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venerdì 6 aprile 2018

Friday's child - Primavera horror edition






Considerato che io ed il mio antagonista Cannibal siamo due maniaci di protagonismo, non ci bastava essere presenti con un solo episodio della nostra rubrica a tre, dunque abbiamo raddoppiato con l'appuntamento a quattro trimestrale con le Guardiane e dedicato agli horror che ci attendono in sala nel corso della primavera: ci sarà da spaventarsi, o tutto si risolverà nella solita bolla di sapone?


"Sono più fashion di Cannibal Kid."



A QUIET PLACE - 5 aprile

"Peppa Kid, se non stai zitto ti porto nel ranch di Ford seduta stante."

Le Guardiane: Trailer decisamente molto interessante, siamo davvero curiose di vedere un film in cui pare siano praticamente assenti i dialoghi.. lasciando così più spazio ad atmosfere e situazioni inquietanti! