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martedì 16 settembre 2014

The sacrament

Regia: Ti West
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 95'





La trama (con parole mie): Jake, Sam e Patrick, tre giovani reporter, colgono l'occasione per un servizio che potrebbe rivelarsi un buco nell'acqua o uno sguardo unico su una comunità chiusa dove ha trovato rifugio Caroline, sorella di Patrick.
Giunti sul posto ed ottenuto a fatica il permesso di rimanere e riprendere il luogo ed i membri della comunità stessa, i tre si ritrovano a contatto con una realtà apparentemente idilliaca gestita da un leader - denominato Padre da tutti i presenti - che con sermoni melliflui e più che convinti pare avere definitivamente convinto ogni abitante di Eden Parish a credere nel suo progetto.
Quando, però, la festa organizzata proprio per celebrare l'arrivo dei reporter venuti dal mondo esterno termina, per Sam e Jake in particolare, separati dal loro compagno, si apre un mondo di dubbi e terrore circa la conduzione del campo da parte del Padre e dei suoi fedelissimi.
Cosa aspetta, dunque, i tre "intrusi"? E cosa si cela davvero dietro la facciata da Paradiso in Terra mostrata a prima vista del campo?








Il rapporto del sottoscritto con Ti West si potrebbe definire in molti modi, ma certo non con il termine semplice.
Quando, qualche anno fa, The house of the devil fece la sua comparsa regalando qualche brivido alla blogosfera, recuperai al volo il titolo speranzoso di potermi trovare di fronte ad un vero, nuovo talento del genere horror, che negli ultimi anni ha conosciuto più dolori che gioie, almeno da queste parti, finendo per essere soddisfatto solo in parte: neppure il tempo di capire che direzione avrebbe preso il suddetto rapporto, quand'ecco giungere l'onda lunga di Innkeepers, celebratissimo dalla critica online ed acclamato come qualcosa di innovativo ed unico nel suo genere.
Purtroppo, però, come spesso accade quando l'asticella delle aspettative finisce per alzarsi inevitabilmente, la delusione fu cocente, tanto da compromettere - e non poco - il giudizio sul lavoro di West, che ai tempi mi parve più un furbetto citazionista figlio della generazione di registi influenzati dall'ascesa di Tarantino negli anni novanta che non aveva poi così tanto da raccontare, e ben poco da sfruttare per inquietare e spaventare il suo pubblico.
E dunque, venne The sacrament.
Bistrattato da molti dei bloggers che avevano gridato al miracolo con il succitato Innkeepers, di fatto l'ultimo lavoro dietro la macchina da presa del buon Ti rappresentava una sorta di prova decisiva rispetto al diritto di permanenza dello stesso all'interno del Saloon: ed è curioso come, per quanto ai suoi fan hardcore sia parsa un'opera minore, l'abbia trovata di gran lunga la più riuscita del suo autore, regista - per l'appunto - e montatore.
The sacrament, infatti - ispirandosi agli eventi del massacro di Jonestown del 1978 operato ed orchestrato da Jim Jones, agghiacciante leader religioso, registrato come la più grande perdita di civili statunitensi fino all'undici settembre duemilauno -, porta sullo schermo tutta l'inquietudine ed il fascino perverso e misterioso del mondo delle sette e dell'influenza che queste ultime - specie se a sfondo religioso - finiscono per esercitare sui propri adepti, e seppur non inventando, di fatto, nulla di nuovo - da Manson e la sua Famiglia nella realtà al The village di Shyamalan i temi non suoneranno certo innovativi al pubblico -, regala uno dei prodotti migliori che il genere abbia concepito nel corso quantomeno della stagione in corso.
L'incredibile, agghiacciante, grottesca avventura dei tre protagonisti, partiti con l'idea di prestare soccorso alla sorella di uno di loro e, in caso, realizzare un servizio da poter rivendere ed utilizzare, diviene lo spunto per un mockumentary efficace, teso ed inquietante - soprattutto nella prima parte -, che fotografa alla grande quello che è il delirio nato da convinzioni religiose - imposte oppure no, poco importa - malsane e dettate da un leader pronto a sfruttare il suo carisma per fare presa, principalmente, su persone dalle spiccate debolezze - emarginati, poveri, tossici, figli delle ombre della società -.
Senza dubbio il risultato non è esente da difetti - non sempre la tecnica del found footage risulta chiara e comprensibile, e soprattutto nel crescendo di tensione finale West pare perdersi almeno in parte per dedicarsi a sequenze visivamente più impressionanti come il confronto tra Caroline e Patrick o tra il Padre e Jake e Sam - e potrebbe addirittura irritare chi, come del resto gli occupanti di casa Ford, a fronte di situazioni da lavaggio del cervello come quelle delle sette finisce per sgranare sempre gli occhi, chiedendosi come sia possibile per una ed ancor più per decine di persone riuscire a cadere nella rete di un unico individuo, per quanto almeno ai loro occhi dotato possa apparire, eppure l'utilizzo di elementi ormai classici come la piccola Savannah ed i dubbi crescenti dei main charachters rendono questo viaggio allucinante quanto basta per garantire una visione che il decisamente più noioso Innkeepers può solo sognarsi, o limitare ad un paio di momenti inspiegabilmente riusciti.
Un plauso dunque a West, che con un colpo di coda a metà tra il thriller ed il survival è riuscito in qualche modo a rientrare nelle grazie del sottoscritto, che ora si dichiara pronto ad attenderlo al varco per il prossimo lavoro: questo The sacrament, di fatto, è stato un sacrificio necessario.
E clamorosamente efficace.




