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mercoledì 7 settembre 2016

Suicide Squad (David Ayer, USA, 2016, 123')



Se, nel grande mondo del Cinema, tutti i trailer da esaltazione o i film sostenuti da un hype alle stelle mantenessero le aspettative che si creano nel pubblico, allora probabilmente noi appassionati saremmo incredibilmente più felici: in questo senso, quando ventilarono le prime voci rispetto alla realizzazione di una pellicola dedicata ai "bad guys" della DC Comics, all'interno della quale i suddetti villains al servizio del governo finivano per diventare un'alternativa agli eroi, sperai che si potesse materializzare il momento in cui mi sarei goduto uno dei titoli potenzialmente più interessanti del genere degli ultimi anni pronto a sostenerlo ed esaltarlo.
Peccato che, fin dalle prime recensioni, tutto pareva essersi risolto in un mezzo buco nell'acqua, una bolla di sapone neppure lontanamente paragonabile all'equivalente made in Marvel Deadpool, che qualche mese fa raccolse fior di consensi anche qui al Saloon: così, stroncatura dopo stroncatura, ho finito per giungere al momento della visione con aspettative praticamente azzerate, in modo da pararmi letteralmente il culo da cocenti delusioni.
E quale grande impresa è riuscita a compiere, infine, questa Suicide Squad?
A deludere ugualmente, non riuscendo a scampare alle bottigliate neppure facendo conto del suddetto tentativo di protezione del deretano di questo vecchio cowboy: Ayer, che pure non mi dispiace, probabilmente limitato pesantemente dalla produzione, finisce per presentare un titolo che di cattivo ha poco o niente, quasi come se il PG avesse deciso che all'improvviso sangue, botte, ironia nerissima e politicamente scorretto fossero banditi dalle sale, scritto e montato, per dirla come in Boris, alla cazzo di cane, all'interno del quale anche i personaggi più interessanti - come la Harley Quinn della notevole Margot Robbie - finiscono per diventare macchiette, in cui Will Smith fa il Will Smith della peggior specie - e a me sta anche simpatico, figuratevi - ed il tanto chiacchierato Joker di Jared Leto finisce per prendersi una sonora dose di schiaffi in faccia dai precedenti decisamente più illustri di Jack Nicholson e soprattutto Heath Ledger, che con la sua versione della nemesi storica di Batman ha settato uno standard che il pur dotato Leto manca clamorosamente neanche fosse uscito a bere in mia compagnia ed avesse ordinato un acqua naturale.
La stessa - bella, sia chiaro - colonna sonora è infarcita di brani tanto cult quanto abusati, da Seven Nation Army a Paranoid, ed i characters cardine - interpretati da Viola Davis e Joel Kinnaman - appaiono meno empatici ma più carismatici della nemesi della Suicide Squad, la floscissima Incantatrice di Cara Delavigne, sciapa come la sua interprete: peccato davvero, perchè con uno script adeguato ed una mano davvero cattiva questo sarebbe potuto divenire un supercult del genere, ridefinendo completamente il panorama supereroistico al Cinema, considerato che la sovraesposizione dello stesso nel corso delle ultime stagioni sta cominciando a stancare - così come i tentativi di scopiazzare selvaggiamente il progetto del Cinematic Universe della Marvel, ripreso anche qui grazie alle apparizioni del Batman di Affleck e del Flash di Ezra Miller, protagonisti del prossimo film dedicato alla Justice League, risposta di casa DC agli Avengers della Casa delle idee -.
Dunque, più che i "cattivi" protagonisti del film, la vera Suicide Squad mi è parsa, alla fine, essere quella della produzione di questo esperimento decisamente fallito.



MrFord




giovedì 24 dicembre 2015

Ford Awards 2015: le serie

La trama (con parole mie): seconda giornata della maratona dedicata ai Ford Awards, che come di consueto, dopo i romanzi, vede protagoniste le serie televisive passate sugli schermi del Saloon da gennaio ad oggi. Non si parla di titoli, dunque, necessariamente nuovi, bensì di quelli che, con una o più stagioni, hanno riempito occhi e cuore di questo vecchio cowboy ricordando quanto, a volte, il piccolo schermo riesca a giocarsela alla pari - se non in vantaggio - con il grande.
E dalla realtà estrema alla fantasia più sfrenata, dai sentimenti all'azione, i dieci titoli qui presenti hanno rappresentato un tassello importante - per non dire fondamentale - del mio duemilaquindici.


N°10: JUSTIFIED



Prosegue il recupero di Justified, che si conferma come uno dei titoli più fordiani in assoluto del panorama del piccolo schermo, pronto a battere per entrare in top ten prodotti come Black Sails, Banshee o Daredevil, continuando a mantenere alta la sua qualità ed altissimo il livello di coolness del suo protagonista Raylan Givens, sempre affiancato dalla nemesi/rivale/quasi amico Boyd Crowder.




Serie dalle vicissitudini travagliate in fase produttiva ma quasi sempre convincente dal punto di vista della qualità: salvata da Netflix, che si è preoccupata di dare ai fan un finale dignitoso, impreziosita da una terza stagione pazzesca e da una coppia di protagonisti perfetti come outsiders, è stata recuperata integralmente nel corso dell'anno e sempre apprezzata.
Un nuovo classico nel panorama del thriller da piccolo schermo.




