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lunedì 18 maggio 2020

White Russian's Bulletin



Prosegue il percorso che, un passo dopo l'altro, dovrebbe portarci oltre questi mesi così "cinematografici" data la loro peculiarità, e con esso appuntamenti con grande e piccolo schermo, recuperi e titoli proposti dai network dello streaming, così come le ormai mitiche Serate Cinema con i Fordini, che a questo giro non vedranno i due titoli passati questa settimana nel Bulletin - Indiana Jones e il mistero del teschio di cristallo e Piccoli brividi - semplicemente perchè entrambi già recensiti da queste parti.
Nel frattempo ci prepariamo ad un progressivo ritorno - si spera - alla normalità, con tutti i cambiamenti che questa prima metà del VentiVenti avrà portato.


MrFord



AFTERMATH - LA VENDETTA (Elliot Lester, UK/USA, 2017, 94')

Aftermath - La vendetta Poster


Pensare a Schwarzy come figura centrale di un film drammatico, per chi, come me, è cresciuto negli anni ottanta, è quasi fantascienza: l'ex Conan e Terminator, nel ruolo del nonno distrutto dal dolore, risulta effettivamente strana anche oggi, nonostante l'Arnold di noi tutti abbia superato bellamente la settantina. Eppure, qualche anno fa, aveva già dato buona prova di essere in grado di reggere il ruolo in Contagious, e si conferma, nonostante i suoi oggettivi limiti, ancora una volta in parte.
Peccato che, per il resto, Aftermath manchi di carattere, e che un progetto di questo genere non sia finito tra le mani di Clint, che considerata la materia avrebbe probabilmente sfornato l'ennesimo filmone: senso di colpa, vendetta, tragedia, il pane quotidiano per l'ex Dirty Harry.
Dietro la macchina da presa, però, troviamo Elliot Lester, e non me ne voglia, la differenza si vede tutta: gli spunti ci sono, ma lo spessore è davvero di un'altra categoria.




WACO (USA, Paramount, 2018)

Waco Poster

A volte, non si sa bene perchè, titoli interessanti e potenzialmente nelle corde di chi li "mette in lista", finiscono nel dimenticatoio senza essere recuperati nei tempi che meriterebbero: Waco è, senza ombra di dubbio, uno di essi, quantomeno per me ed il Saloon.
Uscita negli States quasi due anni fa, ispirato ad una controversa storia vera che ricordavo vagamente, con un ottimo cast - bravissimi sia Michael Shannon che Taylor Kitsch - e figlia di un genere da sempre tra i miei favoriti, Waco è rimasta nel cassetto per oltre un anno prima di essere rispolverata in questa parte iniziale di Fase 2: e per fortuna, direi.
Ricordavo John Erick e Drew Dowdle per alcuni prodotti non perfetti ma con spunti interessanti usciti nel corso degli ultimi anni - No escape, The poughkeepsie tapes -, e devo ammettere che i due sono riusciti a confezionare un prodotto teso, pungente rispetto alla gestione di situazioni critiche da parte delle forze dell'ordine - alcuni passaggi di Waco mi hanno riportato alla mente la scellerata gestione di Genova nel duemilauno - e molto toccante: sapete bene quanto lontano dalla religione sia, eppure nel corso delle sei puntate della miniserie ho provato empatia e comprensione per i Davidiani, criticabili concettualmente per un sacco di cose ma oggettivamente colpevoli, in quella situazione, di aver esercitato i loro diritti ed aver reagito ad un vero e proprio attacco motivato soltanto da decisioni politiche. 
Restano negli occhi, senza alcun dubbio, la chiusura dell'episodio quattro con Koresh/Kitsch che suona la chitarra alla finestra per rispondere alle torture psicologiche dell'FBI e l'ultimo, drammatico episodio che, purtroppo, segna una delle pagine più tristi della storia recente degli States. Notevole.


