoscritto e Cannibal in coda al post -.
Personalmente, non sapevo cosa aspettarmi dalla visione, in parte perchè la mancanza di un personaggio cardine come Bob si sarebbe sentita - l'attore che lo interpretava, Frank Silva, morì poco tempo dopo le riprese di Fuoco cammina con me -, in parte perchè, nonostante la sua struttura caotica, il finale della season two poteva tranquillamente restare così com'era.
Ed ammetto che non è stato così semplice, raggiungere il diciottesimo episodio.
In questo "nuovo" Twin Peaks, infatti, ci sono alcune cose al limite del geniale ed altre completamente assurde o campate in aria, cose decisamente positive ed altre clamorosamente negative.
Considerato che è impossibile scrivere una recensione normale di un lavoro come questo, analizzerò entrambi i lati della medaglia nel modo più razionale possibile, cominciando con le note dolenti.
Per prima cosa, il fan service: è stato criticatissimo rispetto a prodotti come Game of thrones, quando questo Twin Peaks pare creato ad uso e consumo dei fan; peccato che, per essere fan in grado di godere del servizio, si debba necessariamente essere cultori del lavoro di Lynch e Frost su Laura Palmer e soci a livello maniacale e quasi religioso, pena il cogliere meno la metà delle citazioni e delle strizzate d'occhio dell'Autore.
Segue a ruota il ritmo, assolutamente sfiancante per la sua lentezza in alcuni episodi.
L'evoluzione della storia, poi, passa dal passo alla volta ma non trattenete il fiato dei personaggi e delle varie vicende dell'intera stagione all'accelerata furiosa degli ultimi due episodi, quasi come se gli autori si fossero accorti troppo tardi di essere arrivati a ridosso del termine e si fossero trovati costretti a tagliare corto il più possibile.
Inoltre, questo Twin Peaks non è Twin Peaks: l'atmosfera di tensione e paura costante delle prime due stagioni non viene praticamente neppure sfiorata - se non in un paio di passaggi grazie a Laura e Sara Palmer -, e le location e le storie distanti anche "geograficamente" dalla "ridente" cittadina poco aiutano a tornare davvero per le sue strade, che paiono più che altro uno di quei locali dove si rifugiano gli over cinquanta pieni di nostalgia della loro giovinezza.
A salvare il salvabile, però, pensa Kyle MacLachlan, strepitoso nella tripla parte del Cooper cattivo, quello buono e soprattutto Dougie Jones, il vero asso nella manica della stagione, probabilmente il motivo principale per il quale dopo i primi quattro episodi ho deciso di continuare fino alla fine e gli ultimi due mi sono risultati assolutamente pasticciati ed inutili.
L'impacciato assicuratore di Las Vegas diventa l'emblema della genialità di un regista che ho sempre amato - e che continuerò ad amare - e della parte assolutamente imperdibile di questa stagione, dalla sequenza al casinò - quel mitico "Hellooooo!" sarà uno dei miei cavalli di battaglia per i prossimi mesi - ai due gangsters che lo gestiscono, dalle truffe assicurative al caffè, dalle rivincite di un loser alla magia del nonsense: per quanto mi riguarda, l'effetto dello scarafaggio rovesciato di Dougie non solo è il motore di questo prodotto, ma anche il motivo per il quale Lynch è stato considerato come uno dei grandi degli ultimi trent'anni negli States e non solo.
Curioso pensare come il Twin Peaks di allora fosse rappresentato dall'emblema della paura - almeno per il sottoscritto - Bob, mentre ora è lo spassoso Dougie a farla da padrone: forse sono cambiati i tempi, forse non ho capito nulla di quello che Lynch ha voluto raccontare, forse dovrei chiedermi "in che anno siamo?" come Cooper al termine dell'ultimo episodio, o forse dovrò aspettare altri venticinque anni per vedere dipanata la matassa.
Per il momento, poco importa.
Io tiro la maniglia, grido "Hellooooooo!" e mi butto a vivere.
Gli incubi e le grida li lascio a chi vuole perdersi nel Lato Oscuro.
O nella Loggia Nera.




MrFord

 


 

martedì 10 ottobre 2017

Blade Runner 2049 (Denis Villeneuve, USA/UK/Canada, 2017, 164')





