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lunedì 13 aprile 2020

White Russian's Bulletin



Prosegue la quarantena, e con lei uno dei periodi senza dubbio più strani, densi e clamorosamente "cinematografici", in più di un senso, della mia vita. Essendo abituato a vivere parecchio ed avendo oggettivamente patito molto il momento, devo ammettere di dover ringraziare le serate Cinema con i Fordini, che sono una fonte inesauribile di soddisfazione, e la definitiva consacrazione delle piattaforme come Netflix, fondamentali in una condizione come quella che coinvolge il mondo in queste settimane. 
Probabilmente avrò dimenticato qualcosa, avendo bellamente trascurato il blog nelle ultime due settimane, ma più o meno questo è quello che ricordo delle visioni passate al Saloon in questi tempi da virus.


MrFord



HARRY POTTER

Harry Potter e i Doni della Morte - Parte 2 Poster

Nuova passione del Fordino, che ormai snocciola incantesimi come se non ci fosse un domani agitando le bacchette dei take away in giro per casa, la saga di Harry Potter è stata rispolverata e conclusa rispetto all'ultima puntata del Bulletin. 
Dopo Il calice di fuoco - che resta, cinematograficamente, il titolo migliore della serie -, siamo passati attraverso le morti illustri de L'ordine della fenice, Il principe mezzosangue e le due parti de I doni della morte, tutti inferiori al lavoro di Mike Newell ma comunque in grado di intrattenere come si conviene i Fordini, regalando emozioni principalmente grazie al personaggio più profondo, sfaccettato e riuscito nato dalla penna della Rowling, Severus Piton.
Probabilmente delle serate Cinema i Fordini ricorderanno più Harry Potter che non I Goonies o Predator, ma resta la grande soddisfazione di stare trasmettendo la passione per un mezzo di comunicazione unico e fantastico, il Cinema.


JACK RYAN - STAGIONE 2 (Prime Video, USA, 2019)

Jack Ryan Poster


Compagno di viaggio di Netflix in questo periodo di quarantena è Prime Video, che, pur se in misura minore rispetto alla piattaforma "mamma" di Stranger Things e affini, riesce a fornire alternative buone per i momenti pranzo e cena di casa Ford, da sempre dedicati ad un episodio di serie. Jack Ryan, che si era candidato come l'erede di prodotti come Alias e 24 già alla prima stagione, conferma la sua solidità con la seconda, forse più semplice in termini di scrittura ma ugualmente efficace nello stile, ottima nelle parti action ed impreziosita da una sigla davvero geniale, degna dei bei tempi dell'opening di Dexter.
Resta un prodotto per appassionati del genere, ma anche qualcosa di solido e ben gestito, che rende giustizia sia alla parte legata allo spionaggio che a quella delle botte e delle esplosioni.




HAWAII FIVE-O - STAGIONE 6 (USA, CBS, 2016)

Hawaii Five-0 Poster

Il periodo della quarantena ha riportato sugli schermi del Saloon anche la Five-O, da anni lasciata nel dimenticatoio ed usata come riempitivo - del resto, è la tipica serie ottima per questo scopo - per pranzi e cene, pronta a conquistare anche i Fordini grazie alla theme song della sigla ed alla netta divisione tra buoni e cattivi, in questo periodo di gran voga tra i due piccoli eredi del vecchio cowboy. Niente di davvero memorabile, sia in termini di scrittura che di realizzazione, ma i paesaggi mozzafiato delle Hawaii e le non troppe pretese, uniti all'atmosfera da pranzo della domenica, fanno in modo che i difetti e la superficialità passino in secondo piano, per una serie conclusasi soltanto quest'anno innocua e piacevole da piazzare quando si vuole davvero rilassare il cervello.





DARK - STAGIONE 1 e 2 (Netflix, USA/Germania, 2017/2019)

Dark Poster


Una delle sorprese più interessanti della quarantena, diventata l'appuntamento fisso dell'orario dell'aperitivo mentre i Fordini si dilettano con la loro "ora del cartone": questa serie tedesca targata Netflix, che riprende il tema sempre interessante ed affascinante dei viaggi nel Tempo, incrocia le vicende di quattro famiglie che toccano, in un modo o nell'altro, quattro scenari differenti, dal millenovecentoventuno al duemilacinquantatre, passando attraverso gli anni cinquanta e ottanta.
Mescolando teorie scientifiche già utilizzate in Lost e Interstellar, dramma adolescenziale, thriller e sci-fi, gli autori portano sullo schermo una gran bella proposta, che avvince e smuove tutte quelle domande che in questi casi viene quasi naturale farsi: saremmo disposti a viaggiare attraverso il Tempo, e per curiosità da spettatori o con l'intenzione di cambiare le cose?
Non solo, ma il Tempo stesso, considerato come un'entità, è davvero considerabile come l'abbiamo sempre considerato, o è qualcosa di troppo stratificato e complesso perchè la nostra scienza possa allo stato attuale darne una definizione?
Un ottimo prodotto, dunque, che patisce solo una leggera flessione nella seconda stagione chiusa con quello che è, a mio parere, un rischio enorme preso dal team creativo dietro la serie: speriamo che, con la terza in arrivo, sappiano sfruttare la cosa al meglio.




LA CASA DI CARTA - STAGIONE 4 (Netflix, Spagna, 2020)

La casa di carta Poster

Con ogni probabilità Netflix e le serie televisive sono state una delle ancore di salvezza di questo periodo di quarantena, con tutti chiusi in casa costretti in qualche modo a riscoprire o a sopravvivere la convivenza forzata: fortunatamente per tutti i fan raccolti negli ultimi anni in tutto il mondo, il Professore e la banda dei Dalì sono tornati alla ribalta con il loro quarto giro di giostra.
Come sempre le evoluzioni di trama ed accadimenti sono quantomeno improbabili, ma la forza di questa serie sempre splendida da vedere - e da consumare un episodio dietro l'altro - è quella di aver azzeccato ritmo e personaggi, ed essere riuscita ad inserire elementi cari al pubblico maschile come femminile così come momenti pronti a diventare immediatamente cult - la sequenza su Ti amo di Tozzi al matrimonio del fu Berlino è un colpo di genio -. 
Prosegue, dunque, il colpo alla Zecca di Stato ed il braccio di ferro tra il Professore e la sua nuova nemesi, Alicia Sierra, mentre la banda deve far fronte a dissidi interni, tentativi di ribellione, vecchie e nuove ferite e soprattutto alla presenza di Gandìa, capo della sicurezza del Governatore, che si rivelerà una spina nel fianco davvero difficile da affrontare.
Un rollercoaster dal quale è sempre un piacere farsi trasportare lungo i binari degli articolati piani del mitico Professore.