lunedì 30 luglio 2018

12 Soldiers (Nicolai Fuglsig, USA, 2018, 130')








La prima cosa che mi ha colpito, approcciando 12 Strong - inutilmente ribattezzato qui in Italia 12 Soldiers -, è stata la sensazione legata alla percezione di quello che è stato l'undici settembre duemilauno: uno dei limiti principali del lavoro di Fuglsig - per me sottovalutato, ad ogni modo, dalla critica radical - è quello di essere giunto forse fuori tempo massimo per suscitare un determinato tipo di patriottismo o toccare corde che ai tempi avrebbero coinvolto non solo il pubblico americano, ma anche del resto del mondo, e questo mi ha fatto pensare a quanto la percezione di quell'assurda giornata possa essere differente da chi l'ha vissuta come un ricordo già consolidato a chi, al contrario, allora era ancora troppo piccolo per poter quantificare l'importanza e la risonanza che quell'attacco ebbe in tutto il globo.
Io ricordo molto bene il momento, non fosse altro perchè ai tempi avevo un terrore folle di prendere l'aereo e che la mia fidanzata dei tempi, dato che eravamo in vacanza, nascose il telecomando del televisore della camera d'albergo sperando che potessi evitare la notizia ed allarmarmi rispetto al nostro rientro, previsto per un paio di giorni più tardi: ricordo anche le code dei turisti americani ai telefoni pubblici in un tempo in cui smartphone e internet non erano così alla portata di tutti, e lo sconvolgimento che ebbi non tanto per la questione degli aerei, ma perchè qualche anno prima visitai e salii in cima alle Torri, edifici che non avrei mai davvero pensato sarebbero potuti crollare in quel modo.
La cosa più incredibile, comunque, legata ad allora, per quanto mi riguarda è la sensazione che il mondo in qualche modo fosse cambiato, e che quell'avvenimento aveva contribuito a farlo: non erano ancora gli anni degli attentati casuali per la strada, di Londra, Nizza e Parigi, eppure la sensazione era che fosse la quotidianità ad essere minacciata. L'idea di due mondi che si scontrano con le armi che hanno a disposizione, e che, come da sempre nella Storia, a farne le spese fosse principalmente la gente comune.
L'impressione, guardando 12 Soldiers, è che nonostante Fuglsig sia del settantadue non sia riuscito neppure lontanamente a trasmettere quelle stesse sensazioni, e che il risultato sia un film ben confezionato con un buon cast - per quanto ripetitive, le sequenze legate alla battaglia in pieno stile Lawrence d'Arabia mi hanno molto colpito - incapace di toccare dal punto di vista emotivo, e dunque non in grado di conquistare quella fetta di pubbico "pop" che di norma - e soprattutto in quegli anni - avrebbe consacrato un lavoro a stelle e strisce come questo.
Nonostante questo - o forse perchè avevo aspettative molto basse - mi sono goduto l'epopea - tratta da una storia vera - di Mitch Nelson e dei suoi uomini così come l'amicizia costruita in battaglia da quest'ultimo con Dostum, leader locale opposto all'invasione talebana: non che questo film possa essere paragonato a pellicole dello stesso genere decisamente più potenti come Lone Survivor o American Sniper, ma tutto sommato porta a casa una pagnotta forse non coinvolgente e neppure smaccatamente retorica come ci si aspetterebbe - pare abbia il freno a mano tirato un pò da tutte la parti - ma interessante da guardare fosse anche solo per gli scorci ed il comparto tecnico, a mio avviso decisamente buono considerata anche la cifra investita dalla produzione.
Un prodotto, dunque, che ha il limite di non avere il carattere per piacere agli estremi del pubblico e che quindi probabilmente non verrà ricordato, che cerca di dare un colpo al cerchio e uno alla botte - quasi non volesse scontentare nessuno - ma che proprio per questo finisce per risultare a suo modo poco incisivo.
Eppure, dall'altra parte, si notano voglia ed impegno, volontà di non caricare troppo ma di ricordare, di essere presenti e farsi sentire anche quando non sarà previsto un riconoscimento, un pò come i reali membri della squadra di Mitch Nelson.
Se, da questo punto di vista, la volontà del regista e degli autori fosse stata questa, 12 Soldiers sarebbe un lavoro da rivalutare, al contrario da criticare per la mancanza di carattere, quasi chi l'avesse portato sullo schermo "pensasse troppo da soldato e poco da guerriero", per dirla come Dostum: a noi, dall'altra parte, resta solo la possibilità di fidarsi, oppure no, dell'istinto.
O rimanere in attesa, e capire dove avrà portato la Storia.




MrFord





lunedì 19 febbraio 2018

La forma dell'acqua - The shape of water (Guillermo Del Toro, USA, 2017, 123')




Forse sto invecchiando, diventando insensibile rispetto a certe cose e troppo sensibile rispetto ad altre.
Forse comincio ad aver visto troppi film, o a trovarmi di fronte storie, sequenze, situazioni che mi pare di aver già vissuto, come un sogno ricorrente.
Forse chissà quali e quante cose, ma il tanto decantato, celebrato, premiato The shape of water di Guillermo Del Toro potrà vantarsi di essere la prima, grande, vera delusione di questo duemiladiciotto.
Leone d'oro a Venezia, applaudito, recensito entusiasticamente, definito commovente e magico, il lavoro del regista messicano mi è parso la versione sbiadita e buonista dell'ottimo Il labirinto del fauno, un cocktail già visto, sentito ed assaggiato di cose ormai fuori tempo massimo, che ripesca dalla mitologia del mostro a partire da Frankenstein per giungere ad Edward mani di forbice infarcendo il tutto con una cornice da Amelie - con una colonna sonora spudoratamente simile - ed una storia d'amore che mi avrebbe fatto massacrare uno qualsiasi degli ultimi Spielberg tenuto in piedi soltanto da una fotografia di ottimo livello e da un paio di interpretazioni che sono conferme di altrettanti ottimi attori - Richard Jenkins ed un gigantesco Michael Shannon -: un massacro su tutta la linea che sinceramente non mi aspettavo di compiere, nonostante le ultime prove non brillantissime del buon Guillermo, e che considerate le premesse speravo non avvenisse, considerate le critiche eccezionalmente positive piovute su una favoletta dark che mi ha fatto sentire come uno di quei vecchi cinefili che vede riproposte sullo schermo le versioni scialbe ed edulcorate dei cult con i quali è cresciuto e finisce per incazzarsi anche più del dovuto, in barba ai sentimenti, alla poesia e qualsiasi altra stronzata di questo genere vogliate ammettere.
Mi piacerebbe, in questo senso, avere la possibilità di confrontarmi con tutti i cinefili corsi ad acclamare questo film e pronti, in altre occasioni, ad usare come bersaglio i titoli Disney o cose come Avatar quando The shape of water ne è la versione vuota ed ancora più ipocrita: in questo caso abbiamo, infatti, un Autore che vorrebbe risultare alternativo pronto a dirigere e portare sullo schermo una storia che non aveva assolutamente esigenza di raccontare mascherata da grande melodramma romantico giocato su talmente tanti luoghi comuni da risultare a sua volta il prototipo del luogo comune stesso, che oltretutto strizza l'occhio in maniera vergognosa a produzioni di valore nettamente superiore - ho rischiato una vomitata a spruzzo in stile esorcista sulla sequenza da musical neanche si volesse ricordare La La Land -.
Prevedibilità, piattume, empatia pari a zero per un'opera confezionata ad uso e consumo della superficialità, che non ha nulla a che spartire con il Cinema d'autore in quanto ad originalità e con quello popolare per l'incapacità di trasmettere emozioni vere e non costruite: da sostenitore acceso degli outsiders, non mi era mai capitato di fare un tifo così spudorato per il personaggio del "cattivo" come in questo caso, l'unico a risultare vero e credibile dall'inizio alla fine, quasi simbolo di una rivolta - almeno per quanto mi riguarda - all'indirizzo di tutti gli autori o presunti tali pronti a sedersi sulla loro comoda formula o sulla possibilità che chi si troverà di fronte il loro lavoro non abbia mai visto altro, o avuto la curiosità di scoprirlo.
E dai richiami fin troppo evidenti all'Abe dei due Hellboy - ma è davvero possibile plagiare così clamorosamente se stessi? - all'irritante personaggio della pur brava Sally Hawkins, tutto gira nel verso più sbagliato possibile, e trasforma quella che doveva essere una favola emozionante e magica in qualcosa di vuoto e sterile a prescindere dal valore tecnico: un buonismo alternativo che pare perfino peggiore di quello di grana grossa che tanto criticano e criticheranno i fan sfegatati di Del Toro e di bolle di sapone come questa.
Bolle che, più che richiamare la forma dell'acqua, da queste parti ricordano altre geometrie decisamente meno piacevoli, magiche e profumate.




