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lunedì 11 settembre 2017

Game of thrones - Stagione 7 (USA/UK, HBO, 2017)



Dai tempi dell'esplosione del fenomeno delle serie televisive all'inizio degli Anni Zero, pochi titoli sono divenuti, per motivi e meriti differenti, dei veri e propri punti di riferimento per il pubblico, dei fenomeni in grado di entrare a pieno titolo nella pop culture e finire nel mirino anche di chi dei suddetti titoli ha finito per sbattersene - apparentemente - sempre e comunque, come fu ai tempi per il primo Twin Peaks: Lost è uno degli esempi più clamorosi, in questo senso, tanto da essere quasi associabile ad un culto religioso, che lo si odi o lo si ami.
Fin dalla sua conclusione, per tutti gli addetti marketing delle grandi produzioni c'è stata una vera e propria corsa alla scoperta del prodotto che ne sarebbe stato l'erede: ci hanno provato in molti, ed altrettanti hanno fallito.
Almeno fino all'arrivo di Game of thrones.
Il serial partito dall'ispirazione data dai romanzi di George Martin, infatti, per mosaico di personaggi, isterie di massa, maniacalità esplosa in tutto il mondo è diventato a tutti gli effetti il Lost di questa generazione di spettatori, che da Cersei a Jon Snow, passando per Daenerys e tutte le morti illustri che ci hanno riservato le sette stagioni - e chissà quante altre l'ottava - ha creato fazioni tra il pubblico che ricordano i tifosi calcistici, o gli appartenenti alle casate che si danno battaglia per la conquista di Westeros.
Ora, di questa settima stagione ho già letto di tutto e di più: asservita al fanservice - assolutamente vero -, troppo frettolosa - assolutamente vero -, giocata sull'esaltazione - assolutamente vero -, completamente slegata ormai dalla linea di narrazione e dal mondo ideato da Martin - assolutamente vero -. Eppure, come fu per Lost, l'impressione che continuo ad avere è quella della serie di culto che una volta giunta al successo planetario finisce nel mirino delle critiche degli stessi che, in principio, l'avevano esaltata per poi tirarsi indietro nel momento in cui scoprono che il loro giocattolino è diventato il giocattolino di tutti: certo, questa settima non sarà stata, oggettivamente parlando, la miglior stagione della produzione, ma neppure la peggiore - la quinta fu decisamente poco avvincente e nel complesso quasi noiosa, ad esempio -, e proprio grazie al tanto criticato fan service ha finito per regalare momenti di godimento assoluto qui al Saloon, dal survival della squadra oltre la Barriera agli incontri che mi hanno ricordato i livelli di miticità - come direbbe Po - di Star Wars, fino agli sconvolgimenti dell'ultimo episodio che alimenta l'hype per la prossima - ed ultima - stagione a livelli davvero incredibili.
Ora starà agli autori cercare di cavalcare l'onda come un drago e cercare di mantenere un equilibrio giusto tra la fama raggiunta e l'essere ormai mainstream a tutti gli effetti e la qualità e la crudeltà che hanno da sempre contraddistinto questo titolo, probabilmente uno dei più importanti per la storia del piccolo schermo che noi figli di quest'epoca avremo modo di gustarci.
Ben vengano, dunque, tutte le discussioni, il fan service, i draghi, le morti, il sesso oltre i confini delle parentele e la tensione legata alla possibilità che ogni personaggio, soprattutto il tuo preferito, possa morire da un momento all'altro: se, alla fine di questa corsa, l'esaltazione sarà questa, qualsiasi imperfezione sarà giustificata.
Almeno qui.
Dove crediamo che proprio nelle imperfezioni stia il segreto di qualsiasi fascino.



