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lunedì 18 marzo 2019

White Russian's Bulletin



Torna il Bulletin - puntuale e non in ritardo a causa delle ingerenze di Cannibal - e torna a riproporsi una settimana decisamente scarna anche a livello di visioni, complici la palestra, il pay per view di wrestling, la stanchezza che ormai la sera colpisce e via discorrendo: quantomeno si tratta di due proposte differenti - una una serie, una un film -, provenienti da differenti piattaforme e decisamente lontane per ambientazioni ed approccio.


MrFord



TRIPLE FRONTIER (J. C. Chandor, USA, 2019, 125')

Triple Frontier Poster


Sulla carta, praticamente una bomba - non solo per me, ma anche per Julez, considerata la presenza di Charlie Hunnam, uno dei suoi favoriti in tutto e per tutto -: Mark Boal alla sceneggiatura, il solido J.C. Chandor alla regia, una trama da fare invidia alla Bigelow - che avrebbe dovuto dirigerlo - e Michael Mann, un genere congeniale al Saloon. 
Eppure, nonostante la tecnica ed il genere, Triple Frontier, per quanto soddisfacente per godersi una serata di settima arte tosta ma non impegnatissima, resta un passo indietro ai suoi modelli, incapace di essere davvero tamarro come i lavori di Peter Berg oppure davvero impegnato come quelli della già citata Bigelow: il comparto tecnico è indiscutibile, il cast interessante, la tensione tiene, eppure tutto resta un pò troppo freddo, oltre al fatto che viene in modo completamente di parte giustificato il desiderio di cinque veterani statunitensi di compiere una missione al di fuori e al di sopra della legge per "riprendersi" quello che il loro ruolo non aveva riconosciuto in termini economici.
Il West mi piace, così come l'outlaw come concetto, ma avrei avuto da obiettare, in questo caso, rispetto a parecchi punti di vista: ad ogni modo, un altro colpo quantomeno interessante messo a segno da Netflix.




TRUE DETECTIVE - STAGIONE 3 (HBO, USA, 2019)

True Detective Poster

Ho sempre amato il brand True Detective e la scrittura di Nic Pizzolatto, in bilico tra hard boiled, malinconia e Frontiera: dalla prima, folgorante stagione alla tanto bistrattata - e per me emotivamente potentissima - seconda, pareva che non avremmo più rivisto sullo schermo quella che, a conti fatti, è una delle proposte da piccolo schermo più importanti degli ultimi anni.
E invece, forte della partecipazione del due volte Premio Oscar Mahershala Ali, True Detective torna e lo fa rispolverando le atmosfere dei tempi di Rusty Cole - citando anche le sue vicende -, accettando la sfida di una tripla linea temporale e regalando almeno un paio di episodi degni di essere ricordati negli anni a venire: qualcosa, inevitabilmente, sfugge, ma il lavoro nel complesso è ottimo, i due protagonisti - bravissimo anche Stephen Dorff - funzionano alla grande, i dialoghi - soprattutto quelli legati ai rapporti di coppia - sono al fulmicotone, la tensione palpabile.
Caro Nic, hai sparato un'altra pallottola che arriva dritta al cuore, che la si riceva con tutto l'istinto e l'energia dei giovani, o la memoria che svanisce e la malinconia dei vecchi.


lunedì 30 ottobre 2017

Leatherface (Alexander Bustillo&Julien Maury, USA, 2017, 90')