MANDY (Panos Cosmatos/Casper Kelly, UK/Belgio/USA, 2018, 121')

Mandy Poster

Non ricordo dove esattamente mi capitò di leggere bene di Mandy, thriller/horror psichedelico con Nicholas Cage di un paio d'anni fa incensato, a quanto pare, da qualche zoccolo duro di radical chic di nicchia: fatto sta che, pur se in ritardo, ho deciso di recuperarlo sperando in una di quelle rivelazioni in grado di sorprendere e lasciare senza parole.
In un certo senso, il lavoro di Cosmatos è stato così: ha lasciato il Saloon senza parole regalando ai suoi occupanti un sacco di grasse risate, considerato che non ricordo qualcosa di così trash - anche se, in questo caso, non voluto - dai tempi del primo Sharknado.
Dalla trama risibile alla fotografia da pieno trip d'acido passando per i tempi dilatatissimi, tutto mi ha ricordato gli ultimi, terrificanti - non nel senso horror, purtroppo - lavori di Rob Zombie, e ringrazio la visione soltanto per le chicche incredibili fornite da Nicholas Cage in due sequenze memorabili, l'epifania della vendetta nel bagno della sua casa con tanto di mutanda bianca e bottiglia nascosta nella credenza e lo scontro con i demoni motociclisti, apoteosi di un trash che neppure nei più tamarri film action anni ottanta avrebbero potuto immaginare.
Se non altro, Mandy è stato oggettivamente in grado di lasciare il segno. E' il film "autoriale" clamorosamente più brutto che abbia visto da molto tempo a questa parte.




TIGER KING (Netflix, USA, 2020)

Tiger King Poster


Gli States, si sa, sono un bel ricettacolo di larger than life e follia, che si tratti delle grandi città o della provincia profonda, almeno per quanto riguarda chi è abituato alla "vecchia Europa": ricordo ancora quando, ai tempi dei tempi, per la prima volta arrivai a New York. Era il lontano novantaquattro, e vissi quei giorni come un bambino portato in uno zoo di proporzioni gigantesche, nonostante, qui in Italia, arrivassi da una delle realtà più "globali" che potevano immaginarsi allora, la Milano da bere. Quando, lo scorso anno, tornai nella Grande Mela, lo stupore fu minore, ma la sensazione che da quelle parti le cose fossero sempre un pò sopra le righe rimase la stessa. 
Figurarsi in Oklahoma, dove per anni fu un'icona Joe Exotic, eccentrico - a dir poco - proprietario di uno zoo ed esperto di felini, che negli anni, per portare avanti la sua attività, si è circondato di disadattati, fuggitivi, ex detenuti e personaggi ai margini della società, alimentando il suo ego smisurato - arrivò a candidarsi Governatore sperando di poter correre per la Presidenza - fino a sconfinare in attività e tentativi maldestri che lo portarono alla sua attuale residenza, la prigione.
In realtà, a prescindere dalla vicenda di Exotic e dei suoi dipendenti, rivali o nemesi, la cosa più interessante che esce da questa vicenda decisamente sopra le righe, è che da qualunque prospettiva la si voglia vedere, l'animale più pericoloso resta sempre e soltanto l'uomo.


venerdì 7 aprile 2017

Command performance (Dolph Lundgren, USA, 2009, 93')




Se Stallone, Schwarzenegger e Van Damme sono i simboli intoccabili di un'epoca fantastica che ancora oggi mi godo come una macchina del tempo, molti sono i volti di quegli anni ottanta votati all'action tamarra che qui al Saloon sono praticamente di casa: uno di questi è quello di Dolph Lundgren, che tutti gli amanti del genere avranno incontrato - o ricorderanno - per la prima volta in Rocky IV nel ruolo di Drago, anche se sono molte le chicche che ha regalato negli anni, da Resa dei conti a Little Tokyo a Red Scorpion.
Quello che almeno i suoi detrattori non sapranno è che il buon Dolph, oltre ad essere uno specialista di Karate, conoscere sei o sette lingue, avere un Q. I. di centosessanta o simili, una laurea al M.I.T. - se non ricordo male in ingegneria chimica -, essere un ottimo musicista, ha sempre preferito la carriera d'attore a quella del professore: nel caso di Command performance, solido action televisivo che non sarà un miracolo di qualità ma che fa barba e capelli ad altri suoi simili - vedasi tutta la produzione recente che vede protagonisti il già citato Van Damme o ancora peggio Steven Seagal -, l'ex Ivan Drago non solo si cimenta come di consueto in botte da orbi e sparatorie, ma anche dietro la macchina da presa - come regista - e da scrivere - come sceneggiatore -.
Certo, non sarà Sly - che resta il numero uno, in questo senso -, il lavoro è abbastanza grezzo e piuttosto lineare, le sequenze d'azione non memorabili e la trama davvero basic, eppure il tutto si lascia guardare senza colpo ferire, riuscendo ad intrattenere quello che serve specie quando ci si trova, come nel mio caso, a sfruttare film di questo tipo come sottofondo per le giornate passate con i Fordini - in questo caso era presente la sola Fordina, che potrà così vantarsi di aver visto il suo primo film con Dolph Lundgren prima di aver compiuto un anno -.
Prendendo spunto dall'epoca di transizione tra Unione Sovietica e Russia, buttando nel calderone un pò di rock and roll, una storia di vendetta ed uno scenario da terrorismo quasi in anticipo sui tempi - l'attacco al concerto mi ha ricordato, con qualche brivido, quello che ha sconvolto Parigi ed il mondo un anno e mezzo fa - Dolph confeziona un prodotto di grana grossa perfetto per gli appassionati del genere, senza farsi troppi problemi o pensieri e portando a casa una pagnotta non per tutti i palati, ma comunque giusta per godersi una serata a cervello spento.
I divertiti riferimenti, poi, alla sua età ed alla "vecchia scuola", per quanto lontani dalla magia di cose come Expendables 2, funzionano, e non essendo presenti sequenze in cui il Nostro sia impegnato in una corsa - penso sia il secondo uomo a correre peggio al mondo dopo Nicholas Cage, sarà colpa dell'altezza - il fu Drago spiezza ancora in due senza troppi pensieri o problemi.
Se, dunque, avete bisogno di un divertente intermezzo per i vostri neuroni, o siete in cerca di una pellicola assolutamente non impegnativa per una serata da rutto libero, dateci dentro: e ricordate, mentre lo fate, che il tamarro biondo di quasi due metri che state guardando avrebbe potuto essere il vostro professore di chimica.
E per fortuna non è stato così.