MrFord



 

domenica 3 gennaio 2016

7 days in hell

Regia: Jake Szymanski
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 43'






La trama (con parole mie): la cronaca della sfida più incredibile della Storia del tennis, un match durato ben sette giorni e combattuto dall'imprevedibile e scombinato Aaron Williams e dall'introverso, stupido e soggiogato dalla madre Charles Poole sull'erba di Wimbledon, lo Slam più rinomato e prestigioso del circuito, narrata attraverso le voci di sportivi, personalità pubbliche, opinionisti e semplici amici dei due sportivi che l'hanno combattuta fino all'ultimo respiro.
Un documentario pronto ad esplorare le vite, sportive e non, dei suoi due protagonisti, a mostrare i loro lati oscuri tanto quanto il talento cristallino che ha portato entrambi ad un passo dalla realizzazione di ogni tennista professionista: la vittoria a Wimbledon ed il numero uno del ranking mondiale.
Dunque chi, tra Williams e Poole, al termine di una battaglia di una settimana, alzerà le braccia al cielo?








Non sono mai stato un tifoso particolarmente accalorato, per quanto riguarda il tennis, e non ho mai tenuto una racchetta in mano, quantomeno facendo sul serio.
Eppure, nel corso della mia vita e come spesso accade quando si tratta di sport, più volte mi sono emozionato di fronte a grandi match e grandi personaggi, travolto dalla passione che muove chi mette tutto se stesso per poter vivere il campo da gioco, a prescindere da quale sia: lo scorso anno, ricordo ancora la tempesta di emozioni che fu la lettura di Open, autobiografia di Andre Agassi, il mio tennista preferito in assoluto, e la cronaca della sua vita dall'infanzia all'ombra del padre alla maturità, passando per tutti gli squilibri venuti nel mezzo.
Proprio in Aaron Williams, talentuoso e scombinato aspirante numero uno interpretato da Andy Samberg in questo sorprendente mediometraggio firmato da Jake Szymanski, ho rivisto le gesta di Agassi, il suo problema con la perdita dei capelli, un talento incontrollato ed incontrollabile che solo con la maturità è riuscito a trovare un equilibrio mancato per stagioni e stagioni vissute come un predestinato rivelatosi, di fatto, un'apparente cometa.
Dall'altra parte, quasi fosse un Sampras, un Poole schivo, timido ed altrettanto fenomenale, gestito alla grande - e anche di più - da un Kit Harington che sfodera un talento recitativo che neppure chi lo ha amato nelle vesti di Jon Snow in Game of thrones avrebbe potuto sospettare.
Attorno a loro, una cornice di comprimari usciti dal mondo del Cinema, dello Sport e dello Spettacolo - da Venus Williams a David Copperfield, passando per John McEnroe - ed una ricostruzione pressochè perfetta e bilanciata tra umorismo e malinconia, vittoria e sconfitta, trionfo e fallimento: ma attenzione, perchè tutta questa prima sviolinata a proposito di 7 days in hell potrebbe perfino caricare troppo le aspettative, o farvi considerare il lavoro di Szymanski come una sorta di quasi dramma sportivo dal respiro decisamente alto.
Niente di più sbagliato.
Perchè il drammatico match tra Williams e Poole, con tutti i suoi risvolti assurdi, incredibili, profondamente umani, è presentato nel modo più divertente che possiate immaginare, ed ha il grandissimo potere di trasformarsi quasi immediatamente in un instant cult, così come era stato lo scorso anno Kung Fury, e che con lo stesso condivide minutaggio, dimostrazione di talento e, perchè no, aspirazione del proprio regista: personalmente, pur se colpito dai richiami e dallo spirito assolutamente sportivo - legato all'abnegazione, alla passione ed alla volontà dei suoi protagonisti - del film, ho passato la maggior parte del tempo a ridere come uno stronzo da solo davanti al computer godendomi ogni secondo della follia non solo dei tennisti e dei loro amici e congiunti - dal già citato David Copperfield a Dolph Lundgren, passando per l'ossessiva madre di Poole e la splendida interpretazione della Regina -, finendo per attribuire un significato quasi tragico e shakespeariano all'epilogo, perfetto, in più di un senso, per la pellicola, il suo spirito ed il carattere dei suoi protagonisti.
Di sicuro, in bilico tra il sopra le righe ed il sorprendente, questo 7 days in hell rappresenta una delle sorprese più clamorose del periodo, ennesima conferma del valore del brand HBO e della marea di passioni che le grandi imprese solleticano, inevitabilmente, nell'Uomo.
Scombinato o ligio alle regole - apparentemente - che sia.




