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venerdì 9 febbraio 2018

Timecop - Indagine dal futuro (Peter Hyams, Canada/USA/Giappone, 1994, 99')





Credo che tutti gli avventori del Saloon sappiano quanto Jean Claude Van Damme sia amato, da queste parti: di poco sotto - almeno per il sottoscritto - agli inarrivabili Schwarzy e Stallone, infatti, l'attore ed artista marziale belga è stato protagonista delle prime visioni tamarre della mia infanzia e prima adolescenza, in quei pomeriggi passati con mio fratello a rivedere fino allo sfinimento le pellicole con protagonisti questi inossidabili e mitici action heroes.
Curiosamente - o forse perchè uscito in sala quando ero già entrato nell'adolescenza, tunnel che mi portò ad abbandonare tutto quello che era tamarro e sopra le righe per diversi anni, rinunciando perfino ai miei suddetti eroi dell'infanzia - il film che portò il più grande successo al botteghino per JCVD, nonchè uno dei meglio considerati dalla critica, Timecop, non era mai passato da queste parti.
La recente visione della geniale Jean Claude Van Johnson, però, i paragoni con Looper ed il culto che pare gravitare da parte dei fan attorno a questo titolo hanno solleticato la mia curiosità, colmando finalmente una lacuna che non poteva esistere, nella carriera di un appassionato come il sottoscritto.
Senza dubbio posso affermare che, se Timecop avesse avuto alle spalle una produzione meno cheap ed un regista più talentuoso, grazie ad una sceneggiatura con ottimi spunti e alla notorietà di Van Damme, avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare un cult a tutti gli effetti, considerato quanto i viaggi nel Tempo affascinino da sempre il pubblico, anche quando non si parla necessariamente di appassionati: d'altra parte, forse per età, forse per l'invecchiamento di una pellicola che trabocca anni novanta da ogni fotogramma, ma soprattutto per un coinvolgimento atletico decisamente basso per il protagonista - è uno dei suoi film meno "da calci rotanti" - non penso che Timecop sarà mai uno dei miei favoriti della sua filmografia, che restano inesorabilmente Senza esclusione di colpi e Kickboxer.
Nonostante questo, ovviamente, la visione è stata un vero spasso, in bilico tra una trama comunque ben costruita - che ricorda i paradossi della trilogia di Ritorno al futuro e si lega idealmente a pellicole più recenti come, per l'appunto, Looper - e la visione "futuribile" di un duemilaquattro che per i tempi aveva il sapore del Nuovo Millennio in stile Terminator o Demolition Man, con un gruppo di cattivi senza possibilità di redenzione e l'eroe positivo e tormentato nella migliore tradizione del Nostro, che concede un paio di chicche ai suoi fan hardcore come la sequenza con il borseggiatore sui rollerblades e la spaccata sul piano della cucina per fuggire alla scarica elettrica.
Certo, non penso consiglierei mai un titolo di questo tipo - non tanto per il genere, quanto per il fatto che risulta decisamente datato - a qualcuno che non sia legato affettivamente a Van Damme ed al suo contributo spettacolare al Cinema di botte, ma doveste rientrare nel novero ed essere nella situazione in cui ero anch'io fino a poco tempo fa, Timecop è senza dubbio una visione obbligatoria, non fosse altro perchè rappresenta l'apice della carriera - in termini di successi - di JCVD prima del rilancio avuto negli ultimi anni a seguito della riscoperta di queste vecchie glorie ed uno dei migliori tentativi di portare le sue tipiche interpretazioni e pellicole ad un livello qualitativamente più alto - ci riuscì anche, e con esiti senza dubbio migliori, John Woo, prima dell'apice rappresentato da JCVD, il film e non il protagonista, e la già citata Jean Claude Van Johnson nel Nuovo Millennio -.



MrFord




 

venerdì 7 aprile 2017

Command performance (Dolph Lundgren, USA, 2009, 93')




Se Stallone, Schwarzenegger e Van Damme sono i simboli intoccabili di un'epoca fantastica che ancora oggi mi godo come una macchina del tempo, molti sono i volti di quegli anni ottanta votati all'action tamarra che qui al Saloon sono praticamente di casa: uno di questi è quello di Dolph Lundgren, che tutti gli amanti del genere avranno incontrato - o ricorderanno - per la prima volta in Rocky IV nel ruolo di Drago, anche se sono molte le chicche che ha regalato negli anni, da Resa dei conti a Little Tokyo a Red Scorpion.
Quello che almeno i suoi detrattori non sapranno è che il buon Dolph, oltre ad essere uno specialista di Karate, conoscere sei o sette lingue, avere un Q. I. di centosessanta o simili, una laurea al M.I.T. - se non ricordo male in ingegneria chimica -, essere un ottimo musicista, ha sempre preferito la carriera d'attore a quella del professore: nel caso di Command performance, solido action televisivo che non sarà un miracolo di qualità ma che fa barba e capelli ad altri suoi simili - vedasi tutta la produzione recente che vede protagonisti il già citato Van Damme o ancora peggio Steven Seagal -, l'ex Ivan Drago non solo si cimenta come di consueto in botte da orbi e sparatorie, ma anche dietro la macchina da presa - come regista - e da scrivere - come sceneggiatore -.
Certo, non sarà Sly - che resta il numero uno, in questo senso -, il lavoro è abbastanza grezzo e piuttosto lineare, le sequenze d'azione non memorabili e la trama davvero basic, eppure il tutto si lascia guardare senza colpo ferire, riuscendo ad intrattenere quello che serve specie quando ci si trova, come nel mio caso, a sfruttare film di questo tipo come sottofondo per le giornate passate con i Fordini - in questo caso era presente la sola Fordina, che potrà così vantarsi di aver visto il suo primo film con Dolph Lundgren prima di aver compiuto un anno -.
Prendendo spunto dall'epoca di transizione tra Unione Sovietica e Russia, buttando nel calderone un pò di rock and roll, una storia di vendetta ed uno scenario da terrorismo quasi in anticipo sui tempi - l'attacco al concerto mi ha ricordato, con qualche brivido, quello che ha sconvolto Parigi ed il mondo un anno e mezzo fa - Dolph confeziona un prodotto di grana grossa perfetto per gli appassionati del genere, senza farsi troppi problemi o pensieri e portando a casa una pagnotta non per tutti i palati, ma comunque giusta per godersi una serata a cervello spento.
I divertiti riferimenti, poi, alla sua età ed alla "vecchia scuola", per quanto lontani dalla magia di cose come Expendables 2, funzionano, e non essendo presenti sequenze in cui il Nostro sia impegnato in una corsa - penso sia il secondo uomo a correre peggio al mondo dopo Nicholas Cage, sarà colpa dell'altezza - il fu Drago spiezza ancora in due senza troppi pensieri o problemi.
Se, dunque, avete bisogno di un divertente intermezzo per i vostri neuroni, o siete in cerca di una pellicola assolutamente non impegnativa per una serata da rutto libero, dateci dentro: e ricordate, mentre lo fate, che il tamarro biondo di quasi due metri che state guardando avrebbe potuto essere il vostro professore di chimica.
E per fortuna non è stato così.




MrFord




sabato 13 febbraio 2016

Walking tall - A testa alta

Regia: Kevin Bray
Origine: USA
Anno: 2004
Durata: 86'






La trama (con parole mie): Chris Vaughn, ragazzone di provincia che ha abbandonato tutto per intraprendere una carriera militare nei corpi speciali, torna dopo otto anni nei luoghi in cui è cresciuto per ricominciare una vita normale, ritrovando i vecchi amici, i genitori, la sorella ed il piccolo nipote.
Peccato che la sua cittadina sia radicalmente cambiata, al posto della segheria che dava lavoro a molti degli abitanti è stato aperto un Casinò gestito dal vecchio compagno di scuola di Chris Jay Hamilton, ed attorno allo stesso fioriscano attività criminali che minacciano non solo la vita tranquilla dei locali, ma anche il loro futuro.
Quando Chris decide che le cose devono cambiare, finisce nel mirino di Hamilton e dei suoi sgherri, che dalla violenza agli agganci politici cercheranno in tutti i modi di fermarlo: peccato che Vaughn non abbia alcuna intenzione di abbassare la testa.










A volte, quando mi rendo conto di non avere mai visto alcuni action tamarri oltre misura, resto sconcertato di me stesso.
Ai tempi dell'uscita in sala di Walking tall - A testa alta, del resto, ero nel pieno del mio fervore radical-cinefilo, spinto solo ed esclusivamente dai Classici e dai titoli d'essai estremo e pronto, se non a rinnegare, a considerare i miei trascorsi da tamarro della settima arte come incidenti di percorso e poco altro: come se non bastasse, nonostante avessi ripreso a seguire il wrestling con una certa frequenza già dal duemiladue dopo un'interruzione di quasi dieci anni, la presenza di The Rock non risultava abbastanza per potermi convincere a recuperare un prodotto di questo genere, che cadde nel dimenticatoio e vi rimase fino a quando, non troppo tempo fa, il mio amico e collega Steve non strabuzzò gli occhi scoprendo che non l'avevo mai visto.
Inutile affermare che il recupero, soprattutto dopo i racconti del mio buddy e la visione del trailer, è stato fulmineo e ben più che godurioso: il lavoro assolutamente di grana grossa di Kevin Bray, infatti, pare un concentrato di tutto quello che di divertente, spassoso, sopra le righe e chiassoso poteva essere ritrovato in un qualsiasi prodotto di culto di questo filone nei miei adorati anni ottanta, dal protagonista invincibile ma ugualmente outsider a suo modo alla spalla comica - divertentissimo il folle Johnny Knoxville, al quale vorrò sempre bene per avere regalato al mondo Jackass -, dai valori a stelle e strisce del nostro eroe - Famiglia e rettitudine innaffiate di birra e mazzate - al livello stellare di stronzaggine del bad guy di turno - il Neil McDonaugh che ho imparato ad odiare con piacere anche in Justified, ben spalleggiato da Kevin Durand, che pare disegnato per i ruoli da sacco di merda -, con tanto di tutto è bene quello che finisce bene e fanciulla di turno ad incorniciare il prodotto finito.
Il buon The Rock - che, ai tempi, ancora si faceva accreditare come The Rock e non come Dwayne Johnson - riesce poi a combinarne davvero di tutti i colori: dal ritorno a casa in stile Rambo alla partita di football tra amici che mi ha riportato alla mente quella - mitica - di Sorvegliato speciale, dalla caduta alla resurrezione, dalle legnate - metaforiche e letterali - distribuite a mazzi ai cattivoni di turno - bellissima l'idea dell'asse come "accompagnatrice" - alla capacità di difendersi da solo anche in tribunale, dalle strade dove viene abbandonato e dato per morto all'ufficio dello sceriffo, in un turbine di energia e cazzotti che trascina neanche fossimo tutti tornati dodicenni e sognassimo di essere noi quel ragazzone pronto a rompere il culo a chiunque non faccia la cosa giusta.
Personalmente, oltre a voler correre immediatamente ad acquistare il bluray, non mi divertivo in questo modo dai tempi di Sly, Schwarzy, Van Damme, Willis, Russell e bella compagnia, tanto da rivedere nel The Rock di allora tutti loro a turno, ognuno con le proprie mosse e con le proprie specialità: questo perchè - ed è un grande merito - di fatto Walking tall racconta una storia fondamentalmente universale, che si adatta ad ogni genere ma trova la sua dimensione migliore in quello più larger than life di tutti quanti: l'action.
Potrete dunque facilmente immaginare quanto il sottoscritto ci si sia sentito a casa.




MrFord




"There has to a place for me
where I belong right now
I don't need a dynasty, a name to share, a heart to care
that's really old, then I'll be walking tall."
Lyle Lovett - "Walking tall" - 





martedì 20 ottobre 2015

Ford's five

La trama (con parole mie): le iniziative che ormai da anni noi bloggers cinefili portiamo avanti grazie allo zoccolo duro formatosi proprio a partire dalla passione comune per la settima arte si susseguono e rinnovano, e anche questo mese prendono forma grazie ad un'idea interessante del sempre mitico Kris Kelvin di Solaris, che ha lanciato una sfida molto particolare.
Scegliere cinque titoli che ognuno di noi avrebbe voluto dirigere.
Non i nostri film preferiti, ma quelli che ci vedrebbero meglio dietro la macchina da presa.
Ed ecco le scelte del Saloon.


Personalmente, non ho mai sognato, malgrado il mio sconfinato amore per il Cinema, di essere o provare a fare il regista.
Il lavoro dell'uomo dietro la macchina da presa, malgrado sia supportato da quello di produttori, tecnici ed attori, è complesso ed ingrato, nonchè l'equivalente di quello di un direttore di un'orchestra di norma non disciplinata quanto quelle cui ci ha abituati la Musica: mi troverei certamente più a mio agio nel ruolo di sceneggiatore, e nonostante la mia allergia ai palcoscenici perfino con quello di attore, prima che di regista.
Eppure l'idea di Kris Kelvin ha subito solleticato la mia immaginazione: dovendo scegliere cinque film che mi sarebbe piaciuto dirigere, quali avrei scelto?
Dal primo giorno in cui ho pensato a questo post ho rivissuto migliaia di film con la memoria, passando in rassegna i miei preferiti, i vari generi e le incarnazioni differenti degli stessi, stilando liste su liste e rivedendo le mie scelte più e più volte.
Fino a decidere di compiere un passo oltre: immaginare, infatti, quali sarebbero state le pellicole più adatte ad un mio ipotetico ruolo dietro la macchina da presa, non mi è bastato più, ed ho voluto pensare anche ad un'epoca precisa.
E con il cuore in mano, mettendo da parte il mio amore per i Classici, per Kubrick, Fellini e Kurosawa, per il Western e il Cinema impegnato degli anni settanta, ho pensato che un tamarro come me avrebbe dato il meglio, come regista, solo e soltanto nel corso dei gloriosi eighties.
Se, dunque, avessi avuto il mio momento di gloria nel corso di quel mitico decennio, queste sarebbero state senza ombra di dubbio le mie personali pietre miliari:



Uno degli eroi della mia infanzia, il pugile Rocky Balboa, icona pop che ha conquistato l'immortalità cinematografica e garantito successo, denaro e fama al suo creatore ed interprete Sylvester Stallone, non avrebbe potuto mancare al mio curriculum di regista.
Senza contare che, di fatto, questo è il capitolo più drammatico ed allo stesso tempo sopra le righe della saga, da Eye of the tiger alla morte di Mickey.
Il mio primo successo al botteghino.




Le storie sportive e di riscatto legate alle figure degli outsiders sono da sempre una mia passione, e nonostante gli anni ottanta abbiano regalato un supercult di genere come I Goonies, penso che con le avventure di Daniel-San e del Maestro Miyagi e la loro rivalità con l'indimenticato Cobra Kai avrei potuto davvero dare il meglio.
Senza contare che sarei stato ricordato come il regista di "Dai la cera, togli la cera" e del colpo della gru.
Mica robetta.





Il primo segno di autorialità dietro la maschera del cazzone casinaro.
Le mitiche avventure di Jack Burton avrebbero segnato un'altra tappa fondamentale del mio cammino come regista, con un incursione inaspettata nel fantasy e nel mondo degli effetti speciali - per i quali avrei chiesto senza dubbio una consulenza - senza dimenticare mai, comunque, di fare andare un pò le mani.
E sarebbe stato fantastico presenziare alla prima abbigliato come il protagonista.




Elettrizzato dall'utilizzo degli effetti in Grosso guaio a Chinatown, avrei fatto carte false per dirigere uno dei cult assoluti per l'action segnata dalla fantascienza come Predator, reso unico da uno dei mostri più belli della Storia del Cinema e dall'utilizzo delle macchine da presa industriali create per mostrare le emissioni di calore.
Forse sarebbe stata la mia sfida produttiva più ambiziosa, con tanto di difficoltà di budget e location ostiche, ma avrei avuto l'occasione di dirigere un altro mito della mia infanzia, Arnold Schwarzenegger.





