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domenica 3 gennaio 2016

7 days in hell

Regia: Jake Szymanski
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 43'






La trama (con parole mie): la cronaca della sfida più incredibile della Storia del tennis, un match durato ben sette giorni e combattuto dall'imprevedibile e scombinato Aaron Williams e dall'introverso, stupido e soggiogato dalla madre Charles Poole sull'erba di Wimbledon, lo Slam più rinomato e prestigioso del circuito, narrata attraverso le voci di sportivi, personalità pubbliche, opinionisti e semplici amici dei due sportivi che l'hanno combattuta fino all'ultimo respiro.
Un documentario pronto ad esplorare le vite, sportive e non, dei suoi due protagonisti, a mostrare i loro lati oscuri tanto quanto il talento cristallino che ha portato entrambi ad un passo dalla realizzazione di ogni tennista professionista: la vittoria a Wimbledon ed il numero uno del ranking mondiale.
Dunque chi, tra Williams e Poole, al termine di una battaglia di una settimana, alzerà le braccia al cielo?








Non sono mai stato un tifoso particolarmente accalorato, per quanto riguarda il tennis, e non ho mai tenuto una racchetta in mano, quantomeno facendo sul serio.
Eppure, nel corso della mia vita e come spesso accade quando si tratta di sport, più volte mi sono emozionato di fronte a grandi match e grandi personaggi, travolto dalla passione che muove chi mette tutto se stesso per poter vivere il campo da gioco, a prescindere da quale sia: lo scorso anno, ricordo ancora la tempesta di emozioni che fu la lettura di Open, autobiografia di Andre Agassi, il mio tennista preferito in assoluto, e la cronaca della sua vita dall'infanzia all'ombra del padre alla maturità, passando per tutti gli squilibri venuti nel mezzo.
Proprio in Aaron Williams, talentuoso e scombinato aspirante numero uno interpretato da Andy Samberg in questo sorprendente mediometraggio firmato da Jake Szymanski, ho rivisto le gesta di Agassi, il suo problema con la perdita dei capelli, un talento incontrollato ed incontrollabile che solo con la maturità è riuscito a trovare un equilibrio mancato per stagioni e stagioni vissute come un predestinato rivelatosi, di fatto, un'apparente cometa.
Dall'altra parte, quasi fosse un Sampras, un Poole schivo, timido ed altrettanto fenomenale, gestito alla grande - e anche di più - da un Kit Harington che sfodera un talento recitativo che neppure chi lo ha amato nelle vesti di Jon Snow in Game of thrones avrebbe potuto sospettare.
Attorno a loro, una cornice di comprimari usciti dal mondo del Cinema, dello Sport e dello Spettacolo - da Venus Williams a David Copperfield, passando per John McEnroe - ed una ricostruzione pressochè perfetta e bilanciata tra umorismo e malinconia, vittoria e sconfitta, trionfo e fallimento: ma attenzione, perchè tutta questa prima sviolinata a proposito di 7 days in hell potrebbe perfino caricare troppo le aspettative, o farvi considerare il lavoro di Szymanski come una sorta di quasi dramma sportivo dal respiro decisamente alto.
Niente di più sbagliato.
Perchè il drammatico match tra Williams e Poole, con tutti i suoi risvolti assurdi, incredibili, profondamente umani, è presentato nel modo più divertente che possiate immaginare, ed ha il grandissimo potere di trasformarsi quasi immediatamente in un instant cult, così come era stato lo scorso anno Kung Fury, e che con lo stesso condivide minutaggio, dimostrazione di talento e, perchè no, aspirazione del proprio regista: personalmente, pur se colpito dai richiami e dallo spirito assolutamente sportivo - legato all'abnegazione, alla passione ed alla volontà dei suoi protagonisti - del film, ho passato la maggior parte del tempo a ridere come uno stronzo da solo davanti al computer godendomi ogni secondo della follia non solo dei tennisti e dei loro amici e congiunti - dal già citato David Copperfield a Dolph Lundgren, passando per l'ossessiva madre di Poole e la splendida interpretazione della Regina -, finendo per attribuire un significato quasi tragico e shakespeariano all'epilogo, perfetto, in più di un senso, per la pellicola, il suo spirito ed il carattere dei suoi protagonisti.
Di sicuro, in bilico tra il sopra le righe ed il sorprendente, questo 7 days in hell rappresenta una delle sorprese più clamorose del periodo, ennesima conferma del valore del brand HBO e della marea di passioni che le grandi imprese solleticano, inevitabilmente, nell'Uomo.
Scombinato o ligio alle regole - apparentemente - che sia.




MrFord




"Monday
took her for a drink on Tuesday
we were making love by Wednesday
and on Thursday & Friday & Saturday we chilled on Sunday
I met this girl on Monday
took her for a drink on Tuesday
we were making love by Wednesday
and on Thursday & Friday & Saturday we chilled on Sunday."
Craig David - "7 days" -





martedì 1 dicembre 2015

The visit

Regia: M. Night Shyamalan
Origine: USA
Anno:
2015
Durata:
94'








La trama (con parole mie): la quindicenne aspirante regista Becca ed il suo fratello minore Tyler, che vivono con la madre da quando il padre ha lasciato la famiglia per ricostruirsi una vita in California con una partner più giovane, decidono di passare una settimana con i nonni, con i quali la loro genitrice non ha rapporti dai tempi in cui, diciannovenne, abbandonò la propria casa proprio a seguito del nascere del legame con il padre dei due ragazzi.
Intenzionati a girare un documentario proprio per permettere un ricongiungimento della madre con i suoi genitori, Becca e Tyler cominciano la loro vacanza con le migliori intenzioni: peccato che i nonni mostrino, soprattutto dopo il calar del sole, strani disturbi e tendenze che, se dapprima vengono considerate in linea con le intemperanze dell'età, con il passare dei giorni assumeranno connotazioni sempre più spaventose.
Riusciranno i due adolescenti a scoprire il mistero che avvolge la casa in cui la loro madre è cresciuta?