Ho sempre pensato che, in barba al Tempo che ci condanna inesorabilmente e alle azioni che mostrano tutti i limiti dell'essere Umani, sia importante, fondamentale, cruciale per la vita venire a patti con se stessi e trovare un equilibrio nella strada che si decide di seguire, a prescindere da quale sia.
Potrebbe non essere la via più semplice, o quella che ci rende migliori, ma nel momento in cui la stessa contribuisce a renderci noi stessi, allora per quanto mi riguarda non ha bisogno di altre spiegazioni.
Blade Runner 2049, a prescindere dalla sue nobili origini e derivazioni, non ha bisogno di altre spiegazioni.
Così come Denis Villeneuve.
Racconta una storia vecchia quanto il mondo, legata al bisogno di identità, di affermazione, di pienezza, di indipendenza, di lasciare qualcosa in questo strano posto in cui siamo capitati e ci muoviamo, e lo fa attraverso immagini e mezzi tecnici clamorosamente superiori ed affascinanti, un ritmo che mette alla prova ma che nasconde la capacità di ammaliare, un Pifferaio magico della settima arte, un incedere che mette a confronto con una ricerca che esula dalla propria origine o Natura, e che porta ad inseguire la strada che condurrà al futuro, a prescindere da quale futuro ci attenda.
"Non hai mai assistito ad un miracolo", afferma Dave Bautista in apertura di pellicola.
Sinceramente, da ateo miscredente, mi sono sentito chiamato in causa.
Eppure, fotogramma dopo fotogramma, bellezza su bellezza, sogno su sogno, l'impressione è davvero stata quella di un miracolo legato - come fu per Arrival - al concetto di creazione, a quelle probabilità sfavorevoli che divengono metro di paragone per una nuova speranza, per qualcosa che non sarebbe dovuto neppure accadere e invece, contro ogni previsione, porta una mano appoggiata ad un vetro a cercare quello che riempie il significato della vita di qualsiasi uomo, replicante o chiunque vogliate o sognate di essere.
La fantascienza dell'epoca di Dick e quella della conquista dello spazio sono ormai tramontate per cedere il passo ad un nuovo sistema ed approccio, dalla rete ai social, dalla vita in condivisione al completamento di se stessi attraverso i mezzi di comunicazione: Villeneuve si adatta a questa nuova realtà portando sullo schermo qualcosa che ha il sapore ancestrale della creazione, dell'esplorazione - di noi e del mondo che ci circorda -, del tentativo di seguire lo schema solo fino a quando lo stesso non diviene una condanna, qualcosa che ci impedirà di vivere non solo un sogno, ma anche, e paradossalmente torniamo al discorso dell'ateo miscredente, l'idea del sogno che vorremmo vivere.
E nonostante l'atmosfera cupa ed opprimente, la sensazione di ineluttabilità, l'impressione che ho avuto di Blade Runner 2049 è stata quella di un inno al desiderio di vivere la propria vita, trovare la strada che permetta di farlo, a prescindere dai sacrifici e dai rischi, dai ruoli e da quello che ci si potrebbe aspettare da noi che stiamo vivendo, replicanti o umani.
Ed è proprio in quello, che io vedo il miracolo.
La lotta è ancora presente, sanguinosa e pronta a chiedere un tributo pesante in termini di vite e sacrifici, eppure mi pare, attraverso le immagini, di aver assaporato l'idea di una consapevolezza maggiore di quello cui è possibile aspirare, o cambiare, della ricerca che porta a confrontarsi con se stessi anche quando l'idea che finiamo per avere di noi è decisamente sopravvalutata rispetto a quanto il mondo richieda: lo stesso fatto che si possa anche solo immaginare che sia così finisce per essere confortante, a prescindere da quello che riservano imposizioni, missioni, compiti, ordini venuti dall'alto impossibili da ignorare.
Se non fosse per il suo passato ingombrante - che torna, comunque, più per aiutare ed essere aiutato che non per ostacolare -, Blade Runner 2049 sarebbe un film "contro", pronto a seguire un impianto classico - soprattutto in termini di svolgimento - e da un ritmo certo non sostenuto: ma le cose non sono mai semplici quanto potremmo sperare o credere, e dunque si finisce sempre a rimboccarsi le maniche e farsi il culo, nella speranza che, prima o poi, anche per noi, o qualsiasi altro ateo miscredente, venga dritto il giorno del miracolo.
Perchè sarà quello che cambierà ogni cosa.




MrFord




 

giovedì 23 febbraio 2017

Thursday's child







Nuova settimana di uscite e nuova puntata della rivalità ultimamente non così accesa tra il sottoscritto e Cannibal Kid, nella speranza che alcuni titoli che arriveranno in sala questa settimana possano rinverdire i fasti delle Blog Wars e non il clima di quasi accordo delle ultime settimane.
A meno che questi imminenti Oscar non compiano la magia di cambiare una delle lotte all'ultimo sangue più all'ultimo sangue della rete.


"Evvai! Ford ha battuto ancora una volta Cannibal!"



T2 Trainspotting

"Ford e Cannibal d'accordo!? Adesso nessuno esce di qui fino a quando non abbiamo scoperto come cazzo è possibile!"

Cannibal dice: Attesa alle stelle per il sequel di Trainspotting, uno dei sommi cult degli anni '90, il decennio più amato su Pensieri Cannibali e più detestato su White Russian. A smorzare l'entusiasmo c'è la consapevolezza che potrebbe essere un diludendo clamoroso. Questo rischioso seguito allora creerà dipendenza come il primo film, oppure manderà in overdose come una brutta scorpacciata di filmacci consigliati da Ford?
Ford dice: ai tempi della sua uscita e dell'ascesa a cult generazionale, avevo snobbato Trainspotting, visto come una specie di Graal da molti miei amici finti o veri alternativi che fossero allora, ma lo apprezzai parecchio qualche anno dopo, quando riuscii a vederlo con gli occhi di chi è più cresciuto, paradossalmente.
Il rischio di questo sequel è che sputtani proprio quel ricordo. Quello che spero, è che non lo faccia, e sia cresciuto insieme a chi lo ricorda come me. O perfino come Cannibal.

 

Jackie

"Non prestare i tuoi giocattoli a Ford e Cannibal. Quelli sono due mostri, te li rompono tutti."

Cannibal dice: E dopo il sequel di Trainspotting, ecco il nuovo film con protagonista Natalie Portman. Che questa sia la settimana cinematografica più cannibale dell'anno, e forse del decennio, per la gioia mia e la disperazione di Ford?
Ford dice: Pablo Larraìn è un regista che ha saputo, dopo un inizio pessimo almeno agli occhi del sottoscritto - il sopravvalutatissimo Tony Manero -, guadagnarsi uno spazio di tutto rispetto al Saloon.
Riuscirà a confermare tutto il buono con questa sua prima produzione "all-american"? Stando alle recensioni, potrebbe essere.
Io spero solo di non essere ancora una volta d'accordo con Cannibal in questo inizio anno.

