E anche quest'anno, è giunto il tempo per il Saloon di trasferirsi al mare, per le consuete, attese, rilassanti, goduriose ferie estive: due settimane tra Fordini, mare, piscina, gran birroni e più tempo del consueto per film, serie e letture. Qualche titolo è già passato su questi schermi, e andrà ad aggiungersi agli altri nella carrellata del Bulletin "ingrassato" che vi aspetterà il diciannove agosto, al ritorno dei Ford alla base.
Nel frattempo, godetevi le vacanze anche voi, la loro attesa o il loro ricordo.
Domani, archiviate le ultime giornate lavorative, l'organizzazione e le pratiche sportive, i Ford tutti partiranno per le vacanze. Due settimane di stacco lontani dalla quotidianità e dagli appuntamenti fissi, e anche se il Saloon in quest'ultimo periodo è stato tutto tranne che fisso, vale anche per lui.
Godetevi l'ultima parte dell'estate, vivete, bevete e divertitevi il più possibile, e ci si rivede tra un paio di settimane o poco più.
Con l'estate che, purtroppo, volge al termine, capita - e non è la prima volta - che finisca per aggrapparmi a pellicole che ancora la ricordano in modo da allontanare l'idea dell'autunno incombente: dunque, spinto dal suggerimento di Ink e pronto a chiudere un cerchio aperto dalla visione del discreto The shallows, ho deciso di recuperare In the deep, nuovo capitolo della sfida tra Uomo e Squalo sul grande schermo.
A differenza, però, del lavoro di Collet Serra, quello di Roberts è un prodotto che si concentra più sul crescendo di tensione claustrofobica delle due protagoniste, precipitate quarantasette metri sott'acqua in una gabbia per l'osservazione sottomarina, per l'appunto, dei più pericolosi predatori marini del pianeta, e costrette a fare appello a tutte le loro forze per tentare di sopravvivere e contattare l'equipaggio della barca che le aveva accompagnate: interessante, dunque, l'idea di base, così come il concetto del "conto alla rovescia dato dall'aria destinata ad esaurirsi, così come l'utilizzo dello spauracchio della "malattia da decompressione", ostacolo quasi insormontabile per chi si ritrovasse in una condizione simile e volesse decidere di tornare in superficie il più velocemente possibile.
Nonostante tutto, però, devo ammettere che In the deep, a conti fatti, finisce per perdere il confronto con il "rivale" estivo e già citato The Shallows principalmente a causa di un elemento di realismo che pare più sacrificato in questo caso che non nell'altro, nonostante l'ottimo doppio finale pronto a smussare gli angoli di un'impresa davvero quasi impossibile: senza dubbio questa riflessione è figlia anche delle aspettative che avevo finito per alimentare all'indirizzo del titolo qui presente, eppure l'idea di Blake Lively che conta i secondi per capire quanto tempo lo squalo che la assedia impiega per compiere il suo giro e lanciarsi alla disperata a nuoto verso la boa mi è parsa - tra le altre - molto più vera, di pancia ed umana delle continue discese e risalite delle due sorelline nella speranza di contattare via radio il capitano della nave, o l'incapacità dello squalo che le ha prese di mira di farle a pezzettini prima di subito, considerate le condizioni della gabbia e le dimensioni dello squalo stesso.
A "remare contro" anche una CGI per me non troppo convincente, la totale assenza di altre creature sott'acqua - impossibile che a quelle profondità, nonostante la presenza del predatore, non si veda neanche uno straccio di pescetto per tutta l'ora e mezza di durata della pellicola - ed una sensazione di claustrofobia che, nonostante tutto - io detesto andare sott'acqua, nonostante adori il mare, nuotare e via discorrendo, e sono una pippa anche a fare snorkeling -, non mi è parsa così insostenibile.
Non voglio, però, smontare troppo quello che resta comunque un buon prodotto d'intrattenimento, che mi sono goduto dal primo all'ultimo minuto, ha mantenuto sveglia perfino Julez soverchiata dagli impegni di mamma a tempo pieno e fatto battere il cuore dell'estate come se fossimo ancora all'inizio di giugno, con la cavalcata verso la stagione più calda e rilassata dell'anno ancora da compiersi: dunque, se volete concedervi un ultimo tuffo prima di accettare il fatto che arriveranno la pioggia e le giacche, ed i sogni ed il relax scivoleranno dagli alberi come foglie morte, In the deep è quello che fa per voi.
