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lunedì 16 marzo 2020

White Russian's Bulletin



In diretta dalla quarantena - anche se il lodigiano non è più l'epicentro della pandemia in Italia -, il Saloon continua a lottare contro una condizione che non gli è propria - quella della forzata condizione casalinga - sfruttando il momento per accelerare i tempi dei Sabati Sera Cinema dei Fordini ormai moltiplicati e recuperare visioni e letture neanche si fosse tornati indietro di qualche anno, quando da casalingo - per scelta - mi godevo un altro tipo di libertà.
Ad ogni modo, tra piccolo e "grande" schermo, titoli vecchi e nuovi, gli spunti, per fortuna, non mancano.


MrFord



HOTEL ARTEMIS (Drew Pearce, UK/USA, 2018, 94')

Hotel Artemis Poster


Giunto in casa Ford in una di quelle serate da divano senza pretese che nelle normali condizioni di routine lavorativa avrebbe significato una dormita galattica, Hotel Artemis è stato, principalmente, un intrattenimento derivativo senza troppe pretese che non potrà mai competere con la magia degli action anni ottanta e prima parte dei novanta ma che, quantomeno, finisce per risultare meno indigesto di alcuni dei prodotti troppo seriosi figli degli anni zero. 
Molto sfortunato al botteghino - probabilmente la produzione sperava nell'inizio di un franchise -, pronto a pescare a piene mani dall'immaginario di titoli simili dal buon successo - John Wick in primis - Hotel Artemis è giusto un diversivo buono per gli appassionati del genere e per chiunque non abbia troppe pretese, arricchito da un cast comunque interessante considerata la tipologia di prodotto e quantomeno non noioso da vedere.
Un giocattolino.




SEMPRE AMICI (Neil Burger, USA, 2017, 126')

Sempre amici Poster


Ai tempi della sua uscita, avevo adorato Quasi amici. Uno di quei film che, per quanto a loro modo un pò ruffiani, fanno sempre bene ed è sempre un gran piacere guardare.
Avevo completamente ignorato l'esistenza di questo remake made in USA fin troppo a ridosso della pellicola transalpina fino a quando, considerato il massiccio sfruttamento di Prime dell'ultimo periodo, non è capitato anche da queste parti: a prescindere dal fatto che, senza dubbio, avendo visto l'originale ed essendo da questo punto di vista "fresco" dell'esperienza, l'operazione, il cast e la gestione non mi sono apparsi neppure troppo malvagi, anzi. Sotto molti aspetti funzionano.
La pecca più grande resta quella di non aggiungere nulla rispetto ad un titolo divenuto un instant cult che, forse, necessitava di qualche anno in più prima di essere non solo considerato per un remake, ma tendenzialmente rifatto con variazioni minime.
Una visione ci può stare, ma forse varrebbe quasi più la pena nel caso in cui Quasi amici, incredibilmente, mancasse ancora alla lista delle vostre visioni.




SANGUE E LIMONATA (Joe Lansdale, USA, 2017)

Risultato immagini per sangue e limonata

Joe Lansdale è uno dei fordiani più ad honorem che esistano, un pò come i suoi due protagonisti principi, Hap e Leonard. Scoperti ormai una buona decina di anni fa e recuperati in tutta la loro serie di romanzi, i due improvvisati detectives sono ancora oggi una delle fonti di divertimento letterario più importanti per questo vecchio cowboy, anche se l'accelerazione della produzione dello scrittore texano dedicata loro - conseguenza, probabilmente, della serie televisiva - non ha certo giovato alla freschezza e alla qualità della proposta: passato, infatti, Honky Tonk Samurai, il buon Joe pare essersi messo comodo, e dopo aver sfornato nuove avventure dei due ragazzacci texani ad una velocità mai avuta prima è uscito con un "romanzo a mosaico" che racconta alcuni episodi del loro passato, dall'infanzia all'adolescenza. 
Molto piacevole per i fan di vecchia data, forse troppo "morbido" per chi dovesse approcciarsi al loro mondo ora. Spero solo che con l'ultima fatica, Elefante a sorpresa, prossimo della lista, le cose possano tornare un pò come ai vecchi tempi.




