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lunedì 18 novembre 2019

White Russian's Bulletin



Nuova settimana per il Bullettin e, pur a fronte di un numero non altissimo di visioni, settimana di ottimi passaggi, che si tratti di piccolo o grande schermo, di novità o di recuperi legati ai sabati sera "Cinema" con i Fordini. Fosse sempre così, ci sarebbe da mettere la firma.
Perchè quando una serie, o un film, ti incolla allo schermo o finisce per essere presente per ore - o giorni - una volta terminata la visione nella testa e nel cuore, significa che il senso di essere qui ad amare la settima arte - all'interno della quale vanno ormai inserite anche le serie - trova il suo compimento.


MrFord



BILLIONS - STAGIONE 4 (Showtime, USA, 2019)

Billions Poster


Nel panorama delle serie televisive, anche tra i titoli che più ho amato negli anni, sono pochi quelli che sono riusciti a mantenere il loro standard qualitativo praticamente immutato stagione dopo stagione, risultando intriganti anche quando l'effetto novità si era affievolito. 
Fatta eccezione per il miracoloso Breaking Bad - a oggi, l'unico ad aver addirittura incrementato lo standard già elevato dalla prima alla quinta stagione -, si contano sulle dita di una mano le produzioni in grado di tenere botta: una di queste, ed una delle più solide degli ultimi anni, è senza dubbio Billions, shakespeariana storia della rivalità tra il procuratore Chuck Rhoades ed il miliardario e genio della finanza Bobby Axelrod portata sulle spalle, tra le altre cose, dalle ottime interpretazioni dei suoi protagonisti.
Giunta al quarto giro di boa, Billions mostra l'ennesima evoluzione del rapporto di questi due antagonisti, dapprima uniti per sconfiggere i rispettivi nuovi nemici e dunque, inesorabilmente, di nuovo dai due lati opposti di una barricata che, ormai, pare esistere più che altro nelle loro anime.
Un prodotto intenso, adulto, realizzato alla grande - dalla scrittura alla fotografia passando per una colonna sonora sempre pazzesca -, che tiene incollati dal primo all'ultimo episodio.
Ed alimenta l'hype per la stagione cinque neanche si fosse agenti di cambio in attesa dell'apertura dei mercati.




PARASITE (Bong Joon Ho, Corea del Sud, 2019, 132')

Parasite Poster

Sarebbe quasi superfluo andare ad analizzare l'etimologia del termine parassita. E, forse, anche riduttivo. Forse anche perchè, a conti fatti, noi esseri umani potremmo essere considerati i più grandi parassiti del pianeta in cui viviamo, essendo quelli che, almeno sulla carta, hanno più coscienza delle proprie capacità, dei difetti e delle zone d'ombra dove si nasconde tutto quello che non possiamo o non vogliamo che venga alla luce.
Bong Joon Ho, tornato in patria dopo le due produzioni internazionali che, almeno per quanto mi riguarda, avevano ridimensionato l'entusiasmo nei confronti del suo Cinema, dimostra che forse le stesse non fanno troppo bene ai cineasti di valore, e consegna al pubblico una delle chicche più toste dell'anno, un film che è giusto vivere più che raccontare, che sorprende, sconvolge, coinvolge, unisce l'eleganza dell'autorialità, una scrittura chirurgica, una recitazione di spessore, sequenze da antologia ed un finale che racconta tutta la poesia dell'imperfezione umana.
E in mezzo, come in un piatto dagli equilibri perfetti, troviamo la commedia nera, le risate, la critica sociale - Jordan Peele ed il suo Noi dovrebbero prendere più di qualche lezione da questo lavoro -, la violenza, il thriller, l'erotismo, l'orrore: in campo ci sono gli estremi, ma è nelle loro sfumature che si trova tutta la potenza di questo film clamoroso vincitore dell'ultimo Festival di Cannes.
Del resto, il bello dell'essere umani - e parassiti - sta proprio nell'intensità di quelle sfumature, che come all'interno di una famiglia, permettono di vivere intensamente sia con uno che con dieci: Mannarino in Maddalena canta "Lascia stare Giuda e guarda altrove, ecco, guarda la mia scollatura; e io mi guarderò dalla tua invidia, perchè Dio non gode come una creatura".
Parasite parla di creature. E di sfumature. E lo fa con cervello e cuore tutti umani.




