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martedì 25 marzo 2014

Pompei

Regia: Paul W. S. Anderson
Origine: Canada, Germania, USA
Anno: 2014
Durata: 105'





La trama (con parole mie): Milo, scampato ad un massacro operato dai romani in territori celti e finito in schiavitù come gladiatore, spinto dalle sue vittorie nell'arena, è acquistato per rendere ancora più interessanti i giochi che dovrebbero rilanciare Pompei agli occhi di Roma, da poco tempo governata dal nuovo imperatore Tito.
Il senatore Corvus, inviato dallo stesso, ha il compito di trattare proprio affinchè vengano stanziati fondi per la costruzione di nuove terme e di un'area dedicata ai combattimenti che dovrebbero rendere la città alle pendici del Vesuvio uno dei centri più importanti dopo la Capitale.
Cassia, figlia di uno dei cittadini più influenti di Pompei, fa ritorno a casa dopo un anno di vita a Roma per evitare le attenzione di politici e squali come Corvus, sperando di ritrovare la gioia della terra natìa.
Atticus, gladiatore giunto alla vigilia del suo ultimo combattimento prima della libertà guadagnata scontro dopo scontro e fedele alla legge romana, attende soltanto di mietere l'ultima vittima prima di smettere i panni dello schiavo.
Le loro vite si incroceranno a seguito dei drammatici eventi legati all'eruzione del 79 D. C.








Quasi mi dispiace, massacrare un film come Pompei.
In fondo, potrebbe sembrare che nutra una sorta di curioso rancore verso Paul W. S. Anderson, che di norma è considerato da queste parti come una sorta di garanzia quasi assoluta di schifezza atomica.
Come se il pregiudizio ed il partire prevenuto possa, in qualche modo, minare l'effettiva efficacia dei lavori del suddetto.
Eppure, credetemi, io al buon Paul W. S. voglio proprio bene: perchè senza di lui, questi anni trascorsi dall'apertura del Saloon non sarebbero stati gli stessi, ed i Ford Awards dedicati al peggio si sarebbero visti privare di uno dei loro protagonisti indiscussi, un vero Maestro quando si tratta di proporre al pubblico qualcosa di assolutamente pacchiano ed inguardabile, eppure sempre in una certa misura divertente.
Pompei, ultima fatica del regista di cose "memorabili" come I tre moschettieri, mantiene alta la sua bandiera sotto tutti gli aspetti: prendendo spunto dall'eruzione che nel 79 D. C. distrusse completamente Pompei ed i comuni limitrofi e che ancora oggi è ricordata come una delle più spaventose avvenute in Europa, l'Anderson dei poveri cerca da par suo di creare un cocktail pescando a piene mani e senza ritegno da Il gladiatore, la serie di Spartacus, Titanic, The impossible - a quale degli spettatori di Pompei non è tornato in mente, grazie alla sequenza del porto distrutto dal maremoto, lo tsunami che colpì pochi anni or sono il Sud Est asiatico? - regalando di conseguenza una delle pellicole fin da ora candidate al "contropodio" di fine anno, concentrato di melassa hollywoodiana, effettoni da incontrollato 3D, script da fiction televisiva e chi più ne ha, più ne metta.
Eppure, e sempre per non apparire come il professore pronto ad accanirsi sempre e comunque sull'ultimo della classe, ammetto di non essere riuscito a considerare davvero nociva questa schifezza clamorosa: così come per il recente Hercules, Pompei mantiene in qualche modo un'aura naif capace di evitargli quantomeno le bottigliate più dolorose, ed il risentimento o l'incazzatura del sottoscritto.
Non so se questo sia stato possibile grazie ad un cast pescato in gran parte da serie tv che ho amato ed amo ancora alla follia - dal Kit Harington/Jon Snow di Game of thrones al Kiefer Sutherland/Jack Bauer di 24, passando dalle parti di Oz e Lost grazie a Adewale Akinnuoye-Agbaye e di Mad men e Fringe con Jared Harris - o al fascino che eventi naturali catastrofici riescono comunque ad esercitare sul pubblico ed il sottoscritto, ma il risultato ha consentito, malgrado il livello infimo, a questa robetta di passare più che altro per il puro e semplice intrattenimento a neuroni zero tipico delle serate in cui la stanchezza finisce per farla da padrona.
Forse ho finito per rammollirmi, negli ultimi tempi, eppure quando guardo z-movies di questa risma prodotti con tutti i limiti riconosciuti di chi ci lavora non ho neppure lontanamente la stessa voglia di menare fendenti con i vuoti delle bevute che avrei rispetto ad un lavoro più autoriale ma, di contro, spocchioso e deludente rispetto alle aspettative della vigilia: Pompei è quello che è, un film da poco.
Non c'è da aspettarsi altro, ed in questo senso le aspettative non sono per nulla tradite.
Ed in qualche modo è confortante.
Un pò come sapere che, fin dall'inizio del film, nessuno dei personaggi - dai più zuccherosi ai più irritanti - troverà scampo da quello che è stato uno dei disastri naturali più clamorosi della Storia antica.
E, per parafrasare Julez, anche essere sicuri che di questa pellicola non potranno mai - almeno si spera - produrre un sequel.




MrFord



"Don't hold yourself like that
cause You'll hurt your knees
well I kissed your mouth, and back
but that's all I need
don't build your world around
volcanoes melt you down."
Damien Rice - "Volcano" - 


         


domenica 10 marzo 2013

Spartacus

Regia: Stanley Kubrick
Origine: USA
Anno: 1960
Durata: 184'




La trama (con parole mie): il trace Spartacus, schiavo fin dalla nascita, viene venduto a Batiatus allo scopo di diventare un gladiatore. Dopo essere stato addestrato, l'uomo finisce a capo di una ribellione che sconvolge la vita politica di Roma, nel cuore della quale è da tempo accesa la rivalità tra il senatore di origine plebea Gracco ed il patrizio Crasso, che si contendono i favori del giovane Giulio Cesare in ascesa.
La rivolta, partita da Capua, scuote tutta la parte meridionale dell'Italia, e pare non avere rivali fino a quando i pirati Cilici, corrotti dal governo romano, negano l'aiuto promesso ai ribelli, costringendoli a tornare sui loro passi ed affrontare in campo aperto l'esercito della "Caput mundi" al completo.
Tutto finirà nel sangue, con Spartacus crocefisso con i suoi fedelissimi lungo la Via Appia: eppure la sua donna Varinia ed il figlio appena nato conquisteranno l'agognata libertà, e l'esempio fornito da questa lotta varrà per generazioni e generazioni che verranno.





