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domenica 12 febbraio 2017

Blair Witch (Adam Wingard, Canada/USA, 2016, 89')




Ricordo bene l'uscita in sala di The Blair Witch Project: eravamo a cavallo del Nuovo Millennio, e grazie ad una campagna pubblicitaria pazzesca, in molti si riversarono in sala per assistere a quello che prometteva di essere il nuovo cult per eccellenza dell'horror.
A distanza di quasi vent'anni, se si esclude il merito di aver di fatto introdotto nella cultura pop il genere "found footage", personalmente di quella visione ricordo solo delusione ed un senso di nausea terribile, tanto da farmi pensare, durante l'intervallo, di abbandonare la sala per evitare di innaffiare quelli delle file avanti a me con una robusta dose di vomito: fortunatamente da quel punto di vista le cose andarono per il verso giusto e riuscii a resistere da vero lupo di mare, mentre per il resto giudicai il film una robetta, dimenticandolo quasi all'istante.
Ora, è chiaro che, se dopo così tanto tempo a qualcuno viene in mente di tirare fuori dal cilindro un sequel, anche se quel qualcuno è l'ottimo Adam Wingard - che avevo apprezzato in You're Next e soprattutto The Guest -, non è che si possano strappare i capelli dalla testa per la gioia e l'hype incontenibili, tanto che ho atteso mesi per buttarmi nella visione di questo Blair Witch, per evitare di trovarmi di fronte all'ennesimo horrorino inutile, che non lascia alcuna traccia e soprattutto che non fa paura neanche per sbaglio.
Purtroppo, nel corso di un pomeriggio di gioco con la Fordina, da soli in casa e con poco tempo a disposizione - leggasi "se devi vedere qualcosa, buttati su un minutaggio abbordabile" -, alla fine ho capitolato.
E come si è rivelato, questo Blair Witch?
Esattamente un horrorino inutile, che non lascia alcuna traccia e soprattutto che non fa paura neanche per sbaglio.
Certo, le idee del film di partenza erano poche e confuse, e l'idea di buttare nel calderone il fratello di una delle persone scomparse dello stesso ossessionato dal desiderio di fare luce su quanto accaduto per accendere l'interesse del pubblico non aiuta, considerati i charachters di contorno quantomeno trasparenti e l'aggancio del protagonista per visitare i luoghi "del misfatto": oltre a tutto questo, si aggiunga la solita serie di pseudo spaventi più che telefonati, un paio di idee interessanti male sfruttate - il tempo "sfasato", il sole che non sorge -, il fastidio per le riprese a mano e non solo - questa volta, essendo a Nuovo Millennio più che avviato, abbiamo anche droni e dispositivi di ultima generazione che fanno pensare che il gruppetto di amici partito alla ricerca degli scomparsi doveva avere parecchio denaro da buttare, per una gitarella da aspiranti investigatori - e tutti i clichè tipici dell'horror - dalle ferite che si infettano alla minaccia della diffidenza tra i protagonisti -, e la frittata è fatta e servita.
Blair Witch rende bene il concetto che, con il suo predecessore, ha cercato di portare sullo schermo: si gira a vuoto, non ci si capisce nulla ed alla fine si torna a casa - forse - con un pugno di mosche.
O di fantasmi, che data la consistenza sono anche meno soddisfacenti da stringere.




MrFord




martedì 1 dicembre 2015

The visit

Regia: M. Night Shyamalan
Origine: USA
Anno:
2015
Durata:
94'








La trama (con parole mie): la quindicenne aspirante regista Becca ed il suo fratello minore Tyler, che vivono con la madre da quando il padre ha lasciato la famiglia per ricostruirsi una vita in California con una partner più giovane, decidono di passare una settimana con i nonni, con i quali la loro genitrice non ha rapporti dai tempi in cui, diciannovenne, abbandonò la propria casa proprio a seguito del nascere del legame con il padre dei due ragazzi.
Intenzionati a girare un documentario proprio per permettere un ricongiungimento della madre con i suoi genitori, Becca e Tyler cominciano la loro vacanza con le migliori intenzioni: peccato che i nonni mostrino, soprattutto dopo il calar del sole, strani disturbi e tendenze che, se dapprima vengono considerate in linea con le intemperanze dell'età, con il passare dei giorni assumeranno connotazioni sempre più spaventose.
Riusciranno i due adolescenti a scoprire il mistero che avvolge la casa in cui la loro madre è cresciuta?