Soltanto ricordate di guardarvi bene attorno, perchè non è detto che l'appetito dello squalo possa essere considerato saziato.
Regia: Stephen Hillenburg, Mark Osborne Origine: USA
Anno: 2004
Durata: 87'
La trama (con parole mie): nel cuore dell'oceano, a Bikini Bottom, Mr. Krabs, uomo d'affari responsabile del successo dei Krubby Patty, è in procinto di aprire un secondo fast food interamente dedicato ai suoi irresistibili panini proprio accanto all'originale, suscitando le invidie di Plankton, pronto a ricorrere ad un famigerato "Piano Z" per distruggere il suo rivale in affari.
Spongebob, giovane spugna, invece, sogna di diventare il manager del nuovo locale aperto da Krabs: quando la delusione per non essere stato scelto lo farà rifugiare nel gelato e la tristezza parrà una condizione senza più ritorno, proprio la lotta tra il suo capo e Plankton tornerà ad alimentare le speranze di riscatto e successo del giallo abitante delle profondità dell'oceano.
Spongebob ed il suo migliore amico Patrick la stella marina, infatti, si offriranno di partire per una missione apparentemente impossibile in modo da scagionare Krabs agli occhi del Re Nettuno, in modo da non essere più considerati ragazzini e trovare il loro posto nella società di Bikini Botton.
Riusciranno a compiere l'impresa?
Alle spalle l'esperienza illuminante del recente Fuori dall'acqua e recuperato quello che dagli appassionati viene considerato il supercult totale dedicato al personaggio, posso affermare di essermi completamente ricreduto: Spongebob è inequivocabilmente, inesorabilmente, incondizionatamente un idolo del Saloon e del sottoscritto.
Un charachter assurdo che avevo sempre giudicato inutile è riuscito, con due pellicole tanto semplici quanto geniali, a cambiare radicalmente il punto di vista storico del sottoscritto rispetto a questa spugna dai molteplici talenti, orchestrata in pieno equilibrio tra metacinema e grottesco in stile Monty Python dai suoi creatori: fin dall'apertura dedicata ai pirati in cerca del biglietto per la proiezione del film l'impressione è quella di avere tra le mani una scheggia impazzita della settima arte - e non solo dell'animazione -, il cui unico limite, forse, è quello di essere talmente oltre da rischiare di spiazzare completamente i non avvezzi e tutti i poco propensi a mantenere la mente elastica neanche ci si trovasse nel pieno di un trip allucinogeno.
In un certo senso, e con il senno di poi, ho trovato questo Spongebob - Il film un equivalente scombinato ed animato del recente e decisamente autoriale Vizio di forma: un'esperienza visiva e sensoriale - nel mio caso, è stato un continuo sghignazzare - neanche si fosse fatta indigestione di Space Cake o funghetti ad Amsterdam, resa ancora più grandiosa da uno dei momenti trash più incredibili dai tempi del primo Sharknado, concretizzatosi con l'apparizione di David Hasselhoff, uno tra i volti più importanti - ed improbabili - del piccolo schermo tra gli anni ottanta e novanta, da Supercar a Baywatch.
Per il resto, la brigata Spongebob - che verrà ulteriormente approfondita nel già citato Fuori dall'acqua - regala momenti di assoluto nonsense e divertimento, e l'intera opera si rivela un intelligente road trip che mescola reminiscenze di Guerre stellari ai Classici Disney, passando per un gusto assolutamente sopra le righe in grado, più che di mostrare un'attitudine finto radical o una critica al sistema gratuita, sprazzi di assoluto talento e grande occhio nell'analizzare Bikini Bottom come se fosse una parte del mondo, e di noi stessi.
In realtà il segreto di un prodotto come questo è quello di viverlo senza ritegno e fino in fondo, accettando qualsiasi sua intemperanza, dagli scambi di battute in stile Apatow di Spongebob e Patrick ai momenti in stile musical - stupefacente la canzone sulla crescita dei baffi, e memorabile la sequenza sulle note di I want to rock nel finale -, passando per una rappresentazione solo ad una prima vista - molto superficiale - nonsense ed assurda, perchè Spongebob - Il film è una chicca degna di essere considerata cult movie, una sfida lanciata non solo all'animazione, ma al Cinema in generale.