MrFord




"You know our sacred dream won't fail
the sanctuary tender and so frail
the sacrament of love
the sacrament of warmth is true
the sacrament is you."
HIM - "The sacrament" - 




sabato 4 maggio 2013

The master

Regia: Paul Thomas Anderson
Origine: USA
Anno: 2012
Durata:
144'




La trama (con parole mie): Freddie Quell, un marinaio veterano della Seconda Guerra Mondiale alcolizzato e dedito al sesso e all'impulsività sfrenata, tornato negli Stati Uniti e perso in se stesso e nel ricordo di un amore precedente alla sua partenza si rifugia quasi per caso tra le braccia del leader della Causa, Lancaster Dodd, sorta di padre padrone di una famiglia che assume connotati misti di setta, gruppo di studio allargato, chiesa senza una religione, truffa, violenta elite filosofica ed intellettuale.
L'uomo, riprogrammato dal Maestro, si scontra con se stesso, i suoi ricordi ed i suoi fantasmi, si batte e lotta per la Causa mostrando quanto l'animale che porta dentro possa essere utile per mettere a tacere le voci critiche: ma quando finisce per alzare lo sguardo oltre l'orizzonte, scopre di poter vivere lasciandosi alle spalle quello che è stato un esperimento per trovare le risposte che cerca in quella che è da sempre la sua vera vocazione di vita.





The master è stato un film che ha lottato con le unghie e con i denti, qui al Saloon.
Ha dovuto, in un modo o nell'altro, conquistarsi quei tre bicchieri che vedete qui sopra con tutta la fatica possibile, passando dall'apparire come un'opera autoriale a tutti i costi degna di bottigliate ad uno sfoggio di tecnica pazzesco - ci sono un paio di piani sequenza e movimenti di macchina da brividi -, dall'indagine approfondita e mai banale alla grande esibizione di un gruppo di attori straordinario.
Perchè senza dubbio alcuno, tanto quanto Paul Thomas Anderson è senza dubbio un virtuoso della macchina da presa, Philip Seymour Hoffman, Amy Adams - a sorpresa, devo dire - e Joaquin Phoenix - gigantesco - lo sono dall'altro lato della stessa, e conferiscono a The master la personalità che il cineasta non sarebbe stato in grado di garantire da solo, o affidandosi esclusivamente alla sua straordinaria abilità.
Ma cos'è, esattamente, The master?
Un'esibizione di tecnica vuota di qualsiasi significato ulteriore?
Un ritratto impietoso di quello che è il fenomeno delle sette o pseudo tali come Scientology, rispetto alla quale è stato associato con la sua uscita in sala?
Una riflessione sulle debolezze umane?
Qui in casa Ford, The master ha significato, di fatto, una lotta: quella di Freddie Quell con se stesso, di Freddie Quell con Lancaster Dodd, di Lancaster Dodd con la società ed i suoi detrattori, dei suoi detrattori con l'ombra da eminenza grigia della figlia del leader, della figlia del leader con Freddie Quell, e così via.
C'è tanto degli States, in The master, senza dubbio: c'è la volontà di affermarsi a fronte del desiderio di emancipazione da un modello in grado di entrare dentro così come apparire quanto di più lontano esista - l'Europa? -, ci sono l'istinto e l'animalità che si dibattono di fronte alla ragione e alle regole, il bisogno di una famiglia e la necessità di trovare la propria libertà.
Freddie Quell, reduce ed alcolista, guidato dal cazzo e dalla libido, approccia la vita come fosse un sogno erotico, un'ideale da scopare senza ritegno e vergogna, senza guardare in faccia a nessuno, neppure a se stessi.
Lancaster Dodd è un manipolatore. Un uomo di desideri celati, torbidi segreti ed espedienti, un cacciatore di fondi, denaro, successo, gloria e fama. Un filosofo dai bisogni profondi di un animale, uno studioso che non potrà mai concedersi il lusso di un abbandono.
Freddie Quell e Lancaster Dodd. Due lati della stessa medaglia.
America ed Europa.
Istinto e Ragione.
Promiscuità e Famiglia.
In mezzo, la costruzione di una storia che, forse, non è così importante, o almeno non quanto il conflitto che porta i due inseparabili lati dell'evoluzione a confrontarsi, coprirsi e salvarsi l'un l'altro, riscoprire di avere bisogno l'uno dell'altro, per poi prendere strade diverse e, a scapito del passato, essere diversi, lontani, su binari che conducono il più lontano possibile.
The master è un film difficile. Un titolo che, in più di un momento, ho pensato di bottigliare selvaggiamente. Una materia che ha ispirato dubbio più che certezze, mostrato accademismo prima che cuore, volontà di apparire prima che di essere.
Eppure tutto si gioca con un finale che è un'essenza del Cinema nel senso più alto del termine, capace di mostrare senza ritegno alcuno che la ragione ha bisogno dell'istinto, che esistono l'Europa e gli States, le sette e l'individuo, la costrizione e la libertà, il segreto e l'essere selvaggi.
Esistono Lancaster Dodd con la sua famiglia, e Freddie Quell con la sua scultura di sabbia.
Il primo con la mano della figlia, il secondo con una ragazza conosciuta in un pub.
E per quanto Lancaster possa bere, scopare, aggredire, ringhiare, non potrà mai essere Freddie Quell.
E per quanto Freddie potrà rinunciare a mentire, cercare di seguire le regole o guidare una motocicletta il più velocemente possibile, non potrà mai essere Lancaster Dodd.
Gli States sono e saranno gli States, l'Europa è e sarà l'Europa.
Paul Thomas Anderson ha cercato di essere entrambe.
E ha scoperto cosa significhi essere se stessi.


MrFord


"Come crawling faster
obey your Master
your life burns faster
obey your Master
Master."
Metallica - "Master of puppets" -


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