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venerdì 22 settembre 2017

Atomica bionda (David Leitch, Germania/Svezia/USA, 2017, 115')




Era la primavera scorsa quando, in sala per goderci in libera uscita dai Fordini l'ultimo Fast and furious, passò il primo trailer di Atomica Bionda, action dal sapore di spy story classica che sulla carta non aggiungeva nulla ad un genere che ho sempre amato e che, purtroppo, non ha particolari sussulti da diverso tempo: probabilmente, se non mi fosse saltato agli occhi un particolare, non avrei badato troppo alla sua data d'uscita, e forse mi sarei lanciato in un recupero casuale legato all'ambientazione - adoro Berlino - ed alla colonna sonora - il pop anni ottanta è una bomba -: a metà trailer, i furboni della distribuzione piazzano una limonata selvaggia tra Charlize Theron, protagonista che pare un cocktail tra Furiosa e John Wick, e Sophia Boutella, già vista ed apprezzata nel recente La mummia.
A questo punto, Atomica bionda è diventato uno dei potenziali cult dell'anno del Saloon, alimentando anche il desiderio di spaccare qualche bottiglia in testa al sottoscritto in Julez, ben conscia del fascino che l'amore saffico esercita sul sottoscritto: il lavoro di David Leitch, dunque, è stato posto in cima alla lista delle visioni al ritorno dalle vacanze, rivelandosi un prodotto senza infamia e senza lode dal punto di vista narrativo - l'intreccio con doppi e tripli giochi sotto la Cortina di Ferro si è già visto in questo tipo di pellicole, e la seriosità non aiuta lo sviluppo di uno script decisamente freddino - e recitativo - tutti fanno il compitino, specialmente Charlize Theron nella sua versione "figa glaciale" e James McAvoy, che ultimamente pare essere rimasto prigioniero del ruolo "fattone affascinante", e non vorrei davvero che questo rovinasse uno dei giovani talenti più interessanti del Cinema mainstream -, mentre l'aspetto tecnico, dalla cornice alla strepitosa sequenza della fuga della protagonista con il sempre ottimo Eddie Marsan - il momento migliore, senza ombra di dubbio, dell'intera visione, con un piano sequenza vertiginoso, botte da orbi e passaggi spaccatutto come piacciono al sottoscritto - e la già citata sequenza della limonata dura hanno finito per rappresentare il fiore all'occhiello di un titolo certo non destinato a diventare uno dei protagonisti delle classifiche di fine anno quanto piuttosto un solido intrattenimento per gli appassionati di film d'azione e spionaggio e di belle donne pronte a concedersi l'un l'altra - anche se non parliamo, e devo aggiungere purtroppo, di sequenze come quelle viste in La vita di Adele, sia chiaro a tutti gli interessati -.
Ammetto che, forse, mi sarei aspettato qualcosa in più in termini di sceneggiatura e di ritmo - i primi quaranta minuti paiono cento -, ma il crescendo della seconda parte finisce per supplire ai limiti della prima ed alla sensazione di deja-vù che avvolge l'intera pellicola: resta una visione ottima per una serata votata all'intrattenimento "algido" - non aspettatevi battutacce o momenti particolarmente sopra le righe in stile anni ottanta, per l'appunto -, condita da una particolare cura per i corpo a corpo mostrati e le scene d'azione - la fuga già segnalata è davvero un gioiellino che non sfigura neppure se confrontata con Classici del calibro di The raid -, alcool che scorre di continuo e quella dose di sesso che non guasta mai.
In un certo senso, Atomica bionda è come il pop anni ottanta: non sarà come ascoltare Mozart, o i Pink Floyd, ma la goduria c'è ed il casino anche.
Poco importa, dunque, che la forma non sia proprio "regolare".




MrFord




sabato 11 marzo 2017

The Night Manager - Stagione 1 (HBO, UK/USA, 2016)




