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mercoledì 8 luglio 2015

Survivor

Regia: James McTiegue
Origine: USA, UK
Anno: 2015
Durata: 96'





La trama (con parole mie): Kate Abbott, addetta alla sicurezza dell'ambasciata statunitense a Londra, donna tutta d'un pezzo con cicatrici legate alla perdita del suo compagno, che servì in Afghanistan dopo le vicende dell'undici settembre, scopre un intrigo che prevede lo sfruttamento di scienziati provenienti da tutto il mondo smistati proprio nella capitale britannica ed indirizzati a New York per un attentato in programma nel corso dei festeggiamenti per celebrare la fine dell'anno.
Scampata miracolosamente all'eliminazione dell'intera squadra dell'ambasciata che si occupa della concessione dei visti in uscita, la Abbott si ritrova braccata dalle forze dell'ordine inglesi e dal misterioso Orologiaio, un sicario che ha ricevuto l'incarico di spianare la strada agli organizzatori dell'attentato nella Grande Mela.
Riuscirà Kate a sventare il complotto e riabilitarsi agli occhi del mondo e delle organizzazioni di sicurezza che la credono colpevole?








A volte mi chiedo per quale motivo, rispetto a determinate proposte, finisco per non imparare mai, e per dovere di cronaca, bisogno di stacco più che di impegno nelle serate di stanca, speranza puntualmente disillusa di essere sorpreso in positivo, mi ritrovo sul divano di fronte a pellicole che non solo non meriterebbero la fatica soprattutto di scriverne, ma neppure di essere distribuite.
Survivor, action spionistico fuori tempo massimo - avrebbe fatto una figura forse migliore nei primi anni zero, un pò come l'invecchiata malissimo e sempre cagna maledetta Milla Jovovich - firmato da James McTiegue rientra alla perfezione in questa tipologia di schifezze a prova di bomba: imbarazzante nella scrittura e nello svolgimento, improbabile quanto e più delle peggiori puntate delle peggiori serie televisive, sancisce di fatto la fine della carriera da Autore del regista, ex collaboratore dei Wachowski che ai tempi del suo esordio con V per vendetta quasi mi fece gridare al miracolo, passato da una storia coinvolgente tutta incentrata sulla lotta al Sistema ad una che di storia ha poco o nulla e che, al contrario, pare più una costola degli anni del bushismo, che non un bell'action scacciapensieri o una pellicola che, sfruttando pallottole ed inseguimenti, porti a galla riflessioni ben più profonde.
Caratterizzazioni tagliate con l'accetta, tipico incedere di stampo televisivo, svolte narrative al limite del ridicolo involontario, l'antagonista interpretato da Pierce Brosnan imbarazzante - curioso come, senza fare alcuna fatica o scomporsi, riesca a comparire in ogni luogo più o meno nascosto in cui la protagonista si muove, neanche fosse dotato di teletrasporto ed ubiquità -, la situazione da accusata della Abbott e la sua lotta per impedire l'attentato e scagionarsi ridicole, e soprattutto, quello che avrebbe dovuto essere il campanello d'allarme principale della vigilia: Dylan McDermott.
Alle spalle anni di ciofeche galattiche, dovrei andare sul sicuro quando il buon McDermott figura nel cast di un film, almeno quanto quando dietro la macchina da presa si incappa in Paul W. S. Anderson: anche in questo caso, infatti, le attese non vendono disilluse, sorprendendo soltanto per l'inconsuetudine dell'attore di non apparire nel ruolo dello stronzo, bensì di quasi unico sostenitore della protagonista nel corso della sua fuga pronto a passare nell'arco di ventiquattro ore di narrazione dallo status di "ferito gravemente" a "comodamente a casa con il telefono in mano, camicia stirata, un braccio al collo ed un cerottino in fronte".
Quello che, dunque, si prospettava essere il favorito nella corsa per l'ambito Ford Award dedicato al peggio del duemilaquindici, Cinquanta sfumature di grigio, troverà alla fine dell'anno una concorrenza ben più agguerrita di quanto mi potessi aspettare, tanto da cominciare a farmi valutare l'idea di portare da dieci a quantomeno venti i titoli inseriti in questa "prestigiosa" lista: a prescindere, comunque, da quello che sarà, Survivor lotterà come se dovesse, per l'appunto, portare a casa la pelle, per salire sul gradino più alto del podio.
E purtroppo, lo farà dopo essere passato sugli schermi del Saloon.



MrFord



"Have you seen the old girl
who walks the streets of London
dirt in her hair and her clothes in rags?
she's no time for talking,
she just keeps right on walking
carrying her home in two carrier bags."
Blackmore's night - "Streets of London" - 





mercoledì 20 maggio 2015

Wednesday's child


La trama (con parole mie): nuova settimana di uscite consacrata interamente a Paolo Sorrentino, che con Garrone e Moretti rappresenta in questi giorni l'Italia a Cannes, e proprio per Sorrentino anticipata al mercoledì. Pochi titoli, dunque, ma discrete potenzialità, a meno che non si parli del mio sempre scomodo compare di rubrica, Cannibal Kid, con il quale spero di essere in disaccordo ancora una volta, e sempre di più.