In fondo, ci vuole coraggio da vendere di autori e registi, per lanciare sul mercato e consegnare al pubblico un protagonista assolutamente fuori dagli schemi - esteticamente e per approccio - contornato da ambientazioni e comprimari che lo sono altrettanto: e Spongebob, con o senza baffi, è quanto di più irriverente, assurdo e solo apparentemente improvvisato e trash possa capitare in questo senso.
Dai botta e risposta con Patrick al confronto con il mondo dei "grandi" nel corso del loro viaggio, tutto funziona, anche quando il risultato, ad un'occhiata superficiale, parrebbe gridare ferocemente al contrario: la verità è che il film dedicato a Spongebob è una fucina di idee, trovate irriverenti, personaggi destinati a diventare un must assoluto per gli amanti del genere.
Da un certo punto di vista potrebbe suonare strano e riduttivo il fatto che non tutti possono gradire un prodotto anarchico come questo, ma trovo che, in fondo, sia irrilevante: Spongebob è un salto nel vuoto, un atto di fede, neanche si trattasse di cose enormi come Lost o Twin Peaks.
Credete nella spugna, e lei crederà sempre in voi.
E sempre per voi sarà disposta a viaggiare ben oltre i confini del mondo da lei conosciuto affinchè possiate invecchiare senza il dispiacere di perdervi i fantomatici Krabby Patty.
MrFord
"TURN IT DOWN YOU SAY,
WELL ALL I GOT TO SAY TO YOU IS TIME AND TIME AGAIN I SAY, "NO!"
NO! NO, NO, NO, NO, NO!
TELL ME NOT TO PLAY
WELL, ALL I GOT TO SAY TO YOU WHEN YOU TELL ME NOT TO PLAY,
I SAY, "NO!"
NO! NO, NO, NO, NO, NO!
SO, IF YOU ASK ME WHY I LIKE THE WAY I PLAY IT
THERE'S ONLY ONE THING I CAN SAY TO YOU."
La trama (con parole mie): per quanto possa suonare strano, io e il mio antagonista Cannibal Kid, seppur per ragioni diverse - lui è un eterno adolescente, io un eterno tamarro - d'estate abbandoniamo quasi ogni pretesa "autoriale" e anche e soprattutto con la musica ci concediamo felicemente ai tormentoni.
Dunque, proprio sul modello del post del pusillanime rivale, ecco quelle che sono le dieci hit dell'estate disimpegnata fordiana, e che, probabilmente, suoneranno da qui a settembre da queste parti.
N°10: ONE LAST TIME di Ariana Grande
Tendenzialmente, Ariana Grande mi dice poco o nulla.
Eppure, quando sono al lavoro in questo periodo, quando sento l'attacco di questo pezzo e sbircio il video pseudo apocalittico, mi carico a molla.
Sarà il caldo dell'estate, ma il bello di queste top ten è anche questo.
N°9: HEY MAMA di David Guetta
Nonostante la nazionalità ed una certa spocchia, non riesco proprio a farmi stare antipatico David Guetta. E l'ambientazione in stile Mad Max di questo video, unita al rap di Nicki Minaj, fanno il resto. Una specie di proiezione immediata alle serate nei locali che danno sulla spiaggia.
N°8: GO dei Chemical Brothers
Il nuovo pezzo dei Fratelli Chimici è una vera bomba, che mi pare strano di "relegare" soltanto all'ottava posizione di questa top ten, spinto da un ritmo travolgente e da un video d'eccezione firmato Gondry.
Ma siamo in estate, e dunque l'autorialità conta solo fino ad un certo punto.
Così come la qualità in tutto e per tutto.
N°7: SHUT UP AND DANCE dei Walk the moon
Una delle ultime scoperte di questa estate fordiana, clamorosamente anni ottanta e da subito pronta ad entrare nel cuore del sottoscritto neanche fossimo ai tempi di Rocky III come la canotta della Nike comprata al volo a Barcellona un mesetto fa.
Sono sicuro che, dovessi rifare questa classifica a settembre, starebbe certamente più in alto.