INDIANA JONES E IL TEMPIO MALEDETTO (S. Spielberg, USA, 1984, 118')

Indiana Jones e il tempio maledetto Poster

Le "serate Cinema" dei Fordini proseguono con la riscoperta di uno dei più grandi miti degli anni ottanta e non solo, quell'Indiana Jones che fece la fortuna di Harrison Ford e consegnò al pubblico uno degli eroi più noti ed apprezzati anche al di fuori della cerchia degli appassionati di settima arte.
Spinti dalla curiosità per il ribattezzato "stregone pazzo", i Fordini hanno approcciato questa seconda avventura del vecchio Indy - paradossalmente a livello qualitativo inferiore alla precedente - con un entusiasmo maggiore, lo stesso che ai tempi avevo avuto io.
Del resto, Il tempio maledetto è un vero e proprio circo di inseguimenti, trappole, situazioni ben oltre la fantascienza che resero il franchise dell'archeologo più famoso del grande schermo un vero e proprio cult del genere e non solo, tra cuori estirpati a mani nude e cene a base di serpenti e cervelli di scimmia. 
Il ritmo è serratissimo, il divertimento assicurato, e il Tempo pare non pesare troppo. Almeno a giudicare dalla partecipazione dei Fordini, che non immaginano neppure lontanamente com'era l'epoca in cui il loro vecchio si entusiasmava per le gesta di Indy impegnato contro lo "stregone pazzo".




INDIANA JONES E L'ULTIMA CROCIATA (S. Spielberg, USA, 1989, 127')

Indiana Jones e l'ultima crociata Poster


L'ultima tappa - per ora Il teschio di cristallo resta in stand by - del percorso dei Fordini nel mondo di Indiana Jones è stata L'ultima crociata, probabilmente il titolo più amato e divertente della saga, grazie anche al fondamentale contributo di uno degli Sean Connery più in forma di sempre.
Nonostante il tracollo della Fordina - che aveva insistito a tutti i costi per vederlo, ma era visibilmente provata dalla giornata - la cosa più bella è stata la partecipazione del Fordino, che non solo ha dichiarato di sentirsi a suo agio immedesimandosi con la figura di Jones Senior, ma ha chiesto delucidazioni sui nazisti, il graal, l'esistenza oppure no di alcuni riferimenti.
A prescindere dalle valutazioni e dalla critica cinematografica vera e propria, queste sono le cose che rendono il passaggio di testimone un vero piacere, e lasciano il gusto unico dell'esperienza e dell'emozione trasportate a chi viene dopo di noi.
Un pò come i Jones, anche se, effettivamente, a conti fatti, io e il Fordino la viviamo un pò alla rovescia.




HUNTERS - STAGIONE 1 (Prime Video, USA, 2020)

Hunters Poster


Alle spalle Narcos, che aveva riportato un entusiasmo da piccolo schermo nel sottoscritto che quest'anno ho potuto vivere prima solo grazie a The Witcher, in casa Ford si è cercato, in questo periodo di quarantena, un titolo che potesse venire buono per i momenti "da aperitivo" in cui i Fordini si dilettano con il loro film o cartone animato. 
Hunters, produzione Prime di grande impatto dal sapore tarantiniano, ha colmato abbastanza bene il vuoto, portando in scena dramma, pulp e ironia con il giusto tocco, forse un pò prevedibile ma ben orchestrato e gestito: l'epopea del giovane Jonah, che si ritrova dall'essere outsider di quartiere a pedina fondamentale nella caccia ai nazisti ospitati segretamente dal governo USA è coinvolgente e ricca di situazioni e personaggi interessanti, a tratti commovente e a tratti furba.
Sarà interessante, considerate le evoluzioni della trama, come verrà deciso di gestire la seconda stagione, se preferendo una svolta completamente fuori dai binari della Storia o una gestione più realistica: a prescindere dalla scelta, gli ingredienti per tirare fuori qualcosa di valido ci sono in una direzione o nell'altra.