Inutile negarlo: il buon M. Night Shyamalan ha avuto uno degli esordi più interessanti del passato recente del Cinema.
Ai tempi dell'uscita de Il sesto senso in molti gridarono al miracolo: io, per quanto non così entusiasta, rimasi profondamente colpito da un film disturbante, inquietante, pronto a regalare un twist finale che fu una vera e propria rivoluzione del genere.
Vennero, dunque, il sottovalutato - pur se non perfetto - Unbreakable, Signs e soprattutto The village, un'opera di rottura, girata alla grande e perfetta per descrivere lo stato di terrore vigente negli USA dopo l'Undici settembre.
E poi, proprio quando pareva che la carriera del cineasta di origini indiane fosse sul punto di decollare definitivamente, il nulla: o peggio, una serie di prodotti di qualità sempre peggiore, dall'autocelebrazione del pessimo Lady in the water al più recente ed agghiacciante After Earth.
Le aspettative del sottoscritto, dunque, per questo The visit, ritorno alle origini del regista, erano discretamente basse, nonostante alcune inaspettate buone recensioni ricevute nella blogosfera e non: peccato che il risultato, per quanto assolutamente migliore se paragonato alle vagonate di merda prodotte negli ultimi anni, sia a conti fatti deludente.
The visit, infatti, pur sfruttando un canovaccio cinematografico che di norma mi affascina non poco - quello del found footage - ed un paio di idee non malvage giocate sul filo di terrore ed ironia, non riesce a colpire il bersaglio a seguito di una serie di lacune evidenti che, a conti fatti, non pareggiano il conto con le intuizioni: per cominciare, a differenza dei primi lavori di Shambalà - quelli veri, fino al già citato The village, per intenderci - il dubbio che qualcosa non vada nella realtà che vivono i due giovani protagonisti esiste fin dal principio, e ci si affida fin troppo al classico approccio attuale dell'horror da salto sulla sedia ogni due o tre scene e tanti saluti; come se questo non bastasse, nonostante due nonni più che convincenti nel ruolo di spauracchi manca sempre qualcosa, in termini di logica, all'intero lavoro, fin dalle premesse di partenza - e non svelo nulla per evitare spoiler che potrebbero rovinare un twist assolutamente non perfetto ma sul momento molto ad effetto -, senza contare un'escalation conclusiva che ammoscia qualsiasi tensione e finisce per apparire come un tentativo piuttosto maldestro di presentare la cosa in modo ironico.
Senza dubbio, comunque, considerato il passato recente di Shambalà e gli incassi proporzionati ai costi di produzione di questo The visit, la carriera dell'ex fenomeno del thriller/horror made in USA può dirsi rilanciata, anche se, di fatto, sono sicuro che il tutto si rivelerà come un fuoco di paglia di un mestierante dall'ego decisamente più grande del talento effettivo: lo stesso The visit, accolto come una sorta di miracolo a causa dei disastri combinati dal suo autore negli ultimi anni, non è niente più che un intrattenimento leggermente superiore alla media - che, considerato il genere, è piuttosto bassa - pronto a mostrare non uno, ma i due fianchi alle critiche non appena svanito l'effetto del già citato salto sulla sedia che tanto male ha fatto all'horror dell'ultimo decennio.
La delusione più grande per il sottoscritto, comunque, resta quella che, per una volta, il caro, supponente Shambalà non potrà ambire al podio del Ford Award destinato al peggio dell'anno: The visit non è così male da pensarlo tra i titoli peggiori usciti in sala nel corso di questo duemilaquindici - e già ce ne saranno parecchi -, ma senza dubbio neppure così interessante da poter gridare alla resurrezione di un regista che, ormai non ho più alcun dubbio in merito, un vero Autore non è mai stato.





MrFord





"Goodbye Grandma, sleep well tonight
dream of all your younger days
way before time had left you sad
and store yourself away."
Elton John - "Goodbye Grandma" -





 

venerdì 6 novembre 2015

Cannibal holocaust

Regia: Ruggero Deodato
Origine: Italia
Anno: 1980
Durata: 95'






La trama (con parole mie): il professor Monroe, antropologo tra i più noti nella comunità universitaria newyorkese, viene contattato da un'emittente televisiva affinchè si avventuri nel profondo delle aree inesplorate della foresta amazzonica alla ricerca di un gruppo di noti documentaristi d'assalto dispersi tempo prima. La missione della troupe svanita nel nulla era di riprendere da vicino le popolazioni indigene del cuore della foresta, società tribali lontane dal mondo e mai venute a contatto con l'uomo bianco.
Monroe, grazie alle guide locali e ad una buona dose di fortuna gestita con raziocinio, scopre che il gruppo guidato da Jack Anders è stato ucciso e cannibalizzato dagli indigeni, e a seguito di un'intuizione finisce per recuperare anche il loro girato.
Tornato nella Grande Mela, scoprirà che Anders e i suoi nascondevano segreti più terribili di quanto si potesse immaginare, legati all'approccio ai loro "soggetti", decisamente oltre ogni misura concepibile ed etica.








La Storia della settima arte ha regalato, nel corso dei decenni, titoli che, a prescindere dal loro valore, hanno finito per raccogliere più fan di quanto non abbiano fatto i veri Capolavori - che, per un motivo o per un altro, spesso finiscono per essere quasi dimenticati -: da I guerrieri della notte a Le iene, passando per Bullit o Il corvo, il nostro cammino di spettatori ha finito per incrociare film che sono stati capaci di cambiare mode, spettatori, epoche.
Uno di questi, preceduto da una fama "estrema", è senza dubbio Cannibal Holocaust, oggetto di culto per gli appassionati del gore e dell'horror nonchè vero e proprio fumo negli occhi per il grande pubblico e parte della critica, giunto al suo trentacinquesimo anno con una fama cresciuta stagione dopo stagione, versione uncut dopo versione uncut.
Personalmente, ricordavo solo frammenti parziali di una visione in videocassetta forse neppure portata a termine quando ero piccolo, ed ho approfittato dell'uscita in sala del suo "erede" The Green Inferno per rispolverarlo qui al Saloon: il risultato della visione, sicuramente disturbante in più di un momento, è stato quasi duplice.
Da un lato, è assolutamente giusto riconoscere al lavoro di Deodato lo status non solo di cult, ma di precursore dei tempi rispetto ai mockumentary ed alla volontà di sfidare e testare i limiti dell'audience osando perfino troppo: proprio in merito a questo, dall'altro è indubbio che una visione di questo tipo risulti disturbante o malsana, non tanto per la storia raccontata o per la critica mossa dall'antropologo protagonista ai suoi colleghi scomparsi dei quali recupera le riprese - "Chi sono i veri cannibali?", è il monito del professore in chiusura -, o per la violenza - di scena - operata rispetto agli esseri umani, quanto per quella - che pare sia vera dall'inizio alla fine - perpetrata ai danni degli animali.
Onestamente, siamo bel lontani dalla rabbia che provai ai tempi della visione di A serbian film, l'immondizia più indecente della Storia del Cinema, ma sequenze come quella dello squartamento della tartaruga o della fucilata al piccolo maiale - sparata, tra l'altro, da Luca Barbareschi, che ha sempre negato il suo coinvolgimento diretto negli episodi più estremi che si dice fossero legati alle riprese - rendono difficile non dare un giudizio etico o morale sui responsabili delle stesse: probabilmente, se fosse stato girato oggi, tutto sarebbe stato affidato agli effetti speciali, o addirittura omesso per evitare problemi di distribuzione o censura - come ne ha incontrati Eli Roth, del resto, veri o presunti che fossero -, e senza dubbio sono esistiti esploratori, giornalisti, soldati o più semplicemente uomini che, lontani dalla civiltà e dalla Legge, hanno compiuto efferatezze scellerate forti soltanto della loro temporanea "intoccabilità" - e non sto parlando dei cosiddetti "selvaggi" -, ma questo non deve necessariamente giustificare qualcosa che dovrebbe essere mostrato, super partes, soltanto dai veri documentari.
Sono comunque contento, da spettatore e presunto critico, di essermi confrontato anche con un lavoro come questo: in fondo, piaccia o no, il Cinema ha portato anche a racconti e storie come questa, a volte - come nel caso dell'opera forse più nota di Deodato - giunte a conquistare una fama che Capolavori molto più meritevoli potranno sempre e solo sognarsi.
E come nella vita di tutti i giorni, non possiamo pensare di poter prendere sempre e solo il meglio.




MrFord




"I eat boys up, breakfast and lunch
then when I'm thirsty, I drink their blood
carnivore animal, I am a cannibal
I eat boys up, you better run
I am Cannibal (cannibal, cannibal, I am)
I am cannibal (Cannibal) (I'll eat you up) (I am)
I am cannibal (cannibal, cannibal, I am)
I am cannibal (cannibal) (I'll eat you up)."
Kesha - "Cannibal" - 





martedì 6 ottobre 2015

The gallows - L'esecuzione

Regia: Travis Cluff, Chris Lofing
Origine: USA
Anno:
2015
Durata:
81'






La trama (con parole mie): a vent'anni da un terrificante incidente di scena che costò la vita ad uno studente nel novantatre, in un liceo di una piccola cittadina si prepara a portare di nuovo sul palco lo stesso dramma, quasi si volesse dimenticare quello che accadde e ricominciare.
Peccato che il protagonista maschile dello spettacolo, un giocatore di football che pare non avere alcuna affinità con la recitazione, venga persuaso dal suo migliore amico a boicottare la messa in scena in modo da evitare la prima introducendosi di notte nella scuola per distruggere gli allestimenti: quando i due, infatti, accompagnati dalla ragazza dell'istigatore, daranno inizio al loro piano, si ritroveranno intrappolati nell'area destinata allo spettacolo insieme alla protagonista, sul posto per gli ultimi aggiustamenti in vista del debutto del giorno successivo.
La notte passata tra quelle mura dimostrerà che, forse, non era il caso di aprire armadi traboccanti scheletri.










Non ho mai nascosto la mia simpatia per il mockumentary, soprattutto di matrice horror: negli anni, da Poughkeepsie Tapes ai mitici Lake Mungo e The troll hunter, il genere ha regalato chicche davvero notevoli a noi appassionati, nonchè spaventi come raramente se ne riescono a trovare nel mare di proposte poco incisive che il genere offre - parlo del succitato Lake Mungo, credo l'unico film ad avermi inquietato, insieme a Eden Lake, negli ultimi anni -: peccato che, nonostante queste premesse, il mockumentary abbia anche prodotto alcune delle ciofeche più clamorose del passato recente, spinto dall'onda del successo - purtroppo - di schifezze inutili come i vari Paranormal Activity.
The Gallows - L'esecuzione, massacrato in lungo e in largo nella blogosfera e non, si ascrive felicemente a questa seconda categoria, presentandosi, a conti fatti, come uno dei titoli più inutili e telefonati della stagione, incapace - questo occorre riconoscerlo - di indisporre ma ugualmente in grado di suscitare interrogativi a proposito della volontà di cimentarsi di proposito in visioni inutili, che di fatto non intrattengono e neppure lasciano qualcosa di concreto a chi si è imbarcato nell'impresa.
Di fatto, il lavoro dei registi Cluff e Lofing non racconta nulla di nuovo, si affida alle consuete trovate da presunto salto sulla sedia - peraltro poche - e ricalca una trama già vista e sentita almeno un paio di milioni di volte anche da chi appassionato di horror non è, finendo per svilupparla poco e male, rivelarsi come una versione decisamente meno inquietante del nostrano Lidris cuadrade di tre - che esorto tutti voi a recuperare - e scadere ancor più di quanto non ci si aspetterebbe con un finale al limite del ridicolo, buono ad affossare anche le poche idee interessanti non sfruttate con lo sviluppo della trama.
Poco altro resta da dire nonostante l'utilizzo di un setting - il teatro - affascinante e ben sfruttato di recente da cose interessanti come Stage fright ed il classico canovaccio evergreen del teen horror con i protagonisti eliminati uno per uno: gli ottanta minuti risultano comunque troppi per quello che si è voluto raccontare, i personaggi appaiono fondamentalmente inutili, l'idea dietro il mistero della morte dello studente nel novantatre non viene per nulla sviluppata, e la rivelazione finale che dovrebbe chiudere il cerchio pare un disperato tentativo di creare un nuovo brand del quale l'horror non ha alcun bisogno, così come dell'ennesima maschera in stile Slipknot che non fa altro che stuzzicare la nostalgia di chi ha vissuto sulla pelle Leatherface o Jason Voorhies.
Considerato, dunque, che negli anni ho sempre speso fin troppe parole per prodotti assolutamente dimenticabili come questo, direi che è giunto il momento di cominciare a viaggiare a credito.
Gli horror senza arte ne parte ed i film che non lasciano nulla pagheranno per me, a cominciare proprio da The Gallows, che non avrà dal sottoscritto una parola in più.