Un cocktail ottimamente riuscito tra l'appena segnalata The Killing e Broadchurch, un viaggio allucinante nel dramma di due genitori alla ricerca del loro bambino scomparso, costretti ad affrontare l'oscurità scoperchiata in una piccola comunità francese proprio a seguito della loro tragedia. Realismo estremo, ottime interpretazioni, un tema scottante ed una riflessione assolutamente profonda a proposito della terrificante banalità del Male.

N°7: BALLERS



La sorpresa del piccolo schermo fordiano per questo duemilaquindici: atmosfera scanzonata e velatamente malinconica, un The Rock in grandissimo spolvero, situazioni che paiono mescolare Pain&Gain e Californication, sport, sesso ed alcool, il tutto ambientato nella splendida cornice di Miami.
In altre parole, una vera e propria manna dal cielo creata ad hoc per la goduria del sottoscritto, già in fervente attesa per la seconda stagione, che è già un must see della prossima estate.




Dopo una prima annata strepitosa che è valsa alla creatura di Nic Pizzolatto il Ford Award per la miglior serie duemilaquattordici, al secondo giro di giostra True Detective ha dovuto fare i conti con pregiudizi, aspettative, eccessivi ridimensionamenti.
Per quanto mi riguarda, è stata una delle produzioni più umane e potenti dell'anno, e seppur non perfetta, splendida nel portare alla ribalta un personaggio femminile caratterizzato alla grandissima - la Bezzerides di Rachel McAdams - e far mangiare la polvere al grande schermo con episodi dal taglio assolutamente perfetto.

N°5: SHAMELESS



Al Saloon ci sarà sempre un tavolo pronto per i Gallagher.
La famiglia più amata del piccolo - e forse grande - schermo dai Ford torna alla ribalta con una quinta stagione all'altezza della strepitosa quarta, come sempre una certezza quando ci si ritrova a parlare di Famiglia, fratellanza, amore, amicizia e tutte quelle cose clamorosamente normali pronte a diventare eccezionali proprio perchè vissute nel profondo e con passione da tutti noi outsiders che amiamo incondizionatamente la vita. Una porta più che aperta: sfondata.




Qualitativamente parlando, la saga di Hank Moody ha conosciuto certo giorni migliori nelle sue prime, strepitose annate, che nelle due stagioni di chiusura del serial.
Eppure sarebbe stato ingiusto non celebrare uno dei charachters che più ho amato e mi ha rappresentato nel corso degli ultimi anni, giunto a salutarmi con un episodio finale da commozione proprio nel periodo della perdita del mio grande amico Emiliano, che con me e mio fratello aveva amato Hank Moody, la musica, la scrittura, l'alcool, Bukowski, Warren Zevon e le donne.
Salute, vecchio Hank.
Mi mancherai.


N°3: FARGO



L'antagonista di True Detective a tutte le premiazioni dello scorso anno, nata da una costola del mitico cult dei Coen eppure dallo stesso indipendente: non ho ancora avuto modo di recuperare la seconda stagione, che probabilmente farà capolino al Saloon il prossimo anno, ma ho trovato questa prima divertente e cattiva, scritta, diretta ed interpretata alla grande.
Scene cult a profusione, ed una riflessione di fondo sull'oscurità della Natura umana da brividi.





La decisione più sofferta dei Ford Awards di quest'anno è stata lasciar scivolare i SamCro dal gradino più alto del podio nella stagione del loro addio.
Jax e i suoi mi mancheranno da impazzire, così come mi mancherà una delle mie serie preferite di sempre: eppure, per parafrasare proprio il "maledetto" protagonista, "oggi i cattivi perdono".
Dunque, anche se, con il cuore, la serie del duemilaquindici per eccellenza è stata Sons of anarchy, mi accontento di lasciare alla creatura di Kurt Sutter la seconda piazza, conscio del fatto che i colori dei SamCro li porterò per sempre addosso, sulla pelle e nel cuore.

N°1: NARCOS


Se qualcuno mi avesse detto, soltanto un paio d'anni or sono, che un giorno una realtà come Netflix, nata dalla rete, avrebbe realizzato una serie in grado di riportare alla mente le atmosfere di Capolavori assoluti come Breaking bad o Il potere del cane, avrei riso. Forte.
Invece, senza perdersi in stronzate da adolescenti che vogliono imitare Tony Montana ed ispirandosi alle vicende reali di uno dei trafficanti più noti e leggendari che siano esistiti, Pablo Escobar, i ragazzacci della suddetta Netflix tirano fuori dal cilindro una proposta che riesce ad essere avvincente, imperdibile, universale - per aver catturato anche Julez, che di droghe e traffico delle stesse non vuole sapere nulla neanche se si tratta di fiction - ed assolutamente cult.
Se il livello dovesse mantenersi lo stesso, o addirittura salire il prossimo anno, allora il paragone con le imprese di Walter White non suonerà più così irreale.


