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martedì 30 aprile 2019

Tuesday's child


Settimana delle uscite che, come per la precedente, arriva in anticipo e rompe gli schemi a causa delle festività di questo periodo: a fare compagnia al vecchio cowboy e al finto giovane Cannibal Kid per commentare i titoli pronti a scaldare il weekend in sala neanche fossimo a ridosso di un finale di stagione calcistica incerto, Riccardo Giannini, che di pallone - ma non solo, a quanto pare - mastica eccome.


MrFord



"Certo che a vivere come Ford si sta proprio bene!"

NON SONO UN ASSASSINO

"Un White Russian mentre mangi? Stai diventando peggio di quel beone di Ford!"
Riccardo: "Non sono un cineblogger", parafrasando il titolo di questo film. Ringrazio entrambi per la "convocazione", usando un termine calcistico; spero non abbiate da pentirvene. Veniamo a questo legal thriller italiano, tratto dal libro omonimo di Francesco Caringella: poliziotto accusato di aver ucciso un giudice, suo caro amico, e difeso da un avvocato in crisi, legato all'indagato e all'assassinato da un rapporto d'amicizia (ma ha sofferto, pare, il ruolo di "terzo incomodo"). Il penale è materia interessante per il sottoscritto e mi incuriosisce soprattutto questo enigma della chiave e del relativo cassetto contenente degli "scomodi segreti". Diciamo che Scamarcio e Boni sono due "top player" tra i nostri attori, mentre la Gerini mi sembra fuori ruolo come Pubblico Ministero. Ho paura che sia il classico film dal finale che ammazza e delude tutte le attese.
Cannibal Kid: Nemmeno io sono un cineblogger. Io sono Il Cineblogger per eccellenza, ahahah
Di certo non è un cineblogger Ford, che semmai può essere considerato un cinehater. O se non altro uno che odia i bei film. Questo Non sono un assassino rientrerà nella categoria dei bei film?
Un tempo avrei detto di no, solo che di recente la mia fiducia in Scamarcio è aumentata. Parecchio. Non dico sia diventato il CR7 del nostro cinema. Dopo i suoi ruoli da amante della cocaina in Loro, Euforia e nel recente esaltante Lo spietato, lo accosterei piuttosto a Diego Armando Maradona. Nientepopodimeno che. Alessio Boni invece è un po' il Dybala della cinematografia italiana: discontinuo, ma a tratti capace di ottimi numeri. In più c'è Edoardo Pesce, rivelazione alla Kean in Dogman. La Gerini invece è come Montolivo: è partita bene (con Verdone) e poi si è rivelata una ciofeca.
Con una formazione così, questo legal-thriller non garantisce una vittoria certa, ma un discreto spettacolo quello sì.
Ford: non sono un radical chic come Cannibal, e nonostante le sorprese che può riservare Scamarcio - che io avevo già ben visto ai tempi dei tempi in Romanzo criminale, da ottimo osservatore - non credo che questo film finirà per rivelarsi l'ennesima produzione italiana esaltata dalla cricca di Peppa Kid neanche fosse destinata a chissà quali traguardi.
Più che altro, rischierà per vedersi svanire tra le mani un sogno che non sembrava neppure tanto più nel cassetto. Un po' me la Juventus con la Champions.

I FRATELLI SISTERS

"Com'è che Ford abita così lontano?" "Non vuole che casa sua sia raggiunta da una qualsiasi automobile!"
Riccardo: Western bizzarro, non tanto per l'humor nero che lo contraddistingue: anche "100 modi per morire nel west" di Seth MacFarlane ne aveva a fiumi (fino a cadere nell'irresistibile demenzialità stile Griffin), ma quest'ultima pellicola rispettava comunque alcuni canoni del Western. Ecco, "I fratelli Sisters" mi sembra veramente uscire dai binari, per offrire una storia interessante (incentrata non solo su duelli e inseguimenti, ma anche sulla ricerca dell'oro). D'altro canto il Western è oramai un genere "defunto", quindi bisogna inventarsi qualcosa per fare un Western nel 2019. C'è Phoenix, nel momento in cui tutti attendono di vederlo nei panni del Joker. Nel complesso ciò che mi incuriosisce e questa assenza di distinzioni tra buoni e cattivi, niente bianco e nero, ma tante sfumature di grigio. Certo, l'epicità del "Grande Silenzio" (il grande spaghetti western senza buoni) è tutt'altra cosa, ma va benissimo così!
Cannibal Kid: Uno dei film più rischiosi dell'anno. Per la mia vita. Io il western non lo sopporto. Un genere troppo vecchio, troppo superato, troppo... fordiano. Anche se questo sembra essere diverso dal solito, anche se alla regia c'è un regista che apprezzo parecchio come Jacques Audiard, anche se nel cast ci sono due miei idoli come Joaquin Phoenix e Jake Gyllenhaal, anche se in rete si trova già da diverse settimane, ancora non ho trovato il coraggio di vederlo. E forse mai lo troverò.
Ford: nonostante sia in rete da parecchio non sono ancora riuscito, da buon ritardatario, a recuperare quello che potrebbe essere il film della settimana, ed uno dei più fordiani di questo periodo. Audiard è un regista che ho sempre apprezzato, così come Phoenix e Gyllenhaal e l'ottimo gregario John C. Reilly, il Western è una specie di seconda pelle, direi che gli ingredienti per un ottimo cocktail da Saloon ci sono proprio tutti.

STANLIO & OLLIO

"Solo un bianchino triste?" "Che vuoi che ti dica!? L'open bar l'ha organizzato Cannibal!"
Riccardo: Ritroviamo John C. Reilly, uno dei due fratelli Sisters, nei panni di Oliver "Ollio" Hardy. Devo dire che i due attori protagonisti (Stan "Stanlio" Laurel è Steve Coogan) sono perfetti nella parte! Ammetto però che da bambino non sono mai stato un fan del duo, uno spettatore assiduo; ricordo con piacere più che altro alcune loro "comparsate" in alcune bellissime storie di Topolino. Ho letto velocemente la loro biografa ed effettivamente ci sono tanti momenti tristi. Immagino quindi sia un film da guardare con una buona scorta di fazzoletti, una storia sull'amicizia e sugli ostacoli da essa affrontati. Mi piace porre il focus sulla difficile convivenza dei due personaggi comici con le vere persone (da quello che si evince sul trailer, mi sembra un tema principale): aspetto a me caro quello dello "sdoppiamento" della personalità.
Cannibal Kid: Altro titolo rischiosissimo, altro lavoro che mi spaventa parecchio, considerando che la comicità vecchio stile (quindi anch'essa fordiana) di Stanlio e Ollio non l'ho mai retta manco per sbaglio, altro lavoro interpretato dall'antidivo John C. Reilly, a sorpresa il grande protagonista di questa settimana cinematografica. Un attore che ho amato molto ai tempi di Magnolia, ma che da allora non mi ha più convinto un granché. Difficilmente con una doppietta di pellicole come questa ritornerà nelle mie grazie.
Ford: titolo potenzialmente interessante, che regala il giusto "spotlight" ad un attore capace e sottovalutato come Reilly, che non essendo esattamente un re del ballo di fine anno della scuola è ovviamente snobbato da quella divetta di Katniss Kid. Non sono mai stato un grande fan di Stanlio e Ollio, ma nutro discrete speranze affinchè questo film possa rivelarsi quantomeno interessante nel raccontare quello che c'era dietro "le maschere".