"Speriamo che Ford non sia in giro alla guida di un'astronave, o siamo davvero nei guai."


Youth - La giovinezza
"Come hai detto che si intitola, questo film?" "La giovinezza." "E chi lo dirige? Ford?!"


Cannibal dice: Fai un film intitolato Youth e parli di due amici sulla soglia degli 80 anni interpretati da Michael Caine e Harvey Keitel?
Ah Sorrentì, la tua concezione della giovinezza sarà mica simile a quella di Mr. Ford, secondo il quale Stallone è ancora la più brillante promessa del cinema mondiale?
Fatto sta che questo film si preannuncia non troppo distante dalle parti de La grande bellezza, film che aveva diviso l'Italia intera, ma che a sorpresa aveva unito nel giudizio positivo sia me che Ford che l'Academy. Il miracolo si ripeterà?
Ford dice: considerato che Paolo Sorrentino - al momento per me forse il miglior regista italiano - ha raccolto bottigliate da queste parti solo in occasione del suo unico - fino ad ora - lavoro internazionale, dovrei avere quasi paura di questo nuovo Youth.
Allo stesso modo, però, c'è da dire che il quasi fresco di Oscar Paolone Nazionale pare non essersi discostato troppo dalle tematiche de La grande bellezza, che aveva compiuto il miracolo non tanto di vincere l'ambita statuetta, ma di mettere d'accordo me e Peppa. Il quesito più grande è se si ripeterà.




Tomorrowland

"E così quello è Cannibal Kid: pensavo fosse un essere mitologico frutto dell'immaginazione di qualche mente malata, e invece esiste davvero!"

Cannibal dice: Tomorrowland esce tomorrow, un giorno dopo il film di Sorrentino. Riuscirà a fargli le scarpe al box office?
Questa disneyata per bambini e per famiglie, quindi al 100% fordiana, potrebbe pure rivelarsi un prodotto di intrattenimento gradevole. Soprattutto per via della presenza di Britt Robertson, giovane attrice che io già da parecchio tempo sto cercando di promuovere come la nuova Jennifer Lawrence e chissà che con questo film non gli riesce finalmente di fare il grande salto nella Hollywood che conta. Io dico che la star del tomorrow è lei. Ford invece è solo una star del passato...
Ho detto star???

Intendevo Brodo Star!
Ford dice: Tomorrowland è uno dei titoli a maggior rischio di bottigliate da blockbuster selvaggio della stagione, eppure non riesco proprio a farmelo stare indigesto.
Tutto grazie a Brad Bird, regista de Gli incredibili e Mission Impossible: Protocollo Fantasma, nonchè del fantastico Il gigante di ferro, che nonostante le ovvie concessioni alla grande distribuzione, potrebbe perfino finire per stupire.
Staremo a vedere.




The Lazarus Effect

"Piuttosto che vedere un altro film consigliato da Peppa Kid la faccio finita."

Cannibal dice: Probabile che si tratti di un horrorino modesto modesto, però il trailer pur rispettando i soliti cliché del trailer horror, mi ha intrigato abbastanza. Sarà che una Olivia Wilde posseduta su di me fa un certo effect positivo. Così come una pellicola promossa da WhiteRussian mi fa subito un effect negativo.
Ford dice: horror da nulla di quelli che potrebbero far paura solo a quel pusillanime di Cannibal Kid. Lo vedrò giusto nel caso in cui sentissi il bisogno di una serata di svago.




Survivor

"E così non sarei un degno action hero, Ford e Cannibal!? Vi faccio fuori entrambi, così chiudiamo il discorso."


Cannibal dice: Thriller a tematica terroristica che ai tempi d'oro di 24 e Homeland mi avrebbe intrigato, ora invece mi ha stufato. Il cast poi è pieno di attori che non mi piacciono: Pierce Brosnan + Milla Jovovich + Emma Thompson. Nah, non ci siamo proprio. L'unico che mi sta simpatico è Dylan McDermott, ma solo perché è uno degli attori più odiati dal Ford.
Ford dice: la presenza di McDermott nel cast di un film è paragonabile ad una piena promozione del mio rivale in una recensione, e già basterebbe.
Eppure questo thriller di stampo terroristico tenta di fare ancora di più aggiungendo al cocktail un gruppo di attori terrificanti ed una tematica ormai fin troppo abusata.
Diciamo che, a meno di clamorose bocciature del mio rivale, me ne terrò bene alla larga.



martedì 3 marzo 2015

Automata

Regia: Gabe Ibanez
Origine: Bulgaria, USA, Spagna, Canada
Anno: 2014
Durata: 109'