 

The Great Wall

"Ford avrebbe preferito Stallone!? Adesso gli faccio cambiare idea a suon di frecce!"

Cannibal dice: Kolossal storico-action cinese che sembra costruito apposta per far felice Ford e per abbattersi (im)pietosamente contro il mio muro. Anche se lui probabilmente avrebbe ingaggiato Stallone, ma gli toccherà accontentarsi di Matt Damon. Io invece mi sa che passo... alla grande.
Ford dice: film che ho già visto e che sulla carta potrebbe rappresentare una fordianata spaziale, considerate l'action medievaleggiante e Zhang Yimou in regia.
Sarà andata davvero così? A breve la risposta.

 

Barriere

"Certo che quel Cannibal Kid ne spara, di stronzate, vero cara?"

Cannibal dice: Tra le barriere di Matt Damon e quelle di Denzel Washington, direi che preferisco queste ultime. Tra i film nominati all'Oscar 2017 di miglior film è uno dei pochi che mi mancano, ma vedrò di rimediare entro la notte delle stelle e bagnare così il naso a Mr. James Ford.
Ford dice: tra i nominati per il miglior film di quest'anno, Barriere è uno dei due che ancora mancano al mio appello.
Viaggiando però nel tempo tra quando scrivo queste righe e quando saranno pubblicate, dovrei averlo già visto in tempo per affrontare preparato almeno rispetto alle categorie principali la Notte degli Oscar.
A Cannibal Kid, invece, auguro una lunga notte senza Cinema. Per una decina d'anni almeno.


Beata ignoranza
 


Cannibal dice: Dall'alto della sua beata ignoranza, Ford bollerà facilmente questa come l'ennesima commediola italiana da evitare come la peste. Io che sono molto più illuminato e di larghe vedute, so invece che Massimiliano Bruno è uno che sa girare film non male e poi c'è Marco Giallini, dopo Perfetti sconosciuti e Rocco Schiavone idolo totale di Pensieri Cannibali, quindi la visione scatta quasi obbligatoria.
Ford dice: il Cinema italiano recente, per non so neppure io bene quale motivo, pare cominciare ad essere fin troppo sopravvalutato. Nonostante Marco Giallini, dunque, uno dei pochi nostrani in grado di mettere d'accordo il sottoscritto ed il Cucciolo Eroico, penso che salterò in attesa, chissà, di un recupero tappabuchi.

 

La marcia dei pinguini – Il richiamo

I pinguini abbandonano l'Antartide. Cannibal e Ford hanno deciso di trasferirsi tra i ghiacci.

Cannibal dice: Anche i documentari possono essere vittime della mania di fare sequel a tutti i costi? A quanto pare sì e così ecco che arriva il secondo episodio de La marcia dei pinguini, osannato docu premio Oscar da cui io ho sempre marciato alla larga, così come è bene fare ogni volta che nell'aria si sente puzza di fordianata.
Ford dice: ai tempi della sua uscita in sala, nonostante le strizzate d'occhio al grande pubblico grandi come un iceberg, trovai molto ben realizzato La marcia dei pinguini.
Inutile dire che un sequel, se non per raschiare il fondo del barile, non pareva proprio necessario.
Così come non pare necessaria la presenza di Cannibal in rete.

 

Bandidos e balentes – Il codice non scritto

"Un altro finito male per i consigli cinematografici di Cannibal!"

Cannibal dice: Thriller ambientato nella Sardegna degli anni '50 che lascio volentieri a Ford, ajò!
Ford dice: quando si parla di banditi, io sono sempre in prima fila. Questa volta, però, complice la Notte degli Oscar imminente ed il bisogno di contraddire sempre e comunque il mio rivale, credo rinfodererò le pistole e mi dedicherò ad altro.

 

domenica 12 febbraio 2017

Blair Witch (Adam Wingard, Canada/USA, 2016, 89')




Ricordo bene l'uscita in sala di The Blair Witch Project: eravamo a cavallo del Nuovo Millennio, e grazie ad una campagna pubblicitaria pazzesca, in molti si riversarono in sala per assistere a quello che prometteva di essere il nuovo cult per eccellenza dell'horror.
A distanza di quasi vent'anni, se si esclude il merito di aver di fatto introdotto nella cultura pop il genere "found footage", personalmente di quella visione ricordo solo delusione ed un senso di nausea terribile, tanto da farmi pensare, durante l'intervallo, di abbandonare la sala per evitare di innaffiare quelli delle file avanti a me con una robusta dose di vomito: fortunatamente da quel punto di vista le cose andarono per il verso giusto e riuscii a resistere da vero lupo di mare, mentre per il resto giudicai il film una robetta, dimenticandolo quasi all'istante.
Ora, è chiaro che, se dopo così tanto tempo a qualcuno viene in mente di tirare fuori dal cilindro un sequel, anche se quel qualcuno è l'ottimo Adam Wingard - che avevo apprezzato in You're Next e soprattutto The Guest -, non è che si possano strappare i capelli dalla testa per la gioia e l'hype incontenibili, tanto che ho atteso mesi per buttarmi nella visione di questo Blair Witch, per evitare di trovarmi di fronte all'ennesimo horrorino inutile, che non lascia alcuna traccia e soprattutto che non fa paura neanche per sbaglio.
Purtroppo, nel corso di un pomeriggio di gioco con la Fordina, da soli in casa e con poco tempo a disposizione - leggasi "se devi vedere qualcosa, buttati su un minutaggio abbordabile" -, alla fine ho capitolato.
E come si è rivelato, questo Blair Witch?
Esattamente un horrorino inutile, che non lascia alcuna traccia e soprattutto che non fa paura neanche per sbaglio.
Certo, le idee del film di partenza erano poche e confuse, e l'idea di buttare nel calderone il fratello di una delle persone scomparse dello stesso ossessionato dal desiderio di fare luce su quanto accaduto per accendere l'interesse del pubblico non aiuta, considerati i charachters di contorno quantomeno trasparenti e l'aggancio del protagonista per visitare i luoghi "del misfatto": oltre a tutto questo, si aggiunga la solita serie di pseudo spaventi più che telefonati, un paio di idee interessanti male sfruttate - il tempo "sfasato", il sole che non sorge -, il fastidio per le riprese a mano e non solo - questa volta, essendo a Nuovo Millennio più che avviato, abbiamo anche droni e dispositivi di ultima generazione che fanno pensare che il gruppetto di amici partito alla ricerca degli scomparsi doveva avere parecchio denaro da buttare, per una gitarella da aspiranti investigatori - e tutti i clichè tipici dell'horror - dalle ferite che si infettano alla minaccia della diffidenza tra i protagonisti -, e la frittata è fatta e servita.
Blair Witch rende bene il concetto che, con il suo predecessore, ha cercato di portare sullo schermo: si gira a vuoto, non ci si capisce nulla ed alla fine si torna a casa - forse - con un pugno di mosche.
O di fantasmi, che data la consistenza sono anche meno soddisfacenti da stringere.




MrFord




domenica 20 novembre 2016

The mechanic: resurrection (Dennis Gansel, Francia/USA, 2016, 98')




Qualche anno fa, in pieno tripudio da Expendables, recuperai The mechanic, action "filosofico" con Simon West in regia e Statham nel ruolo del protagonista, pellicola che partì benissimo - considerato il genere spaccaculi - e deragliò con una seconda metà troppo "cerebrale" per essere adatta ad un prodotto di questo tipo.
Memore solo in parte della delusione, scoperto questo recente sequel pronto a riportare sullo schermo il killer/tuttofare/chimico/artista della fuga/spaccaculi professionista Bishop, ovviamente è scattato l'immediato recupero, forte non solo della conferma di Statham, ma anche della presenza nel cast di Tommy Lee Jones, da anni orientato su film decisamente più autoriali di questo: e pronti via, i primi dieci minuti con ambientazione carioca - ritroviamo il "meccanico" a Rio - paiono un vero tripudio, con il Nostro come al solito lupo solitario in cerca di una nuova vita anonima ma goduriosa rintracciato da un gruppo di belligeranti tirapiedi di un ex amico che vengono debellati alla grande prima che Bishop possa deliziarci con un paio di voli neanche fossimo in Rio - questa volta il cartone animato - tra cabinovie e parapendio.
Peccato che, dopo averci ingolositi e non poco, Gansel e gli sceneggiatori - soprattutto - cambino rotta riportando le atmosfere della seconda parte del primo film a galla, inserendo perfino una parentesi da storia d'amore che si addice poco e male non solo a questo tipo di prodotti - mica tutti possono essere Rambo 2, in fondo -, ma anche a Statham, a suo agio nell'approcciare Jessica Alba almeno quanto Cannibal Kid in un quadrato di wrestling.
Un vero peccato, perchè se questo Resurrection doveva rivitalizzare un charachter dalle enormi potenzialità limitato da sceneggiatori che paiono usciti dall'Università della mancanza di logica degli horror peggiori e produzioni di livello televisivo - e non sto parlando di livello televisivo in stile True detective, per intenderci - non ci è riuscito se non a sprazzi - la sequenza dell'assalto alla piscina "sospesa" del trafficante di armi e uomini a Sidney è una vera chicca in stile Mission: impossible -, finendo per portare in scena un titolo che è una manna dal cielo per tutti i radical potenziali detrattori del genere botte da orbi, che non esiteranno, nel caso in cui dovessero osare e resistere all'intera visione, a sparare a zero su tutto e tutti, da Gansel, a Statham, a Jones - truccato neanche fosse tornato ai tempi di Batman - fino ai già citati sceneggiatori, sui quali neppure io, da fan accanito di queste tamarrate action, sento che si possa fare qualcosa.
Restano dunque le evoluzioni di Statham in bilico tra acrobazie, arti marziali, spara spara e soprattutto lezioni di coltello - come già visto nel mitico secondo film della già citata trilogia degli Expendables, il ragazzone inglese con le lame ci sa fare parecchio - e poco altro, compresa la speranza che, nel caso in cui si decidesse di optare per un terzo film, ci si concentri più sull'aspetto ludico buttando magari anche un pò di logica in forno insieme ad esplosioni, calci nei denti e via discorrendo, sacrificando nel contempo filosofeggiamenti ed inutili quanto sterili avventure amorose.
Santo cazzo, è un action con Statham che dovrebbe rompere culi senza requie dal primo all'ultimo minuto, non una commedia romantica.
Come giustamente afferma George Washington Duke in Rocky V, "è ora di fare lavorare questi muscoli".
E non posso che sottoscrivere in pieno.