ATTACCO A MUMBAI - UNA VERA STORIA DI CORAGGIO

"Perdonami, non volevo consigliarti quel film consigliato da Cannibal!"
Riccardo: Il film ricostruisce gli attentati terroristici a Mumbai, in India, il 26 novembre 2008. I fari sono puntati su quanto accadde nell'hotel di lusso "Taj Mahal Palace". Ci sarà spazio, immagino, per diverse sotto-storie e personaggi. Ma decisamente un genere di film che non mi attrae affatto. Nel 2019 trovo sorpassato questo modo di fare cinema. Meglio un docu-film a tutti gli effetti sui fatti reali (tanto più a soli 10 anni dai loro avvenimenti).
Cannibal Kid: Anche io non amo molto i film ispirati alla cronaca, che spesso finiscono per essere troppo limitati dall'obbligo di aderire ai fatti realmente successi. Riccardo lo definisce un modo sorpassato di fare cinema e io, considerando che si tratta del tipo di film prediletto negli ultimi anni dall'idolo fordiano Clint Eastwood, non posso che essere d'accordo. Questa ennesima storia di eroismo non è girata da lui, ma mi attira allo stesso modo dei suoi ultimi spenti lavori. Ovvero pochissimo.
Ford: se fosse stato girato da Clint, o Michael Mann, o qualche altro vecchio leone del Cinema made in USA, probabilmente la mia curiosità sarebbe stata più consistente. Purtroppo non è così, dunque prevedo che questo Attacco a Mumbai sarà più che altro un attacco alla pazienza e a chi si aspetta una cronaca e si ritroverà la consueta storia retorica all'ammeregana. Peccato, perchè in questi casi mi tocca quasi dare ragione al mio rivale.

NON CI RESTA CHE RIDERE

"Ford ci detesta, festeggiamo! Andiamo tutti a Casale da Cannibal!"
Riccardo: Alessandro Paci dirige e interpreta questo film, a fianco dell'amicone Massimo Ceccherini, praticamente un insieme di barzellette - credo e spero - legate da una trama (comunque risibile). Personalmente non sono un gran fan del filone della comicità\commedia toscana, nonostante la mia passione per uno dei film capostipiti del filone: "Berlinguer ti voglio bene". Nel caso di Ceccherini e Paci, sono due "mediani" che si sono fatti "fantasisti" mettendosi in proprio, per usare una metafora calcistica, ma i risultati sono sempre stati deludenti. Il Benigni irriverente e Carlo Monni erano di tutt'altra categoria. Di sicuro un film che eviterò senza esitazioni.
Cannibal Kid: Alessandro Paci sinceramente non so manco chi sia. E non ho particolarmente voglia di scoprirlo. Massimo Ceccherini invece (purtroppo) lo conosco e non mi è mai piaciuto per niente. Da quando so che Ford lo detesta ancora più di quanto detesti me, devo però ammettere che ha cominciato a starmi un pochino simpatico. Tranquilli, raga, non abbastanza da guardarmi un suo film, o da smettere di considerarlo uno scarpone totale, sia del cinema che della comicità.
Ford: mancava, in una settimana tutto sommato non malaccio, la classica poracciata italiana di quelle che, per usare un paragone calcistico, vengono in mente quando mettiamo il nostro catenaccio a confronto con un calcio totale. Un pò come se lo spento Milan uscito dalla Coppa Italia fosse sceso in campo contro l'Ajax sorpresa della Champions. Considerata, poi, la presenza di Ceccherini, forse il personaggio cinematografico italiano che più detesto in assoluto, la frittata è fatta. Non mi resta che ignorare l'esistenza di questo film e passare oltre.

lunedì 12 agosto 2013

Giorni di tuono

Regia: Tony Scott
Origine: USA
Anno: 1990
Durata: 107'




La trama (con parole mie): Cole Trickle è un giovane pilota di belle speranze venuto dal mondo dei prototipi con l'intenzione di sfondare nel circuito Nascar: quando l'opportunità della vita arriva e passa attraverso l'esperto costruttore Harry Hogge, Cole si trova più in difficoltà di quanto non credesse, e prima di riuscire a provare il suo valore in pista si ritroverà costretto all'angolo in più di un'occasione da piloti esperti come il campione Rowdy Burns.
Ma proprio quando tutto parrà cominciare a funzionare, un incidente porterà proprio lui e Burns alle soglie della morte nonchè a comprendere il senso di una rivalità divenuta ormai amicizia: preso il posto dello stesso Burns, a Trickle non resterà che battere in pista il nuovo rivale Russ Wheeler e conquistare il cuore della neurologa responsabile della sua guarigione, la dottoressa Lewicki.