Inutile negarlo: il buon M. Night Shyamalan ha avuto uno degli esordi più interessanti del passato recente del Cinema.
Ai tempi dell'uscita de Il sesto senso in molti gridarono al miracolo: io, per quanto non così entusiasta, rimasi profondamente colpito da un film disturbante, inquietante, pronto a regalare un twist finale che fu una vera e propria rivoluzione del genere.
Vennero, dunque, il sottovalutato - pur se non perfetto - Unbreakable, Signs e soprattutto The village, un'opera di rottura, girata alla grande e perfetta per descrivere lo stato di terrore vigente negli USA dopo l'Undici settembre.
E poi, proprio quando pareva che la carriera del cineasta di origini indiane fosse sul punto di decollare definitivamente, il nulla: o peggio, una serie di prodotti di qualità sempre peggiore, dall'autocelebrazione del pessimo Lady in the water al più recente ed agghiacciante After Earth.
Le aspettative del sottoscritto, dunque, per questo The visit, ritorno alle origini del regista, erano discretamente basse, nonostante alcune inaspettate buone recensioni ricevute nella blogosfera e non: peccato che il risultato, per quanto assolutamente migliore se paragonato alle vagonate di merda prodotte negli ultimi anni, sia a conti fatti deludente.
The visit, infatti, pur sfruttando un canovaccio cinematografico che di norma mi affascina non poco - quello del found footage - ed un paio di idee non malvage giocate sul filo di terrore ed ironia, non riesce a colpire il bersaglio a seguito di una serie di lacune evidenti che, a conti fatti, non pareggiano il conto con le intuizioni: per cominciare, a differenza dei primi lavori di Shambalà - quelli veri, fino al già citato The village, per intenderci - il dubbio che qualcosa non vada nella realtà che vivono i due giovani protagonisti esiste fin dal principio, e ci si affida fin troppo al classico approccio attuale dell'horror da salto sulla sedia ogni due o tre scene e tanti saluti; come se questo non bastasse, nonostante due nonni più che convincenti nel ruolo di spauracchi manca sempre qualcosa, in termini di logica, all'intero lavoro, fin dalle premesse di partenza - e non svelo nulla per evitare spoiler che potrebbero rovinare un twist assolutamente non perfetto ma sul momento molto ad effetto -, senza contare un'escalation conclusiva che ammoscia qualsiasi tensione e finisce per apparire come un tentativo piuttosto maldestro di presentare la cosa in modo ironico.
Senza dubbio, comunque, considerato il passato recente di Shambalà e gli incassi proporzionati ai costi di produzione di questo The visit, la carriera dell'ex fenomeno del thriller/horror made in USA può dirsi rilanciata, anche se, di fatto, sono sicuro che il tutto si rivelerà come un fuoco di paglia di un mestierante dall'ego decisamente più grande del talento effettivo: lo stesso The visit, accolto come una sorta di miracolo a causa dei disastri combinati dal suo autore negli ultimi anni, non è niente più che un intrattenimento leggermente superiore alla media - che, considerato il genere, è piuttosto bassa - pronto a mostrare non uno, ma i due fianchi alle critiche non appena svanito l'effetto del già citato salto sulla sedia che tanto male ha fatto all'horror dell'ultimo decennio.
La delusione più grande per il sottoscritto, comunque, resta quella che, per una volta, il caro, supponente Shambalà non potrà ambire al podio del Ford Award destinato al peggio dell'anno: The visit non è così male da pensarlo tra i titoli peggiori usciti in sala nel corso di questo duemilaquindici - e già ce ne saranno parecchi -, ma senza dubbio neppure così interessante da poter gridare alla resurrezione di un regista che, ormai non ho più alcun dubbio in merito, un vero Autore non è mai stato.





MrFord





"Goodbye Grandma, sleep well tonight
dream of all your younger days
way before time had left you sad
and store yourself away."
Elton John - "Goodbye Grandma" -





 

martedì 16 settembre 2014

The sacrament

Regia: Ti West
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 95'





La trama (con parole mie): Jake, Sam e Patrick, tre giovani reporter, colgono l'occasione per un servizio che potrebbe rivelarsi un buco nell'acqua o uno sguardo unico su una comunità chiusa dove ha trovato rifugio Caroline, sorella di Patrick.
Giunti sul posto ed ottenuto a fatica il permesso di rimanere e riprendere il luogo ed i membri della comunità stessa, i tre si ritrovano a contatto con una realtà apparentemente idilliaca gestita da un leader - denominato Padre da tutti i presenti - che con sermoni melliflui e più che convinti pare avere definitivamente convinto ogni abitante di Eden Parish a credere nel suo progetto.
Quando, però, la festa organizzata proprio per celebrare l'arrivo dei reporter venuti dal mondo esterno termina, per Sam e Jake in particolare, separati dal loro compagno, si apre un mondo di dubbi e terrore circa la conduzione del campo da parte del Padre e dei suoi fedelissimi.
Cosa aspetta, dunque, i tre "intrusi"? E cosa si cela davvero dietro la facciata da Paradiso in Terra mostrata a prima vista del campo?