MrFord




domenica 15 gennaio 2017

24 - Stagione 8




In questi primi quasi sette anni di Saloon, accanto a novità e scoperte, si è dato ampio spazio, che si parli di Cinema come di piccolo schermo, ai recuperi di titoli divenuti cult per un motivo o per un altro, ai tempi della loro uscita, snobbati dal sottoscritto: uno di quelli più goduriosi è stato senza ombra di dubbio quello di 24, celebratissima da tutti gli amanti dell'action e non solo ai tempi di Lost e giunta al Saloon quando negli States quasi si avviava alla sua (prima) conclusione proprio con questa season numero otto.
La corsa del mitico Jack Bauer, dunque, al termine di otto anni costruiti da momenti memorabili, innumerevoli uccisioni, terroristi neutralizzati e governi - anche statunitensi - rovesciati, giunge al termine nel modo più onorevole, lontana dai fasti del momento migliore della serie - direi senza dubbio le stagioni dalla tre alla cinque - ma sempre in grado di intrattenere qualsiasi pubblico, dai poco avvezzi all'action ai tamarri, dai vecchi fan come il sottoscritto ai nuovi come il Fordino, che non vedeva l'ora di vedere il sempre leggermente reazionario Bauer arrabbiarsi per "spaccare tutto".
A rendere ancora più divertente un'ottava stagione che, ai tempi, segnò il commiato dell'agente speciale americano, un ritmo ed una serie di twists ben orchestrati - nonchè il ritorno di vecchi nemici come Logan - pronti a recuperare terreno su una settima che, indubbiamente, segnava il passo rispetto ad una proposta, come scrissi ai tempi, decisamente figlia degli anni del "bushismo" che, nel pieno dell'era di Obama, trovava poco terreno fertile.
Interessante, comunque, vedere Jack dapprima coinvolto suo malgrado nel tipico intrigo da potenziale attentato che l'aveva visto protagonista in diverse occasioni nel corso di questa cavalcata dunque al centro di un gioco delle parti da infiltrato con la mafia russa e la sua vecchia fiamma Renee Walker, prima di dedicarsi al testa a testa con i potenziali terroristi ed agli intrighi politici pronti a coinvolgere le più alte cariche dello Stato: in questo senso, ottima la scelta di rendere più fragile il personaggio del Presidente Taylor - il primo a non risultare, almeno finora, profetico, rispetto a quanto mostrato da questa serie - e di permettere il rientro di Logan, così come di spostare l'azione dalla strada della prima parte ai corridoi del potere della seconda, sfruttando come collante l'interessante charachter di Dana Walsh, partita in sordina e finita alla grande regalando una delle scene più clamorose pensate per Jack Bauer, forse il protagonista da "sconti a nessuno" più tosto dai tempi del Dirty Harry di Eastwood.
Certo, non si potrà mai pretendere di trovarsi di fronte il titolo che cambia la vita come per i già citati Lost o Breaking Bad, così come l'atmosfera assolutamente ludica di chicche del calibro di Alias, ma 24 è e resta parte integrante della storia delle serie televisive, una sorta di risposta del piccolo schermo al Die Hard figlio della settima arte, con un protagonista che difficilmente i fan dimenticheranno, e che non vedo l'ora di tornare a vedere in azione nel sequel andato in onda un paio d'anni or sono che, almeno per ora, chiude il discorso con il franchise mantenendo inalterata la squadra vincente Bauer/O'Brien in attesa del reboot atteso per febbraio, che cambiando protagonista potrebbe, purtroppo, non avere la stessa fortuna dell'originale.
A prescindere da tutto, da come sono andate o come andranno le cose, senza dubbio Jack Bauer avrà sempre un posto speciale, nel cuore del sottoscritto e degli spettatori: fosse anche solo per essere uno dei migliori scacciapensieri in un'epoca in cui, purtroppo, alcuni avvenimenti incredibili - e non in senso buono - hanno finito per trovare più spazio nella realtà che non nella fiction.



MrFord



 

martedì 13 settembre 2016

Jason Bourne (Paul Greengrass, UK/Cina/USA, 2016, 123')


L'action spionistico è un genere che, da queste parti, è considerato una sorta di evergreen: da Il giorno dello sciacallo a I tre giorni del condor, passando per Casinò Royale, posso dire di aver collezionato più soddisfazioni che delusioni nel corso degli anni da consumatore di questo tipo di pellicole, saga di Jason Bourne compresa: se si eccettua, infatti, quel Legacy girato senza il protagonista e volto della stessa Matt Damon, che pure non era così male a conti fatti, nessuno dei tre film precedenti a questo aveva mancato il bersaglio.
E, a ben vedere, non lo fa neppure quest'ultimo lavoro di Paul Greengrass.
Peccato che, per quello che potrebbe essere considerato proprio come il Casinò Royale dell'ex smemorato Jason - un rilancio in piena regola del personaggio passato dall'essere una sorta di eroe romantico ad una vera e propria macchina da guerra da poche battute ma essenziali per qualificarsi come spaccaculi totale, come fu per James Bond in quell'occasione -, tecnica, regia e plot che più classico non si potrebbe a parte, sia mancata, in fondo, la partecipazione.
Assistere all'ennesima cavalcata apparentemente suicida - ma poi ci si crede davvero, in questi casi, ai potenziali pericoli per il main charachter? - di Bourne pare infatti una presa di coscienza della perizia della messa in scena, dalla bellissima fuga in moto per le strade di Atene all'inseguimento in macchina attraverso quelle di Las Vegas, tra uno sparo, un paio di colpi molto ben assestati ed intrighi da alti papaveri della CIA invischiati fino al collo in faccende sporche ed una riflessione sull'utilizzo dei social network e l'importanza della privacy, senza, però, che purtroppo ci sia un vero coinvolgimento emotivo da parte dell'audience.
Dal primo minuto all'ultimo, infatti, non vi è alcun dubbio - o quantomeno, io non l'ho avuto - rispetto al fatto che, in un modo o nell'altro, l'ex agente segreto ribelle metterà nel sacco tutti quelli che l'hanno prima sfruttato e dunque gettato via, che il loro assassino numero uno - un Vincent Cassel appena sotto il fuori tempo massimo, considerato che non parliamo di qualcuno specializzato in carriera nei ruoli da action hero - potrà mai impensierirlo davvero, così come l'ormai onnipresente e forse un pò troppo sovraesposta Alicia Vikander possa passare da cattiva al cento per cento: godersi la visione di Jason Bourne, dunque, equivale ad una sorta di enorme, gigantesco, scontatissimo spoiler privo di colpi di scena ed emozioni, confezionato alla grande ma incisivo solo nella sua esecuzione, quasi come se un incontro di lotta clandestino finisse al primo pugno quando ci si poteva aspettare una battaglia strenua da lacrime e sangue.
Sinceramente non so se imputare tutto questo alla scarsa empatia di Bourne come charachter o alla mancanza di quella scintilla in grado di trasformare un personaggio in un cult quanto e più dei film dei quali è protagonista, ma il fatto è che se non siete appassionati di questo genere finirete per rompervi i cosiddetti in due ore di inseguimenti, sparatorie ed intrighi atti a sottolineare una volta ancora l'abilità quasi impossibile da contrastare dell'eroe ribelle, mentre se il vostro pane quotidiano è lo spy movie movimentato avrete l'impressione - non proprio piacevole - della minestra riscaldata.
Niente di irreparabile, sia chiaro.
Me lo sono anche goduto.
Ma da uno che rompe culi a colazione, pranzo, cena e forse anche mentre dorme pesante dopo una sbronza colossale, io mi aspetto decisamente molto di più.