LA STORIA FANTASTICA (Rob Reiner, USA, 1987, 98')

La storia fantastica Poster


Proseguono i sabati sera Cinema con i Fordini, e con loro il recupero dei titoli che hanno costruito una parte della mia infanzia e gran parte del mio amore per la settima arte: a questo giro è toccato a La storia fantastica, che l'anno scorso avevo rispolverato nel corso di un pomeriggio da solo con la Fordina - che ricordava ancora Andre The Giant e i roditori taglie forti della Palude del fuoco - e che anche il Fordino aveva richiesto dopo il successo della visione de La storia infinita.
E se non è stata ancora colta la portata di alcune frasi supercult come "ai tuoi ordini" di Westley o il famoso monologo di Inigo Montoya, lo spirito del lavoro di Rob Reiner è stato colto in pieno, e vedere i due piccoli scalmanati del Saloon oggi giocare tra loro dicendo "io sono il gigante e tu la principessa" mi ha riempito il cuore di gioia perchè è l'ennesima conferma che la magia di alcuni film non è legata a effetti speciali, epoche o generazioni, ma tocca lo spirito di ognuno di noi, come il bimbo che, pagina dopo pagina, viene catturato dalla magia del libro che il nonno è andato apposta a leggere per lui, così come faceva con suo padre anni e anni prima.
La magia delle Storie, quelle che sono destinate a restare e continuare a far sognare a qualsiasi età, e a prescindere dal Tempo. 
Un pò come a me, che ancora ho i brividi a sentire "Ola, mi nombre es Inigo Montoya, tu hai ucciso mi padre, preparate a morir", oppure vedere Westley alzarsi da un letto per difendere il suo vero amore anche quando si pensava che fosse "quasi" morto.




IL COLTELLO (Jo Nesbo, Einaudi, 2019)


Il coltello (Serie Harry Hole Vol. 12) di [Nesbø, Jo]


Sono passati diversi anni da quando per la prima volta ho incrociato il cammino di Harry Hole, il personaggio principe nato dalla penna di Jo Nesbo, l'illusionista del thriller, il Christopher Nolan della narrativa odierna: ormai conosco bene il detective alcolista cresciuto insieme al suo autore, appassionato di musica e sedotto dal Jim Beam, così come la straordinaria capacità del suo padre letterario di riuscire a scrivere romanzi quasi "al contrario", con architetture talmente incredibili da far supporre si possa davvero cominciare, in una storia, dalla fine e proseguire a ritroso.
Il coltello è la dodicesima avventura di Hole, ormai praticamente cinquantenne, pronta a raccontare l'ennesimo dramma, l'ennesima lotta nella vita di questo charachter oscuro e tormentato eppure ribollente di vita e passione: e nonostante alcune critiche negative lette in rete, nonostante potessi pensare di conoscere il suo approccio, nonostante le undici cavalcate precedenti, sono riuscito ancora una volta a rimanere sorpreso, stupito, rapito dal trucco portato in scena dal poliedrico Nesbo e dal suo protetto.
Perchè le ferite, le cadute, le colpe, "i fallimenti che per tua natura normalmente attirerai" come canterebbe Battiato, non possono nulla contro le radici che crescono, quelle che definiscono il viaggio, ci portano dal passato al futuro. 
Il coltello può ferire, il coltello può uccidere. Ma sono solo le radici quelle che permettono di lottare, resistere, provare ad immaginare un futuro. E viverlo.


mercoledì 3 dicembre 2014

Comportamenti molto cattivi

Regia: Tim Garrick
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 97'




La trama (con parole mie): Rick Stevens è nei guai. In un intervallo di tempo clamorosamente breve, infatti, spinto dalla cotta per la coetanea Nina Pennington, il ragazzo è riuscito a passare dallo status di adolescente tendenzialmente nerd ed impacciato, nonchè vergine, in una sorta di macchina da guai in grado di finire a letto con la madre del suo migliore amico, organizzare un giro di prostituzione, affrontare boss lituani e tentare l'impresa più difficile per uno come lui: conquistare il cuore della stessa Nina.
E nel delirio generato da visioni, equivoci, sesso e droghe, Rick dovrà cercare di arrangiarsi al meglio possibile per poter vincere non solo una battaglia, ma anche e soprattutto la guerra: con se stesso, il mondo e soprattutto, per arrivare alla sua bella.