La trama (con parole mie): in un futuro prossimo in cui le tempeste solari hanno ridotto a pochissimi milioni di persone la popolazione umana, i sopravvissuti si affidano agli interventi di contenimento di una nuova generazione di automi programmati per proteggere e servire senza opporre resistenza alcuna, o domande che possano rompere gli equilibri.
Jacq Vaucan, emissario della più grande compagnia produttrice di robots ed addetto alla parte assicurativa, entra in contatto con un poliziotto alcolizzato che afferma di aver terminato uno degli automi intento ad autoripararsi e modificarsi: l'incontro è solo l'inizio di una serie di scoperte che porteranno Vaucan a venire in contatto con un gruppo di ribelli meccanici desiderosi di emanciparsi dal loro compito di schiavi senza volontà, mettendo a rischio non solo il suo lavoro ed incolumità, ma anche il futuro della sua compagna e della figlia che porta in grembo.







In condizioni normali, se qualcuno mi avesse presentato a scatola chiusa una produzione iberico/bulgara/nordamericana di fantascienza con protagonista Antonio Banderas, avrei pensato senza dubbio ad uno scherzo, o ad un prodotto di infima serie godurioso e senza alcun ritegno da serata a neuroni staccati: al contrario Automata, prodotto di nicchia e, seppur non perfetto, assolutamente interessante di Gabe Ibanez, è tutto fuorchè una visione da poco, o da dedicare alle serate con gli amici sotto i pesanti effetti dell'alcool.
Ottimamente confezionato - come si scriveva qualche giorno fa qui al Saloon, una produzione artigianale che in Italia possiamo solo sognarci -, forse troppo derivativo ma ugualmente efficace, non brillantissimo in quanto a ritmo eppure funzionale negli intenti, Automata mescola le atmosfere di complotto di Minority Report, le velleità sociali di Blade Runner, la critica di District 9 e l'azione di Dredd: senza dubbio non siamo dalle parti del cult, e neppure del Capolavoro, eppure, considerate le aspettative e le basi di partenza, il risultato è quantomeno archiviabile come un successo, un prodotto in grado di fare ben sperare ed una delle cose più genuine che la fantascienza abbia portato sul grande schermo - in termini di distribuzione mainstream - di recente.
Lo stesso protagonista, che dagli Expendables alle pubblicità del Mulino Bianco abbiamo ormai imparato a vedere in tutte le vesti possibili ed immaginabili, funziona, e regala all'audience emozioni che parevano sopite dai tempi di El mariachi e C'era una volta in Messico, pur mostrando un carattere più riflessivo e da "lone wolf" che non da tamarro spaccaculi: onestamente, Banderas mi è sempre stato simpatico, dai primi lavori con Almodovar allo spassoso Two Much, e non sarei riuscito a volergli male neppure a fronte di un fallimento clamoroso, eppure con la sua presenza e l'impegno che pare avere profuso per il ruolo di Jacq riesce addirittura a rendere credibile perfino la sua compagna Melanie Griffith, presente in una piccola parte e sempre più inguardabile.
A prescindere, comunque, dalla metà di Banderas e dalla componente umana della pellicola - che, di fatto, rappresenta anche la critica sociale di Ibanez -, veri protagonisti sono i robots, ottimamente realizzati ed in grado non solo di riportare visivamente alla memoria i bei tempi dei gamberoni di Neil Blomkamp, ma anche di stimolare riflessioni forse non nuove ma ugualmente interessanti a proposito della libertà di pensiero e di azione, e del ruolo che, nel corso della Storia, hanno avuto i governi e gli organismi di controllo sul libero arbitrio e la sua espressione.
L'escalation finale ed il legame tra Vaucan e la sua famiglia e quella dei robots con il loro "nuovo nato" è da questo punto di vista molto azzeccata, tanto da portare a galla prima dell'azione, degli effetti e delle sparatorie l'efficacia principalmente concettuale di un film sulla carta nato esclusivamente a servizio della parte ludica e d'intrattenimento.
Ma il vero motivo di vanto per Gabe Ibanez ed Automata è e sarà principalmente quello di avermi regalato la prima visione quantomeno discreta che annoveri nel cast Dylan McDermott, fino ad ora garanzia assoluta di schifezza atomica neanche fosse l'ultimo degli Steven Seagal: una cosa davvero non da poco per un titolo sulla carta di seconda fascia lasciato per mesi a prendere polvere in uno dei tavoli più remoti del Saloon e recuperato quasi per caso, così come casualmente deve averlo proposto la distribuzione nostrana.