MrFord



mercoledì 7 settembre 2016

Suicide Squad (David Ayer, USA, 2016, 123')



Se, nel grande mondo del Cinema, tutti i trailer da esaltazione o i film sostenuti da un hype alle stelle mantenessero le aspettative che si creano nel pubblico, allora probabilmente noi appassionati saremmo incredibilmente più felici: in questo senso, quando ventilarono le prime voci rispetto alla realizzazione di una pellicola dedicata ai "bad guys" della DC Comics, all'interno della quale i suddetti villains al servizio del governo finivano per diventare un'alternativa agli eroi, sperai che si potesse materializzare il momento in cui mi sarei goduto uno dei titoli potenzialmente più interessanti del genere degli ultimi anni pronto a sostenerlo ed esaltarlo.
Peccato che, fin dalle prime recensioni, tutto pareva essersi risolto in un mezzo buco nell'acqua, una bolla di sapone neppure lontanamente paragonabile all'equivalente made in Marvel Deadpool, che qualche mese fa raccolse fior di consensi anche qui al Saloon: così, stroncatura dopo stroncatura, ho finito per giungere al momento della visione con aspettative praticamente azzerate, in modo da pararmi letteralmente il culo da cocenti delusioni.
E quale grande impresa è riuscita a compiere, infine, questa Suicide Squad?
A deludere ugualmente, non riuscendo a scampare alle bottigliate neppure facendo conto del suddetto tentativo di protezione del deretano di questo vecchio cowboy: Ayer, che pure non mi dispiace, probabilmente limitato pesantemente dalla produzione, finisce per presentare un titolo che di cattivo ha poco o niente, quasi come se il PG avesse deciso che all'improvviso sangue, botte, ironia nerissima e politicamente scorretto fossero banditi dalle sale, scritto e montato, per dirla come in Boris, alla cazzo di cane, all'interno del quale anche i personaggi più interessanti - come la Harley Quinn della notevole Margot Robbie - finiscono per diventare macchiette, in cui Will Smith fa il Will Smith della peggior specie - e a me sta anche simpatico, figuratevi - ed il tanto chiacchierato Joker di Jared Leto finisce per prendersi una sonora dose di schiaffi in faccia dai precedenti decisamente più illustri di Jack Nicholson e soprattutto Heath Ledger, che con la sua versione della nemesi storica di Batman ha settato uno standard che il pur dotato Leto manca clamorosamente neanche fosse uscito a bere in mia compagnia ed avesse ordinato un acqua naturale.
La stessa - bella, sia chiaro - colonna sonora è infarcita di brani tanto cult quanto abusati, da Seven Nation Army a Paranoid, ed i characters cardine - interpretati da Viola Davis e Joel Kinnaman - appaiono meno empatici ma più carismatici della nemesi della Suicide Squad, la floscissima Incantatrice di Cara Delavigne, sciapa come la sua interprete: peccato davvero, perchè con uno script adeguato ed una mano davvero cattiva questo sarebbe potuto divenire un supercult del genere, ridefinendo completamente il panorama supereroistico al Cinema, considerato che la sovraesposizione dello stesso nel corso delle ultime stagioni sta cominciando a stancare - così come i tentativi di scopiazzare selvaggiamente il progetto del Cinematic Universe della Marvel, ripreso anche qui grazie alle apparizioni del Batman di Affleck e del Flash di Ezra Miller, protagonisti del prossimo film dedicato alla Justice League, risposta di casa DC agli Avengers della Casa delle idee -.
Dunque, più che i "cattivi" protagonisti del film, la vera Suicide Squad mi è parsa, alla fine, essere quella della produzione di questo esperimento decisamente fallito.



MrFord




giovedì 1 settembre 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): oggi è il primo settembre, data significativa da sempre per il rientro dalle vacanze ed il ritorno alla normalità. Dopo un'estate passata a spassarmela e a prendermi un periodo di relax anche e soprattutto dal blog, e soprattutto dopo il clamoroso buco sulla puntata della settimana scorsa di questa rubrica, torno alla ribalta rigenerato e pronto, come sempre, a dare battaglia anche nei commenti alle uscite in sala al mio rivale di sempre Cannibal Kid.

"Sarà meglio fermare Ford prima che si metta alla guida di un qualsiasi veicolo."
Io prima di te

"Quel bruto di Ford ti ha ridotto proprio male, Peppa. Ci penso io a guarirti."
Cannibal dice: Io prima di Ford avevo un bel blog immacolato. Dopo che Ford ha cominciato a infestarlo, occupando (in maniera non richiesta) questa rubrica dedicata alle uscite settimanali, Pensieri Cannibali ha invece subito un crollo qualitativo notevole. Se non altro il giovedì.
Quanto al film l'ho già visto e presto arriverà la recensione cannibale. Credevate forse che potessi perdermi una pellicolona sentimentale strappalacrime con Emilia Clarke?
Ford dice: io prima di Cannibal non pensavo che potessero esistere critici cinematografici in grado di spararle così grosse, e ora che è diventato praticamente la mia mascotte, non posso più liberarmene.
Questa roba sentimentale strappalacrime mi attira quanto una maratona di film teen cannibali, ma considerato che Julez non vede l'ora di vederlo, mi sa che mi toccherà.



Jason Bourne

"Ford, te l'ho già detto: piuttosto che lasciarti guidare, mi faccio massacrare in un incontro di wrestling."
Cannibal dice: Vidi il primo The Bourne Identity tanto tempo fa e l'unica cosa che ricordo è che il protagonista è uno smemorato, proprio come me. Sto però pensando di farmi una maratona per recuperare tutte le sue pellicole, unicamente per poter arrivare preparato a vedere Alicia Vikander nel nuovo capitolo. E ora passo la parola a James Ford...
James Ford???
E chi diavolo è?
Proprio non lo ricordo.
Ford dice: la saga di Bourne, per quanto non all'altezza di quella di Mission: Impossible, non mi è mai dispiaciuta, e fatta eccezione per l'ultimo ed un po' spompo episodio ha sempre garantito un'azione solida e tosta come piace a me e non piace al Cannibale.
Spero, dunque, che il trend sia confermato anche a questo giro.



La famiglia Fang

"Ford e Cannibal sono proprio una famiglia strana: non posso resistere dal riprenderli."

Cannibal dice: La famiglia F...
Fiuuuuuuu...
Per un attimo avevo letto La famiglia Ford e mi stavo già preparando per l'horror più agghiacciante dell'anno. E invece è La famiglia Fang, la classica famiglia indie americana stramba in cui mi sarebbe tanto piaciuto crescere.
Ford dice: titolo apparentemente alternativo che potrebbe essere anche interessante, se non sembrasse una copia scialba del mitico Little Miss Sunshine, o un Cannibal qualsiasi rispetto al qui presente nonchè solo ed unico - per fortuna vostra - Ford.