Mi pare davvero assurdo che una tamarrata dei livelli di Giorni di tuono, firmata dal mitico Tony Scott ed interpretata da uno dei fordiani ad honorem Tom Cruise - senza contare Robert Duvall e Michael Rooker - non fosse ancora passata qui al Saloon.
Approfittando dunque dell'estate e delle sue serate in cui una fuga dal caldo e da qualsiasi impegno intellettuale è praticamente la regola, sono tornato al leggendario millenovecentonovanta - anche se, considerato il gusto ed il tipo di pellicola, verrebbe quasi da dire che si tratta ancora di un titolo profondamente figlio degli eighties - e a questo cult dei motori e della ridondanza magica del tempo, godendomelo dal primo all'ultimo minuto e riscoprendolo responsabile di successivi titoli qualitativamente di molto superiori - su tutti, lo splendido Cars, uno dei miei Pixar favoriti -.
Giocato tutto sul rapporto d'amicizia tra il giovane Cole ed il costruttore Harry prima e sui due ex rivali Trickle/Burns poi, questo giocattolone legato allo spettacolo della Nascar è una sorta di versione da strada di Top Gun, pur non riuscendo a raggiungere gli stessi livelli di magia di quello che è uno dei titoli simbolo firmati da Tony Scott, compianto fratello di grana grossa di Ridley che per troppi anni mi sono ritrovato a bollare come una sorta di incapace raccomandato. Ingiustamente.
Interessante come, senza contare le sequenze spettacolari legate ad incidenti o manovre in pista - per nulla preponderanti rispetto all'evoluzione dello script - ed una sceneggiatura decisamente non all'altezza, il risultato sia comunque un discreto spaccato di quello che è il mondo dei piloti come sarà ritratto più di un decennio dopo da Driven, popolato da uomini abituati a sfrecciare a velocità impensabili rischiando la morte ma, di fatto, prigionieri di una serie di paure da record: del successo, della vittoria, della sconfitta, della sfortuna, di quella bolla che si crea tra l'abitacolo ed il mondo esterno, che troppo spesso e volentieri finisce per essere difficile da rompere affinchè si possa creare una strada a doppio senso.
Ma non vorrei, in tutta onestà, caricare di significati troppo impegnativi e profondi un film che è una vera e propria goduria per noi vecchi tamarri residuati di un'epoca ormai tristemente lontana perfetta per la stagione più rilassata dell'anno: doveste buttarvi su un titolo di questo genere, il mio consiglio è quello di aprire il cuore, l'amarcord dei pensieri e soprattutto la pancia e non farvi troppe domande sul resto, lasciando le riflessioni importanti al massimo a momenti in cui si ride sopra al fatto di aver visto, proprio all'inizio di quest'anno, Duvall e Cruise di nuovo insieme in Jack Reacher.
Considerato che, dunque, come si sente spesso cantare ultimamente, l'estate è "eternità e un battito di ciglia", fossi in voi approfitterei prima che l'autunno arrivi troppo in fretta per dedicare una bella maratona a film come questi, il cui spirito ormai non riesce più ad essere replicato e la cui innocenza è pari alla spocchia simpatica di Tom Cruise, che pare destinato sempre e comunque ad essere il figo, strafottente eroe positivo pronto, alla fine, a regalare una soddisfazione alle masse adoranti.
Allacciate dunque le cinture e preparatevi ad un giro di giostra - o meglio, di pista - come non se ne fanno più, e godetevelo come uno di quegli amori da spiaggia pronti a finire in men che non si dica una volta tornati a casa, ma che danno l'impressione di poter durare per sempre.