MrFord




 

mercoledì 23 novembre 2016

Animali notturni (Tom Ford, USA, 2016, 116')





Ricordo bene quando, nella primavera del duemilasei, iniziai a scrivere quello che, ad oggi, è il mio unico romanzo - e che, prima o poi, non mi dispiacerebbe affatto pubblicare, ma questa è un'altra storia -: era un periodo particolare della mia vita, stavo da tanto tempo con una persona cui ho voluto tantissimo bene ma che, nonostante il lungo percorso fatto insieme, era arrivata a non conoscermi almeno quanto io non conoscevo lei.
Forse ci siamo incontrati quando eravamo troppo giovani, o forse, chissà, non siamo stati pronti, o semplicemente non era destino: fatto sta che in quella primavera, con alle spalle i ricordi dei nostri due viaggi più belli - curioso siano stati gli ultimi -, mi chiesi se volevo continuare a stare con lei e fingere di non essere presente o ricominciare da capo.
Scrissi quel romanzo per ricominciare da capo, perchè avevo bisogno come l'aria di tornare a sentire tutti i lati di me che avevo seppellito da troppo tempo, e diedi inizio alla mia stagione più selvaggia e senza controllo.
Nel corso dei primi paragrafi del romanzo, uno dei tre protagonisti - che poi sono sempre lati di me - uccide con un colpo di fucile la moglie malata da tempo per porre fine alle sue sofferenze e partire con un vecchio e forse odiato compagno d'armi.
Ricordo di averlo fatto non tanto per dare sfogo ad una vendetta nei suoi confronti, o perchè avesse colpe superiori alle mie - e ne avevo, credetemi, molte più io -, ma quel passaggio mi fece respirare così tanto da farmi capire che quella storia era finita.
Ricordo anche quanta sofferenza c'era in lei quando mi chiese perchè "l'avessi uccisa" quando ebbe occasione di leggere il lavoro finito.
In realtà avevo ucciso la nostra storia, ma risponderle non è stato facile.
Pochi anni dopo, quando ebbi l'occasione e la fortuna, grazie al lavoro, di passare un pomeriggio come accompagnatore di Joe Lansdale durante un firmacopie, chiacchierando di scrittura si parlò di quanto finisca per essere importante per chi sta dietro la tastiera il fatto di essere presente nel suo lavoro, di non inventare più del necessario, perchè una pagina scritta e "sentita" è in grado arrivare al cuore di un lettore molto più di una preparata a tavolino.
Prima di essere letteralmente rapito dalla visione di Animali notturni - che è stata quasi metacinematografica, considerato che nel corso della sequenza dell'inseguimento tra le due auto nel nulla delle provinciali del profondo Texas un ragazzino ha perso il controllo della sua vettura nei pressi di casa Ford finendo contro il grande albero di fronte all'ingresso della stessa abbattendo completamente una parte del muro di mattoni che conduce al portone d'ingresso - pensavo, sbagliando, che Tom Ford, tutto stile e grandi cornici, fosse uno da tavolino pieno, e che con il cuore e la pancia c'entrasse poco o nulla.
Anzi, a dirla tutta, mi aspettavo per Animali notturni un destino simile a quello che negli ultimi giorni è toccato a The neon demon o Knight of cups.
Devo invece togliermi il cappello di fronte ad un'opera che senza dubbio è autoriale, stilosa, girata e fotografata con eleganza sopraffina, scritta con il bisturi ed interpretata da tutti i protagonisti impeccabilmente - per una volta Gyllenhaal non riesce a rubare completamente la scena -, ma anche torbida, calda, ipnotica, un cocktail riuscito alla perfezione che unisce Lynch, Jeff Nichols ed un finale che farebbe invidia al Wong Kar Wai dei giorni migliori.
Non è facile scrivere d'amore parlando di violenza e vendetta, e non è facile riuscire a liberarsi di un amore in modo così dirompente come riconoscendo che è finito, mettendolo su carta, venendo a patti con la propria sofferenza, con se stessi e con chi abbiamo avuto accanto.
Animali notturni, opera autoriale, stilosa, girata e fotografata con eleganza sopraffina, scritta con il bisturi ed interpretata da tutti i protagonisti impeccabilmente, è zero tavolino e cento per cento animalesca.
E' tutta la passione che nei primi giorni si mette nel sesso, e negli ultimi nell'odio per tutto quello che una storia può aver significato o significare.
Animali notturni sono denti affondati nel collo e unghie nella schiena.
Ma soprattutto, quel qualcosa che ti entra dentro, cuore e cervello, e sai che non ti lascerà più.
E non è quel qualcosa che vorresti. O che avresti voluto.
E' qualcosa che mostra tutto quello che pensavi non potesse essere vero.
Qualcosa cui puoi rispondere solo diventando cattivo come lei.