MrFord




"Hangman, hangman, hold it a little while,
I think I see my friends coming, Riding many a mile.
Friends, did you get some silver?
Did you get a little gold?
What did you bring me, my dear friends, To keep me from the Gallows Pole?
What did you bring me to keep me from the Gallows Pole?"
Led Zeppelin - "Gallows Pole" - 





sabato 25 aprile 2015

The Poughkeepsie Tapes

Regia: John Eric Dowdle
Origine: USA
Anno: 2007
Durata:
86'





La trama (con parole mie): a Poughkeepsie, cittadina a Sud dello Stato di New York, in una casa in affitto viene scoperta la macabra collezione di uno dei più terriili e feroci serial killers che abbiano mai operato negli Stati Uniti.
Quello che le Forze dell'ordine analizzano, infatti, è la personale videoteca di un assassino dedito a documentare ogni suo atto, dalla prima volta al terrificante piano che lo vede plagiare, dalla mente al corpo, una delle sue vittime: ma chi potrà mai essere, questo psicopatico in grado di mostrare profili e caratteri diversi ad ogni suo omicidio?
Il sospetto principale, arrestato e condannato, sarà davvero chi tutti sperano possa essere?
O questo "uomo nero" continuerà a viaggiare per le strade, innalzando le statistiche di sequestri ed uccisioni in una o nell'altra area metropolitana?








Se qualche mese fa mi avessero detto che non solo avrei finito per divertirmi con Necropolis - La città dei morti, nonostante i suoi limiti, e che proprio a seguito di quella visione sarei andato a recuperare questo The Poughkeepsie Tapes firmato sempre da John Eric Dowdle e prodotto dal fratello di quest'ultimo, sarei stato quantomeno incredulo, nonostante, di fatto, il mockumentary rappresenti uno dei guilty pleasures di genere più apprezzati, al Saloon, e nel corso degli anni mi abbia riservato soddisfazioni uniche come The troll hunter, Lake Mungo ed Europa Report.
Non solo, comunque, questo recupero si è rivelato un successo, ma ho finito per considerare The Poughkeepsie Tapes superiore al successivo e già citato Necropolis, non perfetto ma in grado comunque di inquietare ed affascinare soprattutto gli appassionati di thriller e morti ammazzati come noi Ford, regalando al pubblico un serial killer tra i più terrificanti che la settima arte abbia portato sullo schermo dai tempi dell'intramontabile Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti.
L'idea di ricostruire l'operato dello psicopatico attraverso il ritrovamento delle videocassette dallo stesso girate a partire dalla prima uccisione alternando le immagini "di repertorio" - ottimo l'effetto nastro conferito alla documentazione del maniaco omicida - con il parere di esperti dell'FBI e della Scientifica funziona, per quanto finisca per essere poco sfruttata soprattutto rispetto alla sua parte "tecnica", quando nella seconda metà del film il focus della narrazione si sposta sul ritrovamento della superstite schiavizzata dal mostro per anni e sul tentativo delle forze dell'ordine di catturarlo.
Senza dubbio il lavoro di Dowdle, all'apparenza amatoriale quanto basta per poter rientrare anche esteticamente in alcuni termini del mockumentary, non è esente da difetti, e rappresenta più il primo esperimento di un regista che non il lavoro della sua maturità, eppure avvince dal primo all'ultimo minuto, e a prescindere dalla violenza mostrata - mai compiaciuta o in qualche modo disturbante come fu per l'immondo A serbian film - conduce lo spettatore a domandarsi fino a quali abissi ci si possa spingere quando si parla dell'oscurità dell'animo umano: l'operato di questo misterioso omicida seriale, culminato con il rapporto terrificante con la sua schiava che chiude con i brividi la visione, per quanto atroce ed incredibile possa apparire, in realtà non si discosta dalle gesta di altri documentati serial killers, da Albert Fish - che sul punto di essere giustiziato parlò della sedia elettrica come dell'occasione di provare un'emozione che non aveva mai potuto testare sulla pelle prima - a Gacy o Dahmer, in grado di commettere atti che, se raccontati, finiscono per apparire più come il frutto dell'immaginazione di uno scrittore dell'orrore, piuttosto che cronaca nera.
In questo senso, The Poughkeepsie Tapes rende molto bene questo inquietante aspetto del predatore pronto a mietere le proprie vittime seguendo i propri istinti, e che, nel caso di assassini dall'alto quoziente intellettivo ed un'elevata capacità di controllo, impara dalla propria esperienza affinando le tecniche di caccia ed occultamento delle proprie vittime finendo per ingaggiare una vera e propria sfida con le forze dell'ordine.
Probabilmente, comunque, un prodotto di questo genere o i registri delle vittime degli assassini seriali passati alla storia, non riusciranno mai a definire completamente i confini dell'oscurità che alberga nel nostro cuore di Uomini, e che in alcuni casi - fortunatamente non così numerosi - finisce per fagocitare tutto quello che può, dentro e fuori, e dalla quale non è possibile fare ritorno, o sperare di trovare una via d'uscita.