MrFord


"You say you don't spook easy
you won't go, but I know
and I pray that you will
fast as you can, baby
run-free yourself of me
fast as you can."
Fiona Apple - "Fast as you can" - 


martedì 26 marzo 2013

Cyrus

Regia: Jay Duplass, Mark Duplass
Origine: USA
Anno: 2010
Durata: 91'



La trama (con parole mie): John è un montatore freelance divorziato ormai da sette anni dall'ex compagna Jamie, in procinto di risposarsi con Tim. Depresso e solo, è invitato proprio dalla coppia ad una festa dove conosce Mollie, che da subito mostra interesse sincero ed attrazione per l'uomo.
Ne nasce una storia d'amore che decolla immediatamente, e che John ha intenzione di vivere senza lesinarsi nulla, specie considerando il tempo perduto a commiserarsi dopo la fine del suo matrimonio: quello che il malcapitato non sa, però, è che Mollie ha cresciuto da sola un figlio ormai più che ventenne, Cyrus, che dietro una facciata disponibile e cortese nasconde un carattere infantile, egoista e pronto a battersi per una territorialità che ha al centro proprio la madre.
Nonostante un inizio apparentemente tranquillo, tra i due uomini si scatenerà una vera e propria lotta per le attenzioni - ed il futuro sentimentale - di Mollie.




Nell'ambito del Cinema made in USA, la realtà del Sundance è stata una delle più soddisfacenti e controverse che il Saloon abbia conosciuto nel corso degli anni: accanto a rivelazioni strepitose - Little Miss Sunshine su tutte - sono passate vere e proprie chicche d'autore che seppellire di bottigliate è stato un grandissimo piacere - oltre che un dovere -, che hanno reso il Festival creato da Robert Redford uno dei più stimolanti e rischiosi nel panorama cinematografico mondiale.
Da parecchio tempo, e proprio riferendomi ad esso, sentivo parlare di questo lavoro dei Duplass, peraltro attraverso commenti sicuramente positivi, dunque non potevo lasciare che sfuggisse ancora per molto alle attenzioni del sottoscritto: fortunatamente per casa Ford, occorre da subito ammettere che Cyrus è indiscutibilmente parte del "lato buono" del Sundance style, quello privo di autocompiacimenti o menate da pseudo artisti di sorta e decisamente orientato verso i sentimenti dei protagonisti delle pellicole così come quelli del pubblico, inevitabilmente coinvolto e toccato da lavori che, pur essendo lontani dall'esperienza di chi li guarda, finiscono per coinvolgere quasi fossero racconti di vita di qualche vecchio amico ritrovato con piacere.
Arricchito da un cast in più che discreta forma - non capita tutti i giorni, del resto, di avere a disposizione per una pellicola indipendente John C. Reilly, Marisa Tomei e Jonah Hill nel ruolo di protagonisti - e da uno script dolceamaro in grado di mescolare ironia ed una punta di tristezza che definirei "autunnale", questa riflessione sul rapporto tra genitori e figli e sul valore di una storia quando, superati i quaranta e soli, si finisce per autoconvincersi che non ci sarà più un futuro - sentimentalmente, ma non solo, parlando - appare credibile e sincera, mai persa in inutili autorialismi e concentrata sul suo lato più schietto e pane e salame, nonchè privo di vergogna nell'essere mostrato anche nei suoi lati decisamente più inquietanti - il rapporto tra Mollie e Cyrus non è sicuramente una cosa da prendere a cuor leggero -.
Quella che sarebbe potuta essere, nelle mani ad esempio di uno come Judd Apatow, una commedia assolutamente demenziale e senza dubbio bassa, diviene per i Duplass un'occasione per mostrare tre solitudini che, nel loro incontro - e scontro - trovano lo stimolo perchè le cose assumano una dimensione nuova e le vite prendano una direzione diversa da quelle di losers che paiono avere impresse a fuoco sulla pelle, almeno agli occhi di chi, all'esterno e baciato "dal successo" - la coppia Jamie/Tim - potrà sempre e soltanto guardare dall'alto in basso.
Certo, non staremo parlando della pellicola del secolo, o di un'esperienza destinata a cambiare la vostra vita di spettatori, eppure nel romantico riscoprirsi di John e Mollie, nella lotta senza quartiere tra lo stesso John e Cyrus, nel rapporto che lega il ragazzo alla madre c'è qualcosa di genuino e spontaneo così come di scombinato e disfunzionale, tutto però concentrato nel desiderio di trovare un riscatto che possa in qualche modo dare una dimensione nuova ad una vita vissuta sempre e comunque per sottrazione, alimentata da una tristezza di fondo che soltanto chi pensa di essere destinato ai margini può avvertire.
Un film da non protagonisti, lontano dalle scene madri e girato come fosse una produzione molto, molto low budget, eppure in grado di lasciare il suo segno piccolo piccolo e non sfigurare accanto a pellicole ben più blasonate ma decisamente meno portate al cuore di questa.
Se un giorno vi ritrovaste soli - a casa, o senza lavoro, o in assenza di un/a compagno/a, lontani da tutto - fate appello a tutta la forza possibile e lasciate scorrere dagli occhi al cuore le vicende di questi tre insoliti charachters, perchè oltre il pessimismo, la malinconia ed una certa quale disperazione sotterranea - ma non troppo - potreste trovare la forza di recuperare quello spirito - in tutti i sensi - per ricominciare da capo.
E addirittura scoprire che tutta quella fatica è servita a portarvi in un posto migliore.