Lolo – Giù le mani da mia madre

"Se non sei in grado di bere quanto Ford, vecchio, scordati mia madre!"
Cannibal dice: Nuovo film da regista per Julie Delpy, la radical-chicchissima attrice francese della trilogia di Prima dell'alba. La sua pare una commedia romantica transalpina dal sapore estivo che farà accapponare la pelle a Ford e quindi la devo troppo vedere!
Ford dice: commedia francese radical chic!? Puzza di cannibalata? Non mi azzarderei ad avvicinarmici neppure sbronzo marcio.



Un padre, una figlia

"Katniss Kid, io non sono una bestia come Ford, e non ti toccherei neanche con un fiore."
Cannibal dice: Nuovo film di Cristian Mungiu, regista sardo... anzi no, rumeno acclamato per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, una di quelle pellicole che devo sempre recuperare, ma che poi non guardo perché mi sanno tanto di roba fordiana pseudo autoriale e molto noiosa.
Ford dice: Mungiu è un regista con le palle quadrate da queste parti molto, molto stimato. Questo suo nuovo lavoro, dunque, prima o poi troverà spazio qui al Saloon, magari anche trainando il recupero del precedente Oltre le colline, che devo ancora vedere.



Effetto acquatico – Un colpo di fulmine a prima svista

"Tu meno in forma di Cannibal? Non farmi ridere: Peppa lo strapazza anche un poppante!"
Cannibal dice: Dal titolo italiano che pare rubato a un post di Pensieri Cannibali potrebbe sembrare una vaccata clamorosa. Considerando però che è una commedia sentimentale franco-islandese, potrebbe anche rivelarsi una bella sorpresa.
Ford dice: altra commedia, e di nuovo la Francia pronta a mettere lo zampino neanche fosse Cannibal per rovinare anche le più contenute delle aspettative. Dovessi recuperarlo, lo farò con tutte le cautele del caso.



Black – L'amore ai tempi dell'odio

"Prova ancora a leggere questa rubrica prima su Pensieri Cannibali che su White Russian, e ti faccio un  buco in fronte."
Cannibal dice: Film belga che sembra una specie di Romeo + Giulietta ambientato nella Bruxelles multietnica di oggi e che pare avere le carte in regola per rivelarsi una visione meritevole. Anche Ford è davvero meritevole... ma solo di un calcio nel culo.
Ford dice: film belga incentrato sulle differenze razziali che pare molto interessante ed attuale, e spero vivamente non si riveli una delle solite radicalchiccate da Pensieri Cannibali, sempre pronte a distruggere tutte le illusioni del vecchio, sano, buon Cinema fordiano.



Il vincente

"Per quale festeggiamento userà questo vestito, signore?" "Per celebrare la sconfitta di Cannibal Kid, ovviamente!"
Cannibal dice: Non so molto riguardo al film Il vincente. L'unica cosa che so è che SICURAMENTE non parla di Mr. Ford, ahahah!
Ford dice: a parte il fatto che si tratta di una pellicola italiana di nicchia - che, dunque, da queste parti parte con l'handicap -, l'unica cosa che so di questo film che è SICURAMENTE non parla di Cannibal Kid. Ahahahahaha!


sabato 27 febbraio 2016

Chuck - Stagione 5

Produzione: NBC
Origine: USA
Anno: 2012
Episodi: 13








La trama (con parole mie): dopo anni passati - volontariamente o no - non solo come agente della CIA, ma come contenitore dell'Intersect, Chuck si ritrova con una propria agenzia di sicurezza da gestire - come sempre coperta dal Buy More -, sposato con Sarah e soprattutto privo dei "poteri" che lo stesso Intersect gli garantiva. Il suo migliore amico Morgan, nuovo ricettacolo del software, pare dunque farsi travolgere dalle capacità che lo stesso fornisce, almeno fino a quando Chuck, Sarah e Casey non scoprono che, in realtà, dietro questa nuova versione dell'Intersect c'è un vecchio agente rinnegato che intende vendicarsi del gruppo di amici spie a tutti i costi, lottando per portare via al novello sposo tutto quello che ha.
Ci riuscirà? E riuscirà Chuck ad affrontare le nuove minacce che si prospettano all'orizzonte contando solo sulle sue abilità da nerd e sul suo cuore?











Suona davvero strano, salutare un compagno di viaggio di casa Ford come Chuck.
Non è, infatti, certo la prima volta che da queste parti si alza il bicchiere in onore di una serie tv portata a termine, eppure, per la prima volta - fatta eccezione, forse, per True Blood -, non si tratta di un titolo cult, o che sia riuscito a sconvolgere gli occupanti del Saloon grazie ad episodi indimenticabili o qualità eccelsa, bensì di una sana proposta di sano intrattenimento che ha fatto parte della nostra vita nei momenti di pranzi e cene fin dai tempi in cui con Julez  eravamo ai primi mesi di convivenza nel nostro indimenticabile appartamento da quasi artisti in centro a Milano al presente con il Fordino pronto a chiedere "Stasera c'è Chuck?", legandoci inevitabilmente ai suoi protagonisti e lasciando per questo addio il sapore dolceamaro da fine delle vacanze al quale non si può scampare.
Dunque, seppur limitando il tutto al divertimento puro e semplice senza alcuna pretesa alta, è con grande partecipazione ed affetto che abbiamo accompagnato Chuck - maturato enormemente dai suoi esordi da nerd senza speranza -, Morgan - curioso vederlo nelle vesti di quasi bad guy negli episodi che l'hanno visto preda del fascino maligno dell'Intersect -, Sarah, Casey - che resterà il mio favorito assoluto della serie -, Ellie e Fenomeno, e perfino i sempre pessimi Lester e Jeff - che, nella sua versione "sobria", ha vissuto una vera e propria rivitalizzazione del charachter in quest'ultima stagione - alla fine del loro viaggio televisivo, godendoci gli scontri, i nuovi casi, le partecipazioni eccellenti - divertentissime le comparsate di Stan Lee e Bo Derek - ed il crescendo che ha portato ad un nuovo capitolo nelle vite di tutti i personaggi e del protagonista, pronti a salutare una serie che, comunque, già da un paio di stagioni mostrava il fianco e non avrebbe retto altre annate senza risultare ripetitiva.
Dunque ci siamo goduti quest'ultima carrellata insieme alle follie di Jeff e Lester, i grugniti di Casey, l'evoluzione del rapporto tra Chuck e Sarah, le sempre numerose citazioni - da Star Wars a Die Hard, passando per i fumetti e i videogiochi -, pensando a quanto, nel frattempo, siamo cambiati anche noi: nel duemilasette, agli esordi di questo titolo, con Julez eravamo reduci da un anno molto wild per entrambi, non sapevamo cosa sarebbe stato del nostro futuro e, non ancora trentenni, costruivamo le cose giorno per giorno: ora cominciano ad avvicinarsi i quaranta, stiamo per diventare genitori per la seconda volta, tante prospettive sono cambiate ma, di fatto, l'entusiasmo per la vita è rimasto lo stesso.
Anche perchè, Intersect o no, in fondo siamo noi a rendere emozionanti i giorni e le avventure cui andiamo incontro, e speciali i legami che ci porteremo dentro anche quando faranno parte del passato: e Chuck è stato un ottimo esempio di questo tipo di emozioni e di esperienze, pur se veicolato da un piglio da fumettone per adolescenti nerd e più risate che lacrime o grandi scossoni.
Ma il bello, spesso, è proprio questo: guardare qualcosa che ci fa sentire bene, nella nostra zona di confort, come una coperta o un paio di ciabatte comode.
O come Chuck.