SCRUBS - STAGIONE 8 (ABC, USA, 2009)

Scrubs: Medici ai primi ferri Poster

La cavalcata di Scrubs, serie amatissima dai Fordini e compagnia per pranzi e cene degli ultimi mesi, giunge ormai quasi al termine con quella che è stata la sua vera stagione conclusiva - bellissimo il finale, assurdo pensare di prolungare con un altro anno, ma se ne parlerà quando scriverò della nove - salutando un cast che è riuscito a fare il verso e ad un tempo fare amare il cosiddetto "medical drama" da un punto di vista più leggero - ma non sempre - e confidenziale, sfornando idoli assoluti come Cox e Kelso ed una galleria di personaggi nei quali chiunque ha la possibilità di trovare un favorito, o quantomeno qualcuno in cui immedesimarsi.
L'inventiva ovviamente non è più quella delle prime stagioni, ma il crescendo che conduce al commiato porta questa ottava stagione ad essere una delle meglio riuscite della produzione, carica dello spirito che, probabilmente, aveva spinto Bill Lawrence a crearla.


martedì 3 febbraio 2015

Fury

Regia: David Ayer
Origine: USA, Cina, UK
Anno:
2014
Durata:
134'






La trama (con parole mie): nel cuore della Germania nazista ormai messa alle strette dagli Alleati l'avanzata dell'esercito americano è resa difficoltosa dalla resistenza degli ultimi gruppi di soldati tedeschi ancora dotati di carri decisamente più potenti e pericolosi di quelli in dotazione agli statunitensi.
A bordo del Fury, che dallo sbarco in Normandia ha viaggiato attraverso mezza Europa senza smettere di combattere, si trovano il sergente e comandante dell'equipaggio Wardaddy ed i suoi uomini Bible, Gordo e Coon-Ass, rimasti privi del loro tiratore, morto durante una delle ultime azioni della squadra.
Per sostituirlo viene assegnato al manipolo di soldati il giovanissimo Norman, un ragazzino spaurito che nell'esercito ha fatto solo il dattilografo catapultato da un giorno all'altro nello stomaco certo non ricco di attrattive della guerra sul campo.
Il giovane, inizialmente terrorizzato dalla situazione e dai compagni di viaggio, finirà per crescere sotto l'ala protettrice dello stesso Wardaddy, imparando sulla pelle il dolore di un'esperienza così terribile.








Con ogni probabilità, la Guerra è fin dall'alba dei tempi una delle realtà in grado di portare a galla l'indiscutibile peggio dell'Uomo, i suoi lati oscuri, l'istintività animalesca da Legge della giungla che guarda solo alla sopravvivenza e al dominio.
L'Orrore, per dirla come il Kurtz di Apocalypse Now.
Eppure, nonostante questo fatto sia quasi indubbio, anche lo spettatore più distante dalle pellicole legate a doppio filo alla stessa finisce, una volta posto di fronte al "fatto", vittima di un fascino quasi irresistibile, fosse anche poi negato da una successiva critica ferocemente negativa: e, onestamente, non ne sono affatto stupito.
In fondo, quei lati oscuri e quel peggio cui accennavo poco sopra, fanno parte di ognuno di noi, ed ognuno di noi, con le diversità legate al carattere ed alla formazione, in situazioni estreme - e non c'è nulla di più estremo della Guerra stessa - dovrebbe fare i conti con loro, inevitabilmente: la varia umanità mostrata da David Ayer a partire dall'equipaggio del suo Fury ne è una dimostrazione lampante, dal giovane Norman, timido dattilografo pronto, passo dopo passo, a trasformarsi in "Machine", fino a Don "Wardaddy", paterno quanto militare, nel senso più autoritario e crudele del termine, passando per Bible, Gordo e Coon-Ass.
Protagonisti che non sono affatto positivi, ma che, dal tesissimo pranzo in casa delle due donne tedesche - forse la scena più intensa della pellicola - allo scontro con lo squadrone di SS, mostrano tutte le sfumature - che, per l'appunto, non devono essere necessariamente positive - dell'umanità, soprattutto se portata sul campo di battaglia: si potrebbe, in questo senso, considerare Fury una sorta di versione molto più badass e sporca di Salvate il soldato Ryan, l'ennesimo ritratto - ed il secondo in poco più di un mese di uscite in sala, insieme ad American Sniper - della grottesca realtà generata dal conflitto, con gli squilibri fisici e psicologici portati a galla, i massacri, il fatto che, da un lato e dall'altro della barricata, finiscono per trovarsi persone che lottano principalmente per riportare a casa la pelle e convinte di essere dalla parte giusta - interessante, in questo senso, proprio il confronto tra il già citato pranzo pronto a stimolare i più bassi istinti della squadra di Wardaddy ed il finale, con una salvezza giunta grazie alla pietà mostrata da uno dei membri delle mostruose SS -, e che la situazione di stress, il contatto con la violenza e la paura rendono inevitabilmente più pericolose di quanto loro non si sarebbero probabilmente mai immaginate di essere.
La cornice, poi, ben si adatta, con il suo fango ed una fotografia decisamente autunnale, all'atmosfera densa e pesante che stringe il cuore dei soldati, costringendoli a proteggersi mostrando un'aggressività a tratti assurda ed esagerata - sono rimasto decisamente colpito dal charachter di Norman, passato dalla paura di sparare alle sventagliate di mitragliatore al grido "Fuck the Nazi" lanciato abbattendone a decine -: la Guerra, come concetto e realtà, resta una delle piaghe più terribili con le quali finiamo per fare i conti, ed effettivamente dovremmo ritenerci fortunati ad essere cresciuti in un'epoca che non ha avuto conflitti "mondiali" sull'altare dei quali sacrificare milioni e milioni di vite.
Certo, illudersi che possa un giorno tutto finire e la Pace trionfare è onestamente assurdo - e lo scrivo con profondo rammarico -, principalmente per colpa della nostra Natura: in fondo, per quanti progressi si possano archiviare, restiamo comunque animali, spinti da un'istintività che porterà inevitabilmente ad un confronto certo non civile con chi, ai nostri occhi, avrà minacciato quello che consideriamo nostro, e che vorremmo sempre proteggere.
Ed è curioso quanto Norman, nell'epilogo, venga ribattezzato "eroe".
Perchè la Guerra non lascia eroi, da una parte o dall'altra.
O vincitori, o vinti.
Solo sopravvissuti.
Alla "furia" dell'Umanità stessa.




MrFord



"Breathe in deep, 
and cleanse away our sins
and we'll pray that there's no God
to punish us and make a fuss."
Muse - "Fury" - 




 

lunedì 28 aprile 2014

Noah

Regia: Darren Aronofsky
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 138'





La trama (con parole mie): ai tempi dei tempi, il Creatore, dopo aver forgiato l'Universo in sette giorni e plasmato l'Uomo, non soddisfatto dell'operato di quest'ultimo, decise di porre rimedio alla piaga per il pianeta che aveva sguinzagliato attraverso un flagello di acque purificatrici noto come il Diluvio Universale. Noè, devoto e legato ad un'antica tradizione che riferiva ad autorevoli rappresentanti come Matusalemme, accompagnato dalla famiglia, è incaricato dunque dall'Altissimo di costruire un'Arca che possa trarre in salvo gli animali di tutto il globo a coppie, in modo da poter garantire una nuova vita una volta spazzata via la minaccia umana.
La stirpe di Caino, però, guidata dal tenace Tubal Cain, non intende arrendersi al volere dei cieli, e si dichiara pronta a combattere Noè per guadagnarsi la salvezza: ma per il prediletto del Signore la minaccia più grande per il compimento dell'impresa sarà costituita dal progressivo allontanarsi dalle sue radicali posizioni della moglie e dei figli, decisi a preservare i propri eredi e fiduciosi in un nuovo futuro.