MrFord




"Monday
took her for a drink on Tuesday
we were making love by Wednesday
and on Thursday & Friday & Saturday we chilled on Sunday
I met this girl on Monday
took her for a drink on Tuesday
we were making love by Wednesday
and on Thursday & Friday & Saturday we chilled on Sunday."
Craig David - "7 days" -





venerdì 19 giugno 2015

Game of thrones - Stagione 5

Produzione: HBO
Origine: USA, UK
Anno: 2015
Episodi: 10




La trama (con parole mie): nei sette regni ed attorno al Trono di spade continua a scorrere il sangue, complici gli intrighi e le guerre in corso in ogni angolo del mondo conosciuto. Mentre, oltre il mare, Daenerys cerca a fatica di contenere le rivolte intestine a Mereen ed i suoi draghi, Thyrion è in viaggio proprio verso la sua corte; ad Approdo del re, invece, Cersei intima a Jamie di recuperare Myrcella, la loro figlia tenuta alla corte del defunto Oberyn, e pianifica una vendetta religiosa contro i Tyrell che potrebbe creare non pochi problemi anche a lei stessa; nel profondo Nord, invece, Jon Snow si trova ad affrontare la minaccia dei White Walkers ed il peso del suo nuovo ruolo, in bilico tra i Guardiani ed i Bruti; Stannis Baratheon, Melisandre e l'esercito raccolto dal pretendente al trono, invece, progettano di invadere Grande Inverno schiacciando i Bolton, nel frattempo venuti in possesso di Sansa Stark; Arya, sua sorella minore, invece, si trova a Bravoos per affinare le sue doti di assassina e cominciare a vendicarsi di tutti coloro ai quali ha giurato la morte.







Presenti possibili spoiler involontari e indiretti.



Senza ombra di dubbio, una delle serie tv più importanti degli ultimi anni, nonchè una delle più amate di sempre, Game of thrones, è divenuta, nel corso delle stagioni, praticamente un fenomeno di costume, oltre ad un prodotto di altissima qualità: io stesso, da quel giorno cinque anni fa in cui con Julez approcciammo il pilota terminato con il volo dalla torre di Brann, ho visto crescere, vivere e morire decine di personaggi memorabili, applaudito a sequenze mozzafiato, osservato ammirato la tecnica e lo script di quello che, di fatto, per numero di protagonisti ed amore quasi maniacale di schiere di fan, potrebbe essere considerato l'erede ufficiale di Lost.
Questa stessa quinta stagione, di fatto, è stata l'ulteriore conferma dello standard tecnico assolutamente elevato della proposta di Weiss e Benioff, ed è stata in grado di regalare ottimi momenti all'audience culminati con un season finale da urlo, in bilico tra una walk of shame da brividi ed una chiusura quasi shakespeariana, con tanto di "idi di marzo", e con l'addio - vero o presunto che sia - di due dei cardini delle vicende dei Sette Regni.
Dunque, perchè anche uno dei riferimenti da piccolo schermo del Saloon è finito sotto le bottigliate?
Senza dubbio non per demeriti artistici, o per scivoloni effettivi, quanto, di fatto, per l'approccio: onestamente parlando, nonostante alcuni passaggi ben riusciti, questa quinta stagione è stata senza dubbio "di passaggio", e rispetto alla quarta, strabordante di momenti WTF, ha finito per segnare il passo ed apparire perfino noiosa a tratti, quasi si trattasse di un'annata spesa a disporre pezzi sulla grande scacchiera di Westeros in attesa di tempi migliori.
Come se non bastasse, comincio a nutrire qualche riserva su quello che è il marchio di fabbrica del buon George Martin, ovvero la sistematica eliminazione dei suoi protagonisti: il rischio, infatti, di puntare tutto sulla bocca spalancata del pubblico - come è stato per il finale di questa quinta season - potrebbe alla lunga innescare un effetto contrario, nello stesso, e privarlo dei suoi favoriti, oltre a risultare irrispettoso di fronte alle "creature" responsabili del successo del loro autore: inoltre, il progressivo sfoltimento del gruppo di main charachters lascia ora scoperti i Sette Regni non solo per quanto riguarda la lotta per la conquista dell'Iron Throne - al momento in mano al più inutile e privo di spessore dei regnanti - ma anche il cuore dei fan.
I due pezzi da novanta del cast, Thyrion e Daenerys, infatti, paiono essersi adagiati sui fasti passati cominciando a vivere di rendita, ed al momento solo Jamie Lannister, la coppia Cersei/Alto Passero ed il redivivo The Mountain paiono poter offrire qualcosa di interessante, almeno sulla carta e sempre che gli autori non decidano di fare un'altra epurazione.
Questo passo falso, però, è più concettuale che non artistico, e resto dunque fiducioso per il futuro di un titolo dal potenziale immenso, che ha regalato alcuni dei passaggi migliori che la televisione abbia offerto negli ultimi dieci anni: la minaccia dei White Walkers, il percorso di Arya, il futuro di Sansa, il ruolo sempre più inquietante degli emissari religiosi di Westeros - dal già citato Alto Passero a Melisandre -, la situazione del Trono di spade, quella del Nord ed il destino della "scomparsa" Khaleesi, tornata ad incrociare il cammino dei Dothraki.
L'hype è altissimo, e già da ora restiamo in trepidante attesa per il sesto giro di giostra, sangue e morte che già sappiamo Game of thrones ci offrirà: nel frattempo, però, con tutto il rispetto, Martin dovrà assaggiare, sotto forma di bottigliate, un pò della stessa moneta con la quale ripaga i suoi "figli" cartacei.