N°6: LEAN ON di Major Lazer feat. Mo&DJ Snake
Uno dei pezzi per eccellenza di quest'estate, dal video oltre il pacchiano al ritornello che resta in testa dal primo ascolto. Senza contare la capacità non scontata di suonare alla grande sia di giorno che di sera, dunque perfetto dall'allenamento del mattino all'aperitivo che si trasforma in nottata.
N°5: WANT TO WANT ME di Jason Derulo
Già lo scorso anno l'inutile Derulo aveva stuzzicato e non poco il lato tamarro del vecchio Ford con Talk dirty to me, ma in questo torrido inizio estate si è superato: la sua Want to want me è il pezzo commerciale perfetto, e nonostante per genere, approccio e chi più ne ha, più ne metta, con il sottoscritto non c'entri nulla o quasi, la sentirei a raffica, tanto da arrivare ad apprezzare perfino il balletto che il buon Jason sfodera nel video.
N°4: MARIA SALVADOR di J-Ax feat. Il Cile
Da milanese e tamarro il buon J-Ax mi è sempre stato simpatico, e le sue canzoni dai tempi degli Articolo 31 hanno finito per accompagnare la mia crescita almeno quanto quelle degli 883.
Quest'ultima Maria Salvador, per quanto sia di fatto bruttina e detesti Il Cile, mi ha conquistato dal primo ascolto proprio grazie al ritornello, rivisitato dal Fordino come "Mamma mia Salvatore" - forse allude al bisnonno, chissà!? -.
E come ogni guilty pleasure della peggior specie, non riesco a smettere di ascoltarla.
N°3: SEE YOU AGAIN di Wiz Khalifa feat. Charlie Puth
Questa non è propriamente estiva, nonostante stia girando costantemente in radio e su MTV, ma non potevo non inserirla.
Non solo, infatti, Fast 7 è stata una delle visioni più esaltanti dell'anno fino ad ora, ma il lungo addio a Paul Walker e la dedica costruita per lui nel finale del film - e di questo video - continuano a riportarmi alla mente il mio amico Emiliano, che ha deciso di andarsene qualche mese fa.
In un certo senso, questa è una corsa proprio accanto a lui.
N°2: SHIP TO WRECK di Florence+The Machine
In una decina assolutamente tamarra ed ignorante come questa, una proposta autoriale come Florence potrebbe stonare, eppure la sua ultima Ship to wreck ha tutte le caratteristiche del rock immediato e graffiante che piacciono al sottoscritto, senza contare un coinvolgimento emotivo e sonoro che dal primo ascolto l'ha fatta piombare in cima alle classifiche di ascolti sul mio account di Spotify.
Diretta, di pancia, grintosa.
Come piace a me.
N°1: L'ESTATE ADDOSSO di Jovanotti
Non ho mai fatto mistero della mia simpatia e del favore musicale per Jovanotti, uno degli artisti più internazionali che abbiamo in Italia - nel senso professionale e musicale del termine -, che è partito con La mia moto per sperimentare e crescere come quasi nessun'altro qui nella Terra dei cachi.
Questa canzone, scoperta quasi per caso - non ho ancora ascoltato l'ultimo disco del Cherubini - mi ha preso e riportato di colpo alla prima adolescenza, quando le vacanze estive e soprattutto quelle al mare significavano un mondo a parte, una magia che solo settembre era in grado di trasformare non tanto in ricordo, quanto in sogno.
E dalle prime cotte alla "maglietta sgualcita dei Mondiali" che mi ha lanciato come un elastico all'estate duemilasei, una delle più importanti della mia vita, fino a quella del duemilatredici, la prima del Fordino vissuta tutta in vacanza grazie alla paternità, mi è parso di poter vivere l'estate per sempre. Meglio di così, non ci potrebbe essere.
La trama (con parole mie): approfittando della lotta che vede protagonisti Plankton e Krusty Krab, un diabolico pirata dedito a raccontare storie ai gabbiani ruba la formula segreta per la realizzazione dei Krubby Patty, alimento principale della popolazione di Bikini Button, per farne un piatto vincente sulla Terra. A questo punto il curioso e colorato mondo in fondo al mare si trasforma in una vera e propria versione dell'Apocalisse, e mentre la popolazione impazzisce a causa della mancanza degli stessi Krubby Patty, Spongebob ed i suoi amici, insieme all'avversario Plankton, dovranno fare fronte comune per cercare di capire chi si cela dietro la sparizione della formula e fare tutto quello che è in loro potere per recuperarla: perfino giungere per la prima volta sulla terraferma con superpoteri donati da un delfino spaziale e lavorare come un team.