Considerati il periodo, il ritorno sugli schermi del sorprendente It di Muschietti, i festeggiamenti per il mio compleanno ed una certa fioritura di titoli potenzialmente interessanti da recuperare, l'idea di dedicare la settimana di Halloween alle pellicole horror mi pareva una di quelle cui brindare a bicchieri alzati, considerata l'antica passione del sottoscritto per il Cinema di paura.
Dunque, spinto dalla sorpresa fornita dal buon, vecchio Pennywise, ho recuperato il recente prequel di un altro dei mostri capisaldi del genere, l'amatissimo Leatherface del cult Non aprite quella porta, confidando, per una volta, di non trovarmi di fronte all'ennesima porcata neppure all'altezza dei più giovani e meno esperti appassionati in materia.
Purtroppo, la speranza data dalla presenza dello stesso creatore Tobe Hooper - recentemente scomparso - tra i produttori e quella di nomi interessanti come Stephen Dorff, Lili Taylor e Finn Jones è stata ampiamente delusa: il lavoro di Bustillo e Maury, infatti, oltre a compiere il miracolo - non certo esaltante - di far apparire uno slasher di un'ora e mezza scarsa come un mattone di quattro e a compiacersi di sequenze che vorrebbero essere scioccanti ma che risultano solamente inutili e tristi - la scopata dei due fuggitivi con tanto di limonata della scatenata Clarice al cadavere sotto di lei - finisce non solo per svilire l'atmosfera malsana e tesissima dell'originale, ma anche per presentare buchi di narrazione enormi e ricordare, più che il suo ispiratore, alcuni tra i peggiori episodi di produzioni altalenanti quali American Horror Story.
Un modo decisamente poco confortante di tentare il rilancio di uno tra i mostri più affascinanti eppure bistrattati del genere, così come di inaugurare una settimana halloweeniana che speravo potesse dare fuoco alle polveri cavalcando l'onda decisamente alta fornita dal già citato It: l'atmosfera vorrebbe essere quella calda e polverosa di cose come La casa del diavolo - a loro volta legate alla tradizione del primo lavoro di Hooper -, ma la stessa finisce per servire a poco se l'intento diviene solo quello di cercare di sconvolgere sfruttando una gratuità ed una pochezza di spessore degne dei peggiori prodotti da tentativo - spesso fallito - di creazione di un blockbuster horror.
Vagamente interessanti solo l'idea di sviare l'attenzione sul futuro Leatherface grazie al personaggio di Bud ed il livello di follia caotico di Clarice e Ike, versione redneck e wannabe dei Natural Born Killers di Stone, così come il twist legato al personaggio interpretato da Finn Jones: ma è davvero, davvero troppo poco per quello che avrebbe dovuto rappresentare il rilancio di un titolo sacro per moltissimi appassionati - sottoscritto compreso -, e che al contrario induce a pensare che, forse, l'epoca di Leatherface sia decisamente tramontata, come quella degli slasher naif dalle atmosfere opprimenti che resero grande un genere a cavallo tra gli anni settanta e ottanta regalando alla cultura pop alcune icone che restano indimenticabili, dal buon Faccia di cuoio a Jason Voohries.
Un vero peccato, lo ammetto.
Ma piuttosto che restare mezzi addormentati ad assistere allo scempio compiuto su un mito, forse l'oblio è una soluzione preferibile.




MrFord




martedì 10 febbraio 2015

The Iceman

Regia: Ariel Vromen
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 106'




La trama (con parole mie): Richard Kuklinski, un uomo tranquillo ed equilibrato, innamorato follemente della moglie Deborah e padre più che devoto delle figlie, cela dietro un'apparenza composta ed impeccabile il suo ruolo di killer della Mafia, tenuto nascosto ad amici e famiglia per oltre un ventennio passato un'uccisione dopo l'altra.
Trovato un alleato prezioso nel "collega" ribattezzato Freezy e divenuto uno dei nomi più grossi del mestiere nell'area di New York, Kuklinski verrà scaricato dal suo primo boss e, trovatosi disoccupato, finirà per allargare il giro d'affari aumentando con esso i rischi: quando, nella seconda metà degli anni ottanta, verrà infine arrestato dalle forze dell'ordine, si scoprirà aver accumulato un numero impressionante di cadaveri, pur avendo seguito sempre alla lettera la regola di non uccidere mai donne e bambini.