MrFord




lunedì 3 ottobre 2016

Elvis&Nixon (Liza Johnson, USA, 2016, 86')




Che gli States siano la patria dell'esagerazione e del larger than life - in positivo come in negativo - penso sia ormai chiaro non solo a noi appassionati di Cinema o fan della cultura a stelle e strisce, ma al mondo intero - sempre in positivo come in negativo -: per quanto parzialmente bistrattato dalla critica ho trovato che il lavoro di Liza Johnson, Elvis&Nixon, incentrato sullo storico incontro tra i due personaggi all'inizio dei settanta alla Casa Bianca, sia un'ottima espressione di questo concetto.
In un'epoca per certi versi completamente diversa e per altri assolutamente e paurosamente uguale - in fondo, il candidato repubblicano per le imminenti Presidenziali è nientemeno che Donald Trump, uno che fa apparire Nixon quasi un'ottima alternativa democratica - sono molti i punti di una vicenda più curiosa e grottesca che altro pronti a suscitare riflessioni sulla direzione che il mondo attuale sta prendendo e sull'influenza del potere sulle persone che lo detengono, sia esso politico o mediatico.
Grazie ai due mostri di bravura Michael Shannon e Kevin Spacey - che fanno a gara a chi è più magnetico, nonostante nessuno dei due somigli particolarmente fuori dai panni portati in scena ai personaggi che interpreta - e ad un cast di supporto perfetto - bravi tutti, da Colin Hanks ad Evan Peters, sicuramente da tenere d'occhio per il futuro, fino ad Alex Pettyfer -, questo Elvis&Nixon diventa non solo un gioiellino di ricostruzione storica come lo erano stati l'Hitchcock di Sacha Gervasi o il Marilyn di Simon Curtis, ma anche un modo per osservare quanto figure come quelle del Re del Rock e di uno dei Presidenti più odiati della Storia americana fossero a loro modo prigioniere del loro ruolo, e talmente fagocitate dall'ombra di se stessi da risultare una via di mezzo tra bambini mai cresciuti e folli senza possibilità di guarigione: da questa prospettiva il lavoro della Johnson pare sconfinare tra la ricostruzione storica ed il surreale in stile Cohen - le indicazioni date dagli assistenti di uno e dell'altro alle loro controparti a proposito dell'incontro tra le personalità sono quasi esilaranti, così come il faccia a faccia divenuto uno sfogo dei due a proposito della paura del comunismo e dell'influenza delle droghe e di personaggi come i Beatles sui giovani -, con la piccola differenza - che non è un difetto, anzi, ma un'aggiunta al valore del sottotesto del film - che si tratta della ricostruzione di un evento realmente accaduto.
Personalmente, non ho mai nascosto le mie simpatie per i cugini a stelle e strisce, o una preferenza netta a livello musicale e non solo per le loro produzioni, così come per l'idea che dietro ogni successo possa celarsi una vera e propria impresa costruita dal niente, passo dopo passo, quasi come se "avessi avuto la fortuna di due persone", afferma Elvis rispetto al fratello gemello nato morto mezzora prima di lui: allo stesso tempo, è chiaro che la fabbrica di sogni più grande del mondo è anche un buco nero dal quale è difficile scappare, come risulta chiaro sul finale, quando scopriamo che, fatta eccezione per il buon Jerry, amico di Elvis prima ancora che suo PR, nessuno ha finito per scampare dal pagare il prezzo per ognuno di quei sogni sempre troppo grandi.
Forse a molti queste appariranno solo chiacchiere da salotto tra due dinosauri del secolo scorso, giganti pronti a mangiare e calpestare non solo chi era loro attorno, ma anche loro stessi, ma dal canto mio, gli Stati Uniti sono anche questo: grandi speranze e grandi cadute.





MrFord




giovedì 22 settembre 2016

Thursday's child


Terminata ufficialmente l'estate, si torna alla normalità rispetto alle uscite in sala, con tante proposte, alcune possibili sorprese e le consuete ciofeche, spesso e volentieri made in Italy o made in Cannibalandia: perchè se c'è una cosa che, purtroppo, in questa rubrica non cambia, è i co-conduttore, il come sempre fastidioso Peppa Kid.



Effetto riscontrato nelle vittime da visione di film promosso come Capolavoro su Pensieri Cannibali.




Bridget Jones's Baby

"Pronto? Cannibal!? Di nuovo tu!? Ti ho detto che io esco solo con Ford!"
Cannibal dice: Pellicola ispirata alla recente gravidanza della Signora Ford, che sta per avere una figlia, ma non sa se il padre sia il Signor Ford oppure... Rocco Siffredi.
Quanto a questa libera rivisitazione con Bridget Jones futura madre di un babé che potrebbe essere di Colin Firth oppure del Dottor Stranamore, penso proprio che me la gusterò. Di recente mi sono rivisto il primo film della saga, Il diario di Bridget Jones, e per la prima volta anche il sequel, Che pasticcio, Bridget Jones, che avevo snobbato ai tempi dell'uscita e devo dire che, se a livello cinematografico non sono niente di che, il personaggio di Bridget Jones è davvero idolesco!
Ford dice: non ho mai fatto i salti di gioia all'idea del personaggio di Bridget Jones, ho vaghissimi ricordi della visione del primo film e la certezza di aver snobbato il secondo. Questo terzo capitolo, fuori tempo massimo e dal trailer assolutamente imbarazzante, sarà felicemente accantonato e lasciato alla vera casalinga disperata della blogosfera, Bridget Kid.