Nella purtroppo non numericamente consistente filmografia di Stanley Kubrick il caso di Spartacus appare quasi come un'eccezione, la mosca bianca del percorso artistico di un regista votato ad un'autorialità sfrenata lontana anni luce da quello che era - e significava - il kolossal dell'epoca d'oro dei grandi Studios.
Frutto di una realizzazione conflittuale che portò all'abbandono del primo regista scelto per il progetto - Anthony Mann, un altro grandissimo - e che conobbe fasi di scontro tra il protagonista e produttore Kirk Douglas e lo sceneggiatore Dalton Trumbo - che proprio grazie a Douglas e Kubrick tornò al lavoro su un grande progetto dopo gli anni di galera e di esilio dal mondo hollywoodiano proprio per la sua fama di dissidente a seguito dell'esplosione del maccartismo -, quello che è senza dubbio il kolossal più autoriale mai realizzato - neppure Ridley Scott e Oliver Stone, con i loro Il gladiatore e Alexander, riuscirono altrettanto bene nell'impresa - rivisto a distanza di anni è riuscito a colpirmi anche più di quanto già non fece quando lo affrontai per la prima volta, quando decisi che non potevo limitare la mia conoscenza di Kubrick ai vertici della sua arte.
La vicenda dello schiavo trace di recente ripresa anche dall'ottima - e decisamente più tamarra - serie televisiva, già di suo estremamente coinvolgente per tutti quelli abituati a confrontarsi con il Potere ed il suo esercizio dalla parte sbagliata della barricata - quella di chi lo subisce, per intenderci - è resa dalla sceneggiatura di Trumbo straordinariamente attuale, ironica e pungente e con molti riferimenti ai drammi personali vissuti dallo scrittore/sceneggiatore, che sfrutta il personaggio di Gracco - un sempre magnifico Charles Laughton, attore di razza e regista del Capolavoro La morte corre sul fiume - per denunciare i disagi che lui stesso dovette vivere nell'esilio che gli costò "l'essere contro" così come nel mostrare i risvolti più drammatici e "scabrosi" del Potere in quella che, allora, era la città - e la civiltà - di riferimento di tutto il mondo conosciuto, Roma - geniale la sequenza del confronto tra il patrizio Crasso, un elegantissimo Laurence Olivier, e lo schiavo Antonino, un giovanissimo Tony Curtis, a proposito delle preferenze sessuali presentate come scelte culinarie, e la questione degli appetiti che la morale non è in grado di saziare -.
Come se tutto questo non bastasse, un cast di prim'ordine per i tempi - oltre agli attori già citati e ovviamente a Kirk Douglas, ricordiamo anche Peter Ustinov, che vinse un Oscar come migliore attore non protagonista nei panni di Batiatus -, una fotografia spettacolare - premiata anch'essa dall'Academy -, i titoli di testa e parte delle coreografie in battaglia realizzate dal geniale Saul Bass ed ovviamente tutta la tecnica di Stanley Kubrick contribuirono - e contribuiscono ancora oggi - a fare di Spartacus la produzione di riferimento del suo genere, superando anche pietre miliari come Ben Hur o I dieci comandamenti.
La lotta di Spartacus e degli schiavi ribelli attraverso l'Italia dei tempi contro un Impero che ancora doveva conoscere il suo inesorabile declino assume contorni epici coinvolgenti dalle sequenze d'introspezione a quelle di battaglia - che influenzarono decine di film successivi, dai Capolavori di Kurosawa Ran e Kagemusha fino al più recente Braveheart -, e nel finale assume contorni struggenti con la resa "all'unisono" degli schiavi tutti autoproclamatisi Spartacus ed il confronto finale tra lo stesso trace e Crasso, incapace di comprendere il potere che il ribelle esercita sulla donna della quale anch'egli ha finito per innamorarsi.
Un'epopea che non sarà forse quello che ci si aspetterebbe da Kubrick - che continuerà anche in seguito a prendere le distanze da questo progetto -, ma che dimostra una volta ancora quanto una mano come quella del Maestro era in grado di fare anche a partire da un genere quasi per definizione blockbusteriano: certo, alle sue spalle hanno avuto fondamentale importanza la determinazione di Douglas quanto la penna di Trumbo, eppure il regista newyorkese non avrebbe avuto assolutamente nulla da rimproverarsi rispetto alla realizzazione di quello che, probabilmente, è uno dei film epici definitivi della Storia del Cinema.
Stanley Kubrick è lo Spartacus della settima arte.
E grazie a lui, lo siamo un pò anche noi.


MrFord


"Tu ti lamenti ma chi ti lamenti
pigghia lu bastuni e tira fora li denti.
E Cristu ci rispunni di la cruci: 
chi forsi su spizzati li to' vrazza
cu voli la giustizia si la fazza
ca tantu nuddu la farà ppi tia."
Domenico Modugno - "Malarazza" -



sabato 28 aprile 2012

Spartacus: vengeance

Produzione: Starz
Origine: Usa/Nuova Zelanda
Anno: 2012
Episodi: 10



La trama (con parole mie):  il massacro avvenuto nella casa di Batiatus ha dato il via alla rivolta di Spartacus, deciso a lottare - fino alla morte, se necessario - contro i Romani che l'hanno privato della donna che amava e della libertà. Al suo fianco restano Crissus - ossessionato dal desiderio di ritrovare l'amata Naevia - e Agron, mentre Enomeo pare sconvolto dai sensi di colpa per essersi ribellato al padrone che gli aveva promesso di renderlo un cittadino, nonchè proprietario del suo ludus.
A Capua la tensione cresce, e da Roma giungono per risolvere la spinosa questione Varinio e Glabro, vecchio nemico di Spartacus, in modo da mettersi in mostra agli occhi del Senato soffocando i moti ribelli: il loro compito risulterà più arduo del previsto, complici anche gli intrighi di Seppio e della sua giovane sorella, di Ilizia - che sta per dare alla luce l'erede di Glabro - e della rediviva Lucrezia, sopravvissuta alla carneficina avvenuta nella sua villa.
Spartacus, dal canto suo, dovrà fare fronte alle tensioni tra Galli e Germanici, alla fame e alla mancanza di guerrieri ed armi: la resa dei conti di questa prima parte della sanguinosa lotta tra i ribelli e la Rebubblica avverrà alle pendici del Vesuvio, dopo aver sconvolto il cuore della stessa Capua.




