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martedì 9 giugno 2015

Fordino Unchained: Barcelona Edition

La trama (con parole mie): la scorsa settimana, come già preannunciato con un post dedicato, casa Ford si è trasferita per qualche giorno in terra catalana, a Barcellona, a dispetto della squadra di calcio la città forse più amata dal sottoscritto, e che, al quarto giro di giostra, si è confermata come il luogo che sento maggiormente come casa a parte casa mia nel mondo.
In realtà, la cosa più importante è stata il fatto che si trattasse del primo viaggio - in aereo e fuori dall'Italia - del Fordino, che ha regalato una perla dietro l'altra ed ha vissuto con lo spirito del viaggiatore consumato un'esperienza che spero, con Julez, di ricordargli quando sarà più grande.



Ho cominciato a pensare ai futuri viaggi del Fordino ancora prima che nascesse.
Da amante dell'esperienza e della vita, e da persona che ha costruito parte delle stesse grazie alle vicissitudini - positive e negative - accumulate anno dopo anno proprio "on the road", ho sempre sperato che il più piccolo del Saloon potesse avere la possibilità di cominciare ad assaporare questo tipo di sensazione prima di quanto abbia potuto farlo io, in modo da avere una base sulla quale lavorare una volta cresciuto.
Questo suo primo viaggio all'estero, in una città che da queste parti ha avuto un enorme significato - e ce l'ha ancora - è stato una conferma fin dall'inizio, regalando perle a profusione e ricordi che spero rimarranno anche grazie a queste righe: dal più che agitato passeggero del volo d'andata in grado di mettere in agitazione la signora Ford - a metà tra il terrorista cristiano fondamentalista con tanto di libro nero dei regimi islamici ed il trafficante di droga decisamente poco in grado di passare inosservato - all'ottima reazione - tra l'entusiasmo e la nanna pronta a vincere la nausea da saliscendi dell'aereo - del Fordino alla sua prima esperienza di volo - e maledetta Vueling che non emette il certificato di primo viaggio aereo per i bimbi -, i pochi giorni in terra catalana sono stati davvero una miniera di momenti cult.
Il primo che mi torna in mente, archiviate le consuete differenze rispetto al cantiere della Sagrada Familia - in costante evoluzione dalla mia prima visita nel duemilasei - e dell'Hospital Sant Pau, che ai tempi esplorai come fosse un cortile aperto e scoprii che si trattava di una perla sostanzialmente sconosciuta al più dei visitatori della città, come l'anno seguente con Julez, trovai chiuso per lavori nel duemiladodici e riaperto - a pagamento - quest'anno, è l'incrocio dei Ford con Ian Somerhalder tra casa Battlo e la Pedrera, sul quale si è ricamato nel corso di tutta la vacanza.
Personalmente, quello che posso dire - a parte lo spropositato quantitativo di vestiti presumibilmente acquistati dalla da poco sua signora - è che il buon Ian ha due occhi ai quali il piccolo schermo non rende giustizia, e che è decisamente bassino - soprattutto per gli standard della mia metà, che non manca di ricordare al sottoscritto una certa mancanza dal punto di vista dell'altezza -.
Ma il vero protagonista del viaggio, ovviamente, star di Hollywood e monumenti di Barcellona a parte, è stato indiscutibilmente il Fordino; con il secondo giorno, spazio dunque totalmente a lui ed alla volontà della vigilia di portarlo allo splendido zoo di Barcellona, con la promessa di vedere "tanti lali" - tanti animali, N. D. T. -: passata una crisi di fame a cavallo della colazione, l'esperienza nello stesso zoo è stata assolutamente mitica.