MrFord





"I was always the one behind 
you would run up and keep me in line 
I looked up to you damn this hurts 
all these years of discipline 
just to end up here at the end 
can you tell me what I've learned 
what I've learned."

N.E.R.D. - "Stay together" - 







venerdì 18 dicembre 2015

Honky Tonk Samurai

Autore: Joe R. Lansdale 
Origine: USA
Anno: 2015
Editore: Einaudi







La trama (con parole mie): Hap e Leonard, ormai superata la soglia dei cinquanta, continuano imperterriti nella loro professione prediletta, quella dei cercaguai. A seguito, infatti, del pestaggio per mano di Leonard del proprietario di un cane incapace di trattare con rispetto il suo animale, si innescano eventi che conducono i due insoliti detectives non solo a rilevare, per mano di Brett, compagna di Hap, l'agenzia del loro amico e datore di lavoro Marvin, tornato in polizia, ma anche ad immergersi in un cold case legato ad una ragazza scomparsa cinque anni prima che li porterà a confrontarsi con una gang di motociclisti, un(?) misterioso, letale e leggendario sicario ed una branca senza scrupoli della Dixie Mafia.
Riusciranno i due inseparabili amici, come sempre sprezzanti del pericolo, a portare a casa la pelle e risolvere il caso? E quale destino attende vecchi compagni d'avventura giunti in loro aiuto come Jim Bob Luke e la killer Vanilla Ride?








Quel vecchio volpone di Lansdale me l'ha fatta un'altra volta.
Stavo andando al lavoro, il giorno in cui ho concluso l'ultima avventura di Hap e Leonard, due tra i personaggi che ho più amato nella mia vita da lettore, e mi sono ritrovato a dover trattenere le lacrime per non passare per uno spostato, o un povero stronzo che piange da solo uscendo dalla metropolitana.
E ho maledetto il buon Joe, che è riuscito a massaggiarmi senza forzare la mano per quattrocento pagine, di fatto fornendo ai suoi eroi ed ai loro compagni d'avventura una sorta di lungo allenamento - come fu, pensando ai volumi precedenti della saga, Rumble Tumble -, prima di affondare il coltello - in tutti i sensi - e penetrare dritto al cuore, con uno dei finali più belli che questa serie abbia regalato al suo pubblico.
E pensare che, fino ad un paio di giorni prima di chiudere quello che, in definitiva, potrebbe diventare uno dei romanzi simbolo della cavalcata di questi due amici fraterni, combinaguai patentati, detectives per caso, con la classifica del meglio del mio anno di lettore già stilata, ero convinto che avrei considerato Honky Tonk Samurai come un ritorno a casa - perchè leggere Lansdale mi fa sempre questo effetto -, ma non come uno dei miei favoriti - come Mucho mojo o Devil Red, per intenderci -: la capacità, invece, semplice e diretta di Joe di dare vita ai suoi charachters a partire da gesti e situazioni che tutti noi viviamo ogni giorno, ha di fatto prodotto un'escalation emotiva pazzesca, giostrata dall'autore con una maestria che potrebbe apparire insolita per un artigiano come lui, che scrive poche ore al giorno per evitare di bollirsi troppo e dedica più tempo alle arti marziali che non alla macchina da scrivere.
Ed ora mi ritrovo con il groppo in gola al pensiero di alcuni passaggi in cui mi sono ritrovato appieno, in quella dichiarazione d'amore che Hap, di fatto, compie all'indirizzo di Leonard, quasi considerandolo più importante della donna che ama, o della figlia che potrebbe aver scoperto di avere: un legame così forte da far sentire l'intensità che solo il sangue, di norma, garantisce, e che questi due scanzonati, malinconici, cazzuti e magnifici personaggi hanno regalato ad una generazione di lettori e continueranno a regalare alle generazioni che verranno, un pò come quei cowboys guasconi ed un pò tristi che hanno popolato l'immaginario dei Western che amavano i nostri nonni e sono ancora in grado di far venire i brividi alla base del collo anche a noi, che vediamo la Frontiera sempre più all'orizzonte.
E in questo senso Honky Tonk Samurai diventa una riflessione sul tempo che passa, sul passaggio dalla corsa alla camminata veloce, dal carico sui pesi che diminuisce aumentando le serie, sulla presa di coscienza che, per quanto si possa ridere e spassarsela e strizzare l'occhio alla resa progressiva alla quale ci costringe la Natura, all'amore della vita più forte di tutti i nostri limiti di mortali, è inevitabile che, prima o poi, si debba pagare il conto.
Anche quando si è eroi.
O si crede di esserlo.
In attesa del momento in cui anche io dovrò accettare, volente o nolente, questa realtà, continuo e continuerò a lottare accanto a questi due fratelli, a Lansdale, a tutto quello che significano la Frontiera, l'amore per la vita e per chi, nascita o no, ci entra nel sangue per sempre.




MrFord





"She's a natural disaster
she'll tear the land in two
she's running to be running
cause it's all she knows to do
she's a tumbleweed rolling
a river running wild
a hurricane blowing
she's the calm after the storm
under an Appalachian sunset sky."
Zac Brown Band - "Natural disaster" - 






venerdì 11 dicembre 2015

Banshee - Stagione 3

Produzione: Cinemax
Origine: USA
Anno: 2015
Episodi: 10






La trama (con parole mie): a Banshee la situazione è più complicata e caotica del previsto. Hood, sceriffo per caso e criminale per vocazione, continua a portare avanti il suo progetto che vede colpi sempre più complicati portati a termine accanto ai soci Job e Sugar e all'ex donna della sua vita Carrie alla vita di tutti i giorni da tutore dell'ordine e compagno della collega Siobhan.
Il conflitto tra il boss locale Kai Proctor e la comunità di nativi americani guidati dal ribelle e violento Chayton, però, esaspera la situazione, e mentre l'ultimo colpo dei nostri finisce per metterli nei guai rispetto ad una frangia particolarmente estrema e vendicativa dell'Esercito, la guerra per il potere criminale di Banshee lascia vittime da entrambe le parti, forzando la mano dello sceriffo oltre misura.
Riuscirà Hood a fare fronte a violenza, vendetta e perdita?