Blair Witch

Una veduta dall'esterno di casa Ford.

Cannibal dice: Altro sequel, che in questo caso mi spaventa molto più di quello di Bridget Jones. E, anche se è un horror, non lo dico in senso positivo. The Blair Witch Project, quello originale, aveva avuto una campagna di marketing geniale ed è stato di sicuro uno dei film più imitati nella storia del cinema recente. E anche in questo caso non lo dico in senso positivo.
Mister James Ford...
anche questo è un nome che non pronuncio in senso positivo. :)
Ford dice: ricordo la visione del tanto pubblicizzato Blair Witch Project in sala, con il rischio sbocco da sparatutto in prima persona e poco altro. Sinceramente, la mia voglia di affrontare questo sequel è la stessa che avrei di passare una vacanza da solo con la strega di Casale Monferrato, Marco Goi.



I magnifici sette

"Hey, ma dov'è Ford!? Non ci sono magnifici che tengano, senza di lui!"
Cannibal dice: E dopo due sequel, ecco un remake. Certo che questa settimana le uscite sono proprio all'insegna dell'innovazione e dell'originalità! Considerando poi che si tratta di un western, il genere prediletto da Ford e quello più detestato da me, mi sa che di magnifico almeno per quanto mi riguarda qui ci sarà davvero poco...
Ford dice: normalmente l'idea del remake di un cult come I magnifici sette - a sua volta remake de I sette samurai di Kurosawa, uno dei più grandi Capolavori del Cinema di tutti i tempi - mi farebbe accapponare la pelle più di Cannibal che affronta un western o un incontro di wrestling, ma il cast ed il trailer mi hanno parecchio esaltato, e spero si riveli, quantomeno, la tamarrata di Frontiera dell'anno.



Frantz

"Nessuno ha preparato un White Russian!? E' sconvolgente!"
Cannibal dice: Nuovo lavoro di François Ozon, regista non sempre autore di capolavori, ma sempre di film interessanti. In più è stato ben accolto all'ultimo Festival di Venezia, dove la protagonista femminile Paula Beer si è portata a casa il premio Mastroianni come attrice rivelazione dell'edizione. Una visione quindi ci sta tutta, alla faccia di chi odia il cinema francese come Monsieur Ford.
Ford dice: Ozon è uno dei pochi registi francesi ad essere riuscito nell'impresa di coinvolgermi ad ogni visione di un suo lavoro, più o meno riuscito che fosse. Dunque, nonostante l'apparenza radical, questo Frantz potrebbe addirittura rappresentare la sorpresa della settimana per il Saloon, come sempre più elastico e pronto a guardare a trecentosessanta gradi il Cinema rispetto al talebano Pensieri Cannibali.



Elvis & Nixon

L'unica stretta di mano documentata tra l'imbrattacarte di Casale, Cannibal Kid, e la rockstar della Bassa Padana, Mr. James Ford.

Cannibal dice: Il confronto tra due figure chiave della storia recente. Cannibal & Ford?
Nah, solo Elvis & Nixon.
Ford dice: se hanno fatto un film su Elvis e Nixon, mi pare doveroso si realizzi al più presto almeno una saga sulla rivalità tra Cannibal e Ford.




La teoria svedese dell'amore

"Noi ti invochiamo, Ford, per giungere in nostro aiuto contro l'influenza nefasta di Cannibal."
Cannibal dice: Documentario diretto dal regista di Videocracy sulla società svedese che potrebbe rivelarsi clamorosamente interessante. Così come clamorosamente per una volta sono io a essere incuriosito da un docu-film e non docu-Ford.
Ford dice: Videocracy è stato un esperimento sicuramente interessante, e da appassionato di documentari e simili non posso che sponsorizzare una visione di questo titolo, nonostante credo che recuperarlo possa essere più difficile che convincere Cannibal ad accettare un faccia a faccia con il sottoscritto.



Prima di lunedì

"Forse così crederanno si tratti di Zoolander 3, invece dell'ennesima porcata italiana."
Cannibal dice: Ma quanti film fa Vincenzo Salemme? Forse più di Nicolas Cage e Jackie Chan...
E quanti film con Vincenzo Salemme io mi guardo bene dal guardare?
Quasi quanti i filmacci con Nicolas Cage e Jackie Chan che invece Ford non si perde per niente al mondo.
Ford dice: sono fiero di dichiarare di non aver mai visto un film di Vincenzo Salemme. E altrettanto fiero di non avere intenzione di iniziare ora.
Allo stesso tempo, sono fierissimo di essere il nemico giurato del nemico giurato del Cinema, Cannibal Kid.



La vita possibile

"Margherita, non ti deprimere troppo: un appuntamento con Cannibal Kid non sarà poi così terribile."
Cannibal dice: Ecco un'altra prezzemolina del cinema italiano: Margherita Buy. Certo, meglio lei di Salemme, però questo film non finisce comunque in cima alla lista delle mie prossime visioni. Così come non ci finisce qualunque film consigliato, o anche solo non disprezzato, da Ford, uahahah!
Ford dice: già negli ultimi anni il rapporto del sottoscritto con il Cinema italiano è stato quasi peggiore che quello con Cannibal, figuriamoci poi se parliamo di una pellicola pseudo di nicchia con Margherita Buy. Passo con gran piacere.



Caffè

"Te lo prometto: non dovrai mai più vedere un film consigliato da Cannibal."

Cannibal dice: Film ambientato tra Italia, Belgio e Cina con tre storie che forse sono unite dal tema del caffè, o forse solo dal caso. In ogni caso a me non me ne frega niente, visto che io il caffè non lo bevo, così come non mi bevo manco le stronzate che spara a ripetizione James Ford.
Ford dice: purtroppo occorre che io ammetta di non bere il caffè al pari di Cannibal Kid. Allo stesso modo, ammetto che salterò senza problemi la visione e continuerò a non bermi le stronzate che spara a ripetizione quel finto giovane che mi ritrovo come antagonista.



Spira mirabilis

Effetti collaterali da visione di Capolavoro cannibalesco.
Cannibal dice: Docu-film italiano presentato tra gli applausi al Festival di Venezia che pare sia molto concettuale e incomprensibile. Roba che al confronto un nuovo lavoro di Terrence Malick è una passeggiata. Solo per questo glielo farei sorbire a Ford 24 ore su 24 come punizione per avere avuto la malaugurata idea di creare il blog White Russian.
Ford dice: questo mi sa proprio di prodotto radical da brodo di giuggiole per supposti critici che se ne intendono di Cinema. Non vedo l'ora di metterci le mani per massacrarlo come si deve. Un po' come per Cannibal.



The Rolling Stones – Havana Moon in Cuba

"Ed ecco l'ospite d'onore della serata: lo Stones della blogosfera, l'alma de Cuba, Mr. Ford!"

Cannibal dice: Dopo il docu-film sui Beatles, ecco che Mick Jagger e soci rispondono prontamente con la versione per il cinema dello storico concerto evento tenuto a Cuba. Per me però i film-concerto non hanno senso di esistere, visto che tra vedere uno show su schermo e viverlo dal vivo passa la stessa differenza che tra leggere di un film su White Russian e vederlo in prima persona. Oppure leggerne su Pensieri Cannibali.
Ford dice: gli Stones, non nuovi ad esperimenti legati a film-concerto come il discreto Shine a light, propongono il concerto evento a Cuba come un nuovo appuntamento cinematografico della loro strepitosa carriera. Preferisco i documentari veri e propri ai film-concerto, ma amando molto Jagger e soci penso che, dovesse capitarmi, non mancherò all'appuntamento.
Mentre manco volentieri all'appello ogni volta che Cannibal spara qualcuno dei suoi giudizi che spero sempre siano segnati da un uso eccessivo di Havana Club, l'alma de Cuba, tanto sono assurdi.



lunedì 25 luglio 2016

Saloon's Bullettin #2



Le prime due settimane da "part-time" della blogosfera, lo ammetto, sono state un vero piacere.
Nessuna pressione rispetto al vedere film o serie e scriverne, completo relax, approccio easy neanche fossi precipitato nella pigrizia alcolica lebowskiana: una manna dal cielo, senza contare che, rispetto alla scorsa tornata, a questo giro mi pare sia andata ancora meglio, in termini di visioni.
Dunque, giusto per togliermi il sassolino, parto con la nota "dolente" della settimana, legata alla lettura: ho terminato da un paio di giorni La ragazza dal cuore d'acciaio, uno dei pochi Lansdale che ancora mancavano alla mia lista, e devo ammettere con rammarico di essermi trovato di fronte al romanzo più debole del vecchio Joe. Nonostante, infatti, un protagonista sulla carta perfetto per il sottoscritto - reduce di guerra, tendenzialmente alcolizzato, donnaiolo e casinista -, Cason Statler - già visto in un paio di occasioni come ospite nella saga di Hap e Leonard - e la presenza dello squilibrato Booger - anch'egli coprotagonista del recente Honky Tonk Samurai -, ho trovato La ragazza dal cuore d'acciaio spento e lento, rispetto allo standard ironico, fresco e rapido del romanziere texano, a tratti perfino moralista per bocca del suo main charachter. Niente di abbastanza grave da incrinare il rapporto con uno dei favoriti del Saloon, ma senza dubbio una parziale delusione (due bicchieri).
Il Cinema, invece, ha finito per regalarmi una settimana di discrete soddisfazioni: considerato che il suo precedente era il decisamente sopravvalutato Oculus, il nuovo lavoro di Flanagan, Hush, home invasion arricchito dall'idea di una protagonista sordomuta in perenne necessità di un contatto visivo con il suo potenziale assassino, si è rivelato una sorpresa davvero niente male.
Grazie ad un ottimo ritmo, una violenza decisa ma non eccessiva - la sequenza della mano e della porta scorrevole è stata davvero un bel pugno nello stomaco -, soluzioni interessanti - le ipotesi della protagonista a proposito delle differenti vie di fuga - ed un minutaggio adeguato la visione scorre davvero alla grande, incassando solo qualche colpo nel finale a causa delle concessioni che, di norma, in questo tipo di pellicole vengono autorizzate rispetto alla distribuzione ed al grande pubblico: peccati veniali, comunque, per un lavoro che si propone come uno dei riferimenti dell'horror/thriller di questo inizio estate (due bicchieri e mezzo).
Pur cambiando l'ordine degli addendi ed accelerando su ironia e splatter, la sorpresa resta la costante anche per Manuale scout per l'apocalisse zombie, recuperato quasi per caso con il sospetto che si potesse trattare di una merda fumante buona per la visione in sala del weekend di Ferragosto e rivelatosi, invece, un ibrido divertentissimo e spassoso di Shaun of the dead, Zombieland e I Goonies, con un Tye Sheridan a farla da padrone ed una Sarah Dumont a rompere qualsiasi indugio nel pubblico maschile: nonostante il lavoro di Landon sia clamorosamente derivativo, passaggi come quello della citazione a Britney Spears o del "si sta rompendo il cazzo" assurgono senza colpo ferire a potenziali scene cult dell'anno, pronti ad andare a braccetto con un elogio degli outsiders adolescenti degno degli anni ottanta, un ritmo veloce ed una colonna sonora assolutamente perfetta.
Un film perfetto per la stagione, per i ragazzini in cerca di conferme e per gli adulti che ricordano con affetto il loro periodo di lotta adolescenziale per emergere rispetto a tutti quelli che si trovavano, per un motivo o per un altro, con la pappa pronta e che poi, di fronte alla vita vissuta, hanno finito per soccombere, o diventare zombies (due bicchieri e mezzo).
Chiudo in bellezza, sempre nello spirito eighties, con Midnight Special, nuovo film dell'amatissimo da queste parti Jeff Nichols, che riprende il discorso iniziato con lo splendido Take Shelter mescolando fantascienza, famiglia e road movie appoggiandosi alle garanzie Michael Shannon e Kirsten Dunst e ad un eccezionalmente in parte Joel Edgerton per raccontare la metafora del superamento di una perdita devastante come quella di un figlio: un film che, probabilmente, ad una prima visione - o ad una superficiale - rischia di apparire meno potente di quanto non sia in realtà, e che non solo conferma il talento del suo autore - colpevole, forse, soltanto di un paio di passaggi di sceneggiatura un pò troppo tagliati con l'accetta -, ma grazie ad una fotografia pazzesca e a riprese splendide porta lo spettatore all'interno di un dramma affrontato con determinazione, coraggio ed una dose di Fede da fare invidia perfino ad un miscredente convinto come questo vecchio cowboy.
In questo caso il mio consiglio è montare senza troppi pensieri sui sedili della vettura condotta in modo forse a tratti sconsiderato da Nichols, gettare ogni pregiudizio ed aprire il cuore ad una vera e propria rivelazione (tre bicchieri).
Non c'entra invece nulla con il resto, ma data la perfezione tecnica e lo script non potevo esimermi: in questi giorni, con Julez, abbiamo completato Uncharted 4, conferma clamorosa del valore cinematografico che i videogiochi stanno acquistando titolo dopo titolo: la saga di Nathan Drake non ha nulla da invidiare a quella di Indiana Jones, e pur non avendo un corrispettivo su grande schermo, andrebbe gustata dal primo all'ultimo secondo.