Ai tempi degli ultimi Globes, con The night of appena passato su questi schermi e la classifica delle migliori serie televisive del duemilasedici in procinto di essere stilata, rimasi sorpreso dei premi raccolti da The night manager, produzione HBO - come The night of, del resto - ispirata ad un romanzo di spionaggio di John Le Carrè ed interamente diretta dalla garanzia Susanne Bier.
L'approdo in casa Ford - almeno momentaneamente - del box di Now TV - utile per arginare le intemperanze dei Fordini nei giorni successivi alle serate passate a casa della mitica suocera Ford per godere di cene ottime, buona compagnia e di Sky - ha permesso agli occupanti del Saloon di buttarsi in un recupero lampo - ventiquattro ore per sei puntate da un'ora, un record considerati i piccoli - che ha permesso di constatare che no, una sequela di premi conquistati in barba al di nuovo già citato The night of, non ci stavano, ma che in termini di spy story con risvolti romantici e confezione impeccabile questo The night manager funziona eccome, in particolare nella prima metà del suo percorso, nel corso della quale assistiamo, tra Egitto, Svizzera, Inghilterra e Spagna all'approdo da infiltrato dell'ex militare divenuto, per l'appunto, night manager d'albergo Jonathan Pine alla corte del multimilionario nonchè trafficante d'armi nascosto Richard Roper: regia glaciale e perfetta per questo tipo di prodotto, ottima suspance, un più che convincente Tom Hiddleston - decisamente superiore al suo collega e rivale sullo schermo Hugh Laurie, al quale vorrò sempre bene in quanto ex House ma in questo caso più in grado di mostrare i suoi limiti che altro -, una bellissima Elizabeth Debicki - per quanto io non sia un amante delle valchirie di un metro e novanta bionde e con poche forme - ed un'escalation che tiene lo spettatore incollato allo schermo in attesa di scoprire come si concluderà la vicenda.
A remare contro l'efficacia complessiva del prodotto - indiscutibile, comunque - vanno sicuramente considerate la scarsa empatia con chiunque non sia abituato allo spionaggio come genere, un ritmo che non va di pari passo con la tensione ed una seconda metà più votata all'azione molto meno efficace della prima in termini di sceneggiatura - "l'eliminazione" del charachter del figlio di Roper, fondamentale in partenza, mi è parsa fin troppo frettolosa, così come alcuni aspetti della risoluzione della trama nel finale -: un prodotto, dunque, funzionale e molto bello da seguire ma emotivamente e nelle sfumature ben lontano da quelli che finiscono per essere ricordati, o considerati veri e propri cult, grande o piccolo schermo che sia.
Se, ad ogni modo, siete in cerca di un prodotto in grado di unire azione e tensione - di norma prerogative maschili - così come tensione sessuale e romantica - stesso discorso, al femminile -, siete fan di un certo tipo di titoli tipicamente anglosassoni o alla ricerca di un'opera che ricordi le grandi storie da 007 in poi figlie degli anni sessanta e settanta, allora avete trovato pane per i vostri denti: perchè The night manager è contenuto e confezione, seppure, forse, non per tutti e non per chi si aspetta il titolo destinato a rivoluzionare il panorama del piccolo schermo.
Considerata, inoltre, la qualità assolutamente cinematografica della confezione, direi che non c'è davvero nulla da eccepire o per cui lamentarsi.
Se non, nel mio caso, dei premi "scippati" a The night of.




MrFord



domenica 20 ottobre 2013

Caccia al ladro

Regia: Alfred Hitchcock
Origine: USA, UK
Anno: 1955
Durata: 106'




La trama (con parole mie): siamo negli anni appena successivi al termine della Seconda Guerra Mondiale, e John Robin, ex ladro di gioielli divenuto eroe della Resistenza in Francia e dunque rimesso in libertà, si trova a dover lottare per dimostrare la sua innocenza quando un misterioso rapinatore che imita il suo vecchio stile comincia ad eseguire un colpo perfetto dopo l'altro nelle più ricche località della Costa Azzurra.
Tallonato dai poliziotti che lo credono colpevole e dai suoi vecchi compagni turbati dall'idea di dover tornare in cella a seguito dell'apparente ripresa dell'attività di Robie, John dovrà guardarsi le spalle e grazie all'aiuto di una giovane ereditiera e di sua madre smascherare il vero colpevole mettendo al sicuro la sua libertà ed il suo cuore.




Quando al Saloon approda il Maestro Hitchcock si finisce sempre per pulire il bancone di legno grezzo come se si trattasse di una grande occasione: il regista inglese, uno dei nomi più importanti della Storia della settima arte, infatti, è sinonimo di qualità sopraffina nonchè di visione meritevole sempre e comunque.
E' così anche per quello che, di fatto, ho sempre considerato uno dei suoi divertissements più rilassati e lontani dalle vette di La donna che visse due volte o Psyco, Caccia al ladro: saggio di eleganza stilistica, pulizia di esecuzione, ritmo e tecnica - la fotografia è da leccarsi i baffi, le riprese aeree della Costa Azzurra da capogiro -, questa commedia romantica mascherata da spy story è uno dei più fulgidi esempi di quanto girare divertisse il Maestro, decisamente lontano dalla tensione che altri suoi esimi colleghi inevitabilmente trasmettevano ad attori e tecnici dal primo all'ultimo momento delle riprese - Stanley Kubrick docet -.
Un elegantissimo Cary Grant nei panni dell'ex ladro di gioielli divenuto partigiano John Robie conduce il pubblico dalla prima all'ultima scena spalleggiato da una Grace Kelly mai così bella, lasciando spazio al regista per la sua consueta apparizione, ad una trama degna dei classici del genere e ad una serie di passaggi in cui la raffinatezza della messa in scena si fonde perfettamente con la leggerezza della storia e del suo svolgimento: se c'è, dunque, da trovare un limite - anche al voto complessivo - a questo lavoro del vecchio Hitch è giusto questo, la voglia di divertirsi e divertire che supera l'indagine interiore e la profondità, rendendo Caccia al ladro una sorta di fratellino minore di Intrigo internazionale, pietra miliare venuta "dallo stesso campo da gioco" - come direbbe il Vincent Vega di Tarantino - ma evolutasi ad un livello tecnico ancora superiore.
Molto interessante la scelta dell'ambientazione, esotica per gli USA ai tempi ma in qualche modo un ritorno a casa per il regista, che al Vecchio Continente, non dimentichiamolo, deve i suoi natali e le sue origini: per il resto, il pubblico femminile ebbe - ed ha ancora - la soddisfazione di farsi coinvolgere dalla parte sentimentale delle gesta di John Robie - un charachter che ai giorni nostri vedrei benissimo interpretato dal Cary Grant del Nuovo Millennio, George Clooney, o in una versione più sbarazzina da Robert Downey Jr - mentre quello maschile potette assistere ad una sorta di Ocean's eleven dei tempi provando ad ipotizzare chi si nascondeva dietro l'identità del nuovo Gatto - questo il vecchio "nome d'arte" di Robie -.
E guardando ad entrambe le soluzioni il buon Alfred non concede neppure una sbavatura, tenendo sulla corda la componente in rosa grazie ai confronti tra la giovane ex partigiana e l'ereditiera interpretata dalla già citata Grace Kelly e quella in azzurro con uno scioglimento della trama che riesce a sorprendere perfino quando la risposta a tutti i sospetti pare essere certa, assicurata e definitiva.
Come se non bastasse la chiusura ed il "furto del cuore" subito dal leggendario ex ladro ha il sapore di una vittoria del romanticismo tipico del film d'avventura dei tempi così come del garbato sberleffo all'idea di un uomo d'azione costretto suo malgrado a dover cedere il passo ad un unione sentimentale che con il suo "per sempre" finirà per significare una pensione da qualsiasi impresa che possa portare a brividi come quelli appena vissuti.
Un piccolo scherzo very british che rende la visione ancora più piacevole, e a distanza di ormai sessant'anni regala soddisfazioni ad un'audience che non solo ha cambiato i suoi orizzonti, ma che a breve non penserà neppure più che un tempo potessero essere realizzate chicche "minori" come questa.



MrFord


"Why must I be the thief?
Why must I be the thief?
Oh Lord please won’t you tell me,
why must I be the thief."
Radiohead - "The thief" -


mercoledì 16 gennaio 2013

Homeland - Stagione 2

Produzione: Showtime
Origine: USA
Anno: 2012
Episodi: 12




La trama (con parole mie):  Nicholas Brody, ex marine, ha deciso di non portare a termine l'attentato che gli era stato ordinato dal mentore acquisito Abu Nazir, convincendolo della possibilità di sfruttarlo nella sua nuova veste di Deputato.
Nel frattempo l'ex agente della CIA Carrie Mathison, unica ad avere, di fatto, smascherato Brody, è considerata una pazza in preda ad un crollo psicotico e confinata in un riposo casalingo precauzionale.
Grazie ad una vecchia informatrice a Beirut, però, le regole del gioco stanno per cambiare: questa volta sarà Brody, braccato e messo all'angolo, a doversi confrontare con il ruolo del perdente, aprendo la strada per la CIA verso la sua guida e, di fatto, regalando una nuova possibilità alla sua storia sentimentale con Carrie.
Cosa accadrà quando i piani di Nazir ed i conflitti interni della CIA collideranno? Quale futuro attende Brody e la sua famiglia, Carrie ed il suo futuro?
Quale ruolo giocheranno in tutto questo Saul Berenson e David Estes, ufficiali responsabili di Carrie?
Nubi minacciose si addensano sul futuro di tutti loro.