MrFord



"I stand surrounded by the walls that once confined me
knowing I'll be underneath them
when they crumble when they fall
with clarity my scars remind me
ash still simmers just under my skin."
Creed - "A thousand faces" -





sabato 28 giugno 2014

Game of thrones - Stagione 4

Produzione: HBO
Origine: USA
Anno: 2014
Episodi: 10




La trama (con parole mie): mentre a Nord della Barriera venti di guerra scuotono i Bruti ed incombono i misteriosi White Walkers, gli uomini delle Isole di ferro ed i traditori che cospirarono contro Robb Stark si battono per le terre dominate da Grande Inverno. Ad Approdo del re, intanto, fervono i preparativi per le nozze di Joffrey, mentre Sansa e Thyrion, sposi novelli, cercano di sopravvivere ai soprusi che i Lannister riservano ad entrambi. L'altra Stark, Arya, è invece in viaggio in compagnia del Mastino, che spera di ottenere dalla zia della ragazzina una ricompensa in denaro per averla consegnata.
Stannis Baratheon, nel frattempo, viaggia in cerca di fondi che possano riportarlo sul continente a dare battaglia ai Lannister e vendicarsi della sconfitta di Blackwater, mentre Daeneris decide di rimandare la sua invasione per consolidare il potere nelle terre oltre mare.
E mentre tutte le pedine si dispongono sulla grande scacchiera dei Sette Regni, si preparano morti e cospirazioni.