I PREMI



Preferito fordiano: Hank Moody, Californication

Miglior personaggio: Jax Teller, Sons of anarchy

Miglior sigla: Narcos

Uomo dell'anno: Wagner Moura, Narcos

Donna dell'anno: Rachel McAdams, True Detective

Scena cult: "El plomo o la plata", Narcos

Migliore episodio: Papa's Goods, Sons of anarchy e Omega Station, True detective

Premio ammazzacristiani: Lorne Malvo, Fargo

Miglior coppia: Mireille Enos e Joel Kinnaman, The Killing
Cazzone dell'anno: Levon, Californication
Cattivo dell'anno: Pablo Escobar, Narcos


MrFord

domenica 15 novembre 2015

The Killing - Stagione 4

Produzione: Netflix
Origine: USA, Canada
Anno: 2014
Episodi:  6





La trama (con parole mie): Linden e Holder, dopo gli sconvolgenti fatti legati al caso del Pifferaio Magico e del loro superiore nonchè ex amante di Linden Skinner, scopertosi essere serial killer ed ucciso da Sarah, vivono sul filo a causa dell'occultamento del cadavere di quest'ultimo e dell'indagine affidata all'ex collega di Holder, Reddick, volta a ritrovare proprio Skinner.
Come se non bastassero i peccati ed i demoni interiori a mettere in crisi la coppia di detectives, un nuovo, terrificante caso sale alla ribalta della cronaca, e torna a chiamarli in causa in prima linea: un'intera, ricca famiglia di Seattle, infatti, è sterminata nella propria casa a colpi di pistola, e soltanto il figlio maggiore, Kyle Stansbury, sopravvive all'eccidio dopo aver apparentemente tentato il suicidio.
Ma quali sono i segreti di questa famiglia apparentemente perfetta? E quali nasconde l'Accademia militare all'interno della quale studia Kyle?
Riusciranno Holder e Linden a risolvere il caso e mantersi in equilibrio di fronte alla loro crisi e all'indagine che potrebbe privarli del lavoro e non solo?










Una delle scoperte migliori nell'ambito del piccolo schermo del passato recente del Saloon, da sempre legato al noir e al genere "morti ammazzati", è stata The Killing, serie dalle sfortunatissime vicissitudini produttive decisamente troppo poco nota al grande pubblico nonostante un valore decisamente superiore alla media, in ogni stagione in grado di indagare sulle oscurità dell'animo umano con grande profondità principalmente grazie a due protagonisti caratterizzati alla grande, i detectives Linden e Holder.
Salvata da Netflix - che merita sicuramente un plauso per questo - dalla cancellazione dopo la terza stagione in modo da regalare ai suoi fan quantomeno un finale degno di questo nome, The Killing giunge al suo quarto giro di giostra - l'ultimo, purtroppo -, presentando sei episodi come di consueto molto drammatici legati ad un delitto efferato ed ai consueti squilibri dei due investigatori protagonisti, più che mai segnati dai tragici eventi che li hanno visti, sul finire della stagione precedente, affrontare il loro capo nonchè ex amante di Sarah Linden, Skinner, colpevole dei delitti del Pifferaio Magico.
In questo senso la loro lotta per convivere con il senso di colpa e la coscienza di aver, di fatto, tradito il loro ruolo di tutori dell'ordine, che conduce entrambi a sprofondare nei demoni personali prima di trovare la forza di reagire e tornare a galla, ha un senso e da senso all'intera proposta, fin dai primi episodi legata a doppio filo all'improbabile coppia di altrettanto improbabili segugi, dalla fragile e disequilibrata Linden all'ex tossico ed ingovernabile Holder, che da queste parti ha finito per chiudere la sua partecipazione a The Killing identificato con mio fratello data la somiglianza in certe espressioni - ed anche rispetto alle intemperanze -, tanto da portare perfino il Fordino a ribattezzare questa proposta e chiederci se a cena avremmo visto "lo zio Dario".
Nonostante, però, le buone intuizioni, i due main charachters sempre interessanti e l'intervento di Netflix, il risultato è stato, a mio parere, al di sotto delle annate precedenti, complici i pochi episodi disponibili per approfondire sia i problemi di Linden e Holder, sia il nuovo caso sul quale si ritrovano al lavoro e la necessità di scrivere comunque la parola fine al serial, imposizione che ha, di fatto, dato la sensazione di acceleratore premuto affinchè un epilogo potesse permettere ai due protagonisti di salutare degnamente il pubblico.
Un piccolo passo falso che, comunque, non toglie troppo valore ad un titolo che è stato, a mio parere, tra i più importanti del genere nel passato recente del piccolo schermo, e che anche se in misura minore regala ottimi momenti anche in questi sei episodi conclusivi, legati principalmente all'analisi della vita nella scuola militare di Kyle ed agli abusi in termini di bullismo che avvengono tra quelle stesse mura.
Figure, inoltre, come quella del Colonnello Margaret Rayne si inseriscono perfettamente nella galleria di comprimari di enorme spessore di questo titolo, da Ray Seward e Skinner nella terza stagione ai Larsen nelle prime due, senza dimenticare Darren Richmond, politico protagonista della vicenda legata alla morte di Rosie Larsen soprattutto nella prima stagione tornato proprio nell'ultimo episodio in una comparsata che ha il sapore effettivo dell'omaggio e del saluto ai fan.
Senza dubbio, con tutti i loro squilibri ed alti e bassi, Linden e Holder saranno sempre ricordati con piacere, qui al Saloon, ed andranno ad arricchire le fila della schiera di personaggi nati dal piccolo schermo che non hanno nulla da invidiare a quelli più blasonati del grande.




MrFord




"Gunfire in the street
where we used to meet
echoes out a beat
when the bass goes "bomb"
right over my head
step over the dead
remember what you said."
Nine Inch Nails - "The good soldier" -





sabato 17 ottobre 2015

The killing - Stagione 3

Produzione: AMC
Origine: USA
Anno:
2013
Episodi:
12






La trama (con parole mie): sono passati mesi dalla risoluzione del caso di Rosie Larsen, e mentre l'ormai ex detective Linden si gode una ritrovata tranquillità con un nuovo impiego, un nuovo e più giovane compagno ed un lavoro a bassissimo rischio su un'isola al largo di Seattle, il suo ex partner Holder, in coppia con il veterano Reddick, si è completamente ripulito e si dedica ad una nuova relazione e a risolvere casi uno dopo l'altro.
Quando, a seguito dell'omicidio di una giovane senzatetto, si apre il vaso di Pandora di un serial killer di ragazzine tossiche dedite alla prostituzione occasionale che non si sa quante vittime possa aver mietuto e che ricorda nel modus operandi il killer già condannato Ray Seward, in attesa dell'esecuzione capitale, le carte si rimescolano: scossa dall'idea di non aver scoperto la verità, Linden si rimette in gioco tornando in servizio per affrontare il caso coordinato da quello che era il suo partner ai tempi, Skinner, con il quale ebbe anche una relazione.
Tornati uno accanto all'altra, cosa scopriranno Holder e Linden?








L'oscurità che si annida nel cuore e nell'animo umani è da sempre uno degli elementi che più attrae gli occupanti di casa Ford, che si parli di film, romanzi, fumetti o serie televisive: in questo senso serial killer e produzioni che accompagnano il pubblico "dall'altra parte", fin dai tempi di Twin Peaks si sono ritagliati un ruolo fondamentale nella formazione del sottoscritto - e di Julez - da molto tempo prima che esistesse il Saloon.
The Killing, scoperto lo scorso anno in colpevole ritardo - del resto, ormai, con i prodotti seriali mi sono rassegnato a muovermi con un gap consistente rispetto a chi ha più tempo da dedicare alle visioni "in tempo reale" - è riuscito a centrare il bersaglio fin dai primissimi episodi dedicati alla scomparsa ed all'omicidio di Rosie Larsen, presentando due protagonisti caratterizzati alla grande, profondamente reali ed imperfetti, ed un'indagine con molti lati oscuri che, nel corso delle prime due stagioni, non solo ha chiuso il cerchio a proposito della storyline principale, ma portato a galla effetti collaterali generati dalla stessa, proprio come fu per il già citato Twin Peaks.
Con questa terza stagione gli autori - complici anche le vicissitudini di natura produttiva del titolo - voltano pagina presentando non solo un nuovo caso legato a doppio filo ad uno dei più importanti affrontati in passato da Sarah Linden, ma anche costruendo una cornice di comprimari destinata non solo a lasciare il segno nell'immediato - Bullet, Seward e Skinner su tutti - ma anche nella cavalcata che porterà l'audience ad affrontare la quarta ed ultima stagione, a seguito di un passaggio di produzione - da AMC a Netflix - volto a scrivere un finale non aperto per le avventure di Linden e Holder.
Nonostante, dunque, gli alti e bassi di natura non artistica, The Killing si mantiene su alti livelli anche con questa terza annata, forse la più oscura e disperata tra quelle presentate fino ad ora: basta osservare l'epopea di Seward, condannato a morte per un reato che potrebbe non aver commesso, e la sua rabbia scomposta, o i sentimenti traballanti di Linden e Holder - due outsiders da manuale - per rendersi conto della profonda oscurità che è stata impressa alla proposta ispirata dall'omonima e di qualche anno precedente serie danese: in questa Seattle piovosa e dolente non c'è spazio per chi vive ai margini, e l'escalation di scoperte a proposito del destino delle ragazzine vittime del killer soprannominato "Il pifferaio magico" è lo specchio di tutto questo dolore, figlio di seconde occasioni che non sono mai giunte neppure nella patria per eccellenza delle stesse, ed hanno finito per affogare nella droga, nella prostituzione, nel dolore e nel sangue.
Come all'interno della più spietata delle giungle, solo pochi - pochissimi, a dire il vero - usciranno a riveder le stelle - per dirla, più che con Dante, con il Rust Cohle di True detective -, e non è detto che i segni che si porteranno sulla pelle e nel cuore non siano più terribili di chi ha finito per perdersi, abbandonarsi, arrendersi ad una selezione naturale spietata e profondamente malvagia.