Gli anni ottanta sono finiti, e con loro un certo tipo di eroi e prodotti.
Per celebrare quello che sarebbe stato il mio canto del cigno prima dell'inizio di una seconda parte di carriera da artigiano della settima arte, avrei dato tutto per regalare al pubblico uno degli action più tosti ed adrenalinici di sempre, tra Los Angeles, rapine in banca e surf, cavalcando fieramente l'ultima grande onda della mia carriera.



MrFord




Partecipano, direttive alla mano, all'iniziativa:

Pensieri Cannibali
Cinquecento Film Insieme
Solaris
Scrivenny
In Central Perk
Mari's Red Room
Director's Cult
Non C'è Paragone

giovedì 20 marzo 2014

Steven Seagal Action

La trama (con parole mie): come già accaduto in occasione della pubblicazione delle collane dedicate a Bud Spencer e Terence Hill e alla Grande boxe, al Saloon torna ad essere ospitata un'iniziativa targata La gazzetta dello sport che farà felici intere schiere di appassionati di action, e che ripercorrerà l'intera carriera di una delle icone del Cinema di botte, Steven Seagal.






Per la felicità di Ford padre - ormai nonno, dall'arrivo del Fordino - prima ancora di quella del sottoscritto, La Gazzetta Dello Sport, a partire dal 13 Marzo al prezzo lancio di di 9,99€ oltre a quello del quotidiano, ha dato il via ad un'iniziativa imperdibile per tutti i fan dell'action sfrenata: la Steven Seagal Action.

L’opera si compone di 33 dvd e raccoglie i migliori film d'azione di Steven Seagal, campione di arti marziali e cintura nera 7° Dan di Aikido, noto al pubblico tutto, e non solo agli accaniti sostenitori del genere,
nonchè prezioso pezzo da collezione per gli amanti dell'action movie e delle arti marziali.

In ogni dvd sarà presente un booklet di 32 pagine che racconterà tutte le curiosità ed i retroscena sul film, con una biografia dettagliata e a puntate di Seagal. 
Inoltre a completare il booklet approfondimenti socio-culturali sugli anni 80 e biografie dei principali interpreti dei film.

Come se tutto ciò non bastasse, per le prime 3 uscite i titoli “Nico”, “Trappola in alto mare” e “Trappola sulle Montagne rocciose” - senza dubbio i vertici della carriera del buon Steven -  i DVD saranno disponibili per la prima volta anche in versione Blu-Ray.

Considerato il tipo di iniziativa - e sperando, un giorno, di vederla replicata anche per gli altri principali action heroes anni ottanta - non c'era posto migliore del Saloon per diffondere a dovere la voce, e festeggiare il momento con un brindisi corposo ed un paio di calci rotanti.

Correte dunque in edicola, e buttatevi a capofitto nel mitico mondo degli action movies protetti da un ospite d'eccezione: Steven Seagal.


MrFord




sabato 12 ottobre 2013

24: redemption

Regia: Jon Cassar
Origine: USA
Anno: 2008
Durata: 84'




La trama (con parole mie): Jack Bauer, al termine delle vicende della sesta stagione di 24, si trova nel cuore dell'Africa presso la scuola amministrata da un ex agente delle Forze speciali suo vecchio amico, rifugio presso il quale ha trovato una sua dimensione da mesi dopo aver viaggiato praticamente in ogni continente.
Quando un sedicente generale pianifica un colpo di stato sfruttando bambini soldato e armamenti forniti da un misterioso finanziatore di Washington, il ruvido Jack si troverà di nuovo costretto ad imbracciare le armi in modo da salvare i giovani allievi della scuola, e garantire loro una via di fuga verso un futuro di speranza negli States, in procinto di salutare l'elezione di un nuovo Presidente.




I frequentatori più assidui del Saloon ben conoscono, ormai, la predilezione ed il profondo rispetto che suscitano nel sottoscritto gli action heroes, personaggi destinati ad entrare nell'Olimpo dei preferiti fordiani di sempre nonchè a costutuire l'ossatura di quelle che saranno le prime visioni del Fordino non appena comincerà a desiderare qualcosa di diverso dai cartoni animati.
Negli ultimi anni, complice la crisi "cinematografica" del genere, in soccorso a questo vecchio cowboy è giunto uno dei charachters più tosti del genere, il reazionario Jack Bauer, protagonista di una serie cult - 24, di ritorno nel 2014 con una nuova stagione - dal ritmo serratissimo e sempre in grado di divertire grazie ad una mancanza di ironia dal curioso potere di assumere una valenza positiva proprio perchè pronta a prestare il fianco a commenti e riflessioni a proposito di problematiche quali la stupidità dei terroristi di turno che, dopo aver constatato di aver a che fare con il suddetto Bauer, continuano a sperare che i loro piani possano andare a buon fine.
Avendo da non troppo tempo terminato la visione della sesta stagione, ed avendo appreso dell'esistenza di un film per la tv realizzato come raccordo con la settima - prossimamente su questi schermi -, ho recuperato in men che non si dica 24: redemption, che racconta una disavventura nel cuore dell'Africa dilaniata dalle guerre civili e dal problema dei bambini soldato vissuta dal vecchio Jack, convinto a non fare più ritorno negli States.
Badate, però: non siamo nei paraggi del bellissimo Rebelle, o di un titolo di genere come potrebbe confezionarlo Michael Mann.
A dire il vero non siamo neppure vicini a Michael Bay, o a Blood diamond.
Purtroppo, quello che pare una sorta di episodio tirato per le lunghe - seppur sempre narrato in tempo reale - della serie è un prodotto di qualità decisamente bassa, reso divertente solo dai commenti e che neppure le gesta come di consueto al limite dell'incredibile di Bauer riescono a rendere interessante.
Uniche segnalazioni degne di nota sono la partecipazione di Robert Carlyle e l'introduzione di un Presidente degli Stati Uniti donna, segno di quanto in qualche modo avveniristica è stata questa serie: dopo aver anticipato i tempi inserendo il charachter del Presidente afroamericano Palmer, infatti, è la volta dell'ex senatrice Allison Taylor segnare un'epoca che, dalla nostra parte dello schermo, non si è ancora trasformata in realtà - anche se sono convinto che non manchi poi molto, a quel momento -.
Per il resto parliamo di un action movie scontato e piuttosto bolso che senza dubbio non risultava necessario al brand di 24, e che ha il solo merito di preparare il terreno alla visione della già citata settima annata, attesissima dal sottoscritto e che, spero, si rivelerà all'altezza di quella che è stata la saga di Jack Bauer fino ad ora.
Redemption, ovviamente, escluso.