Anni fa, quando su suggerimento di Julez lessi lo straordinario saggio Uomini comuni di Browning - che, in caso riusciate a reperirlo, consiglio a tutti incondizionatamente -, venni a contatto con riflessioni che non avevo mai considerato, pensando a serial killer ed affini: partendo dall'analisi degli squadroni delle SS che si occuparono dei rastrellamenti a cavallo del secondo conflitto mondiale, infatti, l'autore illustra con perizia quanto spesso individui con evidenti disturbi psichici o veri e propri serial killer - per l'appunto - sfruttino le organizzazioni criminali, le forze dell'ordine o l'esercito in modo da poter istituzionalizzare i loro istinti omicidi e, di fatto, giustificare gli stessi grazie all'esercizio del "mestiere".
Richard Kuklinski, soprannominato Iceman, sicario di spicco della mala del Jersey per oltre un ventennio, dalla seconda metà degli anni sessanta al millenovecentoottantasette, anno del suo arresto, apparteneva con ogni probabilità alla categoria: uomo imponente, tanto amorevole con moglie e figlie tanto spietato e violento nell'esecuzione degli omicidi - sperimentò numerosi e svariati metodi di tortura ed uccisione, e nel corso di tutta la sua carriera si mantenne fedele al personale codice che gli impedì non solo di togliere la vita a donne e bambini, ma di infierire con più accanimento su chi usava violenza agli stessi -, è ritratto da Vromen con piglio deciso ed una buona tecnica, un'atmosfera vintage e si avvale di uno straordinario - come sempre - Michael Shannon, in testa ad un cast variegato ed interessante - irriconoscibili Chris Evans, Stephen Dorff e Richard Swimmer, sempre piacevolmente sopra le righe Ray Liotta -.
Peccato soltanto che lo stesso Vromen, probabilmente ancora acerbo all'epoca della realizzazione di questo film - giunto in Italia con uno scandaloso ritardo di tre anni tre -, si limiti al lavoro di discreto artigiano, ed alla lunga, nelle quasi due ore di durata, si finisce per procedere stancamente fino alla conclusione, senza approfondire, ad esempio, l'interessante e non sempre limpido rapporto di Kuklinski con l'amatissima moglie - una riesumata Wynona Rider - o quello con il socio d'affari Freezy, e relegare il suo arresto ad una manciata di minuti tagliati con l'accetta.
Considerato il genere e l'atmosfera, questo The iceman perde dunque il confronto per valore rispetto a prodotti come Donnie Brasco e per stile con i cult da giovani aspiranti gangsters come Blow, senza citare mostri sacri come Scarface, Carlito's Way o Quei bravi ragazzi.
Resta comunque un prodotto solido, che senza dubbio conquisterà sostenitori tra gli amanti del genere ma che, di fatto, non inventa nulla o sarà destinato a lasciare il segno nella Storia della settima arte: nell'affrontarlo, il consiglio è quello di lasciarsi trasportare dal talento impressionante di Shannon - in questo caso aiutato anche dall'altezza e dallo sguardo - e dalla riflessione legata agli abissi dell'animo umano, che in alcuni casi - e rispetto ad alcune persone - paiono essere più oscuri e profondi di quanto potremmo immaginarli anche negli incubi peggiori.
Così come quanto possa essere raggelante - per usare un termine che si adatta al protagonista della vicenda - pensare di averci vissuto accanto senza neppure rendersi conto della loro esistenza.



MrFord



"You're as cold as ice
you're willing to sacrifice our love
you want Paradise
but someday you'll pay the price
I know."
Foreigner - "Cold as ice" - 




martedì 6 dicembre 2011

Immortals

Regia: Tarsem Singh
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 110'



La trama (con parole mie): Teseo è un contadino dal fisico scultoreo e dalle abilità in combattimento incredibili che vive con la madre in un piccolo villaggio a ridosso del monte in cui i Titani furono imprigionati dagli Olimpici.
Zeus, assunte le sembianze del vecchio maestro dello stesso Teseo, cerca di fare in modo che lo stesso occupi il suo ruolo di eroe nel mondo resistendo all'avanzata del re Iperione, deciso ad impadronirsi di una leggendaria arma e a liberare i Titani per poi sfruttarli per dominare il mondo conosciuto, in una sorta di rivincita verso gli Dei che non l'hanno mai e poi mai ascoltato.
Da principio il giovane ellenico rifiuterà il suo presunto ruolo, ma con la morte della madre e l'incontro con la giovane sibilla Phaedra cambieranno le sue opinioni in merito alle questioni "superiori".