MrFord




"Stop trying to live my life for me
I need to breathe
I'm not your robot
stop telling me I'm part of the big machine
I'm breaking free
can't you see,
I can love, I can speak
without somebody else operating me
you gave me eyes so now I see
I'm not your robot, I'm just me."
Miley Cyrus - "Robot" -




mercoledì 3 dicembre 2014

Comportamenti molto cattivi

Regia: Tim Garrick
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 97'




La trama (con parole mie): Rick Stevens è nei guai. In un intervallo di tempo clamorosamente breve, infatti, spinto dalla cotta per la coetanea Nina Pennington, il ragazzo è riuscito a passare dallo status di adolescente tendenzialmente nerd ed impacciato, nonchè vergine, in una sorta di macchina da guai in grado di finire a letto con la madre del suo migliore amico, organizzare un giro di prostituzione, affrontare boss lituani e tentare l'impresa più difficile per uno come lui: conquistare il cuore della stessa Nina.
E nel delirio generato da visioni, equivoci, sesso e droghe, Rick dovrà cercare di arrangiarsi al meglio possibile per poter vincere non solo una battaglia, ma anche e soprattutto la guerra: con se stesso, il mondo e soprattutto, per arrivare alla sua bella.









Non pensavo davvero potesse esistere un film teen talmente brutto da farmi pensare che neppure il Cannibale potrebbe considerarlo interessante - nonostante il penoso sei politico che finì per affibbiargli -.
Eppure, eccolo qui.
Con ogni probabilità, il titolo che mi costerà più fatica dilatare in un post che non si concluda semplicemente con la calzante definizione: "Questo film è una merda".
Curioso quanto premesse se non buone quantomeno indirizzate ai neuroni a zero, un cast ricco di presenze anche gradite - Elizabeth Shue, Heather Graham, Cary Elwes, Gary Busey -, alcool e sesso non siano riusciti quantomeno a salvare il salvabile da uno degli obbrobri più grandi e clamorosi della stagione, una vera e propria presa per il culo del pubblico ed uno spreco di tempo tra i più ingiustificati della mia carriera di spettatore.
Se non altro, il fatto che alla fine risulti innocuo, concorre ad evitare un'incazzatura che soltanto pochi titoli hanno finito per scatenare nel corso degli anni, e che, in altre condizioni, sarebbe stata assolutamente sacrosanta rispetto ad uno scempio che il Cinema tutto non meriterebbe affatto.
Avrei dovuto forse sapere fin dal principio che una pellicola con protagonista Dylan McDermott - di norma garanzia di schifezza - avrebbe avuto scarsa fortuna, qui al Saloon, ma neppure nei miei incubi peggiori avrei immaginato uno scempio di tal fatta: dall'elementare regia di Tim Garrick ad una sceneggiatura che fa delle scene scult i suoi cavalli di battaglia - davvero imbarazzante Elizabeth Shue, mito della mia infanzia con Karate Kid, nel ruolo della milf assatanata - senza per questo riuscire a regalare risate grasse nello stile di titoli come i due Sharknado.
Pensare che, senza colpo ferire, avevo finito per addormentarmi con grande soddisfazione sul divano più o meno a metà della pellicola e che, svegliatomi di soprassalto, ho deciso di riprendere la visione per portarla a termine finisce quasi per farmi sentire in colpa rispetto alla settima arte, che con Comportamenti troppo cattivi - terribile anche l'adattamento italiano, come al solito - non ha davvero nulla a che spartire.
Tant'è che non ripeterò l'errore spingendomi al limite per confezionare un post almeno vagamente decente e di un certo "spessore".
Questa roba non lo merita.
Vado a dormire, il più felice possibile di essermi allontanato da uno dei film peggiori dell'anno.
E non solo, probabilmente.
Sperando di non avere incubi che portino dalle mie parti Justin Bieber e Tim Garrick.




 
MrFord






"I'm having trouble seeing 
I'm punch drunk and 
I need to find a way back home 
it'd be a miracle if you'd oblige."

Incubus - "Punch drunk" -





venerdì 24 maggio 2013

Olympus has fallen - Attacco al potere

Regia: Antoine Fuqua
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 120'




La trama (con parole mie): Mike Banning lavora come coordinatore della scorta del Presidente degli Stati Uniti Benjamin Asher, quando a causa di un incidente stradale perde la vita la first lady. Sommerso dai sensi di colpa, Banning entra in crisi e per diciotto mesi viene dirottato ad un lavoro di scrivania per il Ministero del Tesoro.
Quando un commando di terroristi nordcoreani assalta la Casa Bianca facendo prigioniero proprio il Presidente suo ex protetto mettendo in scacco tutti gli States, il vecchio Mike tirerà fuori la grinta dei tempi andati e, ad uno ad uno, sistemerà i terroristi senza farsi troppi scrupoli, non solo portando in salvo il Presidente stesso e suo figlio, ma finendo per salvare gli USA e, forse, il mondo intero da una nuova guerra globale.
Il tutto, ovviamente, a suon di battute, entrate ad effetto, momenti al limite del possibile ed un sacco di sana retorica a stelle e strisce.