MrFord


"I'm gonna clear out my head
I'm gonna get myself straight
I know it's never too late
to make a brand new start."
Paul Weller - "Brand new start" -


domenica 30 ottobre 2011

Benvenuti a Cedar Rapids

Regia: Miguel Arteta
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 87'



La trama (con parole mie): Tim Lippe è un assicuratore della Brown Valley, in Wisconsin, non ha mai volato o viaggiato, ha una relazione con la sua ex insegnante delle elementari ed è un nerd fatto e finito.
Quando l'uomo di punta della sua agenzia muore a seguito di pratiche di autoerotismo estreme, il boss decide che sarà Tim a prenderne il posto nell'annuale convention di Cedar Rapids, mandandolo a caccia del quarto premio consecutivo come migliore agenzia del Paese.
I pochi giorni passati lontano da casa significheranno, per Tim, una vera e propria rivoluzione interiore tra alcool, droga, nuove amicizie, sesso e la scoperta del vero volto del mondo da lui creduto dorato degli assicuratori: un covo di avvoltoi e squali mascherato da un puritanesimo della peggior specie.



Non è la prima volta, ultimamente, che la commedia americana apparentemente demenziale, pur non attestandosi a livelli particolarmente clamorosi, riesce a sorprendermi in positivo, finendo per risultare una visione godibile e rilassante invece di un vero e proprio disastro da bottigliate: di recente, la piacevole Come ammazzare il capo e vivere felici così come la sorpresa Crazy, stupid love hanno riabilitato il genere in casa Ford, spingendomi a recuperare questo lavoro di Miguel Arteta per conciliare un pomeriggio da divano selvaggio e patatine in pieno relax da lontananza dal lavoro.
Grazie anche soprattutto alle presenze di Ed Helms - memore delle sue notti da leone - e John C. Reilly il cast risulta azzeccato e in discreta forma - ottima anche Sigourney Weaver nel ruolo della tardona dalla gran voglia di divertirsi a letto -, e fa da cornice ad una regia certo non superiore al più semplice mestiere, ma che porta a casa la pagnotta riuscendo, a tratti, quasi ad apparire come una commedia "alla Sundance".
Dovendo rimanere qualche secondo in più sulle questioni tecniche, mi pare doveroso citare anche l'ottima fotografia, a tratti addirittura patinata, che si concentra su toni molto autunnali e gioca sull'equilibrio tra costumi e scenografia.
Giusto, però, per non apparire come un barboso professore per la gioia del mio nemico Cannibale, lascio alle spalle il giudizio critico per concentrarmi su una storia soltanto apparentemente sguaiata che rivela un'anima malinconica, facendo leva su un quartetto di protagonisti completamente allo sbando impegnati - almeno al principio - ad apparire decisamente meno complessati e disequilibrati di quanto in realtà non siano - un pò quello che accade a tutti noi nell'ambito lavorativo, e spesso e volentieri non solo -, senza risparmiare qualche sonora ed apprezzatissima frecciata al bigottismo fasullo da chiesotti figli della provincia profonda.