Prima della visione di Spongebob - Fuori dall'acqua, conoscevo lo spugnoso personaggio solo grazie al successo della sua serie animata ed al culto - apparentemente assurdo ed immotivato - che alcuni nerd alternativi professavano proprio in riferimento al giallo e scombinato charachter.
Ora, alle spalle quest'esperienza assolutamente unica e surreale, posso dire di comprendere i motivi di tale curiosa ed insolita passione: Spongebob e la sua truppa sono, infatti, protagonisti di una storia e di un mondo attraversato da sprazzi di assoluta genialità, surrealismo ed assurdità assortite che non è possibile descrivere o rendere al meglio senza averle vissute sulla pelle dalla prima all'ultima.
Senza dubbio il lavoro di Paul Tibbit non è per tutti, a partire dai più piccoli - che probabilmente non coglieranno tutte le sfumature, le citazioni, i giochi metacinematografici messi in scena dall'allegra brigata marina capitanata dalla spugna più famosa del piccolo e ora anche grande schermo - fino al pubblico adulto - che in parte bollerà questo coloratissimo trip come robetta da bambini, errore che ho commesso anche io in principio, ed in parte troverà assolutamente ridicoli e grotteschi alcuni passaggi, se non la maggior parte -: eppure, riuscendo ad andare oltre le difficoltà che offre una visione assolutamente grottesca dal primo all'ultimo fotogramma, ci si trova di fronte ad una vera e propria chicca, un instant cult che mescola la fascinazione dei cartoni animati di natura disneyana, l'ottovolante dopato degli anni ottanta senza risparmiare per questo colpi proibiti neanche fossimo centrifugati attraverso i nineties, gli action e gli anni zero insieme.
A fare da collante nonchè parafulmine trash del tutto un Banderas pronto a gigioneggiare sbeffeggiando Jack Sparrow che è una vera chicca, simbolo della rinascita degli ultimi anni - nonostante i tristissimi spot del Mulino Bianco - dell'attore spagnolo, attivo su più fronti e pronto a sperimentare anche cose insolite come questa: ma i veri protagonisti sono Spongebob e i suoi, esilaranti in ben più di un momento ed in grado di condurre per mano il pubblico attraverso sequenze a dir poco strepitose come il viaggio all'interno del cervello dello stesso Spongebob intrapreso dal suo "nemicoamico" Plankton, un trip psichedelico allo zucchero filato con tanto di strepitosa citazione di Shining che pare essere uscito dal Terry Gilliam dei tempi migliori.
E proprio ripensando al regista di Brazil, effettivamente l'approccio di Tibbit e di questa divertentissima e caotica avventura pare proprio quello che guidò, ormai trent'anni or sono, i Monty Phyton, sempre in bilico tra divertissement puro, intrattenimento a trecentosessanta gradi ed una certa satira sociale che nessuno si preoccupa di celare più di tanto.
Una visione, dunque, che a conti fatti rappresenta una delle sorprese più gradite di questo inizio anno, una rivelazione in tutto e per tutto che a questo punto mi costringe ad un approfondimento rispetto a Spongebob e soci, personaggi irresistibili e caricaturali in grado di far riflettere anche nei momenti di più sbragato nonsense neanche fossero i Simpson dei tempi d'oro: se, inoltre, a questo si aggiungono un paio di riferimenti pittorici notevoli ed un finale action neanche fossimo catapultati in una versione molto, molto caricaturale degli Avengers, il gioco è fatto.
Ora voglio anch'io essere parte del team della spugna più gialla di tutti i mari ed ingozzarmi di Krubby Patty come se non ci fosse un domani.
MrFord
"Let's go surfin' now
everybody's learning how
come on and safari with me
(come on and safari with...)"