Cari terroristi nordcoreani,
perdonate l'intrusione, ma probabilmente non avete mai visto, nel corso della vostra vita, un film action anni ottanta o una qualsiasi stagione di 24.
Io mi chiedo, infatti, come sia mai possibile pianificare un attacco a più livelli alla Casa Bianca e agli States sul campo con, ad occhio e croce, un centinaio di uomini - seppur ben equipaggiati - invece che passare direttamente ad un più convincente attacco nucleare diretto: come se non bastasse, per quanto possa di fatto apparire un'impresa impossibile portare dalla vostra parte un eroe incorruttibile e tutto d'un pezzo, come potete pensare di cavarvela quando sul vostro libro paga avete Dylan McDermott e dall'altra parte c'è Gerardone Butler? Avete forse esagerato con gli alcolici neanche vi trovaste in una serata normale al Saloon?
Senza contare che mettete il suddetto centinaio di uomini - sempre ben equipaggiati - ad affrontare in campo più o meno aperto uno che con trecento spogliarellisti capaci solo di gridare "AUGH!" ha tenuto a bada un esercito di centinaia di migliaia di mostri ed esperimenti genetici falliti venuti dall'Oriente intero.
Signori miei, dovete essere davvero a digiuno non solo di film action, ma di Cinema in generale.
La prossima volta, se volete pensare di avere almeno una possibilità di successo, cercate di portare dalla vostra parte un Liam Neeson, o ancora meglio i redivivi Van Damme, Stallone o Schwarzenegger.
Alla peggio The Rock.
O se volete essere proprio sicuri, Chuck Norris.
Altrimenti non vi conviene organizzare attacchi contro gli USA. Anche perchè se Jack Bauer può essere - momentaneamente, a quanto sembra - andato in pensione, c'è sempre qualcuno pronto a raccoglierne l'eredità.
Dunque buona fortuna per la prossima impresa, e cercate di essere un pò meno prevedibili.

MrFord


Caro Antoine Fuqua,
ricordo come se fosse ieri il discreto stupore che provai alla visione di Training day, che valse al Denzellone di noi tutti il primo Oscar "in black" per la migliore interpretazione maschile.
I tempi stavano cambiando, si preparava l'avvento di Obama e finalmente non si doveva più sperare in appelli della settima arte come Indovina chi viene a cena, eppure tutti - me compreso - riconobbero il tuo talento dietro la macchina da presa.
Certo, poi venne King Arthur, una cosa decisamente più tamarra ma non per questo meno godibile, e poteva anche starci il fatto che ti fossi preso una sbornia di successo neanche fossi Tarantino.
Fortunatamente, Shooter ebbe il pregio di farmi intravedere di nuovo il talento di cui parlavo arricchito di quel pizzico di gusto eighties in più in grado di trasformare un filmetto d'azione in una goduria d'azione.
Ed eccoci giunti ad Olympus has fallen: e dico, passi per il fatto che io sia un tamarro old school, che possa divertirmi come un bambino a fronte di una baracconata nel pieno rispetto delle regole che vigevano ai tempi dei gloriosi anni ottanta e della Guerra fredda poi divenuta Guerra al terrore, che consideri Gerard Butler come uno dei buzziconi più simpatici sulla piazza hollywoodiana, ma davvero tu pensi che passi inosservato un giocattolone ben oltre il trash come questo anche agli occhi di un pane e salame come il sottoscritto!?
Pensa che effetto deve aver fatto a tutti gli altri.
Antoine, qui c'è poco da stare allegri.
Ti sei venduto ai fratelli bianchi, amico mio.
E considera un favore che non lo dica a Spike Lee.


MrFord


Caro Gerard,
come tu ben sai, ti ritengo un fordiano ad honorem.
Ti perdono perfino di essere stato il protagonista di uno dei film che ho più detestato nella mia carriera di spettatore, il fatto di essere scozzese e non irlandese, di avermi illuso con qualche particina molto simpatica e molto azzeccata per poi perderti in molti bicchieri d'acqua - senza whisky, purtroppo -.
Stavo pensando perfino di perdonarti di aver preso parte a robaccia come Gamer o come l'ultima fatica targata Muccino, concentrandomi solo ed esclusivamente su come meglio riuscite come Coriolanus.
E poi finisci incastrato in questa sorta di Die hard in versione super ammmeregana con qualche battuta simpatica, un sacco di esplosioni, un finale già scritto e due ore di risate per non far pensare di essere di fronte ad uno degli spettacoli più agghiaccianti dell'anno. Non si fa.
La prossima volta vedi di sceglierti meglio i copioni, e non leggere solo le onomatopee delle esplosioni quando sei in piena sbronza.
Poi, certo, ti avranno sganciato fior di dollaroni, ma pensa anche al tuo vecchio amico James, una volta ogni tanto.
Dico davvero.