Non pensavo davvero potesse esistere un film teen talmente brutto da farmi pensare che neppure il Cannibale potrebbe considerarlo interessante - nonostante il penoso sei politico che finì per affibbiargli -.
Eppure, eccolo qui.
Con ogni probabilità, il titolo che mi costerà più fatica dilatare in un post che non si concluda semplicemente con la calzante definizione: "Questo film è una merda".
Curioso quanto premesse se non buone quantomeno indirizzate ai neuroni a zero, un cast ricco di presenze anche gradite - Elizabeth Shue, Heather Graham, Cary Elwes, Gary Busey -, alcool e sesso non siano riusciti quantomeno a salvare il salvabile da uno degli obbrobri più grandi e clamorosi della stagione, una vera e propria presa per il culo del pubblico ed uno spreco di tempo tra i più ingiustificati della mia carriera di spettatore.
Se non altro, il fatto che alla fine risulti innocuo, concorre ad evitare un'incazzatura che soltanto pochi titoli hanno finito per scatenare nel corso degli anni, e che, in altre condizioni, sarebbe stata assolutamente sacrosanta rispetto ad uno scempio che il Cinema tutto non meriterebbe affatto.
Avrei dovuto forse sapere fin dal principio che una pellicola con protagonista Dylan McDermott - di norma garanzia di schifezza - avrebbe avuto scarsa fortuna, qui al Saloon, ma neppure nei miei incubi peggiori avrei immaginato uno scempio di tal fatta: dall'elementare regia di Tim Garrick ad una sceneggiatura che fa delle scene scult i suoi cavalli di battaglia - davvero imbarazzante Elizabeth Shue, mito della mia infanzia con Karate Kid, nel ruolo della milf assatanata - senza per questo riuscire a regalare risate grasse nello stile di titoli come i due Sharknado.
Pensare che, senza colpo ferire, avevo finito per addormentarmi con grande soddisfazione sul divano più o meno a metà della pellicola e che, svegliatomi di soprassalto, ho deciso di riprendere la visione per portarla a termine finisce quasi per farmi sentire in colpa rispetto alla settima arte, che con Comportamenti troppo cattivi - terribile anche l'adattamento italiano, come al solito - non ha davvero nulla a che spartire.
Tant'è che non ripeterò l'errore spingendomi al limite per confezionare un post almeno vagamente decente e di un certo "spessore".
Questa roba non lo merita.
Vado a dormire, il più felice possibile di essermi allontanato da uno dei film peggiori dell'anno.
E non solo, probabilmente.
Sperando di non avere incubi che portino dalle mie parti Justin Bieber e Tim Garrick.




 
MrFord






"I'm having trouble seeing 
I'm punch drunk and 
I need to find a way back home 
it'd be a miracle if you'd oblige."

Incubus - "Punch drunk" -





lunedì 12 agosto 2013

Giorni di tuono

Regia: Tony Scott
Origine: USA
Anno: 1990
Durata: 107'




La trama (con parole mie): Cole Trickle è un giovane pilota di belle speranze venuto dal mondo dei prototipi con l'intenzione di sfondare nel circuito Nascar: quando l'opportunità della vita arriva e passa attraverso l'esperto costruttore Harry Hogge, Cole si trova più in difficoltà di quanto non credesse, e prima di riuscire a provare il suo valore in pista si ritroverà costretto all'angolo in più di un'occasione da piloti esperti come il campione Rowdy Burns.
Ma proprio quando tutto parrà cominciare a funzionare, un incidente porterà proprio lui e Burns alle soglie della morte nonchè a comprendere il senso di una rivalità divenuta ormai amicizia: preso il posto dello stesso Burns, a Trickle non resterà che battere in pista il nuovo rivale Russ Wheeler e conquistare il cuore della neurologa responsabile della sua guarigione, la dottoressa Lewicki.