Abbiamo avuto conferma - come da indagini prima effettuate prima della partenza - che i più attesi erano il gorilla - che ancora oggi esalta AleLeo al solo nominarlo -, il "potottio" - ippopotamo -, visto nella versione "danne" - grande - e "pittio" - piccolo -, l'elefante, il rinoceronte, i delfini - lo show del delfinario ha regalato, a parte le due cacche pulite sugli spalti una dietro l'altra, esaltazione massima al più piccolo dei Ford -, i pinguini e, a sorpresa, i fenicotteri - ribattezzati "tototti" -.
Abbiamo anche scoperto sulla pelle cosa significhi un viaggio con un bimbo piccolo, ovvero tanta meraviglia ma altrettanta fatica - mentale e fisica -, abbiamo visto il Fordino emozionarsi a cavallo di un pony, per la scoperta del Calippo al lime - ribattezzato "il gelato del gorilla" -, spaventarsi per i pavoni liberi in tutto lo zoo, sfruttati come spauracchio per ogni capriccio - al monito "chiamo il pavone" ogni intemperanza è domata anche ad una settimana di distanza - ridere come se non ci fosse un domani al parco inseguendo le bolle fatte da una ragazza tra le tante che, a Barca, si ritrovano ad intrattenere ed esercitarsi con i turisti per la strada, scoprire una realtà diversa dalla sua in termini di orari e "scomodità".
In tutto questo, abbiamo fatto esperienza di alcuni angoli di Barcellona che, da turisti, non avevamo mai affrontato - la seggiovia di Montjuic, lo Stadio Olimpico -, sdoganato il primo bagno alla Barceloneta - acqua ghiacciata, ma decisamente pulita per una grande città -, girato come matti per ritrovare un ristorante thai che scoprimmo tre anni or sono per poi finire con il sottoscritto a beneficiare di una cena doppia a causa degli "scarti" del Fordino e Julez, percorso le strade di una città alla quale devo tantissimo così come non avrei mai pensato, quella prima volta nell'estate del duemilasei, avrei mai percorso.
Con la mia Famiglia accanto.
E, devo ammetterlo, così come vivere, viaggiare con il proprio figlio - o figli - diventa come viaggiare il doppio: in termini di fatica, ma soprattutto per emozione e meraviglia.
Ed osservare la curiosità e la voglia di comunicare di AleLeo - che non ha perso occasione di cercare di spiegare cosa stava guardando e sperimentando anche ai bambini stranieri che passavano accanto a lui allo zoo - è qualcosa che andrà oltre a qualsiasi capriccio, fatica, chilometro con una dinamo quasi inesauribile per mano o sulle spalle, pronta a chiedere qualcosa in più anche quando pare di non avere energie per poter compiere un solo passo.
Ed andare avanti ancora, ed ancora.
Insieme.




MrFord





lunedì 8 giugno 2015

Juventus - Barcellona

La trama (con parole mie): negli ultimi anni il Saloon ha seguito da vicino gli avvenimenti più importanti del mondo calcistico, dagli Europei ai Mondiali. Il percorso di questa ormai conclusa stagione della Juventus, squadra che ormai è di casa da queste parti considerata la fede bianconera di Julez e dell'insostituibile suocera Ford, ha finito per spingere il sottoscritto a dedicare un post a quella che è stata la tentata impresa di una squadra che ho sempre considerato più che una rivale, finita a giocarsi il più ambito dei trofei per i club con il simbolo della città che amo di più al mondo, e che calcisticamente ho sempre clamorosamente detestato.
Come sarà andata a finire, a prescindere dal risultato della partita?