MrFord


Tutto questo per affermare che Olympus has fallen - o Attacco al potere, che dir si voglia - è sguaiatamente sopra le righe e divertente, ma anche uno dei film più brutti che abbia visto nell'ultima manciata d'anni.
Dunque, in caso voleste cimentarvi, sappiate che lo state facendo a vostro rischio e pericolo.
Un pò come gli Expendables, o i terroristi nordcoreani.


MrFord



"Speed leaving without
warning
I need some place to sleep tonight
blowing in the rocking of the pine
speed leaving without warning
the sunlight is going
into the mountain
I will crawl
into the mountain
sun shines in the rusty morning
skyline of the olympus mons 
I think about it sometimes
sun shines in the rusty morning
once i had a good fly
into the mountain
I will fall."
Pixies - "Bird dream of the Olympus Mons" -


venerdì 15 febbraio 2013

Noi siamo infinito - The perks of being a wallflower

Regia: Stephen Chbosky
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 102'




La trama (con parole mie): Charlie ha quindici anni, e di fronte uno dei periodi più sconvolgenti della vita, il liceo. Timido, introverso, appassionato di lettura e decisamente poco incline al farsi notare, il ragazzo ha ancora nel cuore le ferite aperte della morte della zia - avvenuta a causa di un incidente d'auto quando era ancora bambino - e del suo migliore amico, suicidatosi la primavera appena trascorsa.
Quando il suo cammino incrocia quello di Patrick e Sam, fratello e sorella decisamente fuori dagli schemi nonchè senior alternativi e provocatori, tutto cambia: Charlie, infatti, scoprirà come tirare fuori se stesso, innamorarsi, soffrire e ricominciare tutto da capo gridando a squarciagola la sua voglia di vivere.
Per una volta, lasciandosi salvare. Prendendo un amore invece di accettarlo.
Ed essere infinito.