MrFord




"I know I may be young, but I've got feelings too.
and I need to do what I feel like doing.
so let me go and just listen."
Britney Spears - "I'm a slave 4U" - 





mercoledì 25 marzo 2015

Necropolis - La città dei morti

Regia: John Erick Dowdle
Origine: USA 
Anno: 2014
Durata:
93'





La trama (con parole mie): Scarlett, giovane archeologa americana figlia di uno studioso ed appassionato di alchimia morto suicida in circostanze misteriose scopre in Iran quella che potrebbe essere la chiave per portare a termine il lavoro del padre, una serie di indicazioni cifrate che indicherebbero il luogo di sepoltura della famigerata Pietra Filosofale, sogno proibito degli studiosi ed appassionati di alchimia di tutto il mondo.
Le tracce portano alle catacombe di Parigi, e dunque Scarlett, assemblata una squadra di amici esperti di archeologia e di ragazzi del luogo abituati ad escursioni ed esplorazioni delle catacombe stesse si avventura in quello che potrebbe diventare un vero e proprio viaggio all'Inferno.








Il da poco trascorso duemilaquattordici non sarà ricordato certo come uno degli anni più interessanti del genere horror, che ha navigato in acque decisamente agitate qui al Saloon, fatta eccezione per una manciata di pellicole - ovviamente non distribuite in Italia - che hanno finito per sobbarcarsi il peso delle aspettative che un fan di vecchia data come il sottoscritto finisce per avere anche senza volerlo.
Tra i titoli, al contrario, distributi anche qui nella Terra dei cachi, avevo finito per evitare questo Necropolis nonostante il mockumentary sia un guilty pleasure decisamente irresistibile, per il sottoscritto, temendo una porcata di proporzioni bibliche che sarebbe inevitabilmente finita ad infarcire le fila della già combattutissima decina dedicata al peggio della scorsa stagione: ripescato quasi per caso, però, il lavoro di John Erik Dowdle si è rivelato, a conti fatti, un divertissement neppure troppo malvagio, forse non perfetto in fase di scrittura e costruzione dei personaggi, perso nella parte finale, eppure a suo modo funzionale, in grado di regalare un'ora e mezza di intrattenimento senza sconfinare nella schifezza o entrare nel radar delle bottigliate.
L'idea dell'esplorazione delle catacombe di Parigi - che visitai in parte anni fa, davvero affascinanti - alla ricerca della Pietra Filosofale - un mito assoluto per i cultori di esoterismo - ed il cocktail prodotto mescolando l'Inferno dantesco a quello che ognuno di noi si porta dentro - interessante, e forse l'idea migliore dell'intera pellicola, l'effettiva interpretazione del potente artefatto - risultano quantomeno non banali - anche se, occorre ammetterlo, ormai trovo difficile spaventarmi davvero per un horror -, ed ho apprezzato anche i richiami evidenti a titoli di culto come The descent così come l'impressione - questa personale - che questo prodotto possa essere associato al nostrano e decisamente tosto Radice quadrata di tre, che prima o poi ho intenzione di ripescare.
In un certo senso, si potrebbe addirittura pensare che un prodotto assolutamente d'intrattenimento e senza pretese come questo sia riuscito dove Onirica, film autoriale e tecnicamente su un altro pianeta rispetto a questo, aveva clamorosamente fallito, riuscendo, seppur senza rimanere di fatto impresso nella memoria, a portare a casa la pagnotta.
Se ci trovassimo ancora nel pieno degli anni settanta o ottanta e l'horror fosse nel suo momento migliore, allora con ogni probabilità Necropolis scomparirebbe - un pò come se confrontato con cose davvero toste come Lake Mungo - di fronte a proposte decisamente superiori, ma allo stato attuale, finisce per non sfigurare nonostante non si tratti, di fatto, di nulla di nuovo o di davvero potente.
Come se non bastasse, a posteriori, mi sono trovato quasi a pentirmi di non aver dato prima una possibilità all'opera di Dowdle, e ho trovato alcune critiche rivolte allo stesso assolutamente eccessive, specie in un momento storico in cui in sala, alla voce horror, troviamo schifezzine incapaci di spaventare perfino la più pusillanime tra le ragazzine come Ouija.
E l'idea di un panorama di quel genere è un Inferno decisamente peggiore di quello labirintico che offre questo viaggio nelle viscere di Parigi, della Terra e di noi stessi.




MrFord



"Down in a hole and I don't know if I can be saved
see my heart I decorate it like a grave
well you don't understand who they
thought I was supposed to be
look at me now I'm a man
who won't let himself be."
Alice in chains - "Down in a hole" -





martedì 16 settembre 2014

The sacrament

Regia: Ti West
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 95'





La trama (con parole mie): Jake, Sam e Patrick, tre giovani reporter, colgono l'occasione per un servizio che potrebbe rivelarsi un buco nell'acqua o uno sguardo unico su una comunità chiusa dove ha trovato rifugio Caroline, sorella di Patrick.
Giunti sul posto ed ottenuto a fatica il permesso di rimanere e riprendere il luogo ed i membri della comunità stessa, i tre si ritrovano a contatto con una realtà apparentemente idilliaca gestita da un leader - denominato Padre da tutti i presenti - che con sermoni melliflui e più che convinti pare avere definitivamente convinto ogni abitante di Eden Parish a credere nel suo progetto.
Quando, però, la festa organizzata proprio per celebrare l'arrivo dei reporter venuti dal mondo esterno termina, per Sam e Jake in particolare, separati dal loro compagno, si apre un mondo di dubbi e terrore circa la conduzione del campo da parte del Padre e dei suoi fedelissimi.
Cosa aspetta, dunque, i tre "intrusi"? E cosa si cela davvero dietro la facciata da Paradiso in Terra mostrata a prima vista del campo?