Mi pare davvero assurdo che una tamarrata dei livelli di Giorni di tuono, firmata dal mitico Tony Scott ed interpretata da uno dei fordiani ad honorem Tom Cruise - senza contare Robert Duvall e Michael Rooker - non fosse ancora passata qui al Saloon.
Approfittando dunque dell'estate e delle sue serate in cui una fuga dal caldo e da qualsiasi impegno intellettuale è praticamente la regola, sono tornato al leggendario millenovecentonovanta - anche se, considerato il gusto ed il tipo di pellicola, verrebbe quasi da dire che si tratta ancora di un titolo profondamente figlio degli eighties - e a questo cult dei motori e della ridondanza magica del tempo, godendomelo dal primo all'ultimo minuto e riscoprendolo responsabile di successivi titoli qualitativamente di molto superiori - su tutti, lo splendido Cars, uno dei miei Pixar favoriti -.
Giocato tutto sul rapporto d'amicizia tra il giovane Cole ed il costruttore Harry prima e sui due ex rivali Trickle/Burns poi, questo giocattolone legato allo spettacolo della Nascar è una sorta di versione da strada di Top Gun, pur non riuscendo a raggiungere gli stessi livelli di magia di quello che è uno dei titoli simbolo firmati da Tony Scott, compianto fratello di grana grossa di Ridley che per troppi anni mi sono ritrovato a bollare come una sorta di incapace raccomandato. Ingiustamente.
Interessante come, senza contare le sequenze spettacolari legate ad incidenti o manovre in pista - per nulla preponderanti rispetto all'evoluzione dello script - ed una sceneggiatura decisamente non all'altezza, il risultato sia comunque un discreto spaccato di quello che è il mondo dei piloti come sarà ritratto più di un decennio dopo da Driven, popolato da uomini abituati a sfrecciare a velocità impensabili rischiando la morte ma, di fatto, prigionieri di una serie di paure da record: del successo, della vittoria, della sconfitta, della sfortuna, di quella bolla che si crea tra l'abitacolo ed il mondo esterno, che troppo spesso e volentieri finisce per essere difficile da rompere affinchè si possa creare una strada a doppio senso.
Ma non vorrei, in tutta onestà, caricare di significati troppo impegnativi e profondi un film che è una vera e propria goduria per noi vecchi tamarri residuati di un'epoca ormai tristemente lontana perfetta per la stagione più rilassata dell'anno: doveste buttarvi su un titolo di questo genere, il mio consiglio è quello di aprire il cuore, l'amarcord dei pensieri e soprattutto la pancia e non farvi troppe domande sul resto, lasciando le riflessioni importanti al massimo a momenti in cui si ride sopra al fatto di aver visto, proprio all'inizio di quest'anno, Duvall e Cruise di nuovo insieme in Jack Reacher.
Considerato che, dunque, come si sente spesso cantare ultimamente, l'estate è "eternità e un battito di ciglia", fossi in voi approfitterei prima che l'autunno arrivi troppo in fretta per dedicare una bella maratona a film come questi, il cui spirito ormai non riesce più ad essere replicato e la cui innocenza è pari alla spocchia simpatica di Tom Cruise, che pare destinato sempre e comunque ad essere il figo, strafottente eroe positivo pronto, alla fine, a regalare una soddisfazione alle masse adoranti.
Allacciate dunque le cinture e preparatevi ad un giro di giostra - o meglio, di pista - come non se ne fanno più, e godetevelo come uno di quegli amori da spiaggia pronti a finire in men che non si dica una volta tornati a casa, ma che danno l'impressione di poter durare per sempre.


MrFord


"You say you don't spook easy
you won't go, but I know
and I pray that you will
fast as you can, baby
run-free yourself of me
fast as you can."
Fiona Apple - "Fast as you can" - 


lunedì 2 aprile 2012

La storia fantastica

Regia: Rob Reiner
Origine: Usa
Anno: 1987
Durata: 98'



La trama (con parole mie): un ragazzino malato e costretto a letto riceve la visita del nonno, che ripetendo una tradizione che prosegue da generazioni nella famiglia, legge al nipote una storia incredibile incentrata sull'amore che lega il temerario Westley e Bottondoro, nato quando il primo era soltanto il garzone della giovane e proseguito a distanza di anni, in grado di superare traversie, intrighi, contendenti, vendette, duelli, giganti, sfide di ogni genere e addirittura la morte.
La favola, inizialmente accolta con freddezza dal piccolo ascoltatore, diverrà sempre più coinvolgente, finendo per rendere le parole del nonno una realtà magica e vivida come mai alcun videogioco potrà essere.