MrFord




 

mercoledì 9 novembre 2016

Jack Reacher - Punto di non ritorno (Edward Zwick, USA/Cina, 2016, 118')





C'è stato un periodo ben definito della mia vita da spettatore in cui avrei spalato quantitativi enormi di merda su un titolo come questo Jack Reacher - Punto di non ritorno e tutti i suoi fratelli: un periodo in cui, ricordavo a Julez nel corso della visione, la mia unica priorità nell'ambito della settima arte erano i classici ed i film d'autore, grazie ai quali andavo alla ricerca del titolo impegnato a tutti i costi, e se non sfiorava quantomeno l'equivalente di un otto sul Mereghetti o sul Morandini finiva cestinato prima ancora di poter avere una possibilità.
Ma questo accadeva tra i quindici e i dieci anni fa, nel periodo in cui avevo non solo ripudiato il mio passato e la mia formazione di cinefilo fatta di action, horror e tamarrate, ma anche e soprattutto rimosso - o cercato di farlo - dal cuore il lascito emotivo degli stessi: fortunatamente l'età, l'esperienza e tutta un'altra serie di situazioni hanno finito per dare al sottoscritto una bella svegliata, e sottolineato innumerevoli volte l'importanza dell'intrattenimento non solo per il Cinema, ma anche e soprattutto per i classici ed i film d'autore sopra citati.
Dunque, già a partire dalla prima scena, mi sono sentito a mio agio con questo secondo lungometraggio dedicato al charachter spaccaculi di Jack Reacher pronto a massaggiare una volta ancora l'ego del folle, mitico e da me amatissimo Tom Cruise almeno quanto mi sento quando in un locale il barman capisce che quello che sta facendo l'ennesima ordinazione è davvero un bevitore da competizione.
Certo, la pellicola firmata da Edward Zwick - che aveva già diretto il Nostro anche ai tempi de L'ultimo samurai - non ha assolutamente nulla che possa permettere allo spettatore di ricordarla davvero - a due giorni dalla visione, scrivendo questo post, devo sforzarmi per trovare uno spunto interessante e non tirare a campare con ogni singola parola di queste righe -, sviluppa un plot già visto e sentito centinaia di volte - non mi pronuncio a proposito del romanzo che lo ispira, e che con ogni probabilità come spesso accade sarà qualitativamente migliore - e rinuncia totalmente ad una qualsiasi innovazione tecnica o di scrittura, eppure a mio parere viaggia come un treno ed è solido dall'inizio alla fine, perfetto per una goduriosa sessione da birra, patatine e rutto libero pronti ad ogni passaggio ad esaltarsi per le gesta del protagonista, reso alla grande da un ex Top Gun che per la prima volta - almeno ai miei occhi - mostra i segni dell'invecchiamento - e ci sta tutto, anche considerato il suo invidiabile stato di forma da ultracinquantenne -.
In un certo senso, affrontare questo Punto di non ritorno equivale più o meno ad assistere ad un episodio di 24 condensato in poco meno di due ore, con un main charachter che anche in difficoltà non darà mai davvero l'impressione di essere all'angolo, due personaggi femminili di spalla allo stesso che paiono stereotipati ma funzionano, dei cattivi ovviamente cattivissimi ed i consueti intrighi a livello di doppi giochi e spionaggio tipici del genere: tutto nella norma, dunque, privo di originalità ma perfetto per vestire i panni del prodotto rilassa neuroni confezionato con la perizia degli artigiani esperti ed in questo caso realizzato ad uso e consumo del superdivo di turno.
Tutte cose che, come scrivevo, ai tempi avrei quantomeno odiato.
Ora, invece, tra un disegno colorato con il Fordino e le nuove, intense sessioni del "voglio stare in piedi a tutti i costi altrimenti urlo come un'aquila" della Fordina, Jack Reacher mi ha aiutato a passare un sabato pomeriggio alla grande, esaltandomi selvaggiamente ad ogni colpo menato dal protagonista.
In fondo, il bello di invecchiare è tornare un pò bambini.
E penso che Tom Cruise ne sappia qualcosa.




MrFord




 

martedì 26 aprile 2016

Il cacciatore e la regina di ghiaccio

Regia: Cedric Nicolas-Troyan
Origine: USA
Anno: 2016
Durata:
114'







La trama (con parole mie): Eric il cacciatore, ormai da tempo in pace nel regno di Biancaneve, si trova al centro di una nuova guerra legata alla minaccia di Freya, regina del Nord responsabile dell'apparente morte di sua moglie sette anni prima e del suo addestramento fin dai tempi dell'infanzia. Coinvolto nel recupero dello Specchio magico, rubato dai goblin ma preso di mira proprio da Freya, Eric scoprirà non solo che sua moglie è viva, ma che l'illusione della Regina del ghiaccio ha convinto la stessa a motivare un odio profondo per lui.
Riuscirà dunque a ricucire il rapporto e compiere la sua missione?
E quando, proprio attraverso lo Specchio, la terribile e spietata ex regina Ravenna tornerà in vita, riuscirà l'uomo, aiutato dai suoi compagni di viaggio, a debellare ancora una volta la minaccia che rappresenta la matrigna di Biancaneve?