Dovevo saperlo, caro Aronofsky, che il mio primo istinto era quello giusto.
Mi sono fatto abbagliare da quel Capolavoro di The wrestler, ed illudere dall'ottimo Il cigno nero.
Ma nonostante tutto, sotto sotto, buon Darren, resti sempre un pippone cosmico con manie di grandezza.
Da molto tempo prima di quell'abominevole schifezza che fu The fountain - L'albero della vita.
E Noah, enorme produzione biblico-new age che già dal trailer prometteva davvero male, finisce per starci giusta giusta a braccetto.
Come se non bastasse questa infausta diagnosi, entra nell'equazione l'errore più grave in un film incentrato sulla figura del nocchiero dell'Arca: non hai spiegato - e non ci hai neppure provato, a dirla tutta - dove diavolo possono essere finiti, in tutto quel trambusto mistico da deliranza religiosa, i fantomatici e leggendari leocorni, inseguiti dai bambini di almeno una generazione.
Non si fa, caro Darren.
Non si fa proprio.
E ringrazia che non menzioni il fatto che dopo dieci minuti di film la misura sia già colma, con il faccia a faccia al limite del ridicolo tra i buoni e cari discendenti di Matusalemme, vegan e politically correct, e gli infami figli di Caino, carnivori e violenti, schiavi del consumismo e delle armi.
Vogliamo prenderci davvero così per il culo?
Dove sono finiti i cari, splendidi kolossal biblici di un tempo come I dieci comandamenti o Ben Hur?
Scomparsi in un delirio di onnipotenza costruito con mezzi da fantascienza che mescola i wannabe di 2001 come il The tree of life di Malick alle dottrine da Nuovo Millennio sensibilizzato rispetto alla salute del pianeta, il Russell Crowe de Il gladiatore a quello di Master and commander - del resto, non ce l'avrebbe fatta a condurre l'Arca in salvo, se non fosse stato un navigatore esperto -, il blockbuster di grana grossa alle ambizioni di un Autore che, purtroppo, a questo punto occorre quasi doverosamente ammettere che Autore sia e resti soltanto nei suoi sogni più reconditi.
E non avrei neanche un compito troppo arduo nello stroncare uno dei più terribili mattonazzi dell'anno - e non solo -, perchè basterebbe citare le terribili imitazioni ibride di Mordiroccia ed Enth, le ridicole dinamiche da disfunzionale focolare domestico di casa Noè, il gigioneggiamento fastidioso di Anthony Hopkins, la colomba con il ramo d'ulivo al termine della lotta, il finale consolatorio per affossare completamente una delle operazioni più bieche e spietatamente commerciali della stagione, che fortunatamente - almeno per ora - pare non aver conseguito i risultati che, probabilmente, la produzione si auspicava - specie considerata l'uscita strategica, almeno in Italia, precedente alle vacanze pasquali -.
Dalle parti di casa Ford la religione non va certo per la maggiore, e le storie legate alla Bibbia restano un affascinante esperimento letterario, culturale ed artistico - come per l'epica, del resto, da sempre una delle passioni del sottoscritto -, ma i pregiudizi che al Saloon continueranno per sempre ad esistere in quest'ambito non contribuiscono più di tanto al risultato pessimo di questo terribile ed indigesto polpettone, privo di carattere così come della voglia di raccontare davvero una storia, buono appena per tenere buoni i timorati di Colui che non può essere nominato - e non sto parlando di Voldemort, cara Hermione - e gli spettatori molto, molto occasionali.
Ma non basta questo, per me, caro Darren.
Il tuo diluvio è uno sputo.
Ed il mio, almeno su questo virtuale foglio bianco, un fiume in piena pronto a berselo.