Se dovessi pensare ad una frase in grado di riassumere Homeland, penso opterei per “l’amore è un arma”: le vicende di Carrie Mathison e Nick Brody, nati come avversari, divenuti amanti, dunque entrati in conflitto, alle spalle una stagione tesissima, scritta e recitata alla grande, si ritrovano protagonisti di un'annata ancora più incisiva di quella d’esordio, ponendosi seriamente – ed una volta ancora – come favoriti nella corsa al titolo di migliori interpreti nell’ambito delle serie televisive.
Basterebbero episodi come quello legato al ritrovamento dell’agognata confessione di Brody in Medio Oriente da parte di Carrie, o il confronto tra i due protagonisti durante l’interrogatorio dello stesso Brody – un pezzo di bravura da pelle d’oca -, per non parlare dello splendido season finale per lanciare questo titolo nell’Olimpo del piccolo schermo proprio ora che ci si avvicina alla conclusione di Breaking bad, eppure Homeland è decisamente di più: una scrittura intelligente, razionale, sentita, che tocca tematiche importanti come la Famiglia, il senso di appartenenza, la vendetta, il sacrificio e, per l’appunto, l’amore.
L’amore che arriva e ti sconvolge la vita, esplodendo come la più dirompente delle bombe, scardinando tutte le misure di sicurezza che ci portiamo dentro fino a farci sanguinare: è così che Carrie scivola nell’apparente follia che pare costarle la carriera, è così che Brody mette in gioco la sua esistenza, la quotidianità, il legame con moglie e figli, le credenze.
L’amore che non sente confini, che non prevede razionalità o calcoli: quello per un figlio, per un ideale, per qualcuno che piomba nella nostra vita ed in un modo o nell’altro è destinato a rivoltarla come un guanto. L’amore che è la più pericolosa tra le professioni di Fede.
Brody e Carrie, ancora una volta, si trovano a fronteggiare l’uno e l’altra.
Alle loro spalle, condotti da una regia sempre asciutta e senza alcuna sbavatura, un cast di comprimari praticamente perfetto, dalla nemesi/mentore Abu Nazir – splendido il parallelo tra lui ed il Vicepresidente Walden, altro charachter pazzesco – all’enigmatico agente Quinn – ottimo nel suo ruolo di variabile all’interno del rapporto tra Brody e Carrie, spettacolare in quel “I’m a guy that kills bad guys” che l’ha proiettato direttamente tra i miei preferiti degli ultimi mesi –, per non parlare del Saul Berenson interpretato dal fordiano onorario Mandy Patinkin, che gli appassionati del piccolo schermo ricorderanno per il suo ruolo nelle prime due stagioni di Criminal minds ed i figli degli anni ottanta per l’indimenticabile Inigo Montoya “tu hai ucciso mi padre, preparati a morir” de La storia fantastica.
Quest’ultimo, quasi un padre – professionalmente ed umanamente – per Carrie, rappresenta un’eminenza grigia in positivo, l’unico in grado di raggiungere – Brody escluso, ovviamente – e toccare le corde più intime dell’instabile allieva: il faccia a faccia che chiude la stagione e l’espressione sollevata di Saul appaiono quasi commoventi, e mostrano il lato più sentimentale di una proposta in grado di spaziare dallo spionaggio all’azione, dal thriller al dramma, dalla guerra all’amore senza che nessuno pesi in particolar modo sulle spalle dello spettatore o degli altri elementi dell’equazione.
Scoprendo i risvolti di ogni episodio, un pezzo di questo grande puzzle alla volta si ha la percezione che l’arrembante bushismo di 24 – emblema della politica USA di un paio di amministrazioni presidenziali or sono – sia stato sostituito da un nuovo approccio alla materia che predilige l’azione del cervello a quella dei proiettili, il cuore ai muscoli: gli States sono cambiati, ed anche il mondo, la Guerra al terrore ha assunto risvolti nuovi e per certi versi più terribili, eppure le passioni che muovono gli esseri umani – al loro meglio e al loro peggio – restano le stesse, e come è sempre stato si ritrovano legate agli ancestrali sentimenti che hanno mosso per millenni le mani che hanno imbracciato armi e versato sangue. 
E quello più potente, tra di essi, resta appunto l’amore.
Quello di Abu Nazir per il figlio ucciso dall’attacco dei droni inviati a seguito di una decisione di Walden.
Quello di Saul per Carrie. Di Carrie per il suo Paese. E soprattutto per Brody.
Brody che è pronto a giocarsi il tutto per tutto per ricominciare ed essere un uomo nuovo, e libero.
Per essere uno dei “guys” non “bad” che quel tizio enigmatico e glaciale finisce, prima o poi, per visitare a casa. 
E non si tratterebbe certo di cortesia.


MrFord



"I hurt myself today,
to see if I still feel.
I focus on the pain,
the only thing that's real.
The needle tears a hole,
the old familiar sting.
Try to kill it all away,
but I remember everything.
What have I become?
My sweetest friend.
Everyone I know,
goes away in the end.
And you could have it all,
my empire of dirt."
Johnny Cash - "Hurt" -


domenica 25 marzo 2012

Safe house - Nessuno è al sicuro






 Regia: Daniel Spinosa
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 115'



La trama (con parole mie): Matt Weston lavora per la CIA come custode di una casa sicura a Città del Capo, e coltiva da mesi il desiderio di essere trasferito a Parigi, dove sta per tornare la sua ragazza. Non ha ancora avuto incarichi importanti e non è mai stato al centro dell'azione quando nella sua vita piomba Tobin Frost, un ex agente divenuto fuorilegge che intende trafficare un file con informazioni riguardanti elementi corrotti dei servizi segreti di tutto il mondo, CIA inclusa. 
Braccato da misteriosi inseguitori e costretto a rifugiarsi all'ambasciata statunitense, Frost diverrà partner forzato di Weston, confuso rispetto a dove si trovi la verità: sta nelle parole del suo "protetto" o in quelle dei suoi capi? Nella ribellione o nell'informazione?
La risposta giusta potrebbe costargli la vita.




