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lunedì 29 aprile 2019

White Russian's Bulletin



Il viaggio a New York ed il rimbalzare tra i ponti divisi tra Pasqua, Liberazione e Primo Maggio, nonchè l'approdo sugli schermi del Saloon delle nuove stagioni di Gomorra, Shameless e Game of thrones ha rallentato non poco il ritmo delle visioni da grande schermo, ma il piatto principale di questa settimana è speciale, non fosse altro perchè ha rappresentato un'uscita in sala di tutti i Ford e la prima "epopea" di tre ore affrontata dai Fordini, che tutto sommato hanno retto molto bene e partecipato parecchio - soprattutto, c'è da ammetterlo, quando volavano gran mazzate -.
Del resto, anche io ho iniziato come loro, e pensare che possano ancora scoprire praticamente da zero un mondo fantastico come quello della settima arte mi emoziona più che se dovessi farlo io.


MrFord



AVENGERS - ENDGAME (Anthony e Joe Russo, USA, 2019, 181')

Avengers: Endgame Poster


La fine - almeno per un annetto - della saga del Marvel Cinematic Universe era piuttosto attesa, qui in casa Ford: da qualche mese, infatti, i Fordini sono preda del fascino dei supereroi, e dalle domande su chi sia più forte di chi alle discussioni su chi fa chi - ricordo le stesse scenette con mio fratello da bambini, solo che noi ci contendevamo Wolverine e Spider Man, loro Groot e Hulk - fino al recupero di alcuni dei film targati Marvel - ancora non tutti, ma si rimedierà -, siamo giunti in sala sperando che tutto potesse andare per il meglio, sia rispetto alla tenuta dei bimbi che alla qualità del lavoro, considerate le recensioni controverse.
A mio parere il risultato è stato un clamoroso successo: Endgame è la degna conclusione della cavalcata come è stata fino ad ora degli Avengers, e riesce a far coesistere comicità, dramma, fan service, epicità, tantissimi personaggi ed una storia che non era semplice comprimere in tre ore di pellicola - che sono comunque parecchie -: in qualche modo, la Marvel ha realizzato il suo Ritorno del re in termini di struttura e gestione, e alla facciazza di chi inevitabilmente andrà contro questo tipo di produzioni mainstream e classiche, trovo possa essere impossibile a meno di non avere seri problemi in termini di emotività non farsi coinvolgere come si fosse bambini da momenti come il confronto - o meglio, i confronti - tra Cap. America e Thanos durante la battaglia finale o sul funerale che apre - come fu per il lavoro più noto di Peter Jackson - la serie di finali che congedano, per ora, l'MCU dal pubblico.
Per il resto, ottimi gli effetti, giusto lo "spezzettamento" - troppi charachters in campo per gestirli diversamente -, interessanti i cambiamenti operati su Hulk, Occhio di falco, Falcon e Thor - bellissima la battuta di Tony Stark su Lebowski -, curioso scoprire quello che accadrà con la Fase Quattro del progetto - che dovrebbe iniziare nel duemilaventi -: quando si parla di Cinema mainstream e d'intrattenimento, produzioni come questa dovrebbero essere prese da esempio.
Avengers, uniti!





HIGHWAYMEN - L'ULTIMA IMBOSCATA (John Lee Hancock, USA, 2019, 132')

Highwaymen - L'ultima imboscata Poster


Avevo ricordi velati delle vicende di Bonnie e Clyde, filtrati attraverso le immagini del mitico Gangster Story di Arthur Penn, e a rinfrescarmi la memoria con una produzione classica e dallo spirito decisamente Western e fordiano ci ha pensato Netflix, che ripercorre molto fedelmente la caccia ai leggendari banditi dalla parte dei due Rangers che si occuparono di seguirli e braccarli fino all'agguato che segnò la fine delle loro imprese.
Come di consueto intensi e funzionali Harrelson e Costner, ottime fotografia e ricostruzione dei tempi, profonda la riflessione ed il confronto tra il compito dell'uomo di Legge ed il ruolo sociale di due ragazzini divenuti a suon di omicidi simbolo del malcontento dei poveri e degli emarginati sociali - incredibile che, nel pieno degli anni trenta della crisi economica e in un'epoca molto meno "social" della nostra, ai funerali di Bonnie parteciparono ventimila persone e a quelli di Clyde quindicimila -, ben descritto il rapporto di amicizia virile dei due protagonisti.
Non brillerà per originalità o capacità di conquistare quella maggioranza di pubblico smart che allo stato attuale ha dimenticato un certo Cinema, ma per quanto mi riguarda, avercene.


mercoledì 2 maggio 2018

Avengers - Infinity War (Anthony e Joe Russo, USA, 2018, 149')





Quando, nell'aprile del duemiladodici, invase le sale il primo film dedicato agli Avengers, costruito pezzo dopo pezzo a seguito di Iron Man, Captain America, Thor e Hulk, tentativo di mettere insieme le tessere del mosaico Marvel e del neonato Cinematic Universe, probabilmente nessuno, neppure il fan più accanito, avrebbe potuto prevedere il fenomeno che ne sarebbe scaturito.
Personalmente, adorai il primo film tanto quanto mi parve deludente il noioso Age of Ultron, che appariva come un grande raccordo buono giusto per traghettare i personaggi da una fase all'altra dell'appena citato Cinematic Universe, divenuto nel frattempo qualcosa di estremamente grande e complesso: ai primi protagonisti - tutti legati ad almeno due o tre pellicole -, infatti, si sono aggiunti anche charachters "minori" come Ant-Man, Strange, I Guardiani della Galassia, Pantera Nera, così come lo Spider Man versione reboot, e ad oggi la grande macchina oliata da Marvel e Disney continua a produrre pellicole che, spesso e volentieri, finiscono per diventare successi clamorosi.
Con Infinity War, dunque, ci si trovava di fronte ad un'occasione che poteva rivelarsi un trampolino di lancio o un'arma a doppio taglio per autori e distributori: visione alle spalle, regalo della sempre mitica suocera Ford pronta a tenere con lei la Fordina mentre il Fordino se la spassava in campagna con il nonno, in una serata all'americana da coppia senza figli con tanto di fast food e "facciamo pure tardi tanto stanotte i bambini non ci sono", posso dire che i fratelli Russo abbiano colto in pieno la succitata occasione consegnando al pubblico uno dei Marvel movies meglio riusciti, in grado di mescolare una miriade di personaggi e situazioni, effettoni, botte, divertimento, risate sguaiate ed una parte oscura, profonda e drammatica che si traduce in uno dei finali più bastardi dai tempi de L'impero colpisce ancora, pronto a legare il pubblico alla poltrona in attesa dei nuovi capitoli del grande affresco dipinto da Mamma Marvel - i prossimi titoli in ordine di uscita dovrebbero essere Capitan Marvel, cui fa riferimento la scena post credits, e Ant-Man e Wasp - e consacrare un cattivo davvero eccellente - che io ricordavo bene dai miei tempi di lettore di fumetti -, il Thanos interpretato da Josh Brolin.
L'aura tragica e shakespeariana del villain, unita al legame dello stesso con Nebula e Gamora, l'idea di preservare la sanità dell'Universo ergendosi a giudice, giuria ed esecutore di metà delle creature viventi funziona ed affascina, e anche se a molti avrà fatto storcere il naso l'evoluzione che porta al finale, personalmente non vedo l'ora di poter di nuovo vedere Thanos in azione.
Sul fronte opposto la componente ironica - e quasi comica - divenuta parte integrante di questo tipo di proposte continua a risultare perfetta per rendere il prodotto leggero, fruibile e privo di qualsiasi pretesa che non sia l'intrattenimento, resa ancora più funzionale, a questo giro, dai meravigliosi Guardiani della Galassia - Rocket, Drax e Groot sono fenomenali -, da un Thor che continua il processo di svecchiamento del personaggio iniziato nei lungometraggi a lui dedicati e da uno Strange che si propone come nuovo leader "di testa" insieme - o contrapposto positivamente - a Tony Stark.
Tutto questo senza dimenticare, ovviamente, i momenti da botte da orbi come la battaglia in Wakanda - che pare una di quelle de Il signore degli anelli - o il primo confronto a New York con gli emissari di Thanos, mondi ed universi di grande impatto visivo ed un crescendo da season finale di una serie televisiva, con il pubblico che resta come con un grido rimasto in gola in attesa del nuovo capitolo che dovrebbe giungere proprio il prossimo anno, preannunciato da quel "Thanos ritornerà" che precede i titoli di coda.
Questo Infinity War dimostra ancora una volta non solo la superiorità netta dei film legati alla Marvel rispetto a quelli targati DC Comics, ma anche che il Cinematic Universe è ancora vivo e ribollente di idee ed energie, e se questa è la qualità che è pronto ad offrire, mi troverà in prima linea per molto tempo ancora.