MrFord



"Ci son due coccodrilli
ed un orango tango,
due piccoli serpenti
e un'aquila reale,
il gatto, il topo, l'elefante:
non manca più nessuno;
solo non si vedono i due leocorni."
"L'arca di Noè" - Filastrocca - 



 

venerdì 15 febbraio 2013

Noi siamo infinito - The perks of being a wallflower

Regia: Stephen Chbosky
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 102'




La trama (con parole mie): Charlie ha quindici anni, e di fronte uno dei periodi più sconvolgenti della vita, il liceo. Timido, introverso, appassionato di lettura e decisamente poco incline al farsi notare, il ragazzo ha ancora nel cuore le ferite aperte della morte della zia - avvenuta a causa di un incidente d'auto quando era ancora bambino - e del suo migliore amico, suicidatosi la primavera appena trascorsa.
Quando il suo cammino incrocia quello di Patrick e Sam, fratello e sorella decisamente fuori dagli schemi nonchè senior alternativi e provocatori, tutto cambia: Charlie, infatti, scoprirà come tirare fuori se stesso, innamorarsi, soffrire e ricominciare tutto da capo gridando a squarciagola la sua voglia di vivere.
Per una volta, lasciandosi salvare. Prendendo un amore invece di accettarlo.
Ed essere infinito.