Onestamente, pensavo davvero molto peggio.
Le prospettive perchè fosse previsto un uragano di bottigliate c'erano tutte: un regista di quelli presi direttamente dal grande libro dei mestieranti, il pessimo Ryan Reynolds, una trama che non si presentava come la più originale della Storia del Cinema ed un Denzellone Washington in gigioneggiamento selvaggio: eppure devo ammettere che Safe house si è lasciato guardare in discreta scioltezza, collocandosi senza infamia e senza lode tra quei titoli utili per i weekend di relax o le serate di stanca, quando non si vuole chiedere troppo al cervello ma neppure al tamarro che è in noi, e si cerca una pellicola che passi e vada, senza colpo ferire.
Certo, effettivamente lo script è prevedibile e già visto e sentito, Reynolds è inespressivo come al solito, Washington spadroneggia quasi a voler rimarcare il fatto di trovarsi tra i produttori esecutivi della pellicola e già dal decimo minuto è chiaro quale sarà la direzione presa dal regista e come finirà la vicenda, eppure si segue il tutto con discreto piacere senza fare troppo caso alla senzazione di deja-vù perenne, Reynolds risulta quasi quasi simpatico - ho detto quasi, sia chiaro -, Denzellone comunque è un grande e quindi gli si perdona un eccesso di ego da crisi di mezza età e la regia di Espinosa, per quanto priva di qualsiasi originalità, non presenta neppure, di contro, particolari mancanze tali da giustificare la furia dello spettatore.
Una volta presa coscienza di questi fatti, basta solo lasciarsi coinvolgere come se ci trovassimo in un episodio di Alias o 24, tornando con la mente alle atmosfere di un altro titolo dal sottoscritto decisamente più apprezzato e sopra le righe con lo stesso protagonista, Man on fire: azione e complotto mescolati come nel più classico degli spy movies del passato recente, con il dubbio a rendere la vita dura al consueto protagonista in pieno boy scout style fino all'inevitabile confronto tra le ombre del potere ed i suoi nemici - o almeno quelli dichiarati tali dallo stesso -.
Insomma, tutto quello che, nel decennio passato, è stato seminato dai vari Bourne e tradotto in opere più o meno impegnate e riuscite negli anni della paura post undici settembre viene raccolto e sgravato del fardello di quel periodo, presentando un prodotto che ha tutte le caratteristiche del blockbuster senza impegno ma che, a conti fatti, riesce a mantenere la credibilità necessaria affinchè non si pensi di aver buttato nel cesso quasi due ore del proprio tempo con un'opera neppure degna di essere distribuita.
Il peggio che possa capitarvi, tra una sparatoria ed un inseguimento, un complotto ed una storia d'amore, Brendan Gleeson e Vera Farmiga, è di assopirvi sul divano: ma niente paura.
Il bello di prodotti come questo è che riescono a passare indenni anche attraverso il sonno, neanche fossero una sorta di maggiordomo premuroso che ci appoggia il cuscino sotto la testa dopo averlo sprimacciato e avvolge la coperta attorno ai nostri piedi, in pieno stile mummia egizia.
A volte, dopo una giornata tra lavoro e impegni di ogni genere, non si può davvero chiedere quasi nulla di più.


MrFord


"He lives in a house 
a very big house
in the country
watching afternoon repeats
and the food he eats
in the country."
Blur - "Country house" -


giovedì 8 marzo 2012

Knockout - Resa dei conti

Regia: Steven Soderbergh
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 93'



La trama (con parole mie): Mallory Kane, super agente segreto che nessun mortale può, ha potuto e potrà fermare, in grado di far piangere come bimbi in fasce Ethan Hunt e James Bond, è incazzata nera perchè il suo ex Ewan McGregor pare proprio averla fregata, mettendole contro la storia di una notte Channing Tatum e la potenziale conquista Michael Fassbender, orchestrati a loro volta dal complicato gioco di potere della premiata ditta Kassovitz e Banderas.
Ovviamente la nostra eroina tutta d'un pezzo alla fine riuscirà a spuntarla, ma perchè questo accada e si possa finalmente tirare un sospiro di sollievo - nonchè porre fine al tour delle città europee made in Soderbergh - si dovrà attendere con molta pazienza quasi un'ora e mezza.