MrFord




"Until you had enough then you took that ring off
you took that ring off
so tired of the lies and trying, fighting, crying
took that ring off
oh, now the fun begins
dust yourself off and you love again
you found a new man now you shine and you're fine
like it's my time, you took that ring off."
Beyonce - "Ring off" - 




martedì 21 luglio 2015

Child 44

Regia: Daniel Espinosa
Origine: USA, UK, Repubblica Ceca, Romania
Anno: 2015
Durata: 137'





La trama (con parole mie): Leo Demidov, tra gli eroi della conquista di Berlino da parte dell'Armata rossa durante la Seconda Guerra Mondiale, diviene nel corso degli anni cinquanta un ispettore esperto in interrogatori dell'elite delle forze dell'ordine del regime. Quando il figlio del suo migliore amico viene trovato morto e le indagini a proposito dello stesso omicidio sono insabbiate per esigenze politiche, la fedeltà di Demidov al regime viene messa a dura prova nel momento in cui il dito del Potere punta dritto a sua moglie Raisa.
Messo ai margini ed esiliato ai confini dell'Unione Sovietica, Leo non demorde, e si pone l'obiettivo di riuscire a scoprire quanto più possibile a proposito di quello che pare essere un serial killer feroce e spietato pronto a prendere di mira ragazzini tra i dieci e i quindici anni lungo la linea ferroviaria che va dalla Capitale a Rostov.
Spalleggiato dal Generale Nesterov, suo superiore per il nuovo incarico, Leo dovrà lottare contro i suoi fantasmi ed il Sistema per poter completare l'indagine.








E' curioso quanto, a volte, titoli che sulla carta hanno tutte le caratteristiche per conquistarci finiscono, al contrario, per risultare davvero poca cosa, prodotti pronti ad entrare ed uscire dalle nostre vite di spettatori senza colpo ferire: Child 44, firmato dal discretamente anonimo Daniel Espinosa - già autore del non eccessivamente esaltante Safe house - e prodotto da Ridley Scott - che, purtroppo, con il passare degli anni non è più la garanzia che era ad inizio carriera -, rientra alla perfezione nella categoria.
Un cast di prim'ordine - Tom Hardy, Gary Oldman, Joel Kinnaman, Noomi Rapace, Charles Dance, Paddy Considine, Vincent Cassel, giusto per citare i nomi più grossi -, un'ambientazione oscura, una trama divisa tra la critica e la lotta al Potere ed al Sistema e la caccia ad un serial killer ispirato alla figura di Cikatilo, storie di amore, amicizia e vendetta che si intrecciano a Storia e fatti di cronaca: se me l'avessero presentato senza permettermi di vederlo, avrei potuto perfino azzardare che Child 44 poteva essere una delle proposte più interessanti della prima metà del duemilaquindici, per il sottoscritto.
Peccato che, a conti fatti, il risultato sia debole sotto molti aspetti, privo del carattere necessario per rimanere davvero nel cuore, lontano sia dai blockbuster che dai film d'autore, troppo lungo e decisamente privo del mordente che un thriller ha bisogno di mantenere alla distanza: nonostante, infatti, le idee messe sul piatto nel corso della prima parte - il ruolo di Leo come uomo del Sistema, la sua abilità nell'estorcere confessioni, la rivalità con Vasili, l'amicizia fraterna con Alexei, il clima di terrore imposto dal regime, la presenza di un serial killer terribile, un uomo nero pronto a portare con sè ragazzi all'inizio delle proprie esistenze, lasciando un vuoto che nessun genitore potrà mai colmare - con il passare dei minuti tutto pare sgonfiarsi, diventare un compito che regista e sceneggiatori si sono ritrovati a portare a termine giusto per guadagnarsi la pagnotta, più che per voglia, passione o desiderio di dare alla storia che raccontano quella scintilla in grado di differenziare un titolo assolutamente anonimo da uno destinato a rimanere nella memoria.
In particolare, e senza rivelare passaggi che potrebbero rendere ancora più inutile la visione, il quarto d'ora finale che chiude la vicenda e, di fatto, racconta tutto quello che accade archiviato il vero epilogo della trama si è rivelato uno dei passaggi più inutili dell'ultimo periodo, finendo per portare il lavoro di Espinosa da un giudizio medio alle bottigliate delle delusioni, nonostante, di fatto, da Espinosa stesso non era certo lecito aspettarsi un nuovo Memories of murder o Se7en.
Di fatto, non siamo di fronte ad un film brutto, mal realizzato o poco interessante - per quanto non sfruttati a dovere, gli spunti per riflettere sono molti -, quanto principalmente ad un titolo piatto che non aggiunge nulla al genere, alla carriera di chi ha partecipato alla sua realizzazione o alla vita di chi si trova dall'altra parte dello schermo: in questo senso, parrebbe più interessante documentarsi - magari attraverso i libri - in merito alle ombre del dominio di Stalin nell'URSS del dopoguerra e rispetto a Cikatilo, ribattezzato il mostro di Rostov, uno dei serial killers più terribili degli ultimi cinquant'anni.
A dimostrazione, per una volta, della poca incisività dell'operazione, anche il riscontro clamorosamente basso al botteghino: poco più di un milione di dollari complessivi contro i cinquanta stimati di budget.
Considerate queste premesse, sarà difficile che la trilogia letteraria che ha ispirato Child 44 vedrà la luce interamente: e se i risultati sono di questo calibro, direi che non è neppure un male.