Chi l'avrebbe detto che una serie iniziata, ai miei occhi, come la versione tamarra e sguaiata de Il gladiatore o Alexander dalle rimembranze del 300 firmato Zack Snyder - che, come ormai chi frequenta il saloon da qualche tempo sa bene, ho detestato profondamente - sarebbe diventata uno dei cult indiscutibili del 2012 delle serie tv in casa Ford?
Nessuno, probabilmente. Io per primo.
E invece Spartacus è riuscito a sorprendermi e smentirmi, ritagliandosi un posto di assoluto rilievo tra le visioni più apprezzate di questa prima metà dell'anno - almeno per quanto riguarda il piccolo schermo -, fissando uno standard che già da ora fa salire l'aspettativa per la prossima - ultima? - stagione e superare il trauma della morte prematura del protagonista Andy Whitfield, lo Spartacus che in casa Ford avevamo imparato ad apprezzare episodio dopo episodio, sostituito dal più giovane ma decisamente meno prestante Liam McEntyre.
Effettivamente quest'ultimo rappresenta il vero punto debole della terza serie dedicata alle gesta del ribelle più famoso della storia di Roma, privo della forma - spesso e volentieri il nuovo Spartacus indossa corpetti che, di fatto, nascondono la differenza sostanziale tra lui ed i suoi più imponenti e scolpiti colleghi - e del carisma del suo predecessore, ma ugualmente grintoso, e senza dubbio non privo di margini di miglioramento ampi in attesa del prossimo anno, quando assisteremo alla parte finale - e più drammatica: ricordiamo che la rivolta di Spartacus è destinata a finire nel sangue dei suoi protagonisti - di questa saga.
Il resto, dal cast agli intrighi, dal sesso alla morte, funziona a meraviglia, ed anche la CGI dal gusto kitsch e tamarro che tanto mi disturbò nelle prime puntate ora mi pare perfetta per un prodotto volutamente sopra le righe per il quale risulta impossibile non provare l'esaltazione tipica da testosterone in eccesso o, più semplicemente, da partecipazione ad un'impresa assolutamente persa in partenza che resta una delle testimonianze più forti di ribellione al concetto di schiavitù nel mondo antico.
Ammetto inoltre che il passaggio dalle battaglie nell'arena a quelle per l'affermazione del proprio diritto di uomini liberi di Spartacus e dei suoi abbia provocato un esponenziale aumento della mia empatia verso i protagonisti, tratteggiati benissimo e costruiti con intelligenza, partecipazione e profondità - il lavoro degli autori sui personaggi rappresenta, di fatto, il vertice "autoriale" del prodotto -: charachters come Ashur - uno dei favoriti di casa Ford - risultano pressochè perfetti, e perfino nei peggiori tra i Romani - e tra i ribelli - è possibile trovare una scintilla in grado di accendere il fuoco della passione ed esercitare un fascino a tratti anche perverso sull'audience.
Senza contare sul piatto forte: la ribellione.