La vita dura dei sequel è da sempre una delle grandi certezze del Cinema, pronta a regalare più delusioni che non successi: quando, poi, il film originale non rappresenta certo una pietra miliare nella Storia della settima arte la situazione si fa anche più difficile.
Biancaneve e il cacciatore, uscito qualche anno fa sulla scia della nuova moda della trasposizione delle favole su grande schermo, pur non essendo niente di meritevole di essere ricordato, risultò quantomeno più piacevole di versioni da incubo della storia di Biancaneve come quella firmata da Tarsem Singh, e finì per non essere stroncato come si sarebbe convenuto qui al Saloon.
Con questo secondo capitolo, si cerca di mantenere un'atmosfera simile sfruttando il fascino della regina malvagia Ravenna - decisamente più carismatica di Biancaneve, e decisamente più bella da vedere, considerato l'impietoso confronto Charlize Theron/Kristen Stewart - affiancando a quest'ultima una versione piuttosto sciapa della protagonista di Frozen interpretata da Emily Blunt - che non poteva essere pesce fuor d'acqua più di così - opposte alla coppia Hemsworth/Chastain - che pare un omaggio non dichiarato alla sempre disneyana eroina di Brave, oltre che un gran bello spettacolo per la vista del pubblico maschile - testimoniando una ricerca, da parte degli autori, in termini di estetica piuttosto che di profondità o fascino della storia.
Per il resto, il risultato è un mix ancora meno interessante del precedente capitolo delle immagini ed atmosfere de Il signore degli anelli e Lo hobbit, con qualche schermaglia amorosa divertente tra i già citati Hemsworth e Chastain ed un paio di momenti spassosi con i nani che li accompagnano e richiami a Once upon a time, nel complesso, però, troppo poco interessante per risultare brutto o giustificare una stroncatura come si conviene: non bastano, comunque, l'alto coefficente di fascino femminile ed un ritmo tutto sommato scorrevole per non rimpiangere cose come Willow che, nel corso degli anni ottanta, risultavano magiche dall'inizio alla fine e che ancora oggi sanno imporsi senza neppure troppa fatica su cose inconsistenti come questa.
Quantomeno l'utilizzo del prequel come parte introduttiva della pellicola non risulta troppo indigesto, e riesce a legarsi e giustificare quello che accade nello svolgimento e nel finale della pellicola: senza dubbio, resta un popcorn movie poco significativo buono per una serata di svacco totale, per far contente le vostre signore ed essere sicuramente contenti anche voi - e non parlo di settima arte, ovviamente - e far salire ulteriormente l'hype per l'imminente nuova stagione di Game of thrones, che in ambito fantasy offre spunti, emozioni ed orizzonti decisamente più ampi delle favole rivisitate più per mancanza di idee che per esigenze - fossero anche solo economiche -.





MrFord





"You're like ice
I-C-E,
feels so nice
scorching me,
you're so hot hot
baby, your love is so hot, hot."
Kelly Rowland - "Ice" - 





domenica 1 novembre 2015

Sinister 2

Regia: Ciaran Foy
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 97'






La trama (con parole mie): Courtney, madre single in fuga dal violento ex marito insieme ai suoi due gemelli Dylan e Zach, trova rifugio in una casa in campagna di proprietà di amici senza sapere che la stessa è legata alla scia di morte lasciata nel nostro mondo dal demone Bughuul, che si incarna ed è legato agli stermini di famiglie intere ed alla possessione di uno dei figli delle stesse.
Parallelamente, un ex sceriffo che aveva vissuto da vicino la vicenda raccontata nel primo film della saga che affianca al proprio lavoro da investigatore privato una missione che lo vede contrapporsi proprio al Bughuul giunge al rifugio di Courtney e dei suoi figli con l'intento di distruggerlo, e finisce per ritrovarsi coinvolto nella lotta per tenere lontano da loro proprio il temibile uomo nero.








Ai tempi della sua uscita, approcciai il primo Sinister come una potenziale e cocente delusione, e rimasi sorpreso dall'opera di Scott Derrickson, che appoggiandosi ad un ottimo Ethan Hawke, confezionò uno degli esperimenti più interessanti dell'horror mainstream degli ultimi anni sfruttando gli effetti sonori ed i filmini ritrovati dal protagonista, un ottimo crescendo conclusivo ed un personaggio, il Bughuul, da ricordare e perfino capace di inquietare un veterano del mio calibro in un paio di passaggi.
L'annuncio del sequel aveva provocato una sensazione di sfiducia simile, che associata ad un paio di inaspettate recensioni positive aveva finito per instillare il dubbio che mi sarei trovato di fronte ad una sorta di conferma, e finalmente ad un prodotto di genere almeno vagamente soddisfacente.
Niente di più sbagliato.
La visione di questo secondo capitolo delle avventure del buon Bughuul - sfruttato, purtroppo, troppo poco - si è infatti rivelato una delusione sotto tutta la linea: noia, nessun tipo di spavento o inquietudine nonostante l'utilizzo massiccio di bambini, una delle fonti di brividi garantite da sempre dall'horror, una trama decisamente telefonata ed un crescendo che, più che alimentare la tensione, finisce per indurre il pubblico a sperare che tutto possa chiudersi ben prima dell'ora e mezza scarsa di minutaggio a disposizione, anche quando, di fatto, dovrebbe essere il contrario.
Dopo il Cinema italiano, dunque, anche l'horror continua a riservare quasi esclusivamente delusioni per il sottoscritto, contribuendo a solleticare domande rispetto alla stesura di recensioni e post legati a titoli - come questo, ovviamente - che non meriterebbero neppure una decina di righe, considerato l'impatto che finiscono per avere sulla memoria dello spettatore, che si parli di intrattenimento, spaventi o ricordi effettivi.
Dall'utilizzo dei due attori - gemelli anche nella vita reale - all'evoluzione del rapporto di entrambi con il Bughuul ed i suoi emissari dalla giovane età fino al legame che porta la loro madre alla cotta per l'improbabile ex sceriffo protagonista - che diventa importante solo nel momento in cui viene definito faccia da topo dal poliziotto amico dell'ex marito della donna -, tutto ha il sapore del già sentito, non aggiunge nulla a questa tipologia di pellicole e finisce per essere più noioso che, quantomeno, divertente da bersagliare: un vero peccato, che non solo per affossa un potenziale brand ma che finisce per mettermi in difficoltà anche rispetto ai numerosi detrattori del primo capitolo, che avevo difeso strenuamente e che, a questo punto, se non cinematograficamente perde valore in termini di "simbologie", sacrificando uno dei babau più interessanti del passato recente sull'altare della speranza in un successo commerciale.
Troppo poco davvero.
Per il sottoscritto, ma anche per l'horror.




MrFord




"I listened outside I heard her. 
Alright. Oh I want to take you home. 
I want to give you children. You might be my girlfriend, yeah. 
When I saw you next day I really couldn't tell 'cos you might go 
and tell your mother."
Pulp - "Babies" - 





domenica 30 agosto 2015

Sharknado 3 - Oh Hell No!

Regia: Anthony C. Ferrante
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 88'






La trama (con parole mie): Fin Shepard, alle spalle le avventure a Los Angeles e New York che l'hanno fatto assurgere ad eroe assoluto antisqualo premiato anche dal Presidente degli Stati Uniti, in grado ormai di percepire anche fisicamente l'arrivo degli Sharknado è costretto a riprendere la motosega in mano per affrontare una nuova ondata di predatori piovuti dal cielo, viaggiando da Washington ad Orlando per mettere al sicuro la figlia adolescente e la moglie incinta.
Sulla strada incontrerà vecchi amici e nuovi alleati, e per affrontare la minaccia crescente si troverà costretto anche a rispolverare il rapporto con il padre, astronauta in pensione che con lui non ha mai avuto un buon rapporto: riusciranno i due a coesistere e salvare ancora una volta gli USA dagli squali?








Ricordo bene quando, nell'estate del duemilatredici, nel pieno del mio periodo lontano dal lavoro per la paternità, a casa per tre mesi come fossi uno studente, godendomi il mare come forse mai in vita mia, dedicammo una sera del soggiorno a Viareggio alla visione del primo Sharknado, in compagnia di una buona parte della tribù fordiana in trasferta: il risultato fu una visione talmente divertente e sguaiata da apparire a tratti geniale, e lasciare un'impronta indelebile nella mia carriera di spettatore e nel pubblico più in generale, tanto da generare una sorta di culto e di appuntamento estivo imprescindibile.
Peccato che, nonostante il livello di trash fosse irrimediabilmente alto, con il secondo capitolo l'operazione cominciasse a mostrare il fianco ed il suo reale valore, finendo per far sorridere, piuttosto che divertire senza ritegno, benchè la moda avesse attratto molti volti noti lieti di partecipare anche per pochi secondi alle riprese: la stessa dinamica si è ripetuta quest'anno, finendo di nuovo per far rimpiangere quella mitica "prima volta" del duemilatredici nonostante, di fatto, il livello complessivo sia risultato superiore a quello del capitolo precedente.
Di fatto, Sharknado è una porcata di proporzioni bibliche che soltanto armati di una buona predisposizione in termini di ironia e gusto dell'orrido è possibile affrontare, magari supportati da patatine, alcool a fiumi e rutto libero: vedere Ian Ziering, profugo di Beverly Hills reinventatosi, di fatto, grazie al personaggio di Fin Sheperd tagliuzzare squali a colpi di motosega come fosse la cosa più naturale del mondo finisce sempre per avere un effetto catartico, quasi esistesse un grande cuscino pronto a pararci il culo anche nel momento in cui tutto il Cinema dovesse crollare sbriciolato e senza speranza di essere ricostruito dalle proprie macerie.
Certo, svanito l'effetto novità del primo capitolo tutto ha comunque il sapore del già sentito - e dunque, sguaiato o divertente che sia, anche più triste -, eppure momenti come quelli che vedono le partecipazioni di Lorenzo Lamas, Chris Jericho - che dopo Kurt Angle nella pellicola precedente, diventa il secondo wrestler professionista ad entrare nel mondo di Sharknado -, George Martin e soprattutto David Hasselhoff riescono ancora a spolverare le risate delle grandi occasioni, un pò come la parodia della storica immagine dei marines ad Iwo Jima nella prima parte della pellicola, incentrata sulla tempesta di squali pronta ad abbattersi su Washington.
Personalmente, ho anche apprezzato l'ambientazione ad Orlando - ricordo benissimo la sfera della Universal all'interno della quale si rifugiano Fin e soci dai tempi della visita degli occupanti del Saloon ai parchi tematici della città della Florida - e l'assoluta mancanza di vergogna da parte di regista, troupe e cast, pronti, se non altro, con coraggio a premere forte sull'acceleratore del trash senza preoccuparsi minimamente di apparire davvero oltre, ed ugualmente portando sullo schermo un prodotto che, per quanto infimo, non offende o sconvolge forzatamente nessuno e, di fatto, invita a riderci sopra, senza alcuna pretesa.
L'unico, vero rischio - già in parte concretizzato - è che un'operazione iniziata come un vero e proprio fulmine a ciel sereno - in senso positivo - si trasformi in un'abitudine che tende allo scontato, specie considerato il già annunciato quarto episodio della saga con tanto di finale aperto - che non mi ha fatto impazzire, lo ammetto - e coinvolgimento "social" del pubblico in vista della prossima estate.
Staremo a vedere: per il momento, confido che Ferrante e Ziering possano stupirmi come due anni or sono, e magari osare nel portare in scena molti più squali e, perchè no, anche molti più wrestlers.