Il rapporto del sottoscritto con Ti West si potrebbe definire in molti modi, ma certo non con il termine semplice.
Quando, qualche anno fa, The house of the devil fece la sua comparsa regalando qualche brivido alla blogosfera, recuperai al volo il titolo speranzoso di potermi trovare di fronte ad un vero, nuovo talento del genere horror, che negli ultimi anni ha conosciuto più dolori che gioie, almeno da queste parti, finendo per essere soddisfatto solo in parte: neppure il tempo di capire che direzione avrebbe preso il suddetto rapporto, quand'ecco giungere l'onda lunga di Innkeepers, celebratissimo dalla critica online ed acclamato come qualcosa di innovativo ed unico nel suo genere.
Purtroppo, però, come spesso accade quando l'asticella delle aspettative finisce per alzarsi inevitabilmente, la delusione fu cocente, tanto da compromettere - e non poco - il giudizio sul lavoro di West, che ai tempi mi parve più un furbetto citazionista figlio della generazione di registi influenzati dall'ascesa di Tarantino negli anni novanta che non aveva poi così tanto da raccontare, e ben poco da sfruttare per inquietare e spaventare il suo pubblico.
E dunque, venne The sacrament.
Bistrattato da molti dei bloggers che avevano gridato al miracolo con il succitato Innkeepers, di fatto l'ultimo lavoro dietro la macchina da presa del buon Ti rappresentava una sorta di prova decisiva rispetto al diritto di permanenza dello stesso all'interno del Saloon: ed è curioso come, per quanto ai suoi fan hardcore sia parsa un'opera minore, l'abbia trovata di gran lunga la più riuscita del suo autore, regista - per l'appunto - e montatore.
The sacrament, infatti - ispirandosi agli eventi del massacro di Jonestown del 1978 operato ed orchestrato da Jim Jones, agghiacciante leader religioso, registrato come la più grande perdita di civili statunitensi fino all'undici settembre duemilauno -, porta sullo schermo tutta l'inquietudine ed il fascino perverso e misterioso del mondo delle sette e dell'influenza che queste ultime - specie se a sfondo religioso - finiscono per esercitare sui propri adepti, e seppur non inventando, di fatto, nulla di nuovo - da Manson e la sua Famiglia nella realtà al The village di Shyamalan i temi non suoneranno certo innovativi al pubblico -, regala uno dei prodotti migliori che il genere abbia concepito nel corso quantomeno della stagione in corso.
L'incredibile, agghiacciante, grottesca avventura dei tre protagonisti, partiti con l'idea di prestare soccorso alla sorella di uno di loro e, in caso, realizzare un servizio da poter rivendere ed utilizzare, diviene lo spunto per un mockumentary efficace, teso ed inquietante - soprattutto nella prima parte -, che fotografa alla grande quello che è il delirio nato da convinzioni religiose - imposte oppure no, poco importa - malsane e dettate da un leader pronto a sfruttare il suo carisma per fare presa, principalmente, su persone dalle spiccate debolezze - emarginati, poveri, tossici, figli delle ombre della società -.
Senza dubbio il risultato non è esente da difetti - non sempre la tecnica del found footage risulta chiara e comprensibile, e soprattutto nel crescendo di tensione finale West pare perdersi almeno in parte per dedicarsi a sequenze visivamente più impressionanti come il confronto tra Caroline e Patrick o tra il Padre e Jake e Sam - e potrebbe addirittura irritare chi, come del resto gli occupanti di casa Ford, a fronte di situazioni da lavaggio del cervello come quelle delle sette finisce per sgranare sempre gli occhi, chiedendosi come sia possibile per una ed ancor più per decine di persone riuscire a cadere nella rete di un unico individuo, per quanto almeno ai loro occhi dotato possa apparire, eppure l'utilizzo di elementi ormai classici come la piccola Savannah ed i dubbi crescenti dei main charachters rendono questo viaggio allucinante quanto basta per garantire una visione che il decisamente più noioso Innkeepers può solo sognarsi, o limitare ad un paio di momenti inspiegabilmente riusciti.
Un plauso dunque a West, che con un colpo di coda a metà tra il thriller ed il survival è riuscito in qualche modo a rientrare nelle grazie del sottoscritto, che ora si dichiara pronto ad attenderlo al varco per il prossimo lavoro: questo The sacrament, di fatto, è stato un sacrificio necessario.
E clamorosamente efficace.




MrFord




"You know our sacred dream won't fail
the sanctuary tender and so frail
the sacrament of love
the sacrament of warmth is true
the sacrament is you."
HIM - "The sacrament" - 




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