MrFord




"I'm friend with the monster that's under my bed
get along with the voices inside of my head
you're trying to save me, stop holding your breath
and you think I'm crazy, yeah, you think I'm crazy."
Eminem feat. Rihanna - "Monster" - 





mercoledì 1 luglio 2015

Run all night - Una notte per sopravvivere

Regia: Jaume Collet Serra
Origine: USA
Anno: 2015
Durata: 114'





La trama (con parole mie): Jimmy Conlon, ex assassino e braccio armato del boss della mala irlandese a New York Shawn Maguire, in rotta con il figlio Mike che nega il passato criminale del padre e lotta per costruire una vita nella piena legalità, è ormai ridotto ad un alcolizzato.
Quando proprio Mike assiste casualmente ad un omicidio avvenuto per mano dell'erede dello stesso Maguire, Danny, Conlon è costretto a tornare alle vecchie abitudini.
La morte del suo rampollo, infatti, scatena il desiderio di vendetta del vecchio Shawn, e porta i Conlon a dover lavorare necessariamente sul loro legame e rapporto in modo da garantirsi non solo la sopravvivenza, ma anche una speranza per il futuro della famiglia di Mike.
In una corsa contro il tempo ed i sicari dei Maguire, Jimmy e Mike finiranno per riscoprirsi padre e figlio, occupando ognuno il lato della barricata che più gli compete.







Devo ammettere che, per questo quasi fresco di uscita - settimana più, settimana meno - Run all night, le premesse risultavano assolutamente funeree, lasciando presagire tempeste di bottigliate delle più feroci: nonostante sia un fan sfegatato dell'action, infatti, la nuova ondata di prodotti - e di action heroes - presi a modello del Jack Bauer di 24 più che dai tamarri anni ottanta di Stallone, Schwarzenegger, Willis, Russell e Van Damme non mi ha mai convinto del tutto, finendo per incontrare spesso più sostenitori in luoghi che stanno all'adrenalina e all'azione quanto il sottoscritto ai locali fighetti da radical chic.
Uno dei simboli di questa "new wave" dell'action è Liam Neeson, attore storicamente legato a filmoni impegnati e blockbuster d'autore riscopertosi improbabile spaccaculi con la pessima trilogia di Taken - e qui apro un inciso: non basta essere alti più di un metro e novanta per essere presi per buoni come schiacciasassi e macchine da guerra -, l'uomo dalle mani più brutte del mondo, uno che fino alla crisi di mezza età da conversione al Cinema di genere mi stava anche simpatico, memore dei suoi esordi come Darkman, che ora ho finito per arrivare a detestare.
Dunque, senza un recupero casuale, la curiosità di Julez di vedere all'opera il Joel Kinnaman di The Killing e la presenza dietro la macchina da presa di Collet Serra, che ho sempre considerato un più che discreto artigiano della settima arte, probabilmente Run all night sarebbe finito nel dimenticatoio profondo e senza ritorno: al contrario, invece, visione alle spalle ammetto di essere stato in una certa misura contento di averlo visto.
La vicenda non è nulla di nuovo, così come le parti prettamente action, che portano poca aria fresca al genere, eppure la componente crime unita ad un cast decisamente funzionale ed in parte - e sì, perfino Neeson, senza contare vecchi leoni come Ed Harris, Nick Nolte o Vincent D'Onofrio che è sempre un piacere vedere sullo schermo, fosse anche per pochi minuiti - uniti alla freschezza della narrazione di Collet Serra, che sfrutta New York e gli spostamenti sulla sua mappa come fossimo in un videogioco alimentando ritmo e tensione rendono questo film una piccola sorpresa non solo per quanto riguarda sparatorie, morti ammazzati e scazzottate, ma anche e soprattutto per le visioni da neuroni quasi spenti, un pò come lo erano stati lo scorso inverno John Wick ed ancora prima The equalizer.
L'inserimento, poi, dell'elemento legato al legame tra padri e figli con tanto di doppio incrocio e faida familiare, unito alla strenua volontà di Neeson/Conlon senior di impedire che il figlio prema il grilletto per uccidere anche solo una volta nella sua vita, alimentano interesse e coinvolgono il pubblico più di quanto avrebbe fatto un prodotto di questo tipo condito dai soli inseguimenti: certo, tutti sappiamo come andrà a finire fin dall'incipit - e se anche non ci fosse stato le cose non sarebbero cambiate - e risulta poco credibile che un vecchio malavitoso irlandese nato e cresciuto in un unico quartiere appaia come una sorta di dio in terra in grado di prendere a pesci in faccia anche potenziali rivali sul campo ed ugualmente venga annichilito insieme a tutta la sua banda da un ex sicario alcolizzato, incapace di correre ed inesorabilmente fuori forma, ma tant'è.
Considerato quanto mi aspettavo alla vigilia, e quanto alla fine abbia reso la visione, direi che "corse" di questo tipo posso concedermele anche più spesso.
E senza farmi troppe domande.
Basta che non ci sia Liam Neeson con me.