MrFord


"It's gonna take a lot to drag me away from you
there's nothing that a hundred men or more could ever do
I bless the rains down in Africa
gonna take some time to do the things we never had."
Toto - "Africa" - 


venerdì 30 agosto 2013

Tango&Cash

Regia: Andrey Konchalowskiy
Origine: USA
Anno: 1989
Durata:
104'




La trama (con parole mie): Ray Tango e Gabe Cash sono i due poliziotti più tosti di Los Angeles, vera e propria spina nel fianco della criminalità organizzata.
Quando i boss della città si riuniscono per decidere come affrontarli, il diabolico Perret propone un piano che veda i due sbirri disonorati ed accusati di omicidio, nonchè trasferiti in una prigione di massima sicurezza completamente corrotta ed in mano agli uomini sul loro libro paga.
Evidentemente il suddetto non doveva aver ben considerato che dall'altra parte della barricata aveva due pezzi da novanta del calibro di Sylvester Stallone e Kurt Russell, e che il destino della sua macchinazione e dell'organizzazione messa in piedi al suo comando erano segnati fin dall'ideazione del piano.
I due eroi, infatti, si troveranno non soltanto ad evadere dalla struttura di detenzione, ma a trovare il modo di ripresentarsi armati di tutto punto - e di prove che li scagionino - proprio alla sua corte.





Questa dev'essere, in qualche modo, l'estate del replay, qui al Saloon.
Dopo Grosso guaio a Chinatown e Point break, infatti, ripropongo in una nuova veste una delle prime recensioni comparse sul blog, quel Tango&Cash cult inarrivabile di casa Ford fin dai tempi della mia infanzia, quando con mio fratello ci spartivamo le parti nei film - in questo caso, lo ricordo bene, ero Cash, un nome ed una garanzia -, tornato per deliziare anche la cornice di coppia nel primo ultimo dell'anno festeggiato con Julez, e ad ogni occasione rispolverato con gioia in dvd o se ritrovato in tv.
Anche in questo caso - un pò perchè ne ho già parlato, un pò perchè con alcuni titoli è davvero difficile - mi ritrovo a non avere alcuna voglia di esaminare il film in sè - impossibile non constatare la sua bassissima qualità, legata anche al forfait che Konchalovskiy, troppo pressato dalla produzione, diede non appena iniziate le riprese -, quanto più che altro il suo valore affettivo, i ricordi legati ad esso, il fatto che penso di poterlo recitare neanche avessi preso parte alle sua realizzazione e non ultimo la celebrazione di due veri e propri miti dell'action come purtroppo se ne incontrano sempre meno, il vecchio Sly e l'arcigno Kurt Russell.
Come se non bastasse, la programmazione di questo post cade proprio nel giorno del compleanno di mio fratello, il primo che con me condivise la gioia che pellicole come questa sono in grado di regalare allo spettatore in grado di liberarsi dal giogo del radicalchicchismo e godersi confronti impareggiabili come quelli tra Tango ed il suo criminale preferito - soprannominato Conan non a caso - o sequenze come il massaggio della sorella del suddetto - che riconosceranno i fan di Desperate Housewives - a Cash, con tanto di doppi sensi a catena neanche ci si trovasse nel ritornello di una canzone dei Kiss.
Ma questa è soltanto la punta dell'iceberg, e dal mitico FOLA alla sequenza nella doccia - assolutamente ed estremamente omofoba ed offensiva, vista con la sensibilità odierna - passando attraverso la smorfia da finto pazzo maniaco di Sly in procinto di far saltare la testa di Coda di cavallo Tango&Cash rappresenta una delle miniere più ricche di tamarraggine e perle indiscutibili dell'intera storia dell'action e non solo, che continuerò a godermi e difendere da qui all'eternità, fiero di amare alla follia un giocattolone sguaiato e scombinato come questo, coltivando la speranza che un giorno, anche il Fordino possa farsi quattro risate accanto al suo vecchio guardando una porcatona come questa.