MrFord



lunedì 10 luglio 2017

Gifted - Il dono del talento (Marc Webb, USA, 2017, 101')




E' davvero curioso, come e quanto cambino le prospettive rispetto alla vita con il passare del tempo e l'accumularsi delle esperienze, tanto da ricordarmi la bellissima sequenza de L'attimo fuggente con Keating pronto a far salire i suoi studenti sulla cattedra per dare un'occhiata differente al mondo che loro conoscevano da un'altra angolazione: una ventina d'anni fa, nel pieno dell'adolescenza, sognavo di avere il talento di uno scrittore geniale, di vivere un'esistenza tormentata e di morire solo come un vero poeta romantico nell'estate del duemiladodici, a pochi mesi dal mio trentatreesimo compleanno.
Scritto, pensato o detto ora, fa quasi sorridere.
Questo perchè, a conti fatti, per quanto adori scrivere e adorerei ancor di più vivere soltanto di quello - principalmente sarebbe l'equivalente di non lavorare -, ci sono tante, tantissime cose che la vita può riservarmi e che continuerò a preferire rispetto al buttare emozioni, storie, sentimenti, fatica sulla carta: più che immaginarmi un genio che muore troppo giovane, ormai penso di essere più nella posizione di Guccini quando canta "godo molto di più nell'ubriacarmi, oppure a masturbarmi, o al limite a scopare".
Vivere, insomma.
Vivere e cercare di farlo nel modo più intenso possibile, inseguendo la felicità prima della realizzazione, l'emozione prima del sogno.
Non che, per questo, abbia cominciato a osteggiare il talento o chi ne ha, ma di sicuro tra un'esistenza di solitudine consegnata all'immortalità ed una vita normale goduta dal primo all'ultimo secondo, scelgo sempre e comunque la seconda, specie se lunga e piacevole.
C'è chi, probabilmente, penserà che il mio punto di vista sia quello di una resa, o più semplicemente la presa di coscienza di qualcuno che si è messo in pace con il fatto di non essere diventato quello che sognava da bambino.
E chissà, forse è così.
In fondo, non sono neppure riuscito a finire ad insegnare, o ad insegnare ginnastica, per dirla come Woody Allen. Eppure, dovessi pensare a me, oltre che ai miei figli, credo che la felicità e la sensazione di essere amati vengano decisamente prima dell'essere considerati una sorta di extraterrestri pronti a sconvolgere il mondo con qualcosa di rivoluzionario: certo, essere un Einstein, un Mozart o un Maradona porta e porterà sempre e comunque dei vantaggi, un pò come l'essere ricchi rispetto al non esserlo, ma considerato come finirà per tutti, credo che, a volte, questo tipo di grandezza risulti per essere sopravvalutato quanto la rockstar che sognavi di incontrare ed una volta faccia a faccia con lei capisci di essere di fronte soltanto ad un grande stronzo.
Con il Cinema, a conti fatti, è stato lo stesso.
Ho sempre amato ed amo tantissimo la settima arte, eppure non rimpiango per nulla il periodo della vita in cui passavo da un film d'autore all'altro, evitando come la peste qualsiasi proposta che non avesse un pedigree o un nome importante sulla locandina: come più volte mi è capitato di ripetere nel corso di questi ultimi mesi, sto cercando sempre più di avvicinarmi ad un Cinema di cuore, emozionante ed emozionato, che possa raccontare storie con qualche sbavatura ma assolutamente umane nella loro fallibilità.
Storie come quella di Gifted, firmato dal Marc Webb dell'ottimo 500 giorni insieme e del meno interessante Amazing Spider Man.
La vicenda della piccola Mary e di suo zio Frank, forse troppo semplice e "facile" per certi versi, senza dubbio indirizzata più al grande pubblico così come a chiunque abbia a che vedere da vicino con la crescita ed il futuro di un bambino, è una delle vicende più "straight" che abbiano accompagnato questo vecchio cowboy nel corso della stagione cinematografica in corso, divertente e commovente come solo la vita di tutti i giorni sa e può essere.
Un elogio del talento come lo furono a loro modo pellicole come L'attimo fuggente - già citata - e Will Hunting, ma allo stesso tempo di tutto quello che il talento non può raggiungere: perchè si può essere grandi nello sport, nell'arte, nella letteratura o nella scienza, ma non avere assolutamente idea di come vivere la vita.
Ed è allora che diventa fondamentale avere qualcuno che ce lo possa ricordare.
Perchè senza la vita, anche il talento perde significato.
Non esiste un Einstein senza uno studente che non capisce un beneamato cazzo di matematica.
Non esiste un Mozart, senza un orecchio che possa ascoltare la sua musica.
Non esiste un Maradona, senza un operaio che porta suo figlio allo stadio a vederlo.
Ci si sostiene a vicenda, nel bene e nel male. Come in una famiglia.
Gifted mi ha fatto sentire quel calore.
E al punto in cui sono arrivato, il pedigree ed il nome sulla locandina contano molto relativamente.
Mi sono sentito, guardando Frank e la piccola Mary, come a casa.
Ho riso, e mi sono commosso.
E vaffanculo, mi sono sentito bene come seduto sul portico con una bella birra ghiacciata in mano, il rumore dei bambini a giocare dentro ed il sole a scaldarmi.
Non c'è talento che possa eguagliare questo.




MrFord




 

lunedì 16 maggio 2016

Captain America - Civil War

Regia: Anthony Russo, Joe Russo
Origine: USA, Germania
Anno:
2016
Durata:
147'








La trama (con parole mie): a seguito degli incidenti in Sokovia e di uno scontro in Nigeria che provoca la morte accidentale di alcuni volontari del Wakanda innescando un incidente diplomatico proprio con i regnanti del piccolo Stato fornitore del prezioso vibranio, il Segretario americano Ross intima a Tony Stark e Steve Rogers di firmare un patto con le Nazioni Unite che prevede un controllo molto stretto delle attività superumane, che il primo abbraccia in modo da poter tutelare il numero più alto possibile di innocenti ed evitare le morti collaterali ed il secondo rifiuta per evitare di rinunciare al valore che ha difeso per tutta la vita, prima e dopo il suo ritorno, la libertà.
La frattura all'interno degli Avengers vede dunque nascere due schieramenti definiti, il primo a favore del nuovo status quo, guidato da Iron Man e comprendente War Machine, Visione, il principe di Wakanda Pantera Nera, la Vedova Nera ed il giovanissimo Spider Man, ed il secondo che, al contrario, non intende rinunciare al proprio libero arbitrio, legato a Captain America e composto da Falcon, Hawkeye, Scarlet, Ant Man ed il Soldato d'inverno, pietra angolare della disputa.
Cosa accadrà quando i più grandi eroi del pianeta finiranno a combattere gli uni contro gli altri?
E quale si rivelerà essere la verità dietro questo stesso scontro?











Ai tempi della versione cartacea di Civil War avevo già abbandonato la lettura dei fumetti Marvel, eppure, per quello che venni a sapere, l'idea mi parve davvero interessante: proporre i principali eroi divisi in due fazioni, una a favore di un maggiore controllo dei superumani ed una contraria, guidate rispettivamente da Iron Man e Captain America, aveva diversi assi nella manica.
Primo fra tutti, il fatto che un bad guy come Tony Stark diventasse il paladino dell'Ordine mentre, dall'altra parte, il boy scout per eccellenza, Steve Rogers, si ergesse come baluardo per la rivolta: una cosa intrigante, anche perchè fan di uno o dell'altro avrebbero finito per "tifare contro" il proprio beniamino, in caso di disaccordo ideologico.
Personalmente, non ho mai amato Iron Man o il vecchio Cap - i miei favoriti sono e resteranno sempre gli eroi urbani come Daredevil e Spider Man -, e agli Avengers ho sempre preferito gli X-Men, considerate le mie simpatie per gli outsiders, ma tra i due leader degli Eroi più potenti della Terra senza dubbio è Stark a somigliare più al sottoscritto: imperfetto, casinista, pronto a sfruttare i propri difetti e a trasformarli in punti di forza.
Eppure, in Civil War come al Cinema - considerati i tre film dedicati ad ognuno -, mi sono trovato nettamente dalla parte del buon Capitano: a prescindere, comunque, dalle riflessioni che mi porterebbero, nella situazione dei protagonisti, a schierarmi senza alcun dubbio dalla parte del vecchio Steve, posso solo essere felice del fatto che Anthony e Joe Russo, dopo l'ottimo lavoro svolto sul precedente Winter Soldier, abbiano confezionato uno dei migliori prodotti del Cinematic Universe targato Marvel insieme al primo Avengers, al secondo Thor e a Guardiani della Galassia, una pellicola ritmata, divertente, ironica ed esaltante di quelle perfette per ogni amante del Fumetto così come del pubblico occasionale, che in un prodotto di questo genere può ritrovare l'intrattenimento fracassone ma intelligente che tanto ha fatto per noi ragazzi cresciuti negli anni ottanta.
A prescindere, infatti, dalla costruzione forse a tratti un pò macchinosa e ad un villain probabilmente non all'altezza - un riadattato Arnim Zola -, Civil War è tutto quello che avrebbe dovuto essere Age of Ultron e che, a questo punto, considerata la regia affidata proprio ai Russo, spero sarà la doppia uscita Infinity War, che dovrebbe rappresentare il culmine delle proposte Marvel in sala degli ultimi anni: introduzione di nuovi ed interessanti charachters - Pantera Nera è reso davvero molto bene, nonostante i pochi minuti on screen, ed il rinnovato Spider Man aumenta già l'hype per la pellicola a lui dedicata -, giusto spazio costruito per i personaggi secondari - Ant Man, già protagonista di una pellicola più che discreta, regala uno dei passaggi di maggior esaltazione dello scontro tra i due Team rivali, Falcon acquista uno spessore che non ha mai avuto neppure sulla pagina, Visione, se trattato nel modo giusto, potrebbe finire per risultare una delle scommesse vincenti dei Vendicatori on screen -, un crescendo che unisce ironia, parti epiche - il duello tra Cap e Iron Man - e sequenze di puro godimento come lo scontro con tanto di esibizione dei poteri di ogni partecipante allo stesso dei due schieramenti.
L'unica, forse, a patire nonostante il ruolo per certi versi determinante nella lotta è la Scarlet di Elizabeth Olsen, che soffre della stessa sindrome che pesò sul personaggio anche negli albi per anni: la figlia di Magneto, infatti, in termini di poteri, è uno dei charachters più temibili e potenti dell'Universo Marvel, eppure pochi autori hanno saputo renderla al meglio.
Diciamo che al Cinema manca ancora questo salto, ma non è detto che in futuro non possa avvenire.
Nel frattempo, che si scelga di stare dalla parte di Stark o da quella di Rogers, Civil War rappresenta un intrattenimento come raramente se ne vedono, che personalmente mi sono goduto dal primo all'ultimo minuto fino ai due brevi filmati nel corso dei titoli di coda che mettono ulteriore carne al fuoco rispetto al Cinematic Universe, uno dei progetti più ambiziosi e goduriosi - se si è abbastanza pane e salame - che il Cinema abbia regalato al pubblico negli ultimi vent'anni.






MrFord





"Guerra civile famigliare
guerra civile intima
guerra civile famigliare
guerra civile famigliare
guerra civile intima
guerra civile famigliare
guerra civile intima."
Tre Allegri Ragazzi Morti - "Guerra civile" - 






lunedì 27 aprile 2015

Avengers - Age of Ultron

Regia: Joss Whedon
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 141"





La trama (con parole mie): i Vendicatori, ormai divenuti una forza con la quale fare i conti ad ogni latitudine del pianeta, nel corso di una missione che li vede debellare le ultime forze dell'Hydra rimaste attive dopo la caduta dello Shield, vengono in contatto con un manufatto che cela l'energia di una delle Gemme dell'infinito, potentissimi artefatti in grado di conferire un potere quasi illimitato, appartenuta a Loki, fratello di Thor. Scoperti, inoltre, due gemelli dalle incredibili abilità - Wanda e Pietro Maximoff - ed un programma dormiente, gli Avengers si mettono al lavoro in modo da poter trarre il meglio dalle loro ultime conquiste: peccato che, quando Tony Stark decide di mettere mano al programma stesso per applicarlo ad un progetto di intelligenza artificiale evoluta, il risultato sia Ultron, robot senziente determinato a cancellare dalla faccia della Terra non solo il gruppo di eroi, ma il genere umano.
Capitan America e soci, dunque, dovranno dare fondo a tutte le loro energie ed il coraggio che li contraddistingue per rispondere ad una nuova, letale sfida.