MrFord



"I'm gonna run to you 
I'm gonna run to you 
cause when the feelin's right I'm gonna run all night 
I'm gonna run to you 
she's got a heart of gold she'd never let me down 
but you're the one that always turns me on 
you keep me comin' 'round."

Bryan Adams - "Run to you" -




sabato 21 febbraio 2015

The killing - Stagione 2

Produzione: AMC
Origine: USA/Canada
Anno: 2012
Episodi: 13





La trama (con parole mie): scoperto l'inganno a proposito della foto che poteva essere decisiva rispetto al caso dell'omicidio di Rosie Larsen, la detective Sarah Linden decide di annullare il suo trasferimento in California - e conseguente matrimonio - per concentrarsi sulla verità di un caso che pare coinvolgere le più alte personalità politiche di Seattle.
Ricostruito non senza fatica il legame con il collega Holder, i due, divenuti dei reietti agli occhi del loro dipartimento, si troveranno a lottare su più fronti alla ricerca del colpevole di un omicidio che gli organi di governo, quelli di polizia e non solo paiono voler archiviare il più in fretta possibile, e senza che sia punito chi ne è davvero responsabile.
Riusciranno, dunque, i due detectives a fare fronte alle difficoltà interiori ed esteriori e rivelare cosa è davvero accaduto alla giovanissima Rosie, uccisa nel giorno in cui sperava di cambiare vita?







Esistono serie pronte ad esplodere diventando fin dai loro primi episodi cult di massa, prodotti destinati a sconvolgere il panorama del piccolo schermo come tsunami - Lost, Twin Peaks -, altre destinate a conquistare un episodio dopo l'altro in un'escalation a volte irresistibile - Breaking bad, Spartacus -, ed altre ancora che, per colpa o per destino, finiscono per passare quasi sotto silenzio.
Nonostante la passione degli occupanti di casa Ford per il genere "morti ammazzati", The killing era fuggita ai nostri radar fin dai tempi della sua prima stagione, ed il suo recupero è stato più il frutto della ricerca di qualcosa di nuovo di Julez che non di fortemente voluto: eppure, giunti al termine della seconda stagione, possiamo considerare la creatura di Veena Sud una delle realtà più interessanti che il piccolo schermo possa regalare non soltanto all'interno del genere.
La ricerca della non proprio convenzionale coppia di detectives Linden e Holder - ribattezzato in casa Ford Zio Dario, data la somiglianza con mio fratello - del responsabile della terribile morte della giovanissima Rosie Larsen, che pare correre di pari passo alle elezioni per il sindaco di Seattle - ed essere inquietantemente legato alla stessa -, è un viaggio negli abissi dell'oscurità insita nell'animo umano, un'analisi profonda ed intensa dei rapporti tra genitori e figli ed una più spietata del rapporto tra lupi ed agnelli in pieno stile Il silenzio degli innocenti.
L'escalation dei tredici, tesissimi episodi di questo secondo giro di giostra è da cardiopalma, dall'evoluzione del rapporto tra i due main charachters alle continue rivelazioni e cambi di fronte, e porta l'audience ad una risoluzione del caso che è quanto di più agghiacciante ed amaro si possa immaginare, dal macroscopico delle implicazioni politiche al microscopico di quelle consumate in seno al focolare domestico: ed osservare faccia a faccia come quello della sconvolgente rivelazione dell'ultimo episodio lascia il segno, così come il video che Rosie, ancora ignara del suo destino, gira come saluto alla sua famiglia per un passaggio da brividi in grado di commuovere nel profondo chiunque conosca e provi ogni giorno l'amore che un genitore sente per chi ha messo al mondo.
Passaggi, inoltre, come quello del ricovero forzato di Linden o della cronaca dell'ultima notte di Rosie sono degni dei migliori thriller da grande schermo, ed un ottimo viatico per quelle che saranno le successive due ormai attesissime qui al Saloon stagioni: resta da scoprire cosa attende la stessa Linden e Holder - due personaggi sfaccettati e molto complessi ed umani - così come il neoeletto sindaco Richmond, che alle spalle l'accusa rivelatasi infondata che chiuse la season one ed il dramma di questa two dovrà, di fatto, caricarsi il peso di una città e tutti i segreti di alcuni dei suoi esponenti di maggior spicco per poter andare avanti.
Quello che resta, per ora, è una sorta di senso d'impotenza di fronte alle oscure sfaccettature dell'Uomo, e la consapevolezza che, quando tragedie profonde come quella dei Larsen colpiscono, l'unica soluzione sia quella di stringersi gli uni agli altri ed allargare le spalle.
In fondo, nessuno può essere davvero preparato ad affrontare il Male, neanche i più spietati degli uomini - e donne -: ma avere qualcuno accanto può rivelarsi l'ancora di salvezza che separa una parte e l'altra della barricata.