La riscossa di Tim/Ed Helms, passata attraverso l'emancipazione da tutte le regole di perbenismo in cui lo stesso protagonista è vissuto quasi rifugiandovisi fino a quel momento è un piacevole spasso fantozziano per lo spettatore, che, pur non identificandosi con il protagonista - almeno per quanto mi riguarda, ho trovato decisamente più affine la figura del casinaro Dean Ziegler/John C. Reilly, vera e propria mina vagante della convention di Cedar Rapids -, non ha difficoltà ad empatizzare con le sue gesta da imbranato conquistatore in grado di sedurre la madre di famiglia Joan Fox - personaggio che ricorda molto quello della Alex Goran/Vera Farmiga di Tra le nuvole - e la giovane prostituta Bree, che apre all'impacciato Tim un mondo che riporta alle situazioni limite del magnifico Winter's bone.
Certo, stiamo parlando di un film piccolo piccolo, eppure, a tratti, quasi mi è parso di tornare indietro ai tempi della stagione migliore del Cinema indipendente americano, quando il radicalchicchismo era soltanto un miraggio ed una certa dolceamara spontaneità la faceva di gran lunga da padrona: considerate le aspettative che nutrivo a proposito di questa pellicola, direi che si potrebbe considerare addirittura un (quasi) successo.
Inoltre, momenti come il fuori programma in piscina di Ziegler, Tim e Joan o l'ingresso trionfale al party in soccorso di Tim di Ronald in versione The Wire diventano piccole perle in grado (di nuovo quasi) di apparire a loro modo cult.
Insomma, dovendo pensare di dedicare un'ora e mezza scarsa ad un ozio gradevole e in qualche modo costruttivo, sicuramente una gita a Cedar Rapids è da prendere in considerazione: non si sa mai che i racconti delle vostre gesta non diventino un modo per farsi ammirare dalla hostess di turno.

MrFord

"But tell me please, would you one time just let me be myself ?
So I can shine with my own light, let me be myself
Would you let me be myself?"
3 Doors Down - "Let me be myself" -

lunedì 10 ottobre 2011

Carnage

Regia: Roman Polanski
Origine: Polonia/Usa
Anno: 2011
Durata: 79'



La trama (con parole mie): i Longstreet e i Cowan, due coppie della borghesia medio/alta di New York, si incontrano nell'appartamento dei primi per discutere delle conseguenze dello scontro tra i loro figli pre-adolescenti.
Il rampollo dei secondi, infatti, a seguito di una lite ha colpito il coetaneo con un bastone provocandogli la rottura degli incisivi anteriori ed un trauma fisico che ha lasciato sconvolti i suoi genitori.
Il dialogo, nato come una pacifica analisi del problema, degenera inesorabilmente scoprendo tutti i nervi di una società inevitabilmente basata sull'ipocrisia e sulla menzogna, scatenando le neppure troppo sottili cattiverie degli adulti nel profondo completamente disinteressati alle vicende che hanno coinvolto i loro stessi figli.