Neanche il tempo di tornare da Barcellona e subito mi ritrovo catapultato per le strade della città catalana, una delle mie due mete preferite al mondo.
Purtroppo, però, il risultato non è decisamente lo stesso rispetto al girare prendendosi il tempo che si vuole tra Parc Guell e la Sagrada Familia, o lungo la Barceloneta, perchè in questo caso siamo di fronte ad uno degli indiscutibilmente peggiori film di inizio anno, frutto di un'opera di gigionismo di proporzioni pantagrueliche dell'ormai troppo spesso ex regista Soderbergh, accompagnato per l'occasione dall'altrettanto - e anche di più - ex Kassovitz nonchè dal convalescente Michael Douglas, dall'apparentemente convalescente Antonio Banderas e dal futuro convalescente - dopo le mie bottigliate - Ewan McGregor, che non contenti portano con loro nel calderone anche l'una volta promessa Channing Tatum, passato ingloriosamente dall'ottimo Guida per riconoscere i tuoi santi a G. I. Joe e schifezze come questa.
Evidentemente devono tutti avere problemi di soldi, poveri lavoratori in lotta per arrivare a fine mese.
Poco importa, dunque, se la protagonista sia la tostissima Gina Carano, ex lottatrice e tipica spaccaculi in pieno stile fordiano, in una storia che, sulla carta, dovrebbe proporsi come una sorta di Alias in versione cinematografica con un pò di violenza e glamour in più: a partire dal pessimo titolo, questo film è senza dubbio una delle esperienze peggiori che uno spettatore possa concedersi in questo primo quarto dell'anno, una vera e propria perdita di tempo dalla sceneggiatura inconsistente e ridicola - solo in un film con Van Damme girato negli anni ottanta posso pensare che un agente dei servizi segreti o presunto tale snoccioli al primo stronzo che gli capita sotto le mani le complicate trame dei suoi casini lavorativi, senza dimenticare l'assoluta infallibilità dello stesso 007 -, un divertissement ad uso e consumo di cast e regista capace di provocare nell'audience esclusivamente noia ed anche un pizzico di incazzatura all'indirizzo di questa manica di stronzi imbottiti di soldi che girano una città al giorno divertendosi a girare due inquadrature due in un vicolo del centro prima di andare a sollazzarsi giocando a golf o in un resort tanto per non farsi mancare nulla.
Roba da far sembrare Contagion il film del secolo, e addirittura non fare sfigurare neppure quella schifezza subumana di The american.
Onestamente, era dai tempi di The tourist che non riuscivo a provare un così profondo disprezzo per la messa in scena apparentemente "d'autore" di una pellicola, fatta e finita ad uso e consumo dei suoi realizzatori e confezionata dalla grande distribuzione come fosse una sorta di piccolo cult per intenditori di action movies e spy stories: peccato che il risultato non sia classificabile in nessuno dei due generi, e non resti altro che una confezione vuota ed inutile incapace anche di intrattenere il pubblico dalle pretese minori - e mi metto tranquillamente nella cerchia -.
A peggiorare la situazione il dato di fatto costituito dalla certezza che si tratti del lavoro - l'ennesimo completamente sbagliato - di un ex Palma d'oro ormai clamorosamente votata al blockbuster di grana grossa: una cosa giusta giusta per farsi del male, che mi ha ricordato quanto è triste chiudere le ferie e tornare alla realtà di tutti i giorni.
Sicuramente, a visioni come questa è preferibile addirittura una bella settimana lavorativa fatta e finita.
E ad entrambe, senza dubbio, è preferibile Barcellona: vissuta pure senza soldi, ma in prima persona.
Sarà decisamente più seducente, avvincente ed "action" di quanto possa esserlo all'interno di una porcata come questa.


MrFord


"So you think you'll take another piece of me
to satisfy your intellectual need
do you want, do you want...Action?"
Def Leppard - "Action" -


lunedì 6 febbraio 2012

Mission impossible - Protocollo fantasma

Regia: Brad Bird
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 133'


La trama (con parole mie): l'agente Ethan Hunt è liberato dal suo vecchio collaboratore, il tecnico Benji Dunn, e dall'agente Jane Carter dal cuore di una prigione a Budapest in modo da riprendere le fila di una missione che la stessa Carter ed il suo partner Trevor Hanaway avevano quasi portato a termine e che vede coinvolti una spietata killer francese ed una mente criminale di altissimo livello di origine svedese, una sorta di delirante messia in attesa di una nuova guerra nucleare.
Tra il Kremlino e Dubai, l'India e gli States, i nostri - cui si legherà anche l'analista William Brandt - si troveranno a dover lottare con le unghie e con i denti per sventare un olocausto atomico, portare a casa la pelle e vincere il confronto con i propri demoni interiori.