Se, visto il panorama attuale delle serie televisive, si dovesse tenere un sondaggio a proposito della proposta più fordiana attualmente in circolazione sul piccolo schermo, il risultato sarebbe certo e quasi senza alcun dubbio: Banshee vincerebbe a mani basse.
Botte, sesso, altre botte ed altro sesso per una delle proposte più tamarre e scriteriate che possiate immaginare, assolutamente irrealistica eppure clamorosamente pane e salame, che dopo due stagioni solide come roccia si è affacciata di nuovo - e con colpevole ritardo - sugli schermi del Saloon.
E devo ammetterlo: il primo episodio, forse il meno riuscito della storia del prodotto, aveva stimolato addirittura il dubbio che ormai la proposta Cinemax fosse giunta al suo apice, e non avesse di fatto più nulla da dire al pubblico.
Niente di più sbagliato: grazie ad una serie di episodi forse un pò troppo slegati tra loro eppure violentissimi ed efficaci come non mai, Banshee garantisce ancora una volta il risultato, riuscendo a tenere alta la tensione, regalare sequenze action da paura, coreografie sui combattimenti corpo a corpo degne dei migliori film di genere - pazzesca la sequenza di Burton, tirapiedi di Proctor, e la sorella di Longshadow, tra i protagonisti delle scorse due stagioni -, ad avere il coraggio di eliminare personaggi importanti per la saga di Lucas Hood - antagonisti o amici che siano - ed introdurne altri che già dalla prima inquadratura finiscono per traboccare carisma - il neo acquisto del dipartimento di Banshee Bunker, ex nazista, sosia giovane e palestrato di Keanu Reeves e già idolo fordiano -.
Il confronto con Chayton - culminato con una "gita fuori porta" nel cuore di New Orleans -, la consueta ed ormai consolidata rivalità con Proctor - che pare una versione sanguinosa di quella tra il sottoscritto e Cannibal -, la situazione legata alla propria identità ed il colpo progettato da Hood, Job, Sugar e Carrie ai danni dei militari di un campo non lontano da Banshee mettono sale e pepe sulle ferite che questa stagione è pronta a lasciare negli spettatori, sempre più senza mezze misure e, forse, la più efficace dalla nascita di questo titolo sguaiato eppure piacevolissimo da seguire.
Nonostante i dubbi sorti con il primo episodio - l'unico sottotono, sia chiaro -, ed il numero di stagioni e puntate che cresce, Banshee si conferma come uno degli appuntamenti imprescindibili del Saloon per quanto riguarda il piccolo schermo, sempre in bilico tra cult e trash, sangue e merda - per dirla in modo pure troppo pulp -, eccesso ed insospettabile profondità: il prossimo gennaio, dunque, gli occupanti del Saloon saranno ancora una volta in prima linea, pronti a seguire le peripezie di Lucas Hood - o di qualunque sia il suo vero nome - e dei suoi soci, dei suoi nemici e di chi, semplicemente, nel caos di Banshee finisce per ritrovare se stesso a suon di pugni dati fino a sbucciarsi le nocche.
E non si potrà certo dire che qualcuno tra questi cazzutissimi e tosti charachters non se lo sarà guadagnato con il sudore della fronte ed una serie considerevole di cicatrici lasciate sul corpo e nel cuore.





MrFord





"Every rose has its thorn
just like every night has its dawn
just like every cowboy sings his sad, sad song
every rose has its thorn."
Poison - "Every rose has its thorn" -





venerdì 2 ottobre 2015

Big game - Caccia al Presidente

Regia: Jalmari Helander
Origine: Finlandia, UK, Germania
Anno:
2014
Durata: 90'






La trama (con parole mie): Oskari è un quasi tredicenne finlandese figlio di un grande cacciatore, pronto al rito di passaggio che, nel giorno del suo compleanno, lo vedrà trascorrere ventiquattro ore da solo nelle foreste del Nord del suo Paese in modo da riportare un trofeo di una preda a chi lo aspetta al campo base.
William Moore è il Presidente degli Stati Uniti: l'uomo più potente dello Stato più potente del mondo.
In volo sull'Air Force One con destinazione Helsinki per una conferenza, però, non sa che una talpa nel suo equipaggio, pagata da un gruppo di terroristi che li attendono a terra, progetta di far precipitare il velivolo, uccidere la scorta e rapirlo per poi chiudere la pratica in diretta web.
Quando la capsula di salvataggio del Presidente viene trovata da Oskari, però, il copione già scritto dagli attentatori cambia: il giovane aspirante cacciatore, infatti, sarà una spina nel fianco più tosta del previsto.










Una delle cose che mi ricorderà maggiormente questo duemilaquindici cinematografico sarà senza dubbio il tentativo - voluto o no, nessuno lo saprà mai davvero - di tornare, almeno per quanto riguarda l'action ed i popcorn movies, ad una dimesione più vicina possibile a quella che ha reso noti gli anni ottanta: l'esagerazione sguaiata pane e salame senza ritegno alcuno.
Ai tempi dell'uscita in sala di Big Game, lo scorso giugno, bollai il prodotto come uno dei tanti fondi del barile che vengono raschiati per la stagione estiva in sala, non preoccupandomi troppo di recuperarlo, se non finendo per imbattermici praticamente per caso quando l'estate volgeva ormai al termine, in una serata per la quale avevo bisogno del minimo impegno e del minimo sforzo, considerato che avevo deciso di allenarmi durante la visione ed avere tempo, la mattina successiva, di prepararmi per il primo giorno di asilo del Fordino.
A conti fatti, il lavoro di Jalmari Helander, regista finlandese più noto come sceneggiatore relativamente giovane che non si sa con quali stratagemmi sia riuscito a guadagnare la direzione di un prodotto da lui anche scritto con un budget non da poco ed un cast che comprende nomi decisamente importanti come Samuel Jackson, Ray Stevenson, Felicity Huffman e soprattutto Jim Broadbent, uno più noto per il Teatro ed i film d'autore che per prodotti come questo, è una schifezzona trash che non avrebbe sfigurato nel pieno degli eighties in grado di mescolare Cliffhanger ai film di formazione per pre-adolescenti, eppure, devo ammetterlo, il suo sporco lavoro d'intrattenimento l'ha svolto alla grande.
Certo, se vi aspettate una cosa profonda legata alla formazione del piccolo protagonista - con un volto quasi felino che cinematograficamente funziona alla grande - o una logica dietro le scelte dello script avete sbagliato indirizzo - e anche di parecchio -, ma se l'idea è quella di spegnere il cervello e seguire l'evoluzione di un film d'avventura in campo aperto - bellissime le locations delle riprese bavaresi, nonostante la vicenda sia ambientata in Finlandia - allora avrete trovato pane per i vostri denti: piccolo protagonista in cerca di riscatto figlio di un padre troppo ingombrante, Presidente USA tendenzialmente vigliacco e dal poco carattere pronto a prendersi a sua volta una rivincita, un paio di villains da fumettone - Ray Stevenson ed il capo dei terroristi - ed un altro da film di spionaggio, esplosioni, battute, momenti di quasi epica action - il salto del giovane Oskari, il volo dentro il congelatore - e tutto quello che serve per lasciare che il cervello si prenda un ultimo weekend off prima di affrontare l'autunno e tutto quello che ne consegue.
Di fatto nulla, o quasi, nel corso dell'ora e mezza scarsa segue un filo logico che potrebbe mostrare un qualsiasi nesso con la realtà, ma in questi casi va benissimo così, alla facciazza del floppone che è stato negli USA questo film e della curiosa nuova tendenza del Cinema finnico, che pare più votato al trash che non all'autorialità come ai tempi di Kaurismaki.
Lasciati dunque a casa i lamentoni ed i radical chic, potrete mettere a letto i bambini - almeno quelli piccoli, perchè secondo me dalle elementari in poi roba come questa è una pacchia, considerato anche il protagonista - e godervi questa roboante - era parecchio che non vedevo così tante esplosioni in un film dove non comparisse un action hero dei miei - schifezzona dall'inaspettato potenziale d'intrattenimento: vi assicuro che sarà un toccasana almeno quanto quella volta in cui avete detto al vostro capo cosa veramente pensate di lui o vi siete presi, a sorpresa di chi vi sta intorno, un'inaspettata rivincita sul Destino.
O qualunque sua incarnazione convinta di poter avere la meglio su di voi.