Spesso e volentieri si dice che le aspettative siano la prova più difficile da superare, e che tanto più alte le stesse finiscono per essere, quanto consistenti diventino i rischi di un fallimento: il primo film dedicato agli Avengers, uscito tre anni or sono proprio in questo periodo in sala, è stato una delle esperienze di godimento cinematografico in termini fracassoni più esaltanti della mia vita di spettatore, e da appassionato di fumetti ha finito per rappresentare l'ideale di prodotto che, da bambino - e non solo - avrei sognato per la trasposizione su grande schermo degli eroi di carta, inferiore, probabilmente, soltanto a quella chicca assoluta de Il cavaliere oscuro.
Peccato che, proprio come fu per il filmone di Nolan, su lavoro di Whedon e su questo sequel pesassero come macigni aspettative accumulate in tre stagioni di attesa, condite senza dubbio da ottimi prodotti targati Marvel - Il soldato d'inverno, il secondo Thor, Guardiani della galassia - ma pronte a culminare con questo Age of Ultron: cosa, dunque, è andato storto, tradendo le attese e, di fatto, trasformando un potenziale cult del Saloon in una delle più cocenti delusioni cinematografiche dell'anno?
Senza dubbio l'approccio, consacrato al comparto tecnico ed agli effettoni - belli da vedere, senza dubbio, almeno quanto le divertenti e spassose scene d'azione - piuttosto che ad un'idea o una sceneggiatura quantomeno pronta a dare spessore anche ad una proposta popcorn come questa - come fu per il primo film, per intenderci -, i protagonisti - a partire dal Tony Stark di Robert Downey Jr, mattatore nel primo capitolo, macchietta gigionesca in questo secondo, passando attraverso un Ultron sfruttato solo in parte ed una coppia Scarlet/Quicksilver sconfitta clamorosamente dalla controparte vista in X-Men: giorni di un futuro passato -, la scorrevolezza - due ore e venti che pesano come macigni, sequenze di combattimento a parte, rese stoppose da una mezzora piena tutta giocata all'interno di casa Hawkeye responsabile del mio primo, vero momento di cedimento al mondo dei sogni in una sala e passaggi tagliati con l'accetta neanche il pubblico fosse completamente disinteressato alla storia dietro lo spettacolo di esplosioni e rocambolesce evoluzioni videoludiche -, ed una direzione del progetto che pare quasi mostrare un'anima conflittuale che potrebbe aver visto protagonisti Whedon ed i suoi colleghi più talentuosi rispetto ad un "consiglio d'amministrazione" pronto a sacrificare tutto - in primis la qualità non visibile attraverso le vorticose capriole della macchina da presa - in nome dell'incasso e del guadagno.
Tutto questo senza contare il disagio di stare, di fatto, assistendo ad una gigantesca sequenza di raccordo pronta a preparare il terreno per i prossimi terzi capitoli delle saghe in singolo di Capitan America e Thor, l'imminente Ant-Man, il secondo Guardiani della galassia e, ovviamente, il doppio capitolo finale (?) delle avventure degli Avengers, che, come già si era intuito al termine del primo film, avrà come protagonista - ed antagonista - il quasi onnipotente Thanos, una sorta di stradopato Le due torri con molto meno mordente.
Probabilmente, al contrario del Batman nolaniano, gli Eroi più potenti della Terra non hanno bisogno di essere resi più profondi o appesantiti da storie sentimentali decisamente troppo zuccherose - il legame Hulk/Vedova nera, da vecchio fan della serie a fumetti, non si può proprio vedere -, o di alternare a fasi di esplosioni e botte da action di grana grossa il focolare domestico da grandi valori americani - di nuovo, la parte ambientata in casa Burton -: dovrebbero semplicemente andare dritti per dritti alla meta, senza troppe domande e con molta (auto)ironia.
Spaccare, per dirla come Hulk.
E qui, invece, si tira il freno a mano. E quando si spacca, lo si fa con la spiacevole sensazione di stare assistendo ad un divertissement soltanto per chi vi ha preso parte o ad un compitino buono giusto per scucire dei gran soldi - e con gran successo - a noi poveri stronzi pronti ad alimentare aspettative legate ad un'idea ingenua e naif di divertimento neanche fossimo tornati tutti dodicenni pronti a chiedersi chi sia più forte tra Thor e Hulk - anche se, ai miei tempi, la domanda più frequente era chi lo fosse tra Hulk e la Cosa -.
Usciti dalla sala, il problema non è stato, dunque, quello di trovare la risposta ad una domanda tanto semplice quanto affascinante, o l'idea di dover aspettare ancora almeno un paio d'anni prima di affrontare il nuovo capitolo della saga - come accadde con il film numero uno -, bensì la paura che, da ora in avanti, le cose potranno solo peggiorare.
E speriamo proprio di no.
Anche perchè un "Avengers assemble" lasciato a metà sarebbe davvero un delitto.
E non solo per gli appassionati di fumetti, o di blockbuster fracassoni.
Perchè tutti abbiamo bisogno di prodotti come questo.
Fosse anche solo per staccare il cervello.




MrFord




"Stop trying to live my life for me
I need to breathe
I'm not your robot
stop telling me I'm part of the big machine
I'm breaking free
can't you see,
I can love, I can speak
without somebody else operating me
you gave me eyes so now I see
I'm not your robot, I'm just me."
Miley Cyrus - "Robot" -





martedì 10 febbraio 2015

The Iceman

Regia: Ariel Vromen
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 106'




La trama (con parole mie): Richard Kuklinski, un uomo tranquillo ed equilibrato, innamorato follemente della moglie Deborah e padre più che devoto delle figlie, cela dietro un'apparenza composta ed impeccabile il suo ruolo di killer della Mafia, tenuto nascosto ad amici e famiglia per oltre un ventennio passato un'uccisione dopo l'altra.
Trovato un alleato prezioso nel "collega" ribattezzato Freezy e divenuto uno dei nomi più grossi del mestiere nell'area di New York, Kuklinski verrà scaricato dal suo primo boss e, trovatosi disoccupato, finirà per allargare il giro d'affari aumentando con esso i rischi: quando, nella seconda metà degli anni ottanta, verrà infine arrestato dalle forze dell'ordine, si scoprirà aver accumulato un numero impressionante di cadaveri, pur avendo seguito sempre alla lettera la regola di non uccidere mai donne e bambini.








Anni fa, quando su suggerimento di Julez lessi lo straordinario saggio Uomini comuni di Browning - che, in caso riusciate a reperirlo, consiglio a tutti incondizionatamente -, venni a contatto con riflessioni che non avevo mai considerato, pensando a serial killer ed affini: partendo dall'analisi degli squadroni delle SS che si occuparono dei rastrellamenti a cavallo del secondo conflitto mondiale, infatti, l'autore illustra con perizia quanto spesso individui con evidenti disturbi psichici o veri e propri serial killer - per l'appunto - sfruttino le organizzazioni criminali, le forze dell'ordine o l'esercito in modo da poter istituzionalizzare i loro istinti omicidi e, di fatto, giustificare gli stessi grazie all'esercizio del "mestiere".
Richard Kuklinski, soprannominato Iceman, sicario di spicco della mala del Jersey per oltre un ventennio, dalla seconda metà degli anni sessanta al millenovecentoottantasette, anno del suo arresto, apparteneva con ogni probabilità alla categoria: uomo imponente, tanto amorevole con moglie e figlie tanto spietato e violento nell'esecuzione degli omicidi - sperimentò numerosi e svariati metodi di tortura ed uccisione, e nel corso di tutta la sua carriera si mantenne fedele al personale codice che gli impedì non solo di togliere la vita a donne e bambini, ma di infierire con più accanimento su chi usava violenza agli stessi -, è ritratto da Vromen con piglio deciso ed una buona tecnica, un'atmosfera vintage e si avvale di uno straordinario - come sempre - Michael Shannon, in testa ad un cast variegato ed interessante - irriconoscibili Chris Evans, Stephen Dorff e Richard Swimmer, sempre piacevolmente sopra le righe Ray Liotta -.
Peccato soltanto che lo stesso Vromen, probabilmente ancora acerbo all'epoca della realizzazione di questo film - giunto in Italia con uno scandaloso ritardo di tre anni tre -, si limiti al lavoro di discreto artigiano, ed alla lunga, nelle quasi due ore di durata, si finisce per procedere stancamente fino alla conclusione, senza approfondire, ad esempio, l'interessante e non sempre limpido rapporto di Kuklinski con l'amatissima moglie - una riesumata Wynona Rider - o quello con il socio d'affari Freezy, e relegare il suo arresto ad una manciata di minuti tagliati con l'accetta.
Considerato il genere e l'atmosfera, questo The iceman perde dunque il confronto per valore rispetto a prodotti come Donnie Brasco e per stile con i cult da giovani aspiranti gangsters come Blow, senza citare mostri sacri come Scarface, Carlito's Way o Quei bravi ragazzi.
Resta comunque un prodotto solido, che senza dubbio conquisterà sostenitori tra gli amanti del genere ma che, di fatto, non inventa nulla o sarà destinato a lasciare il segno nella Storia della settima arte: nell'affrontarlo, il consiglio è quello di lasciarsi trasportare dal talento impressionante di Shannon - in questo caso aiutato anche dall'altezza e dallo sguardo - e dalla riflessione legata agli abissi dell'animo umano, che in alcuni casi - e rispetto ad alcune persone - paiono essere più oscuri e profondi di quanto potremmo immaginarli anche negli incubi peggiori.
Così come quanto possa essere raggelante - per usare un termine che si adatta al protagonista della vicenda - pensare di averci vissuto accanto senza neppure rendersi conto della loro esistenza.



MrFord



"You're as cold as ice
you're willing to sacrifice our love
you want Paradise
but someday you'll pay the price
I know."
Foreigner - "Cold as ice" - 




lunedì 14 aprile 2014

Captain America - Il soldato d'inverno

Regia: Joe Russo, Anthony Russo
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 136'





La trama (con parole mie): Steve Rogers, alle spalle gli eventi che hanno portato il suo ritorno e la lotta che coinvolse gli Avengers contro Loki, è occupato principalmente ad ambientarsi in un mondo che non riconosce come suo,  cercando di tenere botta rispetto all'approccio aggressivo e militaresco dello SHIELD capeggiato da Nick Fury, lontano dall'idea di lotta per la Libertà che caratterizzò i suoi scontri con i nazisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
Quando una cellula dell'HYDRA infiltrata nello SHIELD elimina lo stesso Fury, il Capitano viene considerato fuorilegge ed è costretto ad agire nell'ombra spalleggiato dalla Vedova Nera e dal suo nuovo amico Sam Wilson: sfruttando le informazioni dell'ex spia russa e le sue abilità in combattimento i "ribelli" si troveranno a sventare un piano della stessa HYDRA volto a dominare il mondo grazie agli strumenti del controllo militare e della paura, trovando sulla loro strada il leggendario Soldato d'inverno, equivalente russo del Capitano.
L'identità di quest'ultimo si rivelerà un tuffo nel passato di Steve Rogers, e rischierà di scrivere la parola fine per il "Primo Vendicatore".






Da grande appassionato - almeno in passato - di fumetti e più o meno ex sceneggiatore degli stessi, devo ammettere che, se fossi nato una ventina d'anni dopo e mi trovassi ora di fronte i lavori tratti dai titoli più importanti che la Marvel abbia regalato ai suoi lettori nel corso dell'ultimo mezzo secolo, mi strofinerei gli occhi per la meraviglia, sconvolto dall'enormità dei mezzi e dall'approccio assolutamente all'altezza degli albi proposto fin dai tempi della nascita del "progetto Avengers".
Nonostante si tratti di uno dei supereroi che meno digerisco - troppo integerrimo, buono e chi più ne ha, più ne metta -, Captain America aveva ben figurato nel primo film a lui dedicato, in grado di mescolare action, Storia rivisitata e più di un momento quasi grottesco, finendo per apparire al livello dei vari Iron Man e Thor, sulla carta decisamente più favoriti: con il secondo capitolo della sua saga i registi Joe ed Anthony Russo riescono addirittura a fare di meglio, trasformando il buon Capitano in una sorta di action hero da film di spionaggio, incrociando gli 007 al Jack Bauer di 24, alternando sequenze ad alto tasso di adrenalina ed esaltazione - la fuga di Cap dallo SHIELD, con tanto di scontro con elivelivolo, è da antologia - ad un approfondimento del personaggio, dal difficile adattamento alla nostra epoca - divertente notare sulla lista del "da non perdere" dei nostri tempi i Rocky e Vasco Rossi (!?) - ai ricordi dell'amicizia con Bucky - spalla perduta del Capitano ai tempi del secondo conflitto mondiale -, passando al rapporto con Sam Wilson - che introduce uno dei personaggi più sottovalutati dell'universo dell'eroe a stelle e strisce, Falcon - e la Vedova Nera ed allo scetticismo rispetto all'approccio sempre molto USA di prevenzione "d'attacco", distante anni luce dall'ideale di Libertà e Giustizia per il quale Rogers finì per arruolarsi ai tempi dell'opposizione a Hitler.
Un lavoro sicuramente senza pretese "alte", ma funzionale, ben costruito, serratissimo e diretto alla grande, addirittura il migliore, per molti versi, tra quelli legati all'universo Avengers con il primo Iron Man e la pellicola dedicata ai Vendicatori stessi: ottimo il cast - perfino l'inespressivo Chris Evans, che pare nato per il ruolo di Steve Rogers -, impreziosito anche da una collaborazione illustre come quella di Robert Redford, interessanti come sempre gli spunti metacinematografici - la consueta apparizione del sempre arzillo Stan Lee, la tomba di Nick Fury/Samuel Jackson, che reca un'iscrizione con tanto di citazione da Ezechiele 25:17, lo spunto di chiusura al termine dei titoli di coda, diretto da Joss Whedon ed ormai marchio di fabbrica della famiglia Avengers - e tosto lo script, in bilico tra la produzione attuale - ed ironica, grazie al cielo - dei film di botte pronti a raccogliere l'eredità degli anni ottanta ed il tema del complotto tipico dei seventies, quasi si trattasse di una versione ipervitaminizzata e divertente di Jack Reacher.
La presenza dell'HYDRA e di Arnim Zola - una pacchia per gli appassionati degli albi -, la neonata alleanza tra il Capitano e Falcon, la ricerca del Soldato d'inverno - insieme all'introduzione di Sharon Carter, storica fiamma di Steve Rogers sulla pagina - pongono inoltre solide basi per un terzo capitolo ormai praticamente obbligato che, se realizzato con lo stesso piglio di questo secondo, finirà per arricchire - e alla grande - il già notevole affresco dipinto dalla Marvel rispetto ai suoi eroi più famosi nel corso delle ultime stagioni cinematografiche.
E se il vecchio Capitano riesce ancora a regalare emozioni di questo tipo, ben vengano gli Expendables come lui, anche quando sono integerrimi e troppo buoni per piacere ad un vecchio cowboy abituato ad antieroi decisamente più "sporchi".



MrFord



"There is no historical precedent
to put the words in the mouth of the President
there's no such thing as a winnable war
it's a lie that we don't believe anymore
Mr. Reagan says we will protect you
I don't subscribe to this point of view
believe me when I say to you
I hope the Russians love their children too."

Sting - "Russians" - 





mercoledì 2 aprile 2014

Snowpiercer

Regia: Joon Ho Bong
Origine: Corea del Sud, USA, Francia, Rep. Ceca
Anno: 2013
Durata: 126'




La trama (con parole mie): in un prossimo futuro i governi del mondo, messi in ginocchio dal riscaldamento globale, appoggiano un piano di raffreddamento della Terra che provoca una catastrofe climatica degenerando in una sorta di nuova era glaciale, uccidendo la maggior parte degli abitanti del pianeta. I sopravvissuti, riparatisi all'interno di un treno speciale in viaggio continuo attraverso il mondo intero, sono divisi in classi sociali ben definite legate alla posizione dei vagoni: dalla locomotiva abitata dal dominatore assoluto Wilford alla coda con i reietti della società, costretti a vivere al servizio dei potenti e cibarsi di sole gelatine proteiche ricavate dagli insetti.
Curtis, a capo di un gruppo di ribelli dell'ultima vettura, a seguito dell'ennesimo sopruso decide così di dare il via ad una rivolta che dovrebbe riportare l'equilibrio all'interno del convoglio.