La trama (con parole mie): a partire da oggi, casa Ford ed il Saloon si trasferiscono al mare approfittando di tutta una serie di sfortunate coincidenze lavorative che siamo riusciti a trasformare in una delle estati più belle della nostra vita. Per tutto agosto il vecchio cowboy adotterà dunque uno stile di vita il più lebowskiano e surfista possibile, accompagnato ovviamente da Julez e dal Fordino, che già si tuffa come un nuotatore navigato.
Ovviamente WhiteRussian continuerà a trasmettere: la programmazione è già coperta per tutto il mese e quando la linea lo permetterà continuerò a rispondere ai commenti e a venire a trovarvi, ma senza dubbio la rete non sarà il primo pensiero di questo mese fatto di Famiglia, onde, mare, e più estate possibile.
Godetevela anche voi, nel frattempo, ovunque siate o decidiate di andare. E godetevela sempre.
La trama (con parole mie): siamo nel pieno del 1968 quando, a seguito della prima circumnavigazione in solitaria del mondo in barca a vela viene lanciata la sfida di ripetere la stessa impresa senza scali, una cosa mai tentata prima e sicuramente possibile solo per i più grandi navigatori del pianeta. Alla gara - che prevede un premio per il primo a giungere al traguardo ed un altro per il più veloce - partecipano nove velisti provenienti da tutto il mondo, pronti a partire entro la fine di ottobre dall'Inghilterra per fare rotta a Sud nell'Atlantico, doppiare Capo di Buona Speranza, percorrere il pericoloso Oceano meridionale fino ad aggirare Australia e Nuova Zelanda, passare Capo Horn e risalire fino alle coste anglosassoni.
Se, però, otto dei partecipanti sono nomi illustri della navigazione, uno è l'outsider perfetto: si chiama Donald Crowhurst, ha trentacinque anni, quattro figli, ed è un semplice amatore con un sogno al limite della follia, vincere la gara.
Trovati uno sponsor e un'imbarcazione, sarà l'ultimo a mettersi per mare e tentare l'impresa.
Riuscirà a portarla a termine?
Fin dai miei primi passi nel mondo del Cinema - passata l'infanzia, ovviamente - ho sempre avuto un debole per i documentari, una delle più difficili espressioni di questa forma artistica per un regista: se, infatti, attraverso la fiction è da un certo punto di vista semplice catturare l'attenzione dello spettatore grazie ad attori, script, movimenti di macchina, effetti e chi più ne ha più ne metta, per un documentario - espressione definitiva della realtà, più che della meravigliosa finzione della settima arte - non è affatto cosa da poco riuscire nell'impresa di avvincere e narrare una storia senza rischiare di cadere nell'eccesso di pesantezza, o nella noia.
Deep water, che puntavo da tantissimo tempo, rappresenta alla grande quella che io chiamo la categoria dei documentari "vivi", ovvero in grado di incollare allo schermo dal primo all'ultimo minuto l'audience raccontando e celebrando, di fatto, la grandezza della realtà della quale si fa esperienza diretta sulla pelle: un pò quello che sono stati, negli ultimi anni, Il diamante bianco o Grizzly man di Herzog, Una storia americana di Jarecki o Workingman's death di Glawogger.
La vicenda - umana e sportiva - di Donald Crowhurst narrata da Louise Osmond e Jerry Rothwell, in questo senso, ha dell'incredibile anche rispetto alle meraviglie che il Cinema può offrire: un uomo comune, con una storia di lavori tecnici alle spalle, una numerosa famiglia e grandi aspirazioni, decide di colpo di gettarsi a capofitto in un tentativo a dir poco folle, che avrebbe fatto impazzire personaggi come il Fitzcarraldo sempre di Herzog, imbarcandosi - in tutti i sensi - in un viaggio che perfino i più esperti navigatori del mondo consideravano più che rischioso.
Il mare, espressione della bellezza e della potenza della Natura, è da sempre uno dei grandi focolai di sfida per l'Uomo, che fin dall'antichità ha cercato - non senza fatica, o vittime - di trovare la via per illudersi, in qualche modo, se non di averlo domato, almeno di convincersi di averlo fatto: lo spirito assolutamente indomito dei nove partecipanti a quella disastrosa regata mi ha riportato alla mente immagini - e torniamo al confronto fiction/realtà - de La tempesta perfetta, e a quei momenti in cui il mondo viene a ricordarci che non siamo davvero noi a comandare.