MrFord

martedì 7 giugno 2016

99 homes

Regia: Ramin Bahrani
Origine: USA
Anno:
2014
Durata:
112'








La trama (con parole mie): Nash, giovane padre single che cerca di sbarcare il lunario in tempi di crisi come operaio edile e che vive con la madre ed il figlio nella casa di famiglia, vede la stessa confiscata dall'immobiliare guidata da Richard Carver, squalo dell'ambiente pronto a riscattare tutte le abitazioni finite fagocitate dalla stessa crisi economica.
Vista la determinazione di Nash e scoperta la sua familiarità con i lavori di ristrutturazione, Carver propone al ragazzo di collaborare con lui in modo da rifarsi della perdita, prendendolo sotto la sua ala e coinvolgendolo nelle operazioni legate agli sfratti lecite e non, portandolo di fatto dall'altra parte della barricata.
Quando la verità sul nuovo lavoro che sta riportando la famiglia alla normalità viene a galla rispetto a madre e figlio, per il giovane Nash iniziano anche i rimorsi di coscienza.











In tempi di crisi economica, probabilmente l'unico dolore superiore a quello della perdita del proprio lavoro è quello di vedere pignorata la propria casa, non solo rifugio, ma anche ricettacolo di ricordi, affetti, momenti che restano nostri e che proteggono dall'esterno come un'armatura.
In un'epoca difficile, in questo senso, come la nostra, in cui si finisce per legarsi ad una banca per una vita in modo da poter sperare di lasciare qualcosa ai propri figli, un lavoro come 99 homes risulta quantomai attuale e pronto a smuovere riflessioni non da poco in ogni spettatore che non abbia avuto la fortuna di nascere con il portafoglio gonfio o di avere un lavoro o genitori in grado di permettere di non contare su un mutuo - due cose delle quali non bisogna vantarsi troppo, ma neppure vergognarsi, considerato che personalmente sarei felicissimo di poter assicurare almeno questo al Fordino e alla Fordina -.
La parabola di Nash, rabbioso e determinato sfrattato - comprensibili le diverse reazioni mostrate nel corso della pellicola da parte della gente allontanata dalla propria casa - pronto ad ingoiare il rospo e passare dalla parte del nemico per mantenere la famiglia è interessante e ben portata sullo schermo dai protagonisti Andrew Garfield e Michael Shannon - che continua a confermarsi non solo perfetto per interpretare i sacchi di merda, ma secondo il sottoscritto uno dei migliori attori della sua generazione -, ben ritmata e coinvolgente, nonostante un calo abbastanza evidente nella parte finale, che pare perdersi di fronte alla scelta di riportare il film su binari più ottimisti e convenzionali o affondare il coltello fino all'impugnatura.
Personalmente avrei preferito questa seconda opzione, considerato che, con ogni probabilità, anch'io in una situazione simile non penso esiterei troppo a raccogliere l'occasione fornita a Nash da Carver in modo da parare il culo alla mia famiglia, anche se si trattasse di passare per il "cattivo" agli occhi delle altre - emblematico, in questo senso, la sequenza in cui Nash viene riconosciuto da uno degli sfrattati appena trasferitosi nel motel dove provvisoriamente vive anche la sua famiglia -, così come ho digerito poco la reazione forse troppo "dura e pura" della madre di Nash e del figlio di quest'ultimo, pronti a criticare neanche il buon Andrew Garfield avesse dato il via ad un commercio di esseri umani per portarli in una nuova - e principesca, occorre dirlo - dimora.
Nonostante questo, comunque, la pellicola di Bahrani funziona e tocca le corde giuste, e pur non centrando un obiettivo che avrebbe avuto tutte le carte in regola per colpire in pieno resta un prodotto senza dubbio interessante per ogni tipo di pubblico, mantenendosi - questa volta giustamente - a metà tra la proposta autoriale e quella da tipico prodotto mainstream "di denuncia": e se, forse, uno come il sottoscritto è troppo stronzo per farsi mettere in crisi a livello etico almeno a mente fredda resta comunque sconvolgente come e quanto il sistema e le banche continuino - e probabilmente continueranno sempre - a prosperare sulle spalle della gente che ogni giorno si fa il culo per garantire ai propri cari un tetto sulla testa e ad approfittare - per usare termini quantomeno civili - della stessa.
In questo senso, così come nella scelta di lavorare per Carver, penso che sarei incazzato forte almeno quanto Nash.
E anche di più.