E’ bastato un momento, per essere proiettato indietro nel tempo fin nel profondo settembre novantatre, quando iniziò l’avventura al liceo dell’allora non troppo vecchio Ford.
Vent’anni fa, a pensarci bene.
Pazzesco, in una certa misura.
Comunque, ai tempi il sottoscritto era molto simile all’introverso Charlie, protagonista di questo gioiellino che si inserisce al volo nelle sorprese più gradite di questo inizio duemilatredici, The perks of being a wallflower, tradotto con un non agghiacciante ma comunque meno indicato Noi siamo infinito qui nella Terra dei cachi: come Charlie, anche il piccoletto e magrolino Ford di allora cominciava a sognare di fare lo scrittore e sopravviveva in quella che era la sezione peggiore dell’istituto contando i giorni che l’avrebbero separato dalla fine di un’avventura che, dopo la sbronza di successi delle scuole medie – passate nella sezione migliore, tra recite in teatro ed una fama da protagonista -, si presentava come un brusco risveglio nella realtà al termine di un bel sogno. 
Come Charlie, Ford faticava ad alzare la mano per dare la risposta – anche quando era quella giusta -, si rifugiava in un mondo di fumetti e letteratura, si faceva fregare dalle compagne più inserite e fighe che in cambio di un finto interesse finivano per recuperare appunti o resoconti di libri che non avevano letto, teneva la rabbia dentro, come un blackout pronto a manifestarsi all’improvviso.
Charlie, però, ha avuto due cose che dalle parti dell’allora non ancora Saloon non si sono mai viste neppure da lontano: un professore che lo comprendesse e gli insegnasse qualcosa – il Mr. Anderson interpretato da Paul Rudd, uno dei favoriti di casa Ford – ed un gruppo di amici per il quale io metterei la firma anche oggi, dallo stratosferico Patrick – un grandissimo Ezra Miller – a sua sorella Sam – una Emma Watson in grande spolvero -, tutti intenti a succhiare il midollo della vita – anche in senso letterale, in più di un’occasione – tra il Rocky Horror Picture Show e quella Heroes che rimanda alle corse nella metropolitana di Berlino che furono il canto di libertà di Christiane F. e della sua generazione prima che l’eroina giungesse a portarsi via tutto quello che poteva, e che per la prima volta – nonostante la sua fama – torna a farsi sentire sulla pelle come fosse un pezzo sconosciuto – come per i nostri tre protagonisti lanciati a perdifiato alla guida di un pick up che pare poter diventare una nave stellare pronta a portarli più lontani possibile da una realtà e da un periodo della vita tra i più tosti che si possano affrontare -.
Ma torniamo a Ford: lui non ebbe un’insegnante di letteratura pronta a spronarlo – ma una gentile educatrice che, cercando di spacciarsi da novella Keating, fece comporre e leggere ad alta voce in classe una serie di poesie e di fronte alle difficoltà del non ancora cowboy lo esortò con grande professionalità e psicologia d’alta scuola a “non fare come Fantozzi” – o la fortuna di incontrare ragazzi dell’ultimo anno così diversi ed aperti da starlo ad ascoltare, ed aiutarlo a muovere i primi passi verso il tumulto che sarebbero stati gli anni successivi.
Lui soffrì e tenne i pugni chiusi per due anni interminabili, e quando finalmente la sezione infame venne smembrata e finì in una classe decente gli parve quasi un miracolo: ma nel frattempo, insieme alla statura e ai capelli, era cresciuta la passione per la scrittura, che aveva contribuito alla sua sopravvivenza ma aveva innescato qualcosa che neppure lui poteva più controllare.
L’adolescente Ford era diventato un vero stronzo.
Così, quando durante il terzo anno conobbe quella che poteva essere la sua Sam, fece un passo indietro proprio quando poteva nascere una storia – Charlie, nella sequenza successiva alla rissa nella mensa scolastica, una delle più riuscite della pellicola, trova la forza di fermarsi ed abbracciare la ragazza di cui è innamorato; il Ford di allora avrebbe tirato dritto, preferendo macerare da solo – che senza dubbio sarebbe stata importante; cominciò a votare contro alle Occupazioni, per poi stare una settimana a casa a leggere e scrivere sbattendosene di tutto e di tutti; dal primo giorno della terza agli esami di maturità diede inizio ad una vera e propria guerra contro un’altra insegnante dalla grande professionalità, questa volta rispondendo sempre più a tono; ad ogni assemblea di classe prese ad abbandonare l’aula per farsi lunghi giri ascoltanto il suo fido walkman; dalla prima passò all’ultima fila, con un banco che si riempiva di citazioni di libri e canzoni; si rifugiò in storielle da neppure un mese con ragazze trattate sempre più di merda – una volta una di loro, al parco, cadde in motorino facendo una di quelle cazzate che si fanno a quell’età, e lui non si alzò neppure dalla panchina per andare ad aiutarla ad alzarsi -.
Charlie è stato fortunato, a trovare Sam e Patrick, e coraggioso a mettere in gioco la sua sensibilità anche quando il rischio era decisamente alto, anche quando si trattava di spargere sale su vecchie ferite ancora aperte – l’amico morto suicida, la figura della zia -.
Charlie è stato infinito, come quella corsa lungo il tunnel insieme a quelli che, per citare un altro grande film di formazione, sarebbero stati “i suoi migliori amici di sempre”.
Ford, invece, ha fatto quello che ha saputo fare meglio per quasi tutta la sua vita: è sopravvissuto guadagnandosi con il sudore ogni centimetro di quello che ha conquistato, piangendo lacrime amare e finendo a gonfiarsi le mani per i pugni sferrati sfogando la rabbia che non riusciva ad uscire in altro modo che non fosse quello, o scrivere.
Ed è stato profondamente stupido.
Perché nessuno – esclusi un paio di altri squilibrati come lui, e comunque con diffidenza ed il contagocce – lo ha più cercato, dopo la fine di quell’epoca e gli esami di maturità, nell’estate del novantotto. Nessuno ha più voluto avere a che fare con quello stronzo dell’ultima fila che si credeva migliore degli altri e ringhiava se soltanto ci si avvicinava a lui. E hanno fatto bene.
Eppure, ora quella sensazione mi manca. Perché ho l’impressione di avere perso qualcosa lungo la strada, anche se qualche tempo dopo, tra una sbronza e l’altra, il servizio civile e Barcellona, anche io ho potuto conoscere la sensazione di “essere infinito”.
Il mio tunnel.
E anche la persona che mi avrebbe salvato. E che continua a farlo ora.
Nonostante tutto. Nonostante me.
E ora voi direte: ma che c’entra tutto questo con la recensione del film?
Nulla.
Ma quando una pellicola parla al cuore e ci entra dentro, non c’è modo migliore di scriverne se non quello di lasciare uscire quello che non può – e non deve – stare dentro.
Ecco: The perks of being a wallflower è stato come scoperchiare un Vaso di Pandora che tenevo chiuso da un sacco di tempo.
O che forse, non avevo mai davvero aperto.
In questo senso, e senza dubbio, questo film è infinito.
Oltre ad essere già uno dei titoli dell’anno.

MrFord


"Though nothing, will keep us together
we could steal time, just for one day
we can be heroes, for ever and ever
what d'you say?"
David Bowie - "Heroes" -


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