Nonostante il male che se ne possa dire, a partire dal giro di denaro, sponsorizzazioni e chi più ne ha, più ne metta, ho sempre adorato il calcio: da Holly e Benji alle partite al campetto fino alle prime emozioni da spettatore, da quelle vissute in prima persona a quelle regalate dalla propria squadra del cuore, penso che il buon, vecchio pallone sia in grado di affascinare - come tutti gli sport, sia chiaro - a qualsiasi latitudine ed età, se preso con lo spirito giusto.
Un paio di sere fa si è giocata, a Berlino - teatro di quella che fino ad ora potrebbe essere stata la mia soddisfazione calcistica più grande, da tifoso, i Mondiali del duemilasei vinti a sorpresa dall'Italia - la finale della competizione più importante del calcio europeo per quanto riguarda i club: la Champions League.
Di fronte, due compagini che ho sempre detestato: la Juventus e il Barcellona.
Della seconda ho poco da dire: l'ho vissuta da avversaria in più occasioni da tifoso del Milan, e nonostante rappresenti una città che adoro ho sempre trovato il club espressione di una fighetteria e di una spocchia al limite dell'irritante, Messi e Neymar, campioni indiscutibili, sono tra gli sportivi che più detesto, privi del carattere e del piglio che piacciono da queste parti, perfino i colori della divisa ufficiale non mi fanno impazzire.
Della prima, invece, potrei raccontare parecchio: da ragazzino ho passato non so quanto tempo a dare contro a quella che è la squadra più amata ed odiata d'Italia, esultando come un forsennato in occasione delle due finali di Champions perse contro il Dortmund ed il Real Madrid, ed ovviamente per quella che vide la Vecchia Signora opposta al Milan, dodici anni fa.
Il tempo è passato, io sono cambiato, ed ho scoperto sulla mia pelle che la frustrazione è una cattiva consigliera, anche da tifoso, e mi sono ritrovato, pur non esaltandomi, a considerare le cose in maniera molto più oggettiva, sia che si tratti di squadre italiane o, semplicemente, di avversari dal valore che è giusto riconoscere: sabato sera, pur perdendo, la Juventus ha finito per giocarsi le carte e le energie che poteva contro una squadra obiettivamente di molto superiore per livello tecnico e di organizzazione, in grado di fare male ad ogni affondo - e, considerato tutto, è andata anche bene, nonostante sia stato da più parti dichiarato che il tre a uno conclusivo sia stato una punizione troppo severa -, capace di imporre un gioco che è ormai ben noto, e che raramente, negli ultimi anni, ha trovato rivali.


Entrando in campo da outsider con speranze di una vittoria insperata alla vigilia, probabilmente la Juve si è ritrovata stordita da un gol preso in pieno avvio, complice una manovra esemplare del Barca, che ha onestamente finito per dominare il primo tempo, rischiando in più di un'occasione di ingrassare il bottino per poi ritrovarsi rimontato proprio nel momento migliore.
A quel punto, per dieci minuti, la speranza del popolo bianconero è stata più che concreta: un ribaltone, una rivoluzione, la vecchia storia dello sfavorito che mette al tappeto il campione.
Ma non sempre le cose vanno così, a meno che non ci si trovi in un film: e così, basta la zampata di un fuoriclasse - per quanto sopravvalutato - come Messi, ed ecco che Suarez - altro che non gode delle simpatie del sottoscritto -, riporta le cose come stavano al principio.
E per i bianconeri è l'inizio della fine, sancita da un gol dell'altrettanto detestato Neymar proprio allo scadere.
Ma la questione non è tanto chi ha vinto, o che lo abbia fatto il più forte, o che abbia perso una storica rivale: la Juventus ha ceduto a testa alta, battendosi, pur con alti e bassi, dal primo all'ultimo minuto.
In questo senso, e nella sportività di Julez, che celebra il momento di gloria di Neymar, alla sua prima Champions con tanto di sigillo a sostenere la giovinezza ed una carriera appena all'inizio, trovo che i bianconeri abbiano dimostrato il loro grande valore, a prescindere dal risultato.
Perdere con dignità è ai miei occhi simbolo di un carattere maggiore che vincere senza.
E considerati i trascorsi della Juventus, questo traguardo raggiunto, in tutta la sua insperata, clamorosa, realistica umanità, è una vittoria ben più grande della "coppa dalle grandi orecchie".
Anche se, fossi un tifoso bianconero, preferirei certo barattare un pò di questa ammirazione per un trionfo che, l'altra sera, avrebbe fatto piacere anche a me.




MrFord






martedì 2 giugno 2015

Fordino Unchained: the first flight

La trama (con parole mie): a partire da questa mattina e per qualche giorno, casa Ford ed il Saloon tornano in qualche modo a casa, a Barcellona, la città che è stata la cornice del primo viaggio con Julez all'inizio della nostra storia nonchè la favorita in assoluto del sottoscritto, che per la quarta volta tornerà a calcare quelle strade così ricche di colori e di vita.
Ma non è la mia parte della barricata, a dover festeggiare.
Il Fordino, infatti, conoscerà proprio in quest'occasione l'ebbrezza del viaggio, in aereo o non solo.
E sarà un'avventura, senza dubbio, anche per noi.