Non saprei da dove iniziare, scrivendo della quarta stagione di Game of thrones.
Considerato il rischio di spoiler ed il livello sempre altissimo delle emozioni - pronte a pareggiare un'unità ed una coesione orchestrate con meno perizia rispetto all'annata d'esordio -, il primo istinto è quello di ripassare mentalmente i momenti magici che questi dieci episodi hanno regalato agli occupanti di casa Ford, dalle grida di giubilo in chiusura di The lion and the rose allo straordinario monologo di Tyrion in coda al processo, passando per le vicissitudini di Sansa e Ditocorto, Ygritte e Jon Snow, i Guardiani della notte, Arya ed il Mastino e quello che è diventato da subito il momento cult dell'anno in materia di piccolo schermo, il duello tra Oberyn Martell e la Montagna.
Ancora oggi, con i colleghi al lavoro e di tanto in tanto a casa, non riesco a trattenermi dal gridare quel "Who gave the order?" che ha fatto da preludio ad uno dei finali più clamorosi dell'intera serie, paragonabile alle morti di Ned Stark e Khal Drogo, a Blackwater o alla nascita dei draghi: senza dubbio quel vecchio bastardone di Martin - che ancora si sta dilettando nel completare la saga letteraria - non ha alcuna pietà per i suoi protagonisti, oltre ad aver compreso che, per tenere alta la tensione, un Autore deve poter considerare di sacrificare anche le sue creature meglio riuscite.
In questo senso, mai come nel corso della quarta stagione abbiamo visto cadere tanti main charachters, festeggiando selvaggiamente in alcuni casi e rimanendo sbigottiti o tristi in altri: al confronto, Oz - che aveva abituato ad una vera mattanza dei suoi "eroi" - pare quasi un passatempo innocuo, tanto da alimentare ormai la tensione rispetto a qualsiasi preferito, a rischio di prematura scomparsa perchè tanto "si è all'interno di un prodotto tratto dalle opere di Martin".
Interessante l'alternanza di momenti divertenti - i siparietti tra Arya ed il Mastino su tutti - ad altri profondamente drammatici, così come al lavoro pazzesco svolto su Tyrion e Jamie - il loro dialogo a proposito del cugino dalla mente instabile è da antologia - e su Arya stessa, che promette di diventare una delle punte di diamante della serie nelle prossime stagioni, specie a seguito delle ripercussioni dell'ultimo episodio.
Meno in vista il personaggio di Daeneris, da sempre una delle mie favorite ma forse un pò troppo prigioniera del suo ruolo da regina: in un certo senso, mi mancano i tempi in cui cavalcava accanto a Drogo, e non doveva affrontare decine e decine di udienze in una sala del trono.
Spettacolare, invece, la new entry Oberyn, uno dei personaggi migliori dell'intera serie, in grado di spingere ad un livello superiore perfino il già mitico Tyrion, Cersei e Tywin Lannister, rendendo interessante perfino un charachter come quello della Montagna, praticamente un ammasso di muscoli dalle espressioni più limitate delle due del Clint dei bei tempi.
Ma senza scendere nel dettaglio delle vicende - una serie di questo calibro va gustata senza che qualcuno ce la racconti per filo e per segno - o soffermarsi troppo sull'aspetto tecnico - anche se i livelli sono altissimi, come dimostra il penultimo episodio Watchers of the Wall, incentrato interamente sui Guardiani della notte e diretto da Neil Marshall - la discriminante fondamentale rispetto all'impatto che Game of thrones sta avendo sul pubblico è data dalla straordinaria varietà e profondità dei personaggi in grado di fare breccia nel cuore degli appassionati, che volenti o nolenti riusciranno a trovare uno o più preferiti, se non addirittura un'immagine o un atteggiamento nei quali identificarsi.
Prima dell'avvento di questo serial, soltanto Lost, a mio parere, era riuscito a regalare all'audience una galleria di charachters di questo calibro: non parliamo, dunque, di qualcosa che passa e va, ma di destinato a restare, lasciando il segno.
Certo, con ogni probabilità dovremo aspettare ancora parecchio per scoprire cosa accadrà quando, finalmente, l'inverno sarà arrivato, eppure sono certo che la lotta per il Trono di spade e le vicende di tutti coloro che vi sono, volenti o nolenti, legati - dai più in vista ai fuggitivi, dai sopravvissuti ai destinati a morire - sapranno arrivare dove nessun'altra saga di ampio respiro era mai giunta.
In fondo, gli stessi protagonisti insegnano che a muovere i sentimenti più forti ed i massimi sistemi della vita sono più gli istinti, gli amori e le vendette che non la voglia di poggiare il culo su una sedia che pare sempre troppo scomoda per chi la occupa.