Riuscire a produrre un film action solido che sia una tamarrata ma, al contempo, risulti credibile nonostante l'evidente invito al pubblico a lasciarsi travolgere dall'assoluta straordinarietà degli eventi narrati e delle sequenze mostrate non è un'impresa da poco.
Tornando ormai parecchio indietro nel tempo, ricordo in particolare che soltanto il primo, indimenticabile Die Hard, o Predator - non a caso, firmati entrambi da John McTiernan - riuscirono in un impresa simile senza perdere in potenza in una o l'altra delle loro due facce: questo quarto, adrenalinico, divertentissimo capitolo della saga dell'agente Hunt e del brand Mission impossible può orgogliosamente vantarsi di essere inserito nel novero.
Era dai tempi dell'esordio di Tom Cruise nei panni dell'inossidabile Ethan firmato De Palma che non mi capitava di divertirmi così tanto, e dopo il troppo eccessivo capitolo targato John Woo e l'ultimo, bolso episodio girato da J. J. Abrams - forse l'unica produzione del geniaccio papà di Alias non in grado di trovare terreno fertile in casa Ford - il ritorno sul grande schermo dell'infallibile agente si rivela un successo in grado di mescolare abilmente divertimento, tecnica, una trama avvincente e scorrevole ed una robustissima e sana dose di spacconate grosse come il Burj Khalifa di Dubai, cornice della parte più sguaiata e da me ovviamente preferita del film.
Brad Bird, già regista dei magnifici Il gigante di ferro e Gli incredibili, passa dall'animazione alla fiction classica senza patire, e forte di un comparto tecnico notevole - dai titoli di testa all'esplosione del Kremlino, fino all'ormai nota scalata di Dubai del pazzo, pazzo Tom, che comunque non riesco a non farmi stare simpatico - porta a casa un risultato notevole nel suo genere, permettendo al pubblico di non annoiarsi nonostante una durata piuttosto consistente per un prodotto di questo tipo senza perdere neppure per un secondo l'ironia - Simon Pegg irresistibile, così come gli scambi Cruise/Renner -, concedendo momenti di grande soddisfazione al pubblico maschile sfruttando al meglio le due protagoniste femminili e tirando fuori dal cilindro un cattivo d'eccezione, rivalutando anche un attore che pensavo assolutamente inutile come Michael Nyqvist, che interpretò Blomqvist nella trilogia nordica di Millennium.
Il tutto - e grazie alla produzione della "lostiana" Bad Robot - trovando il tempo di inserire in una piccola parte anche il mio favorito dei tempi dell'isola più famosa del piccolo schermo, quel Josh Holloway dalle due espressioni che prestò volto e cuore al mio personaggio preferito di sempre nel mondo delle serie tv, quel Sawyer cui devo il mio nome da blogosfera e un sacco di cose che sarebbe troppo lungo raccontare.
Onestamente, non potevo davvero chiedere di più ad un prodotto che non è nient'altro che puro e prepotente intrattenimento, senza contare il colpo di scena finale e le ottime sequenze della tempesta di sabbia a Dubai e del faccia a faccia decisivo tra Hunt e Hendricks nel parcheggio con tanto di lotta senza quartiere per la valigetta con i controlli della testata nucleare contesa.
E come se non bastasse, Bird condisce il tutto con un pò di Guerra Fredda, sfruttando il rapporto da nemiciamici di Hunt e gli agenti dell'intelligence russa.
Un cocktail esplosivo, tamarrissimo e profondamente autoironico che non solo si rivela un ottimo prodotto realizzato alla grande, ma mi fa addirittura sperare che il pazzoide Tom, assistito dai suoi deliri di Scientology, mantenga questa forma incredibile nonostante i quasi cinquanta e ci regali, affiancato dalla stessa squadra, un altro capitolo delle avventure mozzafiato dell'agente Hunt.


MrFord


"Now, what do you own the world?
How do you own disorder, disorder?
Now somewhere between the sacred silence
sacred silence and sleep
somewhere, between the sacred silence and sleep
disorder, disorder, disorder."
System of a down - "Toxicity" -

martedì 24 gennaio 2012

La talpa

Regia: Tomas Alfredson
Origine: Francia/Uk/Germania/Svezia
Anno: 2011
Durata: 127'


La trama (con parole mie): Smiley, con l'uscita di scena del suo capo all'intelligence britannica Control, si ritrova di nuovo nel pieno dell'azione richiamato dalla pensione per snidare una talpa che da anni si muove ai vertici dell'organizzazione, lo stesso uomo che era costato un'importante missione in Ungheria e l'apparente dipartita di un agente, Jim Prideaux.
Muovendosi nell'ombra all'interno degli ambienti in cui ha passato la sua vita, Smiley si ritroverà a dover scegliere gli alleati e le pedine migliori per una partita a scacchi con gli avversari russi, il destino e la nemesi che si cela alle sue spalle, responsabile di molti degli eventi in grado di mettere alle strette Control, il governo britannico e lui stesso.





Ne ho sentite davvero di tutte, a proposito di questo lavoro di Tomas Alfredson.
Dal Capolavoro alla noia mortale, senza dubbio pare si sia guadagnato l'appellativo di pellicola più dibattuta - almeno online - dai tempi di Melancholia.
Personalmente, l'opera precedente del regista - l'osannatissimo Lasciami entrare - tolte un paio di scene clou ha rappresentato uno dei film più sopravvalutati degli ultimi anni, nonchè uno dei pochi che, proprio per noia, riuscii a portare a termine soltanto in due visioni distinte, una cosa più unica che rara in casa Ford.
La talpa pare essere, in questo senso, una conferma: una grande prova di regia e comparti tecnici assolutamente priva dell'anima e del mordente necessari per avvincere il pubblico ed affermarsi come cult, perlomeno di genere.
Dunque, per quale motivo ho scelto di dare una valutazione discreta ad una pellicola che, a quanto pare, meriterebbe soltanto sonore bottigliate?
Perchè La talpa - così come, forse, il suo predecessore nella filmografia di Alfredson - è una di quelle pellicole da sedimento, che al principio irritano o annoiano per essere poi rivalutate nel tempo, o valere almeno un ulteriore tentativo affinchè questo fenomeno certo raro possa compiersi: personalmente, a fare da riferimento per questa schiera ho un precedente più che illustre, The heat di Michael Mann, visto quando ancora non ero pronto per un'opera di quella portata e rivalutato negli anni ad ogni visione successiva.
Rispetto a questo film, dunque, resto tutto sommato fiducioso, e pronto ad affidarmi ad una seconda - rivelatrice? - visione in futuro: per ora resta una confezione impeccabile - regia ottima, fotografia da urlo, richiamo ai capisaldi del genere in pieno stile seventies riuscito alla perfezione - al servizio di una storia macchinosa e bolsa, non tanto incomprensibile - come molti hanno scritto - quanto priva di anima, come la quasi totalità dello stellare cast, compreso il comunque ottimo Gary Oldman, troppo impegnato ad immergersi - in tutti i sensi -  nel suo algido Smiley per scoprire che, di cuore, questo protagonista comunque sulla carta straordinario risulta assolutamente privo.
Spiccano soltanto Mark Strong - che a questo punto potrebbe cimentarsi davvero in qualcosa di più dei consueti film action cui ci ha abituati - ed un superlativo - ma questo già si sapeva - Tom Hardy, mentre il resto dei grossi nomi, a parte portare a casa la pagnotta, fa poco per staccarsi dall'atmosfera di stanca trasmessa dalla pellicola: su tutti, il pessimo Colin Firth, sempre uguale a se stesso - come giustamente sottolineato da Julez - e decisamente svogliato nel portare sullo schermo uno dei personaggi al contrario più interessanti dello script, fornendone quasi un'involontaria caricatura.
Riallacciandomi proprio all'appena citato Firth, potrei quasi sbilanciarmi affermando che La talpa rappresenta, per il genere spionistico, quello che il terribilmente vuoto Il discorso del re fu per l'autorialità da grande pubblico lo scorso anno: non, dunque, un film brutto nel senso realizzativo del termine, quanto fiacco.
Ai tempi ricordo che usai il termine di "sala da the" per il lavoro di Tom Hooper: rispetto a quello Alfredson fa certo di meglio, eppure il suo lavoro sa tanto di un gin tonic annacquato rispetto al Tanqueray liscio che mi sarei aspettato.
Resta comunque chiaro il fatto che si stia parlando di un film profondamente autoriale, e decisamente di valore - tecnicamente parlando, almeno -, e non di un'immondizia galattica come quelle proposte spesso e volentieri nelle nostre sale, eppure l'impressione, soprattutto rispetto ai suoi lati positivi, è quella di un'enorme occasione sprecata dal regista per compiere il salto di qualità che i suoi fan più fedeli si sarebbero aspettati dopo il suo esordio ed i detrattori - come il sottoscritto - si erano auspicati di fronte ad un'abilità dietro la macchina da presa certamente invidiabile.
Chissà, forse il tempo darà ragione a lui: eppure fino ad ora quello che resta è un piatto insipido e totalmente privo della passione necessaria a renderlo un must senza se e senza ma.
Di noia, dunque, non si tratta - la lentezza soporifera è ben altra, fidatevi -, ma allo stesso modo i Capolavori di genere, quelli veri, come La conversazione, I tre giorni del condor e Tutti gli uomini del Presidente sono ad un livello che questa talpa da merendina si può solo sognare.


MrFord


"I'm a spy in the house of love
I know the dream, that you're dreamin' of
I know the word that you long to hear
I know your deepest, secret fear
I'm a spy in the house of love
I know the dream, that you're dreamin' of
I know the word that you long to hear
I know your deepest, secret fear
I know everything
everything you do
everywhere you go
everyone you know."
The Doors - "The spy" -



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