MrFord




"I need an easy friend
I do with an ear to lend
I do think you fit this shoe
I do, won't you have a clue?"
Nirvana - "About a girl" - 







sabato 3 gennaio 2015

The killing - Stagione 1

Produzione: AMC
Origine: USA
Anno: 2011
Episodi: 13



La trama (con parole mie): a Seattle la detective Linden, una brutta separazione alle spalle ed un matrimonio che l'attende in California, è all'ultimo giorno di servizio, affiancata dal giovane ed instabile suo sostituto nell'incarico Holder, quando viene chiamata sulla scena di un crimine particolarmente efferato. Il corpo della liceale Rosie Larsen, infatti, è stato ritrovato nel bagagliaio di una macchina sprofondata nel cuore di Echo Park, uno dei rifugi per disperati della città. Al dramma dei genitori e all'inquietudine e agli sconvolgimenti che l'omicidio mette in moto, si aggiunge il desiderio di Linden di non partire senza aver prima risolto il caso: ma quello che poteva apparire come un gioco tra adolescenti finito nel peggiore dei modi rivelerà sfumature sempre più inquietanti, arrivando a coinvolgere perfino uno dei politici più in vista della città, nonchè principale avversario nella corsa per il municipio del sindaco giunto al termine del suo mandato.








Una delle passioni che, nonostante le diversità cinematografiche, ha unito me e Julez fin dai primi tempi della nostra convivenza è stata quella legata al filone "morti ammazzati", che dalle serie tv alla Letteratura, passando per la settima arte, è riuscito quasi sempre a metterci d'accordo: non troppo tempo fa, orfani della consueta visione annuale di Criminal Minds, la signora Ford ha finito per suggerire il recupero di alcuni titoli legati al genere che ci eravamo persi negli ultimi anni.
Se, però, esperimenti come quello di The Forgotten non si sono rivelati particolarmente azzeccati, con il soprendente The Killing - tratto da una serie danese ed adattato, tra gli altri, dal Nic Pizzolato di True Detective - non abbiamo avuto alcun dubbio, giungendo alla fine di questa più che ottima season d'esordio con l'acqua alla gola e l'hype già alle stelle per la seconda.
Con le dovute proporzioni, seguire le indagini dell'interessantissimo duo di detectives protagonisti formato da Linden e Holder - caratterizzati e scritti davvero alla grande - ed osservare le conseguenze devastanti che la morte della giovane Rosie Larsen finisce per esercitare a più livelli dalla sua famiglia ai suoi compagni di scuola, dal suo professore fino alle più alte cariche della politica cittadina costringendo tutte le persone coinvolte a confrontarsi con i propri scheletri nell'armadio ha finito per ricordarmi l'estate del duemiladieci, quando in Croazia accompagnai Julez nel corso della sua prima visione integrale di Twin Peaks: anche in quel caso il brutale omicidio di una ragazza considerata da tutti simbolo di bellezza ed innocenza e di fatto conosciuta davvero da nessuno divenne la scintilla in grado di scatenare un incendio pronto a segnare l'anima della città, senza risparmiare neppure l'agente incaricato di risolvere il mistero.
Linden e Holder, in questo senso, diventano interpreti di una caccia all'uomo pronta a cambiare più volte prospettiva nel corso dei tredici serratissimi episodi di questa prima stagione, finendo per essere tratti in inganno o ispirati nel percorrere la strada verso la soluzione - ? - del caso al pari dello spettatore, conducendolo per mano ad un finale da cardiopalma che lascia per la seconda stagione interrogativi ancora più grandi, di fatto prendendo una via che pare discostarsi, almeno per il momento, dal dolore che ha dilaniato la famiglia Larsen - terribile il confronto tra il padre di Rosie ed il professore sospettato, ed ancor di più l'escalation del rapporto tra i coniugi, separati di fatto dal momento della perdita della figlia -.
Senza dubbio, e considerata l'evoluzione e le energie impiegate dagli investigatori nel corso delle indagini una scelta come quella che chiude l'ultimo episodio potrebbe rivelarsi potenzialmente rischiosa in ottica futura e rispetto allo svolgimento della trama, eppure il prodotto finito funziona alla grande, e la speranza è che possa evolvere nel più convincente dei modi, continuando ad esplorare i dubbi, le luci e le ombre - soprattutto queste ultime - del selvaggio mondo in cui viviamo, e dal quale non potremo mai davvero e fino in fondo proteggere i nostri figli, per quanto ogni giorno ci si sforzi e si speri per il meglio.
E a volte, quando il vaso di Pandora umano viene scoperchiato, non resta che allargare le spalle e cercare di lottare quantomeno per limitare i danni, e non giungere alla fine del giorno quasi soffocati dalla sensazione non tanto di non avercela fatta, quanto di aver in qualche modo contribuito al disastro.
Come la disgraziata combinazione di scelte e coincidenze che hanno portato Rosie in quel bagagliaio, costretta ad una soffocante e lenta agonia.




MrFord




"Baby, I am a survivor
baby, I'm on fire
baby, I'm bout to creep up inside ya
getting high all day, drinking whiskey all night
flipping of the police when them tricks pass by
I'm that fool next door, always late with his rent
I'm that loser on the couch, watching Springer and getting head
dreaming about a better time, better place, better life
looking for that quick fix, and tweeking all night."
(HED) P. E. - "Killing time" -



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