MrFord





MrFord





"And I thank you
for bringing me here
for showing me home
for singing these tears
finally I've found
that I belong here."
Depeche Mode - "Home" - 






martedì 10 febbraio 2015

The Iceman

Regia: Ariel Vromen
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 106'




La trama (con parole mie): Richard Kuklinski, un uomo tranquillo ed equilibrato, innamorato follemente della moglie Deborah e padre più che devoto delle figlie, cela dietro un'apparenza composta ed impeccabile il suo ruolo di killer della Mafia, tenuto nascosto ad amici e famiglia per oltre un ventennio passato un'uccisione dopo l'altra.
Trovato un alleato prezioso nel "collega" ribattezzato Freezy e divenuto uno dei nomi più grossi del mestiere nell'area di New York, Kuklinski verrà scaricato dal suo primo boss e, trovatosi disoccupato, finirà per allargare il giro d'affari aumentando con esso i rischi: quando, nella seconda metà degli anni ottanta, verrà infine arrestato dalle forze dell'ordine, si scoprirà aver accumulato un numero impressionante di cadaveri, pur avendo seguito sempre alla lettera la regola di non uccidere mai donne e bambini.








Anni fa, quando su suggerimento di Julez lessi lo straordinario saggio Uomini comuni di Browning - che, in caso riusciate a reperirlo, consiglio a tutti incondizionatamente -, venni a contatto con riflessioni che non avevo mai considerato, pensando a serial killer ed affini: partendo dall'analisi degli squadroni delle SS che si occuparono dei rastrellamenti a cavallo del secondo conflitto mondiale, infatti, l'autore illustra con perizia quanto spesso individui con evidenti disturbi psichici o veri e propri serial killer - per l'appunto - sfruttino le organizzazioni criminali, le forze dell'ordine o l'esercito in modo da poter istituzionalizzare i loro istinti omicidi e, di fatto, giustificare gli stessi grazie all'esercizio del "mestiere".
Richard Kuklinski, soprannominato Iceman, sicario di spicco della mala del Jersey per oltre un ventennio, dalla seconda metà degli anni sessanta al millenovecentoottantasette, anno del suo arresto, apparteneva con ogni probabilità alla categoria: uomo imponente, tanto amorevole con moglie e figlie tanto spietato e violento nell'esecuzione degli omicidi - sperimentò numerosi e svariati metodi di tortura ed uccisione, e nel corso di tutta la sua carriera si mantenne fedele al personale codice che gli impedì non solo di togliere la vita a donne e bambini, ma di infierire con più accanimento su chi usava violenza agli stessi -, è ritratto da Vromen con piglio deciso ed una buona tecnica, un'atmosfera vintage e si avvale di uno straordinario - come sempre - Michael Shannon, in testa ad un cast variegato ed interessante - irriconoscibili Chris Evans, Stephen Dorff e Richard Swimmer, sempre piacevolmente sopra le righe Ray Liotta -.
Peccato soltanto che lo stesso Vromen, probabilmente ancora acerbo all'epoca della realizzazione di questo film - giunto in Italia con uno scandaloso ritardo di tre anni tre -, si limiti al lavoro di discreto artigiano, ed alla lunga, nelle quasi due ore di durata, si finisce per procedere stancamente fino alla conclusione, senza approfondire, ad esempio, l'interessante e non sempre limpido rapporto di Kuklinski con l'amatissima moglie - una riesumata Wynona Rider - o quello con il socio d'affari Freezy, e relegare il suo arresto ad una manciata di minuti tagliati con l'accetta.
Considerato il genere e l'atmosfera, questo The iceman perde dunque il confronto per valore rispetto a prodotti come Donnie Brasco e per stile con i cult da giovani aspiranti gangsters come Blow, senza citare mostri sacri come Scarface, Carlito's Way o Quei bravi ragazzi.
Resta comunque un prodotto solido, che senza dubbio conquisterà sostenitori tra gli amanti del genere ma che, di fatto, non inventa nulla o sarà destinato a lasciare il segno nella Storia della settima arte: nell'affrontarlo, il consiglio è quello di lasciarsi trasportare dal talento impressionante di Shannon - in questo caso aiutato anche dall'altezza e dallo sguardo - e dalla riflessione legata agli abissi dell'animo umano, che in alcuni casi - e rispetto ad alcune persone - paiono essere più oscuri e profondi di quanto potremmo immaginarli anche negli incubi peggiori.
Così come quanto possa essere raggelante - per usare un termine che si adatta al protagonista della vicenda - pensare di averci vissuto accanto senza neppure rendersi conto della loro esistenza.



MrFord



"You're as cold as ice
you're willing to sacrifice our love
you want Paradise
but someday you'll pay the price
I know."
Foreigner - "Cold as ice" - 




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