MrFord



"I say
we're growing every day
getting stronger in every way
I'll take you to a place
where we shall find our
roots bloody roots."

Sepultura - "Roots bloody roots" -





martedì 25 marzo 2014

Pompei

Regia: Paul W. S. Anderson
Origine: Canada, Germania, USA
Anno: 2014
Durata: 105'





La trama (con parole mie): Milo, scampato ad un massacro operato dai romani in territori celti e finito in schiavitù come gladiatore, spinto dalle sue vittorie nell'arena, è acquistato per rendere ancora più interessanti i giochi che dovrebbero rilanciare Pompei agli occhi di Roma, da poco tempo governata dal nuovo imperatore Tito.
Il senatore Corvus, inviato dallo stesso, ha il compito di trattare proprio affinchè vengano stanziati fondi per la costruzione di nuove terme e di un'area dedicata ai combattimenti che dovrebbero rendere la città alle pendici del Vesuvio uno dei centri più importanti dopo la Capitale.
Cassia, figlia di uno dei cittadini più influenti di Pompei, fa ritorno a casa dopo un anno di vita a Roma per evitare le attenzione di politici e squali come Corvus, sperando di ritrovare la gioia della terra natìa.
Atticus, gladiatore giunto alla vigilia del suo ultimo combattimento prima della libertà guadagnata scontro dopo scontro e fedele alla legge romana, attende soltanto di mietere l'ultima vittima prima di smettere i panni dello schiavo.
Le loro vite si incroceranno a seguito dei drammatici eventi legati all'eruzione del 79 D. C.








Quasi mi dispiace, massacrare un film come Pompei.
In fondo, potrebbe sembrare che nutra una sorta di curioso rancore verso Paul W. S. Anderson, che di norma è considerato da queste parti come una sorta di garanzia quasi assoluta di schifezza atomica.
Come se il pregiudizio ed il partire prevenuto possa, in qualche modo, minare l'effettiva efficacia dei lavori del suddetto.
Eppure, credetemi, io al buon Paul W. S. voglio proprio bene: perchè senza di lui, questi anni trascorsi dall'apertura del Saloon non sarebbero stati gli stessi, ed i Ford Awards dedicati al peggio si sarebbero visti privare di uno dei loro protagonisti indiscussi, un vero Maestro quando si tratta di proporre al pubblico qualcosa di assolutamente pacchiano ed inguardabile, eppure sempre in una certa misura divertente.
Pompei, ultima fatica del regista di cose "memorabili" come I tre moschettieri, mantiene alta la sua bandiera sotto tutti gli aspetti: prendendo spunto dall'eruzione che nel 79 D. C. distrusse completamente Pompei ed i comuni limitrofi e che ancora oggi è ricordata come una delle più spaventose avvenute in Europa, l'Anderson dei poveri cerca da par suo di creare un cocktail pescando a piene mani e senza ritegno da Il gladiatore, la serie di Spartacus, Titanic, The impossible - a quale degli spettatori di Pompei non è tornato in mente, grazie alla sequenza del porto distrutto dal maremoto, lo tsunami che colpì pochi anni or sono il Sud Est asiatico? - regalando di conseguenza una delle pellicole fin da ora candidate al "contropodio" di fine anno, concentrato di melassa hollywoodiana, effettoni da incontrollato 3D, script da fiction televisiva e chi più ne ha, più ne metta.
Eppure, e sempre per non apparire come il professore pronto ad accanirsi sempre e comunque sull'ultimo della classe, ammetto di non essere riuscito a considerare davvero nociva questa schifezza clamorosa: così come per il recente Hercules, Pompei mantiene in qualche modo un'aura naif capace di evitargli quantomeno le bottigliate più dolorose, ed il risentimento o l'incazzatura del sottoscritto.
Non so se questo sia stato possibile grazie ad un cast pescato in gran parte da serie tv che ho amato ed amo ancora alla follia - dal Kit Harington/Jon Snow di Game of thrones al Kiefer Sutherland/Jack Bauer di 24, passando dalle parti di Oz e Lost grazie a Adewale Akinnuoye-Agbaye e di Mad men e Fringe con Jared Harris - o al fascino che eventi naturali catastrofici riescono comunque ad esercitare sul pubblico ed il sottoscritto, ma il risultato ha consentito, malgrado il livello infimo, a questa robetta di passare più che altro per il puro e semplice intrattenimento a neuroni zero tipico delle serate in cui la stanchezza finisce per farla da padrona.
Forse ho finito per rammollirmi, negli ultimi tempi, eppure quando guardo z-movies di questa risma prodotti con tutti i limiti riconosciuti di chi ci lavora non ho neppure lontanamente la stessa voglia di menare fendenti con i vuoti delle bevute che avrei rispetto ad un lavoro più autoriale ma, di contro, spocchioso e deludente rispetto alle aspettative della vigilia: Pompei è quello che è, un film da poco.
Non c'è da aspettarsi altro, ed in questo senso le aspettative non sono per nulla tradite.
Ed in qualche modo è confortante.
Un pò come sapere che, fin dall'inizio del film, nessuno dei personaggi - dai più zuccherosi ai più irritanti - troverà scampo da quello che è stato uno dei disastri naturali più clamorosi della Storia antica.
E, per parafrasare Julez, anche essere sicuri che di questa pellicola non potranno mai - almeno si spera - produrre un sequel.