Il pensiero di mesi e mesi - in un'epoca in cui l'utilizzo di gps e satellitari era praticamente fantascienza - da soli in mare aperto, con l'idea di doversi confrontare con alcuni dei passaggi più difficoltosi per un navigatore - l'Oceano meridionale, il temibile Capo Horn - fa venire i brividi al solo sfiorarlo, ed il progressivo abbandono dei partecipanti, spazzati via dai marosi dell'Atlantico o da difficoltà tecniche, testimonia passo dopo passo la difficoltà estrema di una traversata di questo genere: ed eccolo lì, Donald, con la sua barca ad alta tecnologia che perde pezzi e fatica a prendere un ritmo degno anche soltanto di un dilettante della vela, a miglia e miglia dai suoi avversari, lanciati già nel confronto con i mari del profondo Sud.
Donald che non vuole mollare, perchè sa bene che dalla riuscita dell'impresa dipenderanno anche la sua realizzazione personale e la possibile rovina economica della sua famiglia: Donald che comunica con la terraferma ed i giornalisti che l'hanno già adottato come eroe del popolo, Donald che alimenta i sogni dei figli e la speranza della moglie, Donald che, di colpo, comincia a registrare un record di marcia dopo l'altro, infrangendo ogni limite ed istillando il dubbio che, pur non riuscendo a giungere primo al traguardo, possa aggiudicarsi il premio di navigatore più veloce.
Donald che, mentre Robin Knox-Johnston doppia Capo Horn e vola verso la vittoria inseguito da Bernard Moitessier, di colpo sparisce. Nessuna comunicazione radio, nessuna notizia.
Cos'è accaduto all'outsider Crowhurst?
A questo punto la narrazione diventa quasi un thriller, un gioco di "prestige" che mette in mostra tutte le miserie umane, la solitudine, la follia, la consapevolezza di aver compiuto un passo troppo lungo, di aver confuso l'ambizione con il talento.
E Donald così ricompare, proprio quando le tre imbarcazioni sopravvissute risalgono l'Atlantico per tornare in Inghilterra, con la speranza di restare quieto, silenzioso, tornare al suo posto di uomo comune, quarto con onore.
Ma la Natura è più furba di quello che l'Uomo crede, e così Moitessier, rapito dalla solitudine, improvvisamente fugge dall'idea della folla che lo aspetta veleggiando di nuovo verso Sud, per continuare a navigare.
E l'ultima speranza affonda, lasciando Crowhurst solo con Knox-Johnston.
Solo con il mare.
Solo con se stesso.
Cos'è accaduto, a bordo di quella barca? Nel cuore del suo capitano?
Nessuno potrà mai saperlo, se non Donald e quel mare infinito in cui è andato alla deriva.
Il sapore di una sfida enorme. Le dimensioni di un uomo.
E dell'Uomo.
Non ci sono leggende che tengano, quando la realtà è così incredibile.
MrFord
"Una catastrofe psicocosmica
mi sbatte contro le mura del tempo.
Sentinella, che vedi?
Una catastrofe psicocosmica
contro le mura del tempo."
La trama (con parole mie): Brody, poliziotto di New York poco avvezzo alla vita di mare trasferitosi da neppure un anno con la famiglia nell'isola di Amity, meta del turismo balneare estivo, inaugura la sua prima stagione come capo delle forze dell'ordine locali con il ritrovamento del corpo dilaniato di una ragazza avventuratasi in acqua per un bagno notturno.
Il responso pare essere quello più terribile: uno squalo solitario divenuto stanziale nella zona è il responsabile del massacro, e non si fermerà fino a quando continuerà ad avere cibo accessibile.
Osteggiato dal sindaco e dagli esercenti del posto in attesa degli importanti introiti dell'alta stagione, l'uomo potrà contare soltanto sull'aiuto dell'oceanografo Hooper e del ruvido cacciatore Quint, che con lui organizzeranno una spedizione che prevede l'uccisione della bestia e la fine delle morti.
Non è facile, per un film, riuscire ad essere convincente e potente abbastanza per essere considerato a tutti gli effetti una sorta di definizione "vivente" del significato di cult: senza dubbio, Lo squalo riesce ad essere ancora oggi, a quasi quarant'anni dalla sua realizzazione, uno dei più solidi rappresentanti della categoria.