E’ bastato un momento, per essere proiettato indietro nel tempo fin nel profondo settembre novantatre, quando iniziò l’avventura al liceo dell’allora non troppo vecchio Ford.
Vent’anni fa, a pensarci bene.
Pazzesco, in una certa misura.
Comunque, ai tempi il sottoscritto era molto simile all’introverso Charlie, protagonista di questo gioiellino che si inserisce al volo nelle sorprese più gradite di questo inizio duemilatredici, The perks of being a wallflower, tradotto con un non agghiacciante ma comunque meno indicato Noi siamo infinito qui nella Terra dei cachi: come Charlie, anche il piccoletto e magrolino Ford di allora cominciava a sognare di fare lo scrittore e sopravviveva in quella che era la sezione peggiore dell’istituto contando i giorni che l’avrebbero separato dalla fine di un’avventura che, dopo la sbronza di successi delle scuole medie – passate nella sezione migliore, tra recite in teatro ed una fama da protagonista -, si presentava come un brusco risveglio nella realtà al termine di un bel sogno. 
Come Charlie, Ford faticava ad alzare la mano per dare la risposta – anche quando era quella giusta -, si rifugiava in un mondo di fumetti e letteratura, si faceva fregare dalle compagne più inserite e fighe che in cambio di un finto interesse finivano per recuperare appunti o resoconti di libri che non avevano letto, teneva la rabbia dentro, come un blackout pronto a manifestarsi all’improvviso.
Charlie, però, ha avuto due cose che dalle parti dell’allora non ancora Saloon non si sono mai viste neppure da lontano: un professore che lo comprendesse e gli insegnasse qualcosa – il Mr. Anderson interpretato da Paul Rudd, uno dei favoriti di casa Ford – ed un gruppo di amici per il quale io metterei la firma anche oggi, dallo stratosferico Patrick – un grandissimo Ezra Miller – a sua sorella Sam – una Emma Watson in grande spolvero -, tutti intenti a succhiare il midollo della vita – anche in senso letterale, in più di un’occasione – tra il Rocky Horror Picture Show e quella Heroes che rimanda alle corse nella metropolitana di Berlino che furono il canto di libertà di Christiane F. e della sua generazione prima che l’eroina giungesse a portarsi via tutto quello che poteva, e che per la prima volta – nonostante la sua fama – torna a farsi sentire sulla pelle come fosse un pezzo sconosciuto – come per i nostri tre protagonisti lanciati a perdifiato alla guida di un pick up che pare poter diventare una nave stellare pronta a portarli più lontani possibile da una realtà e da un periodo della vita tra i più tosti che si possano affrontare -.
Ma torniamo a Ford: lui non ebbe un’insegnante di letteratura pronta a spronarlo – ma una gentile educatrice che, cercando di spacciarsi da novella Keating, fece comporre e leggere ad alta voce in classe una serie di poesie e di fronte alle difficoltà del non ancora cowboy lo esortò con grande professionalità e psicologia d’alta scuola a “non fare come Fantozzi” – o la fortuna di incontrare ragazzi dell’ultimo anno così diversi ed aperti da starlo ad ascoltare, ed aiutarlo a muovere i primi passi verso il tumulto che sarebbero stati gli anni successivi.
Lui soffrì e tenne i pugni chiusi per due anni interminabili, e quando finalmente la sezione infame venne smembrata e finì in una classe decente gli parve quasi un miracolo: ma nel frattempo, insieme alla statura e ai capelli, era cresciuta la passione per la scrittura, che aveva contribuito alla sua sopravvivenza ma aveva innescato qualcosa che neppure lui poteva più controllare.
L’adolescente Ford era diventato un vero stronzo.
Così, quando durante il terzo anno conobbe quella che poteva essere la sua Sam, fece un passo indietro proprio quando poteva nascere una storia – Charlie, nella sequenza successiva alla rissa nella mensa scolastica, una delle più riuscite della pellicola, trova la forza di fermarsi ed abbracciare la ragazza di cui è innamorato; il Ford di allora avrebbe tirato dritto, preferendo macerare da solo – che senza dubbio sarebbe stata importante; cominciò a votare contro alle Occupazioni, per poi stare una settimana a casa a leggere e scrivere sbattendosene di tutto e di tutti; dal primo giorno della terza agli esami di maturità diede inizio ad una vera e propria guerra contro un’altra insegnante dalla grande professionalità, questa volta rispondendo sempre più a tono; ad ogni assemblea di classe prese ad abbandonare l’aula per farsi lunghi giri ascoltanto il suo fido walkman; dalla prima passò all’ultima fila, con un banco che si riempiva di citazioni di libri e canzoni; si rifugiò in storielle da neppure un mese con ragazze trattate sempre più di merda – una volta una di loro, al parco, cadde in motorino facendo una di quelle cazzate che si fanno a quell’età, e lui non si alzò neppure dalla panchina per andare ad aiutarla ad alzarsi -.
Charlie è stato fortunato, a trovare Sam e Patrick, e coraggioso a mettere in gioco la sua sensibilità anche quando il rischio era decisamente alto, anche quando si trattava di spargere sale su vecchie ferite ancora aperte – l’amico morto suicida, la figura della zia -.
Charlie è stato infinito, come quella corsa lungo il tunnel insieme a quelli che, per citare un altro grande film di formazione, sarebbero stati “i suoi migliori amici di sempre”.
Ford, invece, ha fatto quello che ha saputo fare meglio per quasi tutta la sua vita: è sopravvissuto guadagnandosi con il sudore ogni centimetro di quello che ha conquistato, piangendo lacrime amare e finendo a gonfiarsi le mani per i pugni sferrati sfogando la rabbia che non riusciva ad uscire in altro modo che non fosse quello, o scrivere.
Ed è stato profondamente stupido.
Perché nessuno – esclusi un paio di altri squilibrati come lui, e comunque con diffidenza ed il contagocce – lo ha più cercato, dopo la fine di quell’epoca e gli esami di maturità, nell’estate del novantotto. Nessuno ha più voluto avere a che fare con quello stronzo dell’ultima fila che si credeva migliore degli altri e ringhiava se soltanto ci si avvicinava a lui. E hanno fatto bene.
Eppure, ora quella sensazione mi manca. Perché ho l’impressione di avere perso qualcosa lungo la strada, anche se qualche tempo dopo, tra una sbronza e l’altra, il servizio civile e Barcellona, anche io ho potuto conoscere la sensazione di “essere infinito”.
Il mio tunnel.
E anche la persona che mi avrebbe salvato. E che continua a farlo ora.
Nonostante tutto. Nonostante me.
E ora voi direte: ma che c’entra tutto questo con la recensione del film?
Nulla.
Ma quando una pellicola parla al cuore e ci entra dentro, non c’è modo migliore di scriverne se non quello di lasciare uscire quello che non può – e non deve – stare dentro.
Ecco: The perks of being a wallflower è stato come scoperchiare un Vaso di Pandora che tenevo chiuso da un sacco di tempo.
O che forse, non avevo mai davvero aperto.
In questo senso, e senza dubbio, questo film è infinito.
Oltre ad essere già uno dei titoli dell’anno.

MrFord


"Though nothing, will keep us together
we could steal time, just for one day
we can be heroes, for ever and ever
what d'you say?"
David Bowie - "Heroes" -


venerdì 13 gennaio 2012

American Horror Story - Stagione 1

Produzione: FX
Origine: Usa
Anno: 2011
Episodi: 12


La trama (con parole mie): la famiglia Harmon, per cercare di ricostruire i rapporti che legano i suoi membri dopo una crisi coniugale vissuta da Ben e Vivien decide di trasferirsi in California, acquistando a Los Angeles una casa magnificente ad un prezzo stracciato senza sapere che, in realtà, la stessa è più infestata della camera di Regan in L'esorcista.
Sarà l'inizio di una vera e propria sarabanda di incroci tra passato e presente che vedrà i coniugi, la loro figlia maggiore Violet ed il bambino in arrivo affrontare le loro paure nonchè le presenze inquietanti legate alle vittime che la casa ha mietuto nel corso dei decenni, dalla Dalia Nera alla coppia gay che occupò l'abitazione poco prima di loro.
Il tutto senza contare la molto presente vicina Constance, la sua invadente figlia Adelaide e l'inquietante Tate, che finirà per innamorarsi, ricambiato, di Violet. 