MrFord




"There is no turning back from this unending path of mine
serpentine and black it stands before my eyes
to hell and back it will lead me once more
It's all i have as i stumble in and out of grace
I walk through the gardens of dying light."
H.I.M. - "The path" - 





domenica 26 aprile 2015

Man of Tai Chi

Regia: Keanu Reeves
Origine: USA, Cina, Hong Kong
Anno: 2013
Durata: 105'




La trama (con parole mie): Mark Donaka, miliardario appassionato di scontri di arti marziali e di violenza, finanzia un campione al quale chiede di difendere la propria vita contro sfidanti sempre più forti vendendo il tutto come un prodotto per un'elite annoiata di uomini ricchi ed influenti come lui. Scoperto per caso nel corso di un torneo l'aspirante Maestro di Tai Chi Tiger Chen, Donaka decide di farne il nuovo volto del suo personale giocattolo, spingendolo sempre di più verso il lato oscuro grazie a soldi, sicurezza e combattimento: Tiger, influenzato anche dalle necessità del suo Maestro e dalla situazione economica del tempio che lo ospita, finisce dunque per lasciarsi coinvolgere sempre di più nel nuovo ruolo di simbolo di questo circolo di lotta segreto, sconfiggendo uno sfidante dopo l'altro.
Quando, però, la parte "malvagia" del suo Tai Chi e del suo carattere viene a galla, Tiger scoprirà che il nemico più temibile con il quale dovrà confrontarsi sarà se stesso.








I film di botte - specialmente quelli di arti marziali - sono stati uno dei pilastri della mia formazione di tamarro e cinefilo, per quanto le due cose possano - solo superficialmente - apparire clamorosamente spaiate: con il passare degli anni - e soprattutto, lasciato alle spalle il periodo radical chic della mia esistenza di spettatore -, ho rivalutato questo tipo di prodotti godendomi sia le parentesi più autoriali del genere - The Raid e The Raid 2 su tutte -, i classici intramontabili - Kickboxer o Senza esclusione di colpi - e le nuove chicche figlie del credo dei calci rotanti come questo Man of Tai Chi, pellicola interpretata e soprattutto girata da un Keanu Reeves nell'insolita veste del villain che mescola atmosfere ed un cast interamente orientali ad una produzione tipicamente figlia del larger than life a stelle e strisce.
Il risultato è stato clamorosamente ben inquadrato da Julez nel corso della visione, grazie ad uno dei commenti più illuminati che si potessero esprimere rispetto al Cinema di botte: "i film di questo tipo sono come i porno: una storia risibile e raccordi che speri finiscano il più presto possibile per vedere il combattimento successivo".
Probabilmente neppure con una benedizione di Jean Claude Van Damme in persona sarei riuscito a definire meglio il tripudio di goduria che è, di fatto, questo tipo di prodotto, nato per esigenze principalmente ludiche, impreziosito dalle esibizioni dei talenti messi in campo - sorprendente il pur ridicolo, almeno nella capigliatura, Tiger Chen, e da urlo per gli appassionati il pur breve confronto con l'Iko Uwais dei due già citati The Raid nel finale, così come il duello con lo stesso Reaves, che sfoggia un parco mosse decisamente tosto per un attore ormai cinquantenne, per quanto invecchiato bene come lui - e certamente subordinato a sceneggiature che non hanno il dovere di mostrarsi rispettose di logica ed affini.
Nonostante l'ovvia pochezza dello script, comunque, Man of Tai Chi non disdegna di mescolare nel suo cocktail anche una certa ricerca di approfondimento legata al confronto con il "Lato oscuro" del protagonista, sfruttato alla grande anche rispetto alla scelta dei Tai Chi, da sempre disciplina più legata alla meditazione ed all'esibizione che non al combattimento vero e proprio: il percorso di Tiger, conquistato progressivamente dalla possibilità di sfogarsi e liberare tutte le sue energie in battaglia ed avere dai risultati un riscontro in termini di fama e denaro che nella vita di tutti i giorni non ha mai potuto assaporare risulta quantomeno interessante, e seppur clamorosamente derivativa - qualcuno ha detto Guerre Stellari!? - la questione legata al "Lato Oscuro della Forza" è da sempre una tematica che tocca ognuno di noi, in misura più o meno sentita.
Se, però, il meccanismo legato alla corruzione dell'anima del "campione del Bene" trova un senso, ne ha meno l'intera parte legata alle indagini della polizia su Donaka - che paiono effettivamente un riempitivo sfruttato per evitare un minutaggio eccessivamente basso -, colpevole con i suoi non sempre interessanti sviluppi di togliere minuti preziosi alle esibizioni non solo del main charachter in battaglia, ma anche dei numerosi e decisamente differenti - per stile e fisicità - combattenti chiamati a raccolta da Keanu Reeves.
Probabilmente, se si fosse spinto maggiormente sulla componente tournament in pieno stile Mortal Kombat, Tekken o Senza esclusione di colpi i fan hardcore di questi prodotti avrebbero potuto quasi gridare al miracolo, mentre il risultato è "solo" quello di un prodotto che stimola l'amarcord di chi, per l'appunto, con tutto quello che è esistito da Bruce Lee in avanti è cresciuto.
Un plauso, ad ogni modo, al coraggio del buon, vecchio Keanu ci sta tutto: un esperimento di questo genere, infatti, non sarebbe stato da tutti, ed averlo proposto significa quantomeno che il protagonista del recente - e spassosissimo - John Wick adora i film di arti marziali e botte almeno quanto il sottoscritto.
E dunque, qui al Saloon c'è una serata offerta dalla casa per ubriacarsi allo sfinimento che porta già il suo nome.




MrFord




"Fear of the dark,fear of the dark
I have constant fear that something's always near
fear of the dark,fear of the dark
I have a phobia that someone's always there."
Iron Maiden - "Fear of the dark" - 






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