E così, anche Joon Ho Bong, probabilmente il più grande regista sudcoreano vivente, in grado di superare ben più noti colleghi come Park Chan Wook e Kim Ki Duk ed autore di perle assolute come The host, Memories of murder e Mother, è caduto.
Qui al Saloon, fin dalla sua apertura, non si sono risparmiate bottigliate neppure per gli idoli, quando è stato il tempo di sfoderare i colpi più duri che il bancone richiedeva, ma mai e poi mai mi sarei aspettato che a tradire gli ideali fordiani sarebbe stato uno dei cineasti più interessanti e di talento che mi sia capitato di seguire nel corso delle ultime stagioni, il cui ultimo lavoro, questo Snowpiercer, era tra i più attesi dal sottoscritto per la prima parte dell'anno: dunque, dopo i già citati Kim Ki Duk - preso dai suoi deliri di onnipotenza - e Park - snaturato definitivamente e perduta tutta la forza degli inizi con l'ultimo, radical e freddo Stoker - anche Bong segna il passo, schiacciato da una produzione colossale che porta l'uomo dietro la macchina da presa dalle parti del già visto e sentito, sfornando un blockbusterone che sarà pure d'autore a livello tecnico ma che, oltre a non inventare nulla, risulta noioso, decisamente troppo lungo ed appesantito da parentesi al limite del grottesco - la sequenza nella scuola del treno - ed un finale che potrei addirittura definire ridicolo.
Pescando, dunque, da un immaginario distopico già noto sia in Letteratura che al Cinema, da 1984 a V per vendetta, si finisce purtroppo per sfociare in una sorta di versione molto action e videoludica - la struttura a vagoni ricorda quella a quadri dei games anni ottanta - del bolsissimo Cosmopolis targato Cronenberg, mostrando quella che dovrebbe essere una critica sociale feroce come fosse la più banale delle epopee tipiche degli eroi Expendables del sottoscritto ai loro tempi d'oro.
Gli spunti non mancano, eppure tutta la meraviglia e l'aspettativa costruita da una campagna pubblicitaria che addirittura accostava questo Snowpiercer a cose come Blade runner - e bisogna proprio averne, di fantasia, oltre che di coraggio! - finisce per spegnersi in un susseguirsi di scontri che paiono decisamente slegati l'uno dall'altro e sfruttati soltanto per portare in scena l'ottima fotografia e l'occhio esperto dell'autore culminati con uno spiegone da trituramento di cosiddetti del "bad guy" Ed Harris che dovrebbe essere il fulcro della riflessione sulla decadenza dei governi e dei cosiddetti rivoluzionari e ben rappresentato dalla statica inespressività di Chris Evans, che mostra le stesse doti attoriali di una parete di cemento armato.
Non combina tanto di più il resto del cast, da una troppo gigioneggiante Octavia Spencer all'anonimo Jamie Bell, senza dimenticare John Hurt ridotto ad una macchietta insieme alla componente coreana del gruppo di ribelli protagonisti e all'insopportabile Tilda Swinton, che vorrebbe passare per cattiva cult ma finisce per suonare più come una caricatura involontaria: un esperimento fallito su tutti i fronti, che senza dubbio, per il momento, guadagna la posizione di titolo più deludente di questa prima parte di duemilaquattordici, tanto da farmi rimpiangere quello che è il film "a livelli" più importante del passato recente - quel gioiellino di The Raid: redemption, pronto al solo pensiero ad alimentare l'attesa per l'imminente sequel - e classici sulle rotaie come A trenta secondi dalla fine, decisamente più interessanti sia per costruzione che per tensione mantenuta ad un livello decisamente più alto di quello proposto da Bong in questo caso.
Una ferita destinata a lasciare il segno nella mia memoria di spettatore per molto tempo, ennesima conferma del male che la majors e le grandi produzioni riescono a fare all'opera di registi abituati ad avere completa libertà espressiva, letteralmente masticati e risputati dalla grande macchina del blockbuster multimilionario: mi dispiace davvero per Bong, che spero torni presto nella più accogliente Corea per realizzare qualcosa dallo spirito più vicino ai suoi precedenti lavori, evitando così di deragliare in un mondo dal bagliore accecante ma dominato dalla prospettiva non proprio da sogno di finire sbranato dai predatori di turno.
E non me ne vogliano gli orsi polari.



MrFord



"Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore 
mentre fa correr via la macchina a vapore 
e che ci giunga un giorno ancora la notizia 
di una locomotiva, come una cosa viva, 
lanciata a bomba contro l' ingiustizia, 
lanciata a bomba contro l' ingiustizia, 
lanciata a bomba contro l' ingiustizia!"

Francesco Guccini - "La locomotiva" -





sabato 12 maggio 2012

La notte non aspetta

Regia: David Ayer
Origine: Usa
Anno: 2008
Durata: 109'



La trama (con parole mie):  Tom Ludlow, un detective dai metodi decisamente sopra le righe della Squadra Speciale della polizia di L. A. protetto dal Comandante Wander, è tallonato dagli Affari Interni a causa delle sue azioni spesso e volentieri ben oltre la legge.
Quando decide di affrontare Washington, suo ex partner che collabora alle indagini che lo vedono come un obiettivo, quest'ultimo viene ucciso da due comuni rapinatori: ma quello che è nascosto sotto il tappeto del Dipartimento è ben più di un fatto di sangue casuale, e Tom scoprirà di dover lottare da solo - o quasi - contro un sistema che ormai appare inesorabilmente corrotto dall'interno.
La strada per la verità sarà dura, terribile e costellata di cadaveri, ma Ludlow non è disposto a venire a compromessi: del resto, la sua vita ed il suo gioco sono sempre stati votati all'estremo.