Attraverso gli occhi, il cuore, le azioni e le loro conseguenze troviamo interpretazioni diverse della stessa fornite da ognuno di questi ex schiavi pronti a dare anche la vita pur di non tornare sotto il giogo della Repubblica: da Spartacus stesso - che scopre passo dopo passo di essere a capo di una rivolta che potrà essere nata dal desiderio di vendetta per la moglie uccisa tempo prima dai sicari di Batiatus dopo essere stata resa schiava da Glabro ma che, di fatto, diviene il simbolo di qualcosa di più grande delle loro singole esistenze - a Crissus - mosso dall'amore per Naevia e dal desiderio di poter vivere libero con lei, lontano da Roma, e da un concetto di onore appreso nell'arena e progressivamente mutato per le necessità imposte dalla guerra -, da Enomeo - smarritosi dopo la notte del massacro nella villa di Batiatus e ritrovatosi nel concetto di fratellanza - a Gannicus - un ritorno graditissimo dal sottoscritto, quello del campione divenuto libero, personaggio egoista e contradditorio eppure clamorosamente votato alla causa grazie al suo legame con Enomeo e la sua defunta moglie Melitta -, da Agron - presentato quasi come una comparsa nel corso della prima stagione e divenuto uno degli alfieri di Spartacus - al vecchio Lucio, nobile che fu uomo della Repubblica caduto in disgrazia che preferisce abbracciare la causa dei ribelli e morire felice per mano "di qualcuno che non è un Romano".
E poi ci sono loro, le donne: raramente una serie ha fornito una galleria di personaggi femminili così forti e profondi, dalle maestre d'intrighi Lucrezia e Ilizia alla giovane Seppia, trovando in Naevia - splendida la sua evoluzione, così come il legame con Crissus - e Mira simboli di un coraggio e di una forza - d'animo, ma non solo - che spesso e volentieri gli uomini possono solo sognarsi, trovando nella loro presenza proprio la spinta che finisce per mancare.
I risvolti di questa serie, così come i suoi personaggi, divengono molteplici con il passare delle puntate, e tutto pare riduttivo, se non il consiglio di buttarcisi a capofitto, facendo il possibile per esserne coinvolti e travolti, dai suoi aspetti più ludici e tamarri a quelli più profondi, che toccano il nostro essere Uomini nel profondo: "noi siamo mostri", dichiara Glabro parlando della sua ossessione di porre fine alla rivolta di Spartacus, che di contro è pronto a rinunciare alla propria vendetta "perchè non avrebbe lo stesso valore rispetto alla mia perdita".
Eppure, gli schiavi divenuti ribelli hanno le mani sporche di sangue almeno quanto i loro nemici Romani: provano rabbia e rancore, e sono dominati da una furia passionale che appare più onesta solo perchè non macchiata dallo spettro terribile della politica. Eppure c'è.
Forse perchè, più che mostri, siamo Uomini. Tutti quanti.
E proprio in quanto tali, meritiamo di giocarci la nostra partita alla pari.
Liberi nel corpo e nell'anima.
Questa è la differenza principale che corre tra quello che ormai è l'esercito di Spartacus e quello della Repubblica più potente dell'antichità.
Questa è la differenza che permette ad un mercenario come Gannicus di scoprire il senso di una lotta persa in partenza. E crederci fino in fondo.
"Meglio regnare all'Inferno, che servire in paradiso", recitava il Lucifero del Paradiso Perduto firmato da John Milton.
Meglio liberi all'Inferno, che schiavi in Paradiso, mi viene da pensare.
E un brivido corre lungo la schiena all'idea che sarebbe stato un onore battersi accanto a Spartacus fino alla fine.