Tango&Cash, ed ogni sua visione, sono lo slogan perfetto di quella nota pubblicità legata ad una carta di credito: non hanno assolutamente prezzo.
In tutto questo, tanti auguri, Brotha.
E mille di queste visioni.
Dal canto mio, non me le farò mancare di certo.
Perchè qui al Saloon, Sly e soci sono sempre di casa.


MrFord


"Came in from the city walked into the door
I turned around when I heard the sound of footsteps on the floor
love just like addiction now I'm hooked on you
I need some time to get it right
your love gonna see me through
can't stop now don't you know I ain't never gonna let you go."
Yazoo - "Don't go" - 



venerdì 20 luglio 2012

In Hell

Regia: Ringo Lam
Origine: Usa
Anno: 2003
Durata: 98'




La trama (con parole mie): Kyle LeBlanc, ingegnere americano al lavoro nella Russia profonda, è felicemente sposato con Grey, che non apprezza troppo il fatto di trovarsi da quelle parti. Una sera in cui l'uomo è in ritardo a causa del lavoro, la donna viene aggredita ed uccisa da un ladro che, grazie a una serie di non ben specificati agganci, viene assolto per mancanza di prove scatenando l'ira di Kyle, che lo uccide in pieno tribunale guadagnandosi l'ergastolo in una prigione tanto dura da ricordare quella in cui furoreggiava Boyka, mitico protagonista di Undisputed 2 e 3.
Una volta in cella, il nostro dovrà far fronte alla ovvia persecuzione da parte delle guardie, ad una serie di combattimenti all'ultimo sangue organizzati dal direttore e alla perdita della ragione e di se stesso.
Chiaramente, essendo Van Damme, tutto verrà risolto a suon di gran mazzate.




Questa volta, pur con tutta la buona volontà, anche io ho dovuto desistere.
In genere, quando si parla di action heroes come Sly e il suo labbro, Schwarzy, Bruce Willis o il qui presente e sempre mitico JCVD, tendo a considerare i film prodotti - anche i peggiori - come icone trash meritevoli almeno di quel mezzo bicchiere in più nel voto che possa giustificare l'acquisto del dvd e la reiterata visione nei momenti di necessità - di quali, siete liberi di scegliere -: nel caso di questo lavoro di Ringo Lam ho dovuto riconoscere quanto difficile possa essere, a volte, difendere questi simboli del Cinema di bassa lega come spesso e volentieri mi ritrovo a fare.
In Hell, infatti, è una pellicola clamorosamente brutta, capace di toccare vertici di involontario orrore - con risvolti comici non male, questo occorre ammetterlo - tali da farmi riconsiderare, almeno per questa volta, l'idea di prendere le parti a prescindere di ogni film con il buon vecchio Jean Claude come protagonista in quanto patrimonio storico del trash: a fare del male al lavoro di Ringo Lam - clamorosamente inutile dietro la macchina da presa - sono una sceneggiatura più ridicola del solito e l'impietoso confronto con i già citati capitoli due e tre della saga di Undisputed, che nel genere "carcere russo condito da combattimenti all'ultimo sangue tra detenuti" detiene ormai il titolo di riferimento assoluto.
Scott Adkins ed il suo Boyka schiacciano un Van Damme insolitamente sotto tono nel combattimento - quando si ha nel cast l'attore belga, non si può concepire neanche lontanamente di non fargli esibire almeno un calcio rotante - e molto solitamente "cagnesco" nella parte drammatica della recitazione, e sequenze terrificanti quali quella dell'omicidio che da inizio al calvario del nostro ed il "ritorno" della stessa moglie uccisa come fosse una falena pronta a far riflettere il marito impazzito dietro le sbarre ed ormai preda della violenza selvaggia che il carcere porta nel cuore dei suoi occupanti paiono troppo perfino per uno strenuo difensore del genere come il sottoscritto.
Come se non bastasse un personaggio del calibro di Lawrence Taylor - difensore storico dell'NFL, main eventer di un'edizione di Wrestlemania - avrebbe meritato certamente più di uno psicopatico con l'hobby di uccidere i suoi compagni di cella che inspiegabilmente si ritrova amicone chiacchierone del buon JCVD ed improvvisato "giornalista" con il desiderio segreto di essere testimone degli orrori perpetrati dal direttore della struttura e dalle guardie: ridicoli i restanti personaggi di contorno, per nulla all'altezza della carriera di uno dei simboli del Cinema da "botte da orbi" dell'era moderna.
Unica nota positiva il momento di ribellione delle diverse fazioni dei detenuti unite per fronteggiare lo sfruttamento e l'esercizio del potere dei loro controllori, che ha riportato alla mente del sottoscritto - per associazione di idee, e certo non per qualità - i racconti di Edward Bunker o lo splendido Cella 211.
Il resto è davvero poca roba che solo fan accaniti e tamarri old school come il sottoscritto riusciranno a digerire, rimpiangendo i fasti di cult come Senza esclusione di colpi, Kickboxer o il recente, sottovalutato ed autorialissimo - dico sul serio - JCVD.
Insomma, se dopo essere stati colpiti da un calcio rotante dovesse salirvi la voglia incontrollabile di guardare per la prima volta nella vostra vita un film con protagonista l'inossidabile Jean Claude, conviene che non partiate da questo.