MrFord




"My body is burning
it starts to shout
desire is coming
it breaks out loud
lust is in cages
till storm breaks loose
just have to make it
with someone I choose
the night is calling."

Scorpions - "Rock you like an hurricane" - 





lunedì 1 settembre 2014

Anarchia - La notte del giudizio

Regia: James DeMonaco
Orgine: USA, Francia
Anno: 2014
Durata:
103'




La trama (con parole mie): siamo nel 2023, e i Nuovi Padri Fondatori mantengono l'ordine ed il controllo lasciando che ogni anno, nel corso di una notte di sangue, tutti siano liberi di fare ciò che vogliono per le strade. Quello di cui la massa non è a conoscenza, e che solo il leader rivoluzionario Carmelo pare sospettare e voler combattere, è che il governo manda per le strade interi squadroni di soldati incaricati di eliminare più civili possibili tra i gradini più bassi della scala sociale in modo da garantire una stabilità economica maggiore che possa portare ai ricchi maggior solidità.
Quando una giovane coppia ed una madre con la figlia si trovano per le strade, un sergente fuori servizio assetato di vendetta per la perdita del figlio diviene la loro unica possibilità di sopravvivenza: riuscirà l'improvvisato gruppo a passare indenne la nottata? E l'uomo scoverà il responsabile della sua perdita?






I sequel non sono mai una materia facile, a prescindere dai risultati ottenuti dai "numeri uno".
James DeMonaco, che lo scorso anno riuscì nella non facile impresa di proporre una pellicola legata ad un plot onestamente già sentito rendendolo comunque efficace, a questo giro di giostra è stato quantomeno in grado di regalare al pubblico un secondo capitolo della sua saga - e a giudicare dal finale e dagli incassi, presumo verrà messo in cantiere anche un numero tre - per prima cosa differente dal precedente e dunque efficace ed in grado di intrattenere come si conviene.
L'idea di spostare il fulcro dell'azione e della pellicola da una lotta senza quartiere all'interno di un'abitazione ad una sorta di survival urbano che ricorda i Classici di Carpenter funziona seppur non supportata da personaggi all'altezza - la coppia madre/figlia poteva essere sfruttata decisamente meglio, così come approfondito di più il rapporto tra i due fidanzati, che lascia trasparire una tensione mai del tutto risolta -, il ritmo è ben scandito e le situazioni, pronte a ricordare i videogames a livelli degli anni ottanta, coinvolgono decisamente bene nella loro varietà - aiutate anche da un lavoro sul trucco della principale banda di razziatori delle strade, davvero notevole -.
Così come fu per il Purge dello scorso anno, anche in questo caso dietro la patina da film action si nascondono numerosi sottotesti politici, dalla questione della rivolta armata contro il Sistema - Carmelo ed il suo movimento - al dislivello tra classi sociali sempre più marcato - agghiacciante l'asta che precede la caccia nel finale -, senza contare una riflessione interessante a proposito della vendetta e del perdono, che seppur non sfruttata al massimo delle sue potenzialità rende l'epilogo funzionale quanto lo fu quello della precedente notte di sangue portata sullo schermo dal regista e sceneggiatore.
Il viaggio di questi sopravvissuti per le strade della città sconvolta dalla notte delle notti indetta dai misteriosi ed oscuri Nuovi Padri Fondatori tocca dunque, dopo l'invasione domestica esplorata nel capitolo precedente, un altro nervo scoperto dell'uomo comune: ovvero l'essere oggetto di caccia da parte di uno o più predatori abituati a muoversi con l'istinto dei killer.
Senza dubbio i vertici di tensione scaturiti da paure primordiali di questo tipo di cose enormi come Eden Lake sono lontani, ma DeMonaco sa il fatto suo, e finisce per portare sullo schermo un giocattolo tosto e cattivo quanto basta - nonostante non mi sarebbe dispiaciuta un pò di violenza in più - senza dimenticare di essere, comunque, anche lui parte del Sistema e, dunque, procedendo senza scombinare troppo quelli che, di norma, in questi casi, sono i piani dei distributori.
Nel complesso direi, dunque, che questo secondo Purge è un film dalla doppia faccia: da una parte la struttura a livelli e l'inseguimento attraverso le strade della città rende la scommessa assolutamente vinta, dall'altra il lavoro sui personaggi ed alcune eccessive concessioni soprattutto sul finale finiscono per perdere mordente rispetto al primo capitolo.
DeMonaco, comunque, non ha troppo di che lamentarsi: la stoffa per produrre cose interessanti ha dimostrato di averla, e gli incassi hanno finito per dare ragione al suo esperimento.
Staremo dunque a vedere se con la probabile terza notte di terrore la fiducia che ho finito per riporre nel suo lavoro sarà ben ripagata o anche lui finirà per aver bisogno di una "purge" da manuale a suon di bottigliate.



MrFord



"I am an anti-christ
I am an anarchist
don't know what I want but
I know how to get it
I wanna destroy the passer by cos I
I wanna BE anarchy!
No dogs body!"
Sex Pistols - "Anarchy in the UK" - 


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