MrFord


"People say that you'll die
faster than without water.
But we know it's just a lie,
scare your son, scare your daughter.
People say that your dreams
are the only things that save ya.
Come on baby in our dreams,
we can live on misbehavior."
Tha Arcade Fire - "Rebellion (lies)" -


domenica 18 marzo 2012

Spartacus: gods of the arena

Produzione: Starz
Origine: Usa
Anno: 2011
Episodi: 6



La trama (con parole mie): dal massacro che ha seguito l'inizio della rivolta di Spartacus, torniamo indietro ai tempi in cui la casa di Batiato era attentamente controllata da suo padre Tito, il campione in carica del ludus era il sempre sopra le righe Gannicus, Crixus ed Ashur erano solo dei novellini ed il futuro Doctore Enomeo ancora un gladiatore in convalescenza per le ferite subite nello scontro con il temibile Teocle.
Inganno dopo inganno, tradimento dopo tradimento, lotta dopo lotta, assisteremo all'affermazione del Batiato imparato a conoscere nel corso della serie regolare, e all'ascesa di Crixus come futuro Campione di Capua nonchè amante della domina Lucrezia.




Non avrei mai creduto che la serie dedicata al gladiatore ribelle Spartacus sarebbe riuscita a divertirmi, intrattenermi e coinvolgermi come ha fatto, tanto da accrescere l'impazienza per la nuova stagione - tuttora in corso negli States - ed il momento in cui - una volta giunta alla conclusione - arriverà dritta dritta sugli schermi di casa Ford, giusto per gustarsela con i tempi dettati dalla nostra discrezione, e non seguendo quelli televisivi.
Devo inoltre ammettere che questa mini di sei episodi, voluta dalla produzione a seguito della malattia diagnosticata ad Andy Whitfield in attesa di una sua guarigione - purtroppo mai avvenuta -, è riuscita a superare la serie originale, concentrandosi maggiormente sull'intrigo rispetto all'azione "dura e pura" sfruttando al meglio tutto il fascino del prequel, approfondendo le storie di alcuni dei protagonisti della serie regolare e regalando al pubblico un campione del ludus addirittura migliore dello stesso Spartacus, Gannicus, un gladiatore imprevedibile e guascone certamente più pane e salame ed umano di quello che è "l'eroe" effettivo dell'intera vicenda.
Le stesse parti dedicate all'azione, seppur caratterizzate dalla consueta CGI di scarsa qualità, risultano meglio studiate - soprattutto nelle coreografie - e decisamente più avvincenti - si veda il primus all'inaugurazione della nuova arena di Capua, una sorta di Royal Rumble gladiatoria forse un pò confusionaria eppure decisamente curata ed efficace -: a dare spessore a queste stesse, oltre al già citato Gannicus, ritroviamo Crixus, personaggio che guadagna punti ed insidia di nuovo Gannicus come mio personale preferito, senza contare il futuro Doctore Enomeo ed il sottile e pericoloso Ashur, che scalda le polveri per quelle che saranno - o sono state, seguendo i tempi della realtà televisiva - le sue imprese successive.
Accanto ai protagonisti maschili si distingue Melitta, moglie di Enomeo e schiava prediletta di Lucrezia, accumunata - o quasi - nel destino alla giovane Naevia nel corso della serie regolare rispetto ad un amore combattuto, clandestino e destinato a non durare, nella piena tradizione dell'antica tragedia greca - tranquillamente applicabile al mondo romano -.
Tutto questo, senza contare il centro di tutta l'azione effettiva,  casa Batiato: un nido di vipere, conflitti, intrighi e piaceri come non se ne vedevano da tempo, trampolino per il futuro padrone del ludus - interpretato da un sempre ottimo John Hannah -, il lanista ed aspirante uomo politico Quinto, sempre pronto a rialzarsi anche dopo umiliazioni e sconfitte colpendo i responsabili delle stesse ancora più duramente, spesso grazie a manipolazioni ai danni di chi gli sta intorno, dalle schiave ai gladiatori, fino ai parenti o agli amici.
Al suo fianco una ancora solo parzialmente mefistofelica Lucrezia - Lucy Lawless, come il suo partner sullo schermo in grande spolvero -, che partirà come fosse una sorta di innocente per rivelare, puntata dopo puntata, la natura di predatrice che chi ha seguito la serie regolare ha imparato bene a conoscere.
Un'operazione, dunque, nata come un'emergenza e spinta dalla speranza che Andy Whitfield potesse riprendersi e rivelatasi assolutamente vincente, tanto da accrescere la fiducia che la serie effettiva possa ulteriormente migliorare, confezionando un prodotto d'intrattenimento puro e semplice impreziosito dalla crudele rappresentazione del mondo in cui si svolge e dei suoi protagonisti, destinati ad erigersi e cadere sul grande palcoscenico della vita in un'epoca in cui tutto era più semplice: soprattutto morire.
Arena, oppure no.