MrFord



"Don't hold yourself like that
cause You'll hurt your knees
well I kissed your mouth, and back
but that's all I need
don't build your world around
volcanoes melt you down."
Damien Rice - "Volcano" - 


         


venerdì 14 giugno 2013

Game of thrones - Stagione 3

Produzione: HBO
Origine: USA
Anno: 2013
Episodi: 10




La trama (con parole mie): la guerra che dovrebbe portare una delle casate di Westeros alla conquista del Trono di spade infuria, e nuovi volti si aggiungono sulla scacchiera della lotta. A Sud i Lannister si stringono attorno al patriarca Tywin, che con pugno di ferro e matrimoni di comodo spera di poter salvare la sua famiglia, mentre a Nord il giovane Robb Stark guida gli eserciti finora imbattuti per vendicare la morte di suo padre.
E mentre Stannis Baratheon, fratello dell'ultimo re manipolato dalla sacerdotessa Melisandre, prepara il suo contrattacco a seguito del fallimento che gli è costato la sconfitta di Blackwater, dall'altra parte del mare la giovane Khaleesi Daenerys, madre dei draghi, è intenta ad assemblare un esercito di ex schiavi pronto a tutto per garantirle la vittoria.
Nel mezzo si muovono la giovane Arya Stark, in viaggio nelle terre del continente, il bastardo Jon Snow, finito tra i bruti oltre la Barriera, Jamie Lannister e la sua compagna di viaggio Brienne di Tarth e molti altri volti di una lotta che pare non essere concentrata sui nemici da temere davvero: gli esseri giunti dal ghiaccio eterno pronti ad invadere le terre degli Uomini.