Il rapporto del sottoscritto con Ti West si potrebbe definire in molti modi, ma certo non con il termine semplice.
Quando, qualche anno fa, The house of the devil fece la sua comparsa regalando qualche brivido alla blogosfera, recuperai al volo il titolo speranzoso di potermi trovare di fronte ad un vero, nuovo talento del genere horror, che negli ultimi anni ha conosciuto più dolori che gioie, almeno da queste parti, finendo per essere soddisfatto solo in parte: neppure il tempo di capire che direzione avrebbe preso il suddetto rapporto, quand'ecco giungere l'onda lunga di Innkeepers, celebratissimo dalla critica online ed acclamato come qualcosa di innovativo ed unico nel suo genere.
Purtroppo, però, come spesso accade quando l'asticella delle aspettative finisce per alzarsi inevitabilmente, la delusione fu cocente, tanto da compromettere - e non poco - il giudizio sul lavoro di West, che ai tempi mi parve più un furbetto citazionista figlio della generazione di registi influenzati dall'ascesa di Tarantino negli anni novanta che non aveva poi così tanto da raccontare, e ben poco da sfruttare per inquietare e spaventare il suo pubblico.
E dunque, venne The sacrament.
Bistrattato da molti dei bloggers che avevano gridato al miracolo con il succitato Innkeepers, di fatto l'ultimo lavoro dietro la macchina da presa del buon Ti rappresentava una sorta di prova decisiva rispetto al diritto di permanenza dello stesso all'interno del Saloon: ed è curioso come, per quanto ai suoi fan hardcore sia parsa un'opera minore, l'abbia trovata di gran lunga la più riuscita del suo autore, regista - per l'appunto - e montatore.
The sacrament, infatti - ispirandosi agli eventi del massacro di Jonestown del 1978 operato ed orchestrato da Jim Jones, agghiacciante leader religioso, registrato come la più grande perdita di civili statunitensi fino all'undici settembre duemilauno -, porta sullo schermo tutta l'inquietudine ed il fascino perverso e misterioso del mondo delle sette e dell'influenza che queste ultime - specie se a sfondo religioso - finiscono per esercitare sui propri adepti, e seppur non inventando, di fatto, nulla di nuovo - da Manson e la sua Famiglia nella realtà al The village di Shyamalan i temi non suoneranno certo innovativi al pubblico -, regala uno dei prodotti migliori che il genere abbia concepito nel corso quantomeno della stagione in corso.
L'incredibile, agghiacciante, grottesca avventura dei tre protagonisti, partiti con l'idea di prestare soccorso alla sorella di uno di loro e, in caso, realizzare un servizio da poter rivendere ed utilizzare, diviene lo spunto per un mockumentary efficace, teso ed inquietante - soprattutto nella prima parte -, che fotografa alla grande quello che è il delirio nato da convinzioni religiose - imposte oppure no, poco importa - malsane e dettate da un leader pronto a sfruttare il suo carisma per fare presa, principalmente, su persone dalle spiccate debolezze - emarginati, poveri, tossici, figli delle ombre della società -.
Senza dubbio il risultato non è esente da difetti - non sempre la tecnica del found footage risulta chiara e comprensibile, e soprattutto nel crescendo di tensione finale West pare perdersi almeno in parte per dedicarsi a sequenze visivamente più impressionanti come il confronto tra Caroline e Patrick o tra il Padre e Jake e Sam - e potrebbe addirittura irritare chi, come del resto gli occupanti di casa Ford, a fronte di situazioni da lavaggio del cervello come quelle delle sette finisce per sgranare sempre gli occhi, chiedendosi come sia possibile per una ed ancor più per decine di persone riuscire a cadere nella rete di un unico individuo, per quanto almeno ai loro occhi dotato possa apparire, eppure l'utilizzo di elementi ormai classici come la piccola Savannah ed i dubbi crescenti dei main charachters rendono questo viaggio allucinante quanto basta per garantire una visione che il decisamente più noioso Innkeepers può solo sognarsi, o limitare ad un paio di momenti inspiegabilmente riusciti.
Un plauso dunque a West, che con un colpo di coda a metà tra il thriller ed il survival è riuscito in qualche modo a rientrare nelle grazie del sottoscritto, che ora si dichiara pronto ad attenderlo al varco per il prossimo lavoro: questo The sacrament, di fatto, è stato un sacrificio necessario.
E clamorosamente efficace.




MrFord




"You know our sacred dream won't fail
the sanctuary tender and so frail
the sacrament of love
the sacrament of warmth is true
the sacrament is you."
HIM - "The sacrament" - 




giovedì 3 luglio 2014

Thursday's child


La trama (con parole mie): nel pieno di questo break da Mondiale, torna la rubrica più appassionante della blogosfera dedicata alle uscite in sala, decisamente meno appassionanti degli scontri tra il sottoscritto e Cannibal Kid.
La triste consuetudine che ci accompagna da mesi, infatti, porta l'ennesima settimana di depressione cinefila, ed uscite che si potrebbero recuperare giusto per qualche serata di stanca pesante.


Una foto recente di Peppa Kid nella sua cameretta, dopo una maratona di film fordiani.
 
Insieme per forza


Cannibal dice: Un titolo che riassume bene il rapporto tra me e Ford. Insieme per forza. E insieme purtroppo, aggiungerei.
Quanto al film, sarà di sicuro una goiata… ehm una boiata, ma una nuova collaborazione tra Adam Sandler e Drew Barrymore, benché questo sembri un remake americano di Natale in Sudafrica, non me la posso comunque perdere.
Ford dice: purtroppo per tutti noi non si tratta della pellicola che racconta la genesi della collaborazione tra il sottoscritto e Peppa Kid, ma un’inutile stronzata wannabe blockbuster della quale farò volentieri a meno.