MrFord


"Fight like a brave
don't be a slave
no one can tell you
you've got to be afraid."
Red Hot Chili Peppers - "Fight like a brave" -


sabato 17 marzo 2012

Spartacus: blood and sand - Stagione 1

Produzione: Starz
Origine: Usa
Anno: 2010
Episodi: 13



La trama (con parole mie): Roma, forte dei suoi eserciti e dei coscritti reclutati nelle province assogettate, avanza e prepara quella che sarà la gloria del futuro Impero.
Nel pieno delle lotte tra l'Est Europa e l'Oriente, un trace si ribella al Legato Glabro finendo ridotto in schiavitù, separato dalla moglie e venduto come gladiatore al lanista Batiato: il suo nome diverrà Spartacus, sfuggito ad un'esecuzione capitale nell'arena, caduto in disgrazia e tornato a conquistare i favori del pubblico come leggenda, fino a divenire il Campione di Capua.
Attorno a lui, e al ludus di Batiato, le vite e le morti di gladiatori, schiave, politici ed aspiranti tali: sesso, sangue, tradimenti e morte in un turbinio di eventi che accenderanno la scintilla della più grande rivolta che Roma abbia mai affrontato.
A capo della stessa troverà posto l'indomito trace.



Lo ammetto. Spartacus mi ha sorpreso, e parecchio.
Appena terminato il primo episodio, in casa Ford eravamo soltanto sguardi perplessi e dubbi che ci si fosse trovati di fronte all'ennesima tamarrata in stile 300 - uno dei film più detestati dalle mie parti degli ultimi dieci anni - con una CGI pessima e ralenti assolutamente insopportabili continuamente reiterati nei combattimenti.
Inoltre, a remare contro la versione del compianto Andy Whitfield del trace ribelle c'era niente meno che l'opera made in Kubrick ispirata al gladiatore più problematico che Roma dovette affrontare, in grado di sconvolgere la Repubblica fino a farla tremare e mantenere la sua fama anche dopo la sua morte quasi fosse un eroe, più che un nemico del futuro Impero.
Tutto, dunque, pareva lasciar presagire un rapido abbandono della serie ed una definitiva archiviazione di un esperimento buono giusto per i nostalgici di Leonida e Centocelle Dream Man suoi affiliati: invece, episodio dopo episodio, pur conservando un comparto tecnico da bottigliate selvagge, la serie trova progressivamente la sua dimensione, soprattutto consolidando la sua parte dedicata agli intrighi, alle morti e ai tradimenti che avvengono nel cuore del ludus di Batiato e non solo, e vedono coinvolti schiavi, gladiatori, nobili, politici, dai più "bassi" ai più "alti" livelli della società dell'epoca, specchio soltanto più esplicitamente violento di quello che i secoli non hanno cambiato della natura umana.
E proprio quella stessa natura a definire un gruppo di protagonisti dalla dubbia o distorta moralità, totalmente imperfetto ed assolutamente realistico, in cui nessuno è privo di colpe o lontano da malignità e inganni, dal protagonista Spartacus - tutto d'un pezzo eppure emblema di un egoismo a mio parere smisurato - al machiavellico Batiato, dal marziale Crixus - forse il più positivo tra i protagonisti, ed è dire tutto - al diabolico Ashur - di gran lunga il personaggio meglio realizzato e sfaccettato della serie -, senza contare il nutrito parterre femminile, capace di manipolazioni più sottili e terrificanti di quelle di grana grossa portate avanti dai componenti del "sesso forte".
Inoltre, al complesso incrocio di eventi che portano inevitabilmente alla tragedia neanche ci trovassimo nel pieno della più classica delle Hybris da consumare di generazione in generazione, si affianca la sensibile tematica della ribellione contro il potere e chi lo rappresenta, sfruttando la fatica, il sangue e una promessa di libertà che non verrà mai mantenuta per soggiogare, ricattare, mettere i fratelli contro i fratelli.
E' proprio grazie a questa rivolta che la figura di Spartacus assume un'importanza ben maggiore di quella del gladiatore, e la serie delle pessime scelte legate ad ambientazioni ed effetti dipendenti dalla computer graphic - di basso livello, peraltro -: nel sangue di Spartacus e dei suoi compagni in rivolta ci sono tutti i semi di quelle che saranno le grandi lotte che vedranno protagonisti i vessati, gli oppressi, gli uomini e le donne della strada nel corso dei secoli.
Uomini e donne che non sono migliori di chi li lascia morire nella polvere.
Semplicemente, non hanno nessuno da far morire al posto loro.
Almeno fino a quando la rivolta crescerà abbastanza perchè questo sia possibile.


MrFord


"White riot - I wanna riot
white riot - a riot of my own
white riot - I wanna riot
white riot - a riot of my own."
The Clash - "White riot" -



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