Ebbene sì, avete visto bene.
Lo dico chiaro e tondo, tanto per non creare equivoci di sorta: credo che Carnage, opera ultima del grandissimo - e resta tale, sia chiaro - Polanski sia inequivocabilmente, inesorabilmente, assolutamente sopravvalutata.
Certo, resta un film ben fatto, portato in scena con la mano fatata di un grande regista e pervaso da tutta la magia della teatralità, interpretato discretamente - e non, come è stato scritto quasi ovunque, in maniera magistrale: Waltz e la Winslet ci hanno abituati a ben altro -, reso tagliente da tutta la forza di una sceneggiatura legata a doppio filo ai limiti e alle miserie che, in quanto appartenenti all'umanità "civilizzata", ci vede coinvolti in prima persona a prescindere dal nostro grado di "bontà".
Eppure, nel corso di questi ottanta minuti scarsi di apparente - ma neppure troppo - violenza pare quasi di assistere ad una messa in scena simile a quella che i protagonisti portano nei loro salotti finto cortesi da the pomeridiano, tanto da farmi pensare che, nella stessa situazione e con la stessa materia tra le mani, Haneke o ancor più il Maestro Bunuel avrebbero potuto davvero portare sul grande schermo un'opera terrificante in grado di incidere così tanto il cuore dello spettatore da non poter più essere dimenticata.
Polanski - che nello stesso genere aveva fatto sicuramente molto meglio con La morte e la fanciulla -, pare inesorabilmente accecato più dal suo stesso mestiere che non dalla voglia di comunicare il disagio che dovrebbe portare il cosiddetto "dio del massacro" nei cuori degli spettatori, e finisce per perdersi in citazioni evidenti del suo collega austriaco - l'apertura ed il finale, soprattutto - e nella libertà d'azione fornita al grande cast, così grande da smarrirsi in gigionerie di classe che, senza se e senza ma, restano gigionerie.
Non so se, rispetto a questo mio giudizio, sia stata l'aspettativa altissima a lasciare l'amaro in bocca a fine visione, ma ammetto di essermi anche tendenzialmente annoiato a tratti di fronte ai fiumi di parole che i protagonisti riversano sull'audience senza, tutto sommato, sconvolgere quanto vorrebbero mostrando una cattiveria che, a mio parere, è già ben evidente nella realtà che ognuno di noi vive quotidianamente all'interno dell'intricata matassa di relazioni sociali che intratteniamo con vicini, colleghi, capi e quant'altro.
Dunque, il cinismo irritante di Waltz - l'uso del cellulare, pur non essendo originalissimo, mi è parso come uno degli spunti più interessanti dell'intero lavoro nella contrapposizione tra l'irritazione degli altri personaggi e le risate suscitate negli spettatori ad ogni nuovo squillo -, la presunzione democratica della Foster - sicuramente la più ispirata del quartetto, oltre che, decisamente, la più clamorosamente irritante -, i tentativi di cortesia di grana grossa di John Reilly - che meriterebbe molto più del consueto ruolo da spalla - e la nevrosi galoppante della Winslet, più che stupire o sconvolgere, diventano lo specchio rassegnato di una società che ha già passato, purtroppo, il momento dello stupore a fronte dei suoi nervi scoperti, e che rischia di non reagire di fronte ad un'opera come questa, che vorrebbe essere geniale e sconvolgente, e risulta soltanto come un tentativo già vecchio di abbattere mura che sono ormai troppo fortificate per assalti come questo.
Per quanto mi suoni strano, anche considerato il fatto che Carnage è stata una visione certamente più interessante e goduta dal sottoscritto, a fronte di qualcosa come Kynodontas questo lavoro di Polanski perde tutta la potenza devastatrice cui ambirebbe, e finisce per restare imprigionato nel troppo poco soddisfacente campo degli esercizi di stile fini a se stessi.
Un pò come i suoi protagonisti, che piangono sul giorno "più infelice delle proprie vite" e finiscono per ridursi come criceti proprio mentre il roditore che speravano di avere eliminato - il tarlo della società? - riconquista la libertà, proprio di fronte ad un tacito accordo che i figli paiono aver ricevuto in eredità dai propri genitori - e futuri se stessi -.

MrFord

"Your cruel device
your blood, like ice
one look could kill
my pain, your thrill."
Alice Cooper - "Poison" -
 
 
 
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