"O mio dio, non dirmi che hai deciso di pagare una spesa alcoolica a Ford! Andremo in bancarotta!"
Le origini del male


Cannibal dice: Le origini del male da adesso non potete cercarle soltanto sul blog WhiteRussian, ma anche al cinema, con questo nuovo horror che cercherà di risollevare le sorti di un genere ultimamente sempre più in crisi, proprio come il mio blogger rivale. Ce la farà?
Lo scoprirete presto con la recensione cannibale. E con cannibale intendo mia, non di Suárez.
Ford dice: l'horror se la sta passando peggio dell'Italia in mano a Paletta e Thiago Motta, tanto per rendere l'idea.
Questo Le origini del male, che vorrebbe mescolare le atmosfere anni settanta al mockumentary mi sa tanto di stronzata numero due della settimana. Non che, in questo periodo, ci si possa aspettare nulla di meglio.

Katniss Kid con il pupazzo regalatole da Ford.

Babysitting


Cannibal dice: Commedia francese in stile mockumentary che sembra una versione transalpina di Project X – Una festa che spacca. Sarà una porcatona di sicuro, ma chi sono io per tirarmi indietro davanti a una porcatona?
Ford dice: purtroppo per tutti noi non si tratta della pellicola che racconta una giornata di Ford intento a badare al Cucciolo Eroico, bensì di una seconda - forse anche terza - schifezza trascurabile pronta ad invadere le sale questo weekend.

Una foto recente di Peppa Kid prima della maratona di film fordiani.

The Best Man Holiday



Cannibal dice: Commedia natalizia che da noi esce in piena estate. Una idea di marketing tanto geniale manco la mente deviata di Mr. Ford sarebbe riuscita a partorirla.
Ford dice: i distributori italiani ne sanno una più del demonio. E anche del riporto di Paletta, l'unico al mondo a fare paura a quello di Nicholas Cage.

Hai preso quel vestito dall'armadio di Cannibal Kid!? E' davvero terribile! Cannibal Kid, non il vestito!"

Rio 2096 – Una storia d’amore e furia


Cannibal dice: Dopo la pessima figura mondiale, per quest’anno noi italiani dal Brasile siamo banditi. Cinema compreso. Ne riparliamo eventualmente il prossimo anno.
Ford dice: direi che, piuttosto che concedermi questa visione, continuerò a dilettarmi nel resoconto del Mondiale, che ha preso felicemente possesso del Saloon nel corso dell'ultimo mese, e lascerò l'incombenza al mio rivale, che tanto con lo sport c'entra quanto il vecchio Ford con la guida.

Rio come apparirà dopo l'uscita dal Mondiale del Brasile.

Surrounded


Cannibal dice: Thriller-horror made in Italy, ma con chiare ambizioni internazionali.
Ho già paura!
Meglio, molto meglio seguire la Notte Horror appena iniziata nel mondo dei blog…
Ford dice: purtroppo i tempi di Notte Horror - per fortuna riportati in auge da noi sciagurati della blogosfera cinefila - sono alle spalle, e temo che questo Surrounded non sarà materia in grado di non farne sentire la mancanza.
A meno che non decidiate di passare una nottata in compagnia dei due rivali più scombinati della rete.

"Quelli sono Ford e Cannibal!? Sono assolutamente terrificanti!"

mercoledì 4 giugno 2014

La stirpe del male - Devil's due

Regia: Matt Bellinelli-Olpin, Tyler Gillet
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 89'




La trama (con parole mie): Zach e Samantha, novelli sposi innamorati ed ansiosi di godersi la vita insieme, dopo una notte decisamente strana in un locale altrettanto particolare a Santo Domingo, fanno ritorno a casa senza sapere che la ragazza, rimasta incinta, porta in grembo uno dei profetizzati portatori dei geni dell'anticristo. La passione per i filmini amatoriali di Zach diviene quindi un veicolo per testimoniare il progressivo cambiamento della giovane, resa sempre più aggressiva ed in grado di compiere imprese e gesti spaventosi con il passare dei mesi.
Cosa accadrà, dunque, alla coppia e al loro bambino? Riusciranno a sopravvivere e venire a capo del mistero?







Fin dai tempi di Blair Witch Project, il mockumentary rappresenta un campo minato ed una tentazione decisamente irresistibile per i registi legati all'horror, nonostante la Storia abbia di fatto mostrato quanto poco convenga, di norma, avventurarsi in un terreno così sconnesso: fatta eccezione, infatti, per poche chicche da ricordare - Lake Mungo, The Troll Hunter - il genere ha riservato al pubblico quasi esclusivamente schifezze inenarrabili, che periodicamente tornano a rinfoltire le fila dei Ford Awards dedicati al peggio dell'anno.
Di recente era rientrato pienamente nel novero Il segnato, innocuo quanto inutile lavoro pronto a proseguire nella tradizione dei b-movies horror basati sul found footage che tanto ha imperversato nel corso delle ultime stagioni, incapace addirittura di scomodare le bottigliate delle grandi occasioni: della stessa pasta è fatto questo La stirpe del male, ennesima escursione nei territori delle possessioni demoniache e delle atmosfere apocalittico/religiose originate da veri Capolavori come Rosemary's baby e L'esorcista.
Senza dare neppure troppo peso alla trama risibile ed alla sua stessa evoluzione, o fare considerazioni sul protagonista Zach Gilford, passato dall'essere uno dei volti della splendida Friday night lights a questa roba, la visione scorre senza pretesa alcuna ed anche piuttosto in fretta, limitando i danni almeno quanto gli spaventi, ormai merce più unica che rara perfino nelle pellicole che, almeno sulla carta o stando all'opinione dei distributori, dovrebbero lasciare senza fiato ben oltre il termine della visione.
Un filmetto innocuo, in definitiva, che mescola i classici luoghi comuni che ci si aspetterebbero da una proposta di questo tipo - i Caraibi come luogo di mistero e perdizione maligna, gli incontrollabili scatti d'ira e le pause inquietanti tipiche delle possessioni, l'escalation che porta dal quotidiano leggermente intaccato ad un vero e proprio bagno di sangue - al tentativo di far assaporare al pubblico - specie quello più giovane - il terrore che ormai decenni fa dispensavano calibri nettamente superiori trattando la stessa materia.
Ora, non so se i ragazzini di oggi - decisamente più smart di quanto non potessimo essere già noi, figurarsi i nostri genitori - possano essere davvero sconvolti da versioni collaterali di Paranormal activity come questa, ma se davvero una porcheruola come il lavoro di Bellinelli-Oplin e Gillet riesce nell'intento di scatenare il panico in una platea attuale direi proprio che il futuro del genere naviga in acque decisamente agitate, con il rischio concreto di inabissarsi in wannabe movies insipidi dall'impatto pressochè nullo. Almeno se confrontati con l'old school dell'orrore.
Tutto questo senza contare che, quando da una visione si riesce a cavare così poco da faticare a trovare un qualche argomento per scrivere un post decente e non in formato tweet, le cose non si mettono troppo bene: a suo favore questo Devil's due ha giusto l'avversione della protagonista per i prelati - posizione che non mi sento di non condividere - ed una sorta di ingenuità quasi naif di fondo, legata principalmente alla qualità più che bassa non solo del prodotto finito, ma anche, di fatto, dello spessore dei suoi artefici.
Resta il mistero legato al fatto che proposte clamorosamente superiori ed interessanti fatichino a trovare una collocazione all'interno del mondo della grande distribuzione e robaccia di questo genere occupi uno spazio decisamente importante in sala: se fosse il Saloon a gestire queste faccende, difficilmente Devil's due avrebbe raggiunto un pubblico superiore a quello dei due registi con i loro amici e parenti.
Ma chissà, forse la stirpe del male è già tra noi.