Ormai sapete bene quanto in casa Ford si apprezzino storie noir e torbide con un sacco di morti ammazzati, intrighi e corruzione come se piovessero, sparatorie ed un gusto per l'action spiccato, pur se messo al servizio di uno script che va oltre quello stesso concetto: La notte non aspetta - pessimo adattamento italiano per l'originale Street kings - rispecchia appieno queste caratteristiche.
Scritto da James Ellroy e portato sullo schermo da David Ayer - sceneggiatore di Training day e già regista del solido Harsh times -, interpretato da manuale dalle garanzie Keanu Reeves e Forest Whitaker, questo film avrebbe tutte le carte in regola per sfondare una porta già spalancata ed entrare a testa bassa trovando un posto tra i preferiti del genere del sottoscritto.
Eppure, come avrete già notato dal voto, la visione non porta a nulla più che una striminzita sufficienza ed una visione giusta giusta per riempire una giornata di relax, andando a contraddire di fatto tutto quello che ho scritto in proposito fino ad ora: cosa, dunque, porta un film potenzialmente di culto ad essere soltanto un riempitivo, pur se ben realizzato?
Principalmente il tempismo.
Infatti, questo lavoro di Ayer giunge con colpevole ritardo rispetto ad altri più o meno capisaldi del genere come L. A. Confidential - sempre targato Ellroy -, il sorprendente e misconosciuto Narc, il già citato Training day ed anche il sottovalutato Copland: il tema della corruzione nel corpo di polizia con l'outsider pronto a riscattare il buon nome - più o meno - del Corpo facendo piazza pulita delle mele marce è un concetto ormai ben noto agli amanti di questo filone, che ha già trovato il meglio del suo meglio anche nell'ambito televisivo grazie a quella meraviglia che fu The Shield - che ha molti punti in comune con questa pellicola -, visione peraltro decisamente più pessimista di quelle fornite dai film appena segnalati.
Nonostante, dunque, il grande mestiere messo al servizio di un film che pare non perdere un colpo, dalla prima all'ultima sequenza la sensazione è quella del deja-vù persistente che tende a sminuire il valore finale dell'opera, rendendola niente più di un normale poliziesco a tinte forti a confronto di precendenti pietre miliari della stessa pasta da duri ammazzacristiani.
Un peccato, tutto sommato, perchè le premesse del piccolo "must see" ci sono tutte, soprattutto se non si bazzica molto da queste parti - cinematografiche o letterarie che siano - e non si è abituati ad un certo tipo di evoluzione della trama, che per il sottoscritto è stata una sorta di libro aperto dall'inizio alla fine, se non per qualche dubbio rispetto all'identità dei due killer dell'ex collega del protagonista - interpretato, tra l'altro, da Terry Crews, già visto alla corte di Sly e dei suoi Expendables -, vicenda gestita peraltro in maniera tutt'altro che perfetta: per il resto la fanno da padroni il cast - numerosissimi i volti noti, e oltre a quelli già citati spiccano Hugh Laurie e Chris Evans, tra gli altri - e la stessa L. A., praticamente un protagonista a se stante, rovente anche nella notte più oscura e sempre pronta a celare un segreto dietro ogni svolta di strada.
Resta comunque interessante la parentesi - che pare una neppure troppo ironica denuncia - dedicata alle lamentele della gente di strada rispetto ai maltrattamenti subiti dai poliziotti, rinforzata dal commento di Ludlow che laconico spiega alla sua donna che in quanto tali loro sono autorizzati a fare quello che vogliono, perchè la verità è e sarà sempre quella che sono loro stessi a scrivere sul verbale.
Insomma, se siete veterani di questo tipo di visione, tenetevi La notte non aspetta come riempitivo di lusso in attesa di serate migliori, mentre se normalmente il noir in pieno stile "Dirty Harry" non è il vostro pane quotidiano, potreste addirittura pensare di essere di fronte ad un nuovo termine di paragone per il genere.
Almeno fino a quando non scoprirete quelli che sono venuti prima di lui.


MrFord


"It's a house arrest - everybody run
I gotta plead guilty havin' - too much fun
this is a house arrest - up against the wall
we can't stop rockin' justa havin' a ball - one and all."
Bryan Adams - "House arrest" -


 

lunedì 30 aprile 2012

The Avengers

Regia: Joss Whedon
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 142'



La trama (con parole mie): il Tesseract, magico e potentissimo artefatto in grado di segnare le esistenze di interi mondi, da tempo in mano allo Shield di Nick Fury, finisce nel mirino dell'esiliato e rancoroso Loki, alleatosi con i pericolosissimi Chitauri, una razza di alieni dalle belligeranti intenzioni di conquista.
Quando la situazione diviene particolarmente grave e le prospettive per la Terra paiono davvero poco rassicuranti, lo stesso Fury rispolvera un vecchio progetto di supergruppo in grado di contrastare minacce troppo grandi per le comuni difese: ed è così che il da poco "scongelato" Capitan America, il dio norreno Thor, l'instabile Bruce Banner - con il suo alter ego Hulk pronto ad esplodere -, i due letali agenti Vedova nera e Hawkeye ed il miliardario playboy filantropo ed esibizionista Tony Stark/Iron man si ritrovano a dover appianare tutte le loro divergenze giusto in tempo per ricacciare Loki ed il suo esercito nelle profondità da cui sono emersi.




Cominciamo con il botto: The Avengers è il miglior film di supereroi dai tempi de Il cavaliere oscuro.
Diverso, completamente lontano dall'ottica dark e giocata sull'inganno delle complicate architetture di Nolan, eppure incredibilmente efficace nel suo essere colorato, roboante, tamarro, casinista e larger than life.
Joss Whedon, prendendo spunto dall'affresco che i Marvel Studios hanno cercato di preparare nel corso delle loro produzioni degli ultimi anni - dall'Hulk del grande assente Edward Norton all'Iron man di Jon Favreau e Robert Downey Jr passando per i recenti Captain America e Thor -, riesce nell'impresa di convogliare in questo kolossal del genere l'azione sfrenata e gli effettoni necessari per lasciare il pubblico a bocca aperta, una nemesi interessante e sfaccettata - l'ottimo Loki interpretato da Tom Hiddleston -, una caratterizzazione dei personaggi funzionale e profonda ed un'ironia spiccata in grado di rendere quella che, a tutti gli effetti, dovrebbe essere una pellicola dalla forte connotazione drammatica - sempre nel suo ambito, ovviamente - una sorta di grande circo del divertimento anche di fronte ai momenti più "pesi" della stessa.
Merito di una grande sceneggiatura che dimostra lo stato di forma ottimo del papà di Buffy, in grado di rendere interessanti anche personaggi statici come Thor e il vecchio Capitano, caratterizzare al meglio anche i charatchers di contorno - l'agente Coulson su tutti - e lasciare che Iron man e Hulk divengano a tutti gli effetti i protagonisti assoluti, complici la consueta performance sopra le righe di Downey Jr e l'apporto fondamentale di Mark Ruffalo, certamente più adatto di Edward Norton a ricoprire i panni del Dottor Banner: di pari passo, la regia riesce a non deludere la parte più sguaiata dell'audience così come gli spettatori più avvezzi all'autorialità, che finiranno per ritrovarsi ad inneggiare presi dall'esaltazione neanche fossero gli ultimi dei nerd più accaniti dei fumetti di Mamma Marvel - il cui spirito, peraltro, è pienamente rispettato -.
E sempre parlando di sequenze memorabili, occorre riconoscere a questo The Avengers di aver centrato un filotto invidiabile di momenti cult, dai primi confronti Thor/Iron man - impareggiabile la testata del Dio del tuono - e Thor/Hulk all'apocalittica battaglia che vede i Vendicatori finalmente uniti fronteggiare l'esercito dei Chitauri nei cieli e per le strade di una Manhattan dominata dalla Stark Tower, in cui ognuno degli eroi trova il proprio spazio nella difesa e nell'offensiva e l'intero spirito dell'operazione si conferma dominato da una volontà di leggerezza e freschezza da fare invidia ai lavori di Edgar Wright: è proprio in questi frangenti che il personaggio di Hulk, profondamente drammatico e segnato da tormenti interiori che percorrono più di mezzo secolo di storia di "nuvolette parlanti", esce dal guscio che l'ha sempre caratterizzato - ricordo il noiosissimo polpettone che esibì in merito Ang Lee - per regalare al pubblico un nuovo lato della sua furia, che passa dal momento da brividi del "io sono sempre arrabbiato" - sequenza che ha provocato nel sottoscritto la stessa esaltazione di quella del camion ribaltato nel già citato Il cavaliere oscuro, per intenderci - ai due passaggi cult che vedono protagonista il gigante di giada e i due fratellastri Thor e Loki.
Il primo è una chicca di umorismo slapstick e profonda abilità nel delineare il personaggio, il secondo un piccolo Capolavoro di sguaiataggine da film action trash - quel "un dio piuttosto gracile" ancora mi lascia senza fiato -.
Un'esibizione dalla solo apparente mancanza di controllo che porta nuovamente alla ribalta Whedon e fa sperare benissimo per la realizzazione di un sequel che vedrà il gruppo di eroi fronteggiare una minaccia tra le più terribili e "cosmiche" dell'intera storia dell'Universo Marvel, invertendo di fatto una tendenza andata consolidandosi nelle ultime stagioni cinematografiche: in effetti la storia recente non era stata troppo tenera con le pellicole tratte dalle realtà superomistiche, tanto da insinuare il dubbio che le stesse fossero in procinto di diventare una sorta di ridicolo carrozzone in continua esibizione di mezzi sempre e solo sfruttati per le convenienze commerciali del momento, rischiando di trasformare il genere nell'involontaria parodia di se stesso.
The Avengers segna, di fatto, un nuovo punto di partenza, e fissa uno standard che, a mio parere, potrà essere superato soltanto dall'imminente ritorno del Batman nolaniano sugli schermi - previsto per quest'estate -: intrattenimento intelligente con tutto il gusto a metà tra il kitsch ed il sentimentale tipico degli eroi in calzamaglia, icone di una forma d'arte fin troppo sottovalutata come il Fumetto ed ora anche del Cinema.
Joss Whedon e i suoi Vendicatori hanno dato prova - non fosse bastato il pluricitato Nolan - che anche prodotti tamarri di questo tipo possono essere a buon diritto considerati figli più che legittimi della settima arte nella sua accezione migliore, in barba a tutte le credenze da "duri e puri" dell'autorialità sfrenata da saletta d'essai.
Perchè The Avengers è una ficata, senza se e senza ma.
Così una ficata da farmi rivalutare anche l'utilizzo del 3D, da me sempre osteggiato, e trovarlo funzionale.
Così una ficata da far risultare riduttivo il termine stesso.
Perchè ce n'è un altro, che ben si adatta alla situazione.
Che prendo volentieri in prestito dal vocabolario di un certo gigante verde.
The Avengers spacca.
E spacca forte.