Quando, nella primavera del duemiladodici, con Julez tornammo a Barcellona, non avremmo probabilmente scommesso nulla rispetto a tutto ciò che ci avrebbe travolto di lì a pochi mesi: l'arrivo del Fordino, ed il percorso compiuto per arrivare a lui, ha finito per cambiare completamente la geografia di questi primi anni di vacanze in tre, subordinati a vicissitudini lavorative, neonatali ed anche solo casuali.
Da tempo, però, si accarezzava in casa Ford l'idea di far provare al più piccolo del Saloon l'ebbrezza del volo, e la prima esperienza oltre confine: in fondo, se penso che per me è avvenuta a quasi quindici anni - ottobre novantaquattro, New York e Philadelphia, una paura incredibile di prendere quota -, è sicuramente un passo in avanti, come è giusto che sia.
Nessun luogo al mondo, in questo senso - neppure la nostra tanto amata Australia -, poteva essere più adatto di Barcellona: una città che dal primo istante in cui vi misi piede, ormai quasi dieci anni fa, in un viaggio in solitaria che resta uno dei più importanti della mia vita, mi fece sentire più a casa di quanto mi sia mai sentito a Milano, e proprio ai piedi della Sagrada Familia - che resta il centro nevralgico della zona che preferisco della città catalana, e che ad ogni ritorno tra le sue strade vince la concorrenza delle Ramblas, del mare e di qualsiasi altro angolo più turistico si possa pensare di trovare - permette al sottoscritto non solo di cavalcare i ricordi, ma anche di guardare al futuro.
Ma nonostante tutto, il fulcro della preparazione a questo viaggio è stato, ovviamente, il Fordino, che già attende la Catalunia per il mare e per lo splendido zoo di Barcellona, con "tanti animali", dall'elefante "danne" - grande, N. D. T. - al "pototto" - ippopotamo, sempre N. D. T. -, passando per il gorilla e tutte le scimmie: l'entusiasmo nei suoi occhi all'idea di qualcosa che neppure sa bene cosa sia è il motore per mille vite, vissute con tutta la passione possibile.
Ai tempi in cui percorsi quelle strade da solo, se mi avessero detto che neppure dieci anni dopo sarei tornato lì con la mia famiglia, non ci avrei creduto, in preda a storie di una notte e sbronze un giorno sì e l'altro pure: eppure il bello è proprio questo.
E per le strade di Barcellona ho sempre la sensazione di poter salutare le ferite - da Agnese a Emiliano, in quest'ultimo anno non sono mancate - e guardare al futuro accarezzando la speranza, tra qualche anno, di poter tornare di fronte alla Sagrada con il Fordino un pò più grande e consapevole ed un altro, o altra piccola abitante del Saloon.
Nel frattempo, mi godo questo momento come se fossi tornato io, dopo essere stato fino all'altro capo del mondo, a dover prendere un aereo, guardare il mare ed animali esotici per la prima volta nella mia vita.




MrFord






giovedì 8 marzo 2012

Knockout - Resa dei conti

Regia: Steven Soderbergh
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 93'



La trama (con parole mie): Mallory Kane, super agente segreto che nessun mortale può, ha potuto e potrà fermare, in grado di far piangere come bimbi in fasce Ethan Hunt e James Bond, è incazzata nera perchè il suo ex Ewan McGregor pare proprio averla fregata, mettendole contro la storia di una notte Channing Tatum e la potenziale conquista Michael Fassbender, orchestrati a loro volta dal complicato gioco di potere della premiata ditta Kassovitz e Banderas.
Ovviamente la nostra eroina tutta d'un pezzo alla fine riuscirà a spuntarla, ma perchè questo accada e si possa finalmente tirare un sospiro di sollievo - nonchè porre fine al tour delle città europee made in Soderbergh - si dovrà attendere con molta pazienza quasi un'ora e mezza.