MrFord


"Oh well in hell, we like it well,
we think it's nice, we think it's swell!
I've fucked up so many times,
the more I think, the more I sink..."
Chocking Victim - "In Hell" -


lunedì 16 luglio 2012

Safe

Regia: Boaz Yakin
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 94'




La trama (con parole mie): Mei, una ragazzina cinese dall'intelligenza e memoria prodigiose, viene "assoldata" dalle Triadi per divenire la loro contabile delle attività sul suolo americano, precisamente a New York City. Quando una grossa operazione prevede l'utilizzo di un complesso gioco ad incastri tra casseforti, la piccola viene scelta come unica depositaria della combinazione utile a concludere l'affare.
Luke Wright è un ex ammazzacristiani al soldo di governo e polizia, uno di quei tizi che è meglio non fare incazzare, uscito dal giro che conta e finito in disgrazia dopo aver ucciso in un combattimento illegale lo stesso tizio che avrebbe dovuto batterlo attirandosi l'odio della mafia russa, che ha promesso di eliminare ogni persona che possa dare anche solo l'impressione di essere legata all'uomo.
Quando, per caso, Luke si ritrova a salvare Mei proprio dagli stessi russi che lo perseguitano, sente risvegliarsi in lui la sensazione di avere nuovamente uno scopo nella vita: e sulle due compagini malavitose ed i poliziotti corrotti ex compari di Wright comincerà a piovere un sacco di merda.



God save Jason Statham.
Per un tamarro come il sottoscritto, la carenza di action heroes come si conviene e con le palle giustamente e clamorosamente quadrate nel post-anni ottanta pesa come un macigno, specie considerato che un solido film d'azione è sempre utile al termine di una giornata lavorativa particolarmente pesante, o nel pieno di un weekend in cui relax sia la parola d'ordine, e dall'epoca d'oro di Sly, Schwarzy e Bruce Willis il tempo pare essersi cristallizzato sui titoli di questo genere, orfani di una vera e propria nuova generazione di Expendables come si converrebbe - a proposito, non sto più nella pelle per l'attesa del secondo capitolo, in uscita a metà agosto -.
Fortunatamente, come si diceva poco sopra, per tutti noi poveri peccatori, esiste Jason Statham.
L'arcigno attore inglese, ormai, è una garanzia di divertimento assicurato per quasi tutti i film in cui compare, grazie principalmente al mix di umorismo sotterraneo, cazzotti come se piovessero e sparatorie a profusione che ormai fa coppia fissa con il vecchio protagonista di Lock&Stock e The snatch: non è da meno in questo senso Safe, prodotto scorrevole ed assolutamente piacevole caratterizzato completamente dal suo protagonista e dal suo rapporto con la piccola protetta Mei, spalla ideale per il roccioso Wright/Statham nel classico gioco del duro reso un pò più buono dalla vicinanza di un'innocente - o quasi - anima candida - o quasi - da proteggere.
Certo, la sceneggiatura - scritta dallo stesso regista - risulta elementare e non particolarmente ingegnosa - in mano a qualcuno di più esperto, le potenzialità del piccolo cult di genere ci sarebbero state tutte -, gli standard dell'action serrata e fracassona non vengono traditi neanche per sbaglio e non c'è nulla che potremmo aspettarci a sorpresa - compreso un eventuale momento di difficoltà dell'antieroe alle prese con i criminali ed i poliziotti corrotti all'unisono -, eppure l'aspetto da giocattolone, una regia tutto sommato dinamica - molto interessanti le sequenze girate all'interno delle auto - e la mancanza di pretese alte contribuiscono ad una visione in scioltezza e tranquillità, tutti presi a fare il tifo per l'insolita coppia in fuga dalle Triadi, dalla mafia russa e da una schiera di sbirri e funzionari corrotti ben consci che nessuno mai potrà sognarsi di sbarrare la strada ai due protagonisti.
Proprio da questo punto di vista è davvero divertente pensare la vicenda in termini praticamente metacinematografici e chiedersi se qualcuno abbia avvertito i malcapitati russi, cinesi e americani di turno impegnati nel cercare di fare la pelle a Wright e Mei che non esiste mettersi contro Statham in un film, se si tiene davvero al proprio santissimo deretano: il buon Jason, da questo punto di vista, non fa mancare davvero nulla all'audience, da una comparsata a petto nudo - che farà certamente piacere al pubblico femminile - alle scazzottate, dalle sparatorie neanche fossimo nel pieno di un videogioco agli inseguimenti in macchina.
Interessante, inoltre, così come a livello linguistico - già rabbrividisco al pensiero del doppiaggio e dell'adattamento italiani -, la commistione di latitudini dello stile, che rende Safe quasi più simile ad un film di Hong Kong che non alla più classica tamarrata made in Usa, anche se, ovviamente, non siamo neanche lontanamente parenti dell'autorialità sfrenata che Maestri come Woo o To riescono ad infondere ai loro lavori: il risultato è comunque un gradevole intrattenimento selvaggio e tosto come piace ai vecchi cowboys come il sottoscritto ma non solo, dato che il signor Statham - altro suo grande merito - è riuscito negli anni a portare sotto la grande bandiera del Cinema d'azione anche insospettabili schiere di nuovi fan - principalmente in rosa -.
Altro, su Safe, non c'è neppure da dire: in fondo, sapete tutti come andrà a finire.
Del resto, solo gli sprovveduti criminali che si incontrano in pellicole di questo genere sono sempre all'oscuro del fatto che non ci si cava niente di buono, a fare incazzare quelli come Jason.
Voi, invece, che siete furbi e lo sapete, mettetevi comodi ed allacciate le cinture: la corsa che vi aspetta non potrà non divertirvi come ragazzini sulle montagne russe.
Con qualche legnata e morto ammazzato a fare da cornice quasi folkloristica.