A volte capita di doversi ricredere, in merito ad una serie tv, e a fronte ad un pilota molto esaltante o deludente giungere al termine della stessa con un'opinione completamente differente da quella di partenza.
A volte no.
American horror story, seguitissima ed ammirata come una delle proposte più interessanti ed avvincenti del 2011 del piccolo schermo si è confermata, dalle parti di casa Ford, come una delle più confusionarie, trite, ritrite, poco spaventose ed assolutamente inutili visioni dell'anno.
E così, come bottigliai selvaggiamente il primo episodio lo scorso ottobre, mi ritrovo ora, a stagione conclusa - e soltanto perchè a Julez non dispiaceva la visione, dato che fosse stato per me non sarei andato oltre il suddetto pilot - a randellare con un certo piglio gli autori e l'opera in toto, incostante e caotica come soltanto un prodotto privo di sceneggiatori validi può essere: neppure nei momenti in cui pareva che tutto potesse prendere una piega finalmente interessante - la rivelazione sul Rubber man, la parte dell'episodio finale in pieno stile Beetle Juice - le occasioni sono state sprecate malamente per concentrarsi sull'aspetto più cool e modaiolo della confezione, affidando il suo charme ad un'ottima Jessica Lange che, alla lunga, finisce per stancare nel suo continuo restare sopra le righe.
Nel corso dello svolgimento della stagione, inoltre, è stato curioso come gli interrogativi a proposito dell'evolversi della trama - fondamentali per ogni serie ben riuscita, e non solo - siano stati sostituiti dalle continue domande a proposito del successo avuto da questa creatura di Ryan Murphy e Brad Falchuk, che neppure la conclusione o l'annuncio della produzione della seconda stagione sono riusciti a fugare: cosa potrà mai avere di speciale American horror story?
La sensazione di paura trasmessa allo spettatore? Dubito, dato che nulla - ma proprio nulla - è riuscito a smuovermi, neppure dal sonno indotto dalle vicende da soap che coinvolgono i protagonisti.
Il cast in forma smagliante? Difficile, considerato che, tolta la succitata Lange ed i giovani Tessa Farmiga ed Evan Peters - che, tuttavia, non vanno oltre l'ordinaria amministrazione - la grintosa Connie Britton mostra la brutta copia della madre già interpretata nell'ottimo Friday night lights e l'inguardabile Dylan McDermott sfoggia un campionario di un'espressione e mezza, senza contare il tracollo di Denis O'Hare, passato dai fasti di True Blood ad un personaggio al limite del ridicolo.
Unica nota davvero positiva: Zachary Quinto nel ruolo di se stesso.
L'originalità del prodotto? Neanche per scherzo, considerato che siamo di fronte ad una serie di citazioni e scopiazzature così evidenti da far sembrare strano non passino segnalazioni luminose con il titolo del film citato - si spazia da Shining a Rosemary's baby, da La casa nera a Nightmare, fino ai video di Lady Gaga -.
L'affezione ai personaggi che ha costruito la fortuna di molte serie corali? Sfido chiunque a trovare anche solo lontanamente simpatico o accattivante uno qualsiasi dei protagonisti, irritanti quanto e forse più dell'agghiacciante Adelaide, meritevole di aver procurato il mio unico momento di gioia nel corso della stagione con la sua uscita di scena.
Dunque, per la prima volta, lancio una sfida che possa mettere un pò in difficoltà questa mia presa di posizione assolutamente ostile ad American horror story: prima che la seconda stagione possa confermare o smentire la mia opinione in merito, provateci voi.
Voi che l'avete amata, che avete provato un oscuro terrore dalla sigla - unica cosa davvero valida - ai titoli di coda, che non vedete l'ora possa essere il prossimo autunno per ricominciare a seguire le gesta degli Harmon e degli altri abitanti della casa più infestata di L. A., che l'avete trovata unica ed originale, fate un tentativo: datemi almeno una buona ragione per far compagnia alla signora Ford anche al prossimo giro di giostra e non lasciarla sola in balìa di tutto questo ciarpame da tubo catodico.


MrFord


"There's a red worm crawling in my head
cut in half worm, in my blood he lies re
and I see him in my head
it's my nightmare, oh it's my dream
he's inside here silencing my screams
alone on a razor's edge
alone sliding on the razor's edge."
W.A.S.P. - "The horror" -

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