I miti greci sono, senza dubbio, uno dei bacini più ricchi di grandi storie esistente nella letteratura come nella tradizione orale, e ancora oggi - oltre ad esercitare un fascino fuori dal comune su chi le ascolta - vengono spesso e volentieri prese a prestito dal Cinema in modo che l'epica possa rivivere grazie alle più moderne tecnologie, a regie coraggiose e ad effetti prodigiosi.
Peccato che, sempre spesso e volentieri, i prodotti nati dai suddetti ed indubbiamente affascinanti miti finiscano per risultare delle baracconate di livelli clamorosamente infimi in grado di svilire senza dubbio alcuno la materia di partenza.
300, Scontro tra titani e Troy sono giusto tre esempi molto noti di quanto in basso si possa scendere pur sfruttando racconti di gesta assolutamente da brividi: quest'ultimo Immortals, dal canto suo, nonostante alcune intuizioni senza dubbio notevoli - soprattutto a livello visivo - del regista di culto Tarsem Singh, non si discosta affatto da questa purtroppo ben poco interessante - per lo spettatore - moda delle pellicole a sfondo epico legate all'Antica Grecia.
Mescolando un pò a muzzo parti di questo e di quel mito - da Teseo e il Minotauro alla guerra tra Olimpici e Titani - e portando un gusto estetico clamorosamente orientale all'interno del mondo ellenico Singh cerca di portare sullo schermo un prodotto di livello più alto di quelli appena citati, legando la vicenda principale ad una sorta di progressiva presa di coscienza "religiosa" del protagonista così come ad una serie di scontri e personaggi che ricordano quanto il mondo potesse essere pure meraviglioso, ai tempi, ma anche clamorosamente spietato grazie al personaggio di  Iperione interpretato da un roccioso Mickey Rourke, che quasi cerca di definire una dimensione alla Game of thrones per parte di questa pellicola.
Eppure, nonostante una discreta dose di tecnica alle spalle, Immortals finisce per non decollare praticamente mai, e risultare una sorta di versione dark delle pellicole che negli anni ottanta facevano la fortuna dei b-movies ormai divenuti oggetti di culto per intere generazioni di spettatori che li ammirarono da bambini - qualcuno si ricorda Krull? -, risultando quasi eccessiva nei suoi intenti, se non addirittura involontariamente ridicola - il pessimo discorso d'incitamento conclusivo di Teseo agli Elleni, di chiara matrice "trecentesca", il combattimento tra gli Olimpici e i Titani, talmente brutto da far gridare vendetta a tutto il thrash dei tempi di Barbarians -: in qualche modo occorre ammettere che sia un peccato, anche perchè il talento visivo di Singh appare evidente, così come gli spunti che potevano essere sviluppati in modo da creare una sorta di piccolo cult d'autore in un genere tendenzialmente ignorantissimo come la questione della fede ed i propositi puntualmente ignorati degli Dei di non interferire nelle vicende umane.
Certo, lo sfruttamento del concetto del Minotauro e l'approccio barbaro di Iperione e dei suoi non è affatto male, ma non bastano un paio di spunti interessanti a sopperire ad una sceneggiatura comunque inadeguata e a personaggi letteralmente sprecati che paiono buttati nel calderone giusto per giustificare l'ingaggio di questo o quell'attore - lo Stavros di Stephen Dorff -.
Resta dunque una pellicola che potrebbe risultare a suo modo affascinante ma che rischia di perdersi clamorosamente nella terra di nessuno che sta tra gli appassionati di Cinema - che inevitabilmente resteranno delusi dal confronto con un prodotto di questo tipo - e gli spettatori occasionali o amanti della tamarrata da multisala - che potrebbero addirittura uscire irritati dalla sala, dato l'approccio non proprio "action" del regista anche rispetto ai momenti di battaglia pura -.
Forse, per il bene del genere, occorrerebbe che le produzioni lasciassero campo libero ai registi - specie quando vengono scelti nomi "di nicchia" come Tarsem Singh - in modo che gli stessi possano osare quanto più possibile, e consegnare al pubblico visioni che si possano senza dubbio definire "mitiche".
Altrimenti, tanto vale tornare ai bassi livelli che questo genere ci ha regalato negli ultimi anni.
Quelli, almeno, sai bene che puoi evitarli senza pensare che, chissà, potrebbe essere la volta buona.


MrFord


"Here we are, born to be kings
we're the princes of the universe
here we belong, fighting to survive
in a world with the darkest powers."
Queen - "Princes of the universe" -
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