Poche serie, nel corso delle ultime stagioni, hanno saputo mantenere, anno dopo anno, una qualità ad un livello alto ed una costanza così salda come Game of thrones: la creatura di Benioff e Weiss prodotta dalla HBO e tratta dai romanzi di George Martin sorprese due anni fa la critica ed il pubblico con una prima stagione a dir poco strabiliante, seguita da una seconda forse di passaggio ma ugualmente in grado di fornire all'audience materia per riflessioni, momenti di esaltazione ed altri di grandissimo intrattenimento: con il terzo giro di giostra, pare che gli autori siano riusciti in qualche modo a realizzare una sorta di clamorosa media tra le due stagioni precedenti, creando il connubio perfetto tra l'adrenalina di passaggi come il confronto tra Daenerys - sempre uno dei personaggi di punta dell'intero affresco - e gli schiavisti pronti a venderle l'esercito degli Illuminati o quello del destino degli Stark - uno dei finali di puntata più clamorosi degli ultimi anni - e la riflessione legata al dialogo - da rimanere a bocca aperta per quelli tra Tywin e Tyrion Lannister, due dei charachters più tosti, carismatici ed importanti della serie -.
Come se non bastasse, l'evoluzione - in positivo ed in negativo - di protagonisti come Jamie Lannister - mi pare ancora di portare i segni della sua menomazione -, il Cavaliere della Cipolla o Arya Stark - che promette di essere uno dei volti più importanti del futuro di questa storia -, uniti all'inserimento di interessantissimi nuovi nomi come Olenna Tyrell, Ramsay Snow - interpretato dall'ex di Misfits Iwan Rehon - e Daario Naharis hanno reso possibile un ulteriore passo verso la maturazione di uno dei titoli fondamentali che la tv abbia regalato al suo pubblico negli ultimi anni.
Senza dubbio troverete, al pari di elogi, critiche che ormai considerano l'imponente affresco ispirato dal titanico lavoro di Martin ostico a causa del numero certamente non indifferente di storie, sottotrame, personaggi e vicende che si intersecano ed incastrano dal Nord al Sud di Westeros, fino ad oltre il mare: potrei dirvi perfino che potrebbero essere fondate, le suddette critiche, eppure prestando la necessaria attenzione non vi sarà richiesto alcuno sforzo, perchè la passione e l'intensità con la quale questa storia è stata narrata sarà in grado di rapirvi neanche foste uno dei membri di una delle casate che si contendono un trono che pare costare più sangue e morte, che non gloria ed onore.
Oppure finireste per ritrovarvi tra i non nobili che finiscono per dedicare ogni loro singolo giorno alla lotta, e che volenti o nolenti portano sulle spalle il peso di una colpa e di un fardello che non hanno scelto - Jon Snow ed il già citato Cavaliere della Cipolla su tutti, con quel suo "Ho accettato di avere un titolo per il futuro di mio figlio", cui segue il raggelante scambio "E che ne è di tuo figlio, ora?" "E' morto seguendomi in battaglia" -, uomini più o meno deprecabili che si battono per uno spazio anche limitato su una terra che potrebbe essere la nostra.
George Martin, infatti, ha certamente composto e portato sulla pagina una sorta di complesso gioco di ruolo dipanatosi nei recessi della sua mente, eppure il risultato non ha il sapore di qualcosa di irreale, lontano, estraneo da quello che anche noi siamo: i protagonisti della lotta che racconta Game of thrones sono quanto di più umano possa esistere anche nel nostro mondo, e se le questioni, da queste parti, non si regolano più con la spada in pugno, il potere della politica e delle influenze, le differenze di classe ed i problemi che accomunano tutti gli uomini - nobili o popolani che siano - altro non è se non lo specchio della grande giostra di passioni che è la vita: Cersei che trova gioia perfino in Jeoffrey e nel ricordo della sua bellezza da bambino, Arya al suo primo omicidio, Jon Snow in lacrime di fronte alla donna che ama, e che si trova costretto a lasciare, Jamie Lannister pronto ad affrontare la menomazione e uomini biechi uccisi da uomini ancora più biechi. 
Homo homini lupus. La legge della giungla e quella della spada.
Anche se non è sempre detto che le ferite più profonde possano essere provocate dall'acciaio.
Questa è una guerra, signori miei. E da una guerra non si esce mai incolumi.
La guerra è una tempesta che non salva neppure i superstiti.
E all'orizzonte si addensano nubi di una ancora più grande di quella per un trono d'acciaio.
E a quel punto si vedrà la differenza tra i re e gli uomini che non hanno bisogno di dichiarare di esserlo per doversi imporre sugli altri.


MrFord


"Blood and tears
blood and tears
since you've been gone
I hear you've been crying
blood and tears
all alone
in your misery
so alone
could you have
been deceived
since I've been gone
I hear you been crying."
Danzig - "Blood and tears" -


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