MrFord


"We're insane but not alone,
you hold on,
and their gone,
like the sun we will live to rise,
like the sun we will live and die,
and then ignite again,
like the sun we will live to rise again."
Soundgarden - "Live to rise" -


 

martedì 2 agosto 2011

Captain America: il primo Vendicatore

Regia: Joe Johnston
Produzione: Usa
Anno: 2011
Durata: 124'

La trama (con parole mie): siamo nel pieno del secondo conflitto mondiale, e Steve Rogers è un ragazzo gracile e di costituzione debole nato e cresciuto per le strade di Brooklyn, pronto a fare carte false per arruolarsi e poter dare il suo contributo alla sconfitta del Reich. Purtroppo per lui ogni strada sembra chiudersi, fino a quando il suo coraggio ed il senso della giustizia non sono notati da uno scienziato tedesco rifugiatosi negli States e responsabile della creazione del siero del supersoldato, una mistura in grado di portare al massimo tutte le capacità di chi sopravvive alla sua iniezione.
Il giovane si offre di sperimentare il trattamento, divenendo il primo - ed unico - Capitan America: dapprima sfruttato per la campagna di reclutamento, il giovane Rogers imparerà a farsi valere sul campo fino a divenire l'unico baluardo contro l'avanzata delle forze di Johann "Teschio rosso" Schmidt, capo dell'Hydra, sezione segreta delle forze naziste.
Ma salvare il mondo avrà un prezzo alto, per lui: rimasto ibernato nei ghiacci, verrà ritrovato quasi settantanni dopo dalle forze del Colonnello Nick Fury.

Devo ammettere, da appassionato di fumetti - anche se, negli ultimi anni, mi sono allontanato del tutto da mamma Marvel -, di non aver mai digerito troppo il personaggio di Capitan America: troppo perfettino, il buon Steve Rogers, per un vecchio cowboy come il sottoscritto, decisamente più legato ai "supereroi con superproblemi" come Devil e Spider man, o a personaggi oscuri in stile Batman.
Eppure, qualche anno fa, quando l'editrice di fumetti più potente del mondo decise di svecchiare i suoi eroi principali attraverso il progetto Ultimate - ovvero prendere i propri migliori autori e permettere loro di realizzare una sorta di reboot in chiave moderna delle saghe che avevano reso quegli stessi eroi delle vere e proprie icone -, rimasi folgorato dall'interpretazione che Mark Millar, sceneggiatore della nuova versione dei Vendicatori - chiamati per l'occasione Ultimates -, diede del buon Capitano.
Un uomo spaesato e tutto d'un pezzo che pareva uscito da Mad men ed era pronto a risolvere le questioni più spinose a suon di calci nel culo, neanche fosse il Walt Kowalski di Gran Torino.
Capirete dunque che il mio scetticismo rispetto al blockbusterone firmato nientepopodimeno che da quel fenomeno al contrario di Joe Johnston era quantomeno pronunciato: il rischio che si trattasse di una cagata galattica dei livelli di Wolverine origins c'era tutto, e la conseguente dose di bottigliate pesanti era già pronta pronta per regista e sceneggiatori.
Al contrario di quanto prevedessi, però, devo ammettere che il lavoro svolto da Johston e soci, per quanto ovviamente non memorabile, è stato onesto e decisamente ben gestito, in equilibrio tra l'azione sfrenata con strizzate d'occhio continue al film d'avventura anni settanta/ottanta - da Guerre stellari a Indiana Jones - e una discreta dose di divertita autoironia, in grado di permettere allo spettatore di associare la pellicola dedicata al futuro leader dei Vendicatori ai decisamente riusciti Iron man - il primo, s'intenda - e Thor.
Certo, non siamo qui a parlare di chissà quale filmone del secolo - si tratta sempre e comunque di solo intrattenimento -, eppure sequenze come quella dedicata al ruolo del Capitano e al suo sfruttamento nel corso della campagna di reclutamento - la più creativa e sorprendente della pellicola - unite alla consueta e robusta dose di esplosioni e scazzottate come ogni blockbusterone con la b maiuscola richiede permettono di passare un paio d'ore in assoluta spensieratezza godendosi la parte più giovanile e pura di un personaggio che, se gestito bene, potrebbe diventare il punto di forza del progetto Vendicatori, attesissimo dai fan per il prossimo anno e diretto da Joss Whedon, ed il tutto nonostante la statica ed inespressiva presenza del pur statuario Chris Evans.
Fortunatamente, dall'altra parte, troviamo un Hugo Weaving in ottima forma nel ruolo del Teschio rosso, nemesi storica di Steve Rogers cui è affidato, di fatto, il compito di traghettare il Capitano nell'epoca moderna, permettendo l'ormai consueta comparsata del Colonnello Fury/Samuel Jackson sempre in vista del film che vedrà riuniti lo stesso capitano, Iron man, Thor, Hulk ed i meno pubblicizzati Hawkeye, Wasp e Vedova nera.
Dunque, se volete una pellicola adatta alla spensieratezza della stagione, poco impegnativa ma ugualmente soddisfacente nel suo genere, potete andare abbastanza tranquilli seguendo le gesta del neppure troppo irritante e "gli Usa sono il meglio del mondo" Capitan America, mettendo in conto, nel caso non siate mai stati lettori di fumetti - o "veri credenti", come ama definirli Stan Lee, che come di consueto si concede una comparsata -, di perdere qualche passaggio o citazione in più rispetto alla maggior parte dei nerd fumettofili che troverete in sala.
Poco male, comunque: in fondo, qualche bella esplosione e tutto sarà passato.
L'azione è anche - e soprattutto - capace di questo.

MrFord

"Hey, Uncle Sam put your name at the top of his list,
and the Statue of Liberty started shaking her fist.
and the eagle will fly and it's gonna be hell,
when you hear Mother Freedom start ringing her bell.
and it'll feel like the whole wide world is raining down on you.
ah, brought to you, courtesy of the red, white and blue."
Toby Keith - "Courtesy of red, white and blue." -


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