Neanche il tempo di tornare da Barcellona e subito mi ritrovo catapultato per le strade della città catalana, una delle mie due mete preferite al mondo.
Purtroppo, però, il risultato non è decisamente lo stesso rispetto al girare prendendosi il tempo che si vuole tra Parc Guell e la Sagrada Familia, o lungo la Barceloneta, perchè in questo caso siamo di fronte ad uno degli indiscutibilmente peggiori film di inizio anno, frutto di un'opera di gigionismo di proporzioni pantagrueliche dell'ormai troppo spesso ex regista Soderbergh, accompagnato per l'occasione dall'altrettanto - e anche di più - ex Kassovitz nonchè dal convalescente Michael Douglas, dall'apparentemente convalescente Antonio Banderas e dal futuro convalescente - dopo le mie bottigliate - Ewan McGregor, che non contenti portano con loro nel calderone anche l'una volta promessa Channing Tatum, passato ingloriosamente dall'ottimo Guida per riconoscere i tuoi santi a G. I. Joe e schifezze come questa.
Evidentemente devono tutti avere problemi di soldi, poveri lavoratori in lotta per arrivare a fine mese.
Poco importa, dunque, se la protagonista sia la tostissima Gina Carano, ex lottatrice e tipica spaccaculi in pieno stile fordiano, in una storia che, sulla carta, dovrebbe proporsi come una sorta di Alias in versione cinematografica con un pò di violenza e glamour in più: a partire dal pessimo titolo, questo film è senza dubbio una delle esperienze peggiori che uno spettatore possa concedersi in questo primo quarto dell'anno, una vera e propria perdita di tempo dalla sceneggiatura inconsistente e ridicola - solo in un film con Van Damme girato negli anni ottanta posso pensare che un agente dei servizi segreti o presunto tale snoccioli al primo stronzo che gli capita sotto le mani le complicate trame dei suoi casini lavorativi, senza dimenticare l'assoluta infallibilità dello stesso 007 -, un divertissement ad uso e consumo di cast e regista capace di provocare nell'audience esclusivamente noia ed anche un pizzico di incazzatura all'indirizzo di questa manica di stronzi imbottiti di soldi che girano una città al giorno divertendosi a girare due inquadrature due in un vicolo del centro prima di andare a sollazzarsi giocando a golf o in un resort tanto per non farsi mancare nulla.
Roba da far sembrare Contagion il film del secolo, e addirittura non fare sfigurare neppure quella schifezza subumana di The american.
Onestamente, era dai tempi di The tourist che non riuscivo a provare un così profondo disprezzo per la messa in scena apparentemente "d'autore" di una pellicola, fatta e finita ad uso e consumo dei suoi realizzatori e confezionata dalla grande distribuzione come fosse una sorta di piccolo cult per intenditori di action movies e spy stories: peccato che il risultato non sia classificabile in nessuno dei due generi, e non resti altro che una confezione vuota ed inutile incapace anche di intrattenere il pubblico dalle pretese minori - e mi metto tranquillamente nella cerchia -.
A peggiorare la situazione il dato di fatto costituito dalla certezza che si tratti del lavoro - l'ennesimo completamente sbagliato - di un ex Palma d'oro ormai clamorosamente votata al blockbuster di grana grossa: una cosa giusta giusta per farsi del male, che mi ha ricordato quanto è triste chiudere le ferie e tornare alla realtà di tutti i giorni.
Sicuramente, a visioni come questa è preferibile addirittura una bella settimana lavorativa fatta e finita.
E ad entrambe, senza dubbio, è preferibile Barcellona: vissuta pure senza soldi, ma in prima persona.
Sarà decisamente più seducente, avvincente ed "action" di quanto possa esserlo all'interno di una porcata come questa.


MrFord


"So you think you'll take another piece of me
to satisfy your intellectual need
do you want, do you want...Action?"
Def Leppard - "Action" -


giovedì 1 marzo 2012

Barcellona non basta mai

La trama (con parole mie): fino a lunedì compreso casa Ford si trasferisce in una delle sue città più amate, la meravigliosa Barcellona.
I ricordi corrono all'estate post mondiali 2006, in cui vissi da solo una città che fu una sorta di rinascita, e all'ottobre del 2007, nel primo viaggio con Julez.
E' un pò come partire da casa per tornare a casa.




I post sono già programmati.
Voi tenete il fortino, e se non torno prima dell'alba... Chiamate il presidente.


MrFord


"Rambla pa'qui Rambla pa'lla
esa la Rumba de Barcelona
rambla pa'qui Rambla pa'lla
esa la Rumba de Barcelona."
Mano Negra - "Rumba de Barcelona" -


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