MrFord



"It's a new breed
a new breed of evil
conceived in the moonlight
breathing fire."
Farmer boys - "A new breed of evil" -




venerdì 21 febbraio 2014

Il segnato

Regia: Christoper Landon
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 84'




La trama (con parole mie): Jesse, giovane appena diplomatosi, vive in periferia ed è da sempre affascinato dai misteri che ruotano attorno ad una vecchia vicina di casa che si dice possa essere una strega. Quando gli viene regalata una videocamera, con il suo migliore amico inizia ad investigare sulla donna solo per arrivare ad essere quasi testimone del suo omicidio per mano di un altro ragazzo suo ex compagno di scuola.
Introdottosi nell'abitazione della donna in modo da capirne di più rispetto al gesto del giovane assassino, Jesse pare venire a contatto con un'entità demoniaca che dal principio si manifesta come una sorta di "superpotere" e passo dopo passo inizia a cambiare radicalmente la Natura ed il comportamento del ragazzo.
Riusciranno la sorella ed il suo migliore amico a salvarlo, o verranno anch'essi travolti dal segreto legato a doppio filo al suo passato?






Ricordo quando, non troppi anni fa, scoppiò di colpo il fenomeno Paranormal activity, prodotto di bassissima qualità che divenne un vero e proprio caso allo stesso modo del capostipite della sua genìa, Blair witch project, che impazzò all'inizio del Nuovo Millennio e che, già ai tempi, mi convinse decisamente poco e l'unica cosa che portò al sottoscritto a seguito della visione in sala fu un gran senso di nausea.
Il segnato, prodotto nato come costola della trascurabile creatura di Oren Peli, rientra pienamente nella categoria degli inutili pseudo horror girati in stile mockumentary con l'aggiunta di una spruzzata di atmosfera teen anni ottanta - in fondo Christopher Langdon, il regista, deve aver vissuto gli eighties allo stesso modo del sottoscritto, in quanto a formazione di genere -: quello che più colpisce, però, è il fatto che il risultato finisca per essere pressochè innocuo, lontano dalle incazzature che schifezze realizzate sulla stessa lunghezza d'onda sono state in grado di suscitare nel sottoscritto nel corso delle ultime stagioni cinematografiche - L'altra faccia del Diavolo docet -.

Questa robetta, infatti, per quanto nulla se associata alla settima arte ed assolutamente inutile, non risulta pessima quanto avrei creduto, finendo addirittura per avvicinarsi ad un paio di buone intuizioni soprattutto nella prima parte - con il protagonista Jesse impegnato a scoprire i poteri pronti a manifestarsi come conseguenza della sua possessione, in un'escalation che ricorda quella dei poco equilibrati protagonisti di Chronicle -, impreziosite dalla chicca costituita dall'utilizzo di Simon, mitico gioco elettronico da tavolo residuato sempre degli anni ottanta divenuto la "voce" del demone in sostituzione della tavola da seduta spiritica standard.
Dovendo ricercare qualche altro dettaglio non completamente trascurabile, si finiscono a citare l'incontro con i bulli di ritorno dal campo da basket ed il - divertente, devo ammetterlo - riferimento proprio a Paranormal activity che precede il finale: una sorta di chicca quasi metacinematografica in grado di rendere Il segnato uno dei più sopportabili prodotti di bassissima lega usciti di recente.

Peccato che, di fatto, il lavoro nel suo complesso risulti dozzinale e per nulla spaventoso, iscrivendosi senza troppi sforzi al grande club delle schifezzone: non potrà ambire, però, al Ford Award dedicato al peggio del duemilaquattordici.

Troppo scarso e privo di carattere, di fatto, anche per lasciare il segno in negativo: resta una visione ludica buona per essere anche facilmente ignorata nel corso della sua ora e venti scarsa, roba che se avessi una quindicina di anni in meno potrebbe essere sfruttata come pellicola da limonata selvaggia, o qualcosa da lasciare giusto in sottofondo in una serata dalla stanchezza troppo pronunciata per poter lottare davvero con il sonno.

Gli horror veri stanno da tutt'altra parte, ma a conti fatti, anche i titoli davvero, davvero degni di essere massacrati come solo le peggiori tempeste di bottigliate possono fare.



MrFord



"Cursed, since your birth dear
and your worst fears have all come true
babe you're not the first here on earth dear
'cause I'm still here and I'm cursed too, cursed like you."
Robbie Williams - "Cursed" -



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