Alcuni titoli, non ci sono decenni che passano o nuove visioni che tengano, sono destinati a restare nel cuore di chi li ha vissuti in tempi in cui tutto appariva come magico, i mesi duravano anni e tutto pareva un semplice gioco che avrebbe assunto dimensioni sempre più considerevoli: mi tornano in mente i Goonies, la saga di Karate Kid, Gremlins, le epopee di Stallone e Schwarzy, La storia infinita e, ovviamente, La storia fantastica.
Musicato da Mark Knopfler e diretto da un signor mestierante come Rob Reiner, il salto indietro nel tempo che questo film - realizzato come una pellicola low budget eppure ancora in grado di lasciare a bocca aperta - offre ai suoi spettatori toglie il fiato ad ogni visione, proiettando l'audience in un mondo che allora sognavo con il cuore in gola, tra l'Uomo in nero e l'enorme Fezzik - il compianto Andre the giant, amato da tutti i piccoli fruitori di wrestling dell'epoca -, il duello d'intelligenza con Vizzini e l'impareggiabile Inigo Montoya, idolo assoluto di casa Ford dai tempi dei tempi, per non parlare dell'assalto al castello e dell'eccezionale confronto finale tra Westley ed il principe Humperdinck.
Anche più de La storia infinita, la pellicola di Reiner incarna per il sottoscritto tutta l'innocenza e la magia che solo il fantasy riusciva a regalare - e riesce tuttora -, la capacità di sognare e vivere mondi, lotte all'ultimo sangue e amori, rendendoli veri soltanto grazie alla forza dell'immaginazione: nelle rime di Fezzik o nel quasi grottesco "inconcepibile" di Vizzini, ma soprattutto in quel "Hola, mi nombre es Inigo Montoya, tu hai ucciso mi padre, preparate a morir!" c'è un brivido che non riesco a controllare neppure oggi, a più di vent'anni dalla prima volta in cui lo sentii pronunciare dallo spadaccino avversario del protagonista.
Recentemente, inoltre, riscoprendo nello stesso Inigo - per me vero mattatore della pellicola - quel Mandy Patinkin vissuto negli ultimi anni sul piccolo schermo - da Criminal minds a Homeland - mi è quasi parso di rompere un incantesimo che non credevo fosse possibile vedere trasportato all'interno del normale corso del tempo, quello stesso corso che ha visto Robin Wright, allora debuttante, diventare la moglie di Sean Penn, nonchè sua musa ispiratrice, Andre the giant morire come molti wrestlers della sua generazione, Rob Reiner perdersi, proprio con l'inizio degli anni novanta - appena dopo Misery, per intenderci - in produzioni sempre meno interessanti, così come Cary Elwes, passato da un cult come Top gun ad una robetta trash come Saw.
Il tempo e la realtà, quelli di tutti i giorni, non hanno remore, e ci ricordano ogni giorno che passa che sono pronti a presentare il conto. Senza guardare in faccia nessuno.
Fortunatamente esistono piccole meraviglie come questa, che ci permettono di uscire da tutto e vivere qualcosa di unico e magico, che tornerà ad aiutarci quando saremo bambini malati a letto o nonni premurosi pronti a dimostrare ai nipoti che a volte, basta una lettura per scoprire il valore dell'immaginazione.
Fortunatamente esiste il Cinema, pronto a portare sui suoi schermi fiabe in grado di conquistarci come un "amore vero".
Fortunatamente esistono i miracoli. E chi li sa compiere.
Dal vecchio, scorbutico Max a Rob Reiner.
E fortunatamente esiste chi crede, fermamente e a fondo, che possano compiersi: Westley, il pirata Roberts, Fezzik, Inigo, Bottondoro.
Anche quando la loro realizzazione è soltanto un trucco, un'illusione, una magia.
O quando, più semplicemente, sono veri come la carne ed il sangue.
E' bello poter credere nella magia.
E nel Cinema.
La benzina che muove i nostri motori, che spinge tutti gli Inigo ad andare avanti, senza smettere di cercare l'uomo che uccise il padre, vent'anni prima.
L'uomo a cui recitare una frase divenuta un mantra: "Hola, mi nombre es Inigo Montoya, tu hai ucciso mi padre, preparate a morir."


MrFord


"Come my love I'll tell you a tale
of a boy and girl and their love story
and how he loved her oh so much
and all the charms she did possess
now this did happen once upon a time
when things were not so complex
how he worshipped the ground she walked
and when he looked in her eyes he became obsessed."
Mark Knopfler - "Storybook love" -


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