A memoria, credo che soltanto Hitchcock con Gli uccelli sia riuscito a fare di meglio rispetto ad un'epopea di fiction basata sulla paura di un esponente - seppur, in questo caso, decisamente pericoloso - figlio della Natura e non della fantasia di qualche esperto di creature mostruose ed effetti speciali: Spielberg, ancora fresco del fulminante esordio con Duel, costruisce in tutta la prima parte della pellicola una macchina perfetta di tensione e terrore senza neppure preoccuparsi di mostrare la creatura, destreggiandosi alla perfezione tra le difficoltà di Brody di ottenere un aiuto concreto dal sindaco e dai proprietari di alberghi e spiagge di Amity, la stupidità dei cacciatori improvvisati ed un ritmo soffuso da predatore in attesa, non solo richiamo al già citato stile hitchcockiano ma anche perfetta interpretazione della più classica struttura thrilling che riprenderà pur se con modalità differenti anche nei successivi Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E. T., destinati a diventare - come Lo squalo, del resto - pietre miliari del loro genere e non solo.
Ad accontentare, invece, gli assetati di azione e sangue, il regista pensa nella seconda parte, cambiando completamente registro di narrazione virando sulle influenze di Melville e del suo Moby Dick, con la sfida dell'Uomo - questa volta incarnato dai tre protagonisti partiti alla ricerca dello squalo - alla Natura: se, infatti, Brody è costruito per le sue responsabilità da padre di famiglia e rappresentante della legge pronto a tutto per difendere il suo territorio - cosa, peraltro, molto animale -, Hooper incarna la volontà della Scienza di imporsi grazie al raziocinio e a quel pizzico di follia necessario per compiere ogni impresa degna di questo nome mentre Quint, capitano dell'Orca e perfetta scheggia impazzita all'interno del terzetto rispecchia nel migliore dei modi l'ossessione di Achab e la volontà di chi è esploratore per indole di superare sempre e comunque ogni limite fino a rasentare l'ossessione, a partire dai propri.
Il duello con lo squalo, che rimanda alle atmosfere di tutti i film da vecchi lupi di mare da Gli ammutinati del Bounty ai più recenti Master&Commander e La tempesta perfetta, è un concentrato di azione, adrenalina e terrore, ed il predatore, realizzato magnificamente, risulta credibile e spaventoso ancora oggi, mitico almeno quanto il motivo della colonna sonora, divenuto uno dei più celebri della Storia della settima arte.
Ricordo l'incredibile visita agli Universal Studios dell'ottobre 2010 con Julez, e la visita alla replica di Amity con tanto di attrazione legata a questa meraviglia spielberghiana, con la nave che beccheggia e la creatura uscita dalle onde pronta a fare incetta di turisti sprovveduti, e la prima visione di questa meraviglia, quando ancora in tv girava il doppiaggio originale - che molti fan hardcore ancora rimpiangono rispetto alle più recenti riproposizioni in dvd e bluray della pellicola -.
Sono passati anni, a volte decenni, eppure la meraviglia che si prova di fronte a Lo squalo è sempre la stessa: potenza del Cinema, senza dubbio, ma anche di uno dei suoi più grandi interpreti, che nonostante gli scivoloni recenti resta una delle voci più autorevoli che gli States abbiano mai regalato al mondo intero in questo campo.
E la risata quasi folle di Quint che porta al limite la sua barca per sfiancare lo squalo apparentemente invincibile ben conscio di rischiare la propria vita prima di tutto è un pezzo d'antologia per uno dei personaggi più cazzuti e fuori di testa che al Saloon si possano celebrare: questo, signore e signori, è Cinema tutto d'un pezzo, di quelli da non dimenticare mai, e continuare a vedere e rivedere con tutto lo stupore della prima volta.
MrFord
"Hai sentito la novità?
Lo Squalo bianco si estinguerà
si però lo squalo, quello di Spielberg
mi ha rovinato il piacere del bagno in mare
eh per forza, mangiava motoscafi, barche,
pontili e bomboloni del gas
e con questa dieta, ricca di legname
prima o poi ti si incastra qualcosa nel
gargaroz!"