MrFord


"I've been tryin' to get away
to get away
to leave this old town
I've been tryin' to see my way
to see my way
so I won't be found."
Kiss - "Getaway" -



martedì 29 maggio 2012

Die hard - Trappola di cristallo

Regia: John McTiernan
Origine: Usa
Anno: 1988
Durata: 131'



La trama (con parole mie): John McClane è un poliziotto di New York fresco di separazione giunto a Los Angeles la vigilia di Natale per tentare di ricongiungersi con la moglie, donna in carriera presso una società giapponese. Quello che l'uomo non sa è che ad attenderlo al party dell'azienda stessa, oltre alla moglie e i suoi colleghi, c'è un commando di ladri professionisti celati dietro la maschera dei terroristi pronto a seminare il caos per trafugare più di seicento milioni di dollari di azioni della compagnia.
Quello che il commando non sa è di avere di fronte un uomo deciso, coriaceo, tutto d'un pezzo e con la battuta pronta che pare non avere altra scelta se non battersi con loro per cercare di sventare il colpo, salvare gli ostaggi e, chissà, tornare anche a casa con la sua metà.




Iniziamo subito con il botto: Die hard - Trappola di cristallo è un cultissimo con i controcazzi che fumano.
Uno dei vertici assoluti del Cinema action anni ottanta nonchè della carriera di John McTiernan - in quegli anni in grande spolvero, si ricordi Predator -, anche a distanza di ormai quasi un quarto di secolo non ha perso nulla del suo antico splendore, e grazie ad un mix pressochè perfetto di ironia, tamarraggine, imprese impossibili e sparatorie improbabili consegna al pubblico uno dei più inossidabili action heroes della Storia del Cinema: John McClane, una delle incarnazioni più fortunate di Bruce Willis - che ho scoperto proprio nel corso di quest'ultima visione aver girato questo film più o meno alla mia età, nonostante sembrasse di almeno dieci anni più vecchio -.
Primo di una fortunatissima serie di quattro, Trappola di cristallo riuscì, in un decennio in cui spesso e volentieri la qualità non fece il paio con il Cinema d'azione, a prendere il modello esportato dal John Woo di Hard boiled applicandolo al gusto larger than life tutto made in Usa, confezionando un giocattolone divertente e divertito in grado di appassionare - grazie ad un ritmo invidiabile ed una costante tensione stemperata con incredibile equilibrio dalle battute a raffica del protagonista - anche i non avvezzi al genere.
Per quanto, infatti, il sottoscritto sia un difensore strenuo ed un amante delle tamarrate del periodo portate sul grande schermo da mostri sacri come Stallone, Schwarzenegger e Van Damme, continuo in qualche modo a capire i detrattori delle loro più importanti perle, mentre sfido chiunque - anche il più radical chic tra i radical chic - a prendere una posizione di sufficienza rispetto a Die hard, una chicca anche registica come raramente capita di trovare nel mercato a grana grossa dei blockbusteroni.
Come se la regia stessa ed il ritmo non bastassero, poi, in campo troviamo una squadra di "cattivi" da manuale per il periodo - tutti europei con trascorsi da Est pre caduta del Muro di Berlino - rappresentati alla grandissima da un Alan Rickman - che i più giovani ricorderanno come il Piton di Harry Potter, e i meno giovani come lo sceriffo di Nottingham nel Robin Hood interpretato da Kevin Costner - in grande spolvero, comprimari d'eccezione - dall'esilarante autista di Limo alla spalla Al Powell, più noto al grande pubblico nel ruolo del padre di Otto sotto un tetto - e poi di nuovo lui, John McClane.
Spesso, quando mi capita di leggere un romanzo - o una serie di romanzi -, mi trovo a ripetere e sottolineare che quando un autore azzecca il giusto protagonista, la saga non può che trasformarsi in un successo assicurato e duraturo: con Die hard accade lo stesso.
Dai piedi nudi alle sigarette, dal "hippy hay hoo, pezzo di merda!" ai dialoghi con il succitato Powell, McClane non perde smalto neppure un minuto, perfino quando si concede parentesi più serie: lui è l'emblema di una neppure troppo sottile critica alla gestione del potere da parte di molti membri delle forze dell'ordine - non è un caso che il comandante locale e i due agenti dell'FBI inviati sul posto siano emeriti imbecilli - e alla preferenza, nell'assegnazione dei ruoli, alla politica più che all'abilità sul campo.
Ed un protagonista così, un pò cowboy e un pò ribelle, un pò cazzone e un pò eroe, simbolo ed ispirazione per generazioni di suoi epigoni negli anni a venire - non ultimo il Nathan Hunt di Mission impossible - non poteva che essere un vero e proprio idolo fordiano.
Senza contare che Die hard è davvero, davvero un signor film.
E se qualcuno prova a dire il contrario, si prepari a ricevere la visita del signor McClane.
Cui sarò lieto di donare due bottiglie nuove nuove pronte per l'occasione.


MrFord


"When it comes to fighting
trying to play it rough
I will take you twenty rounds
I'm just too tough, too tough
too tough, too tough."
The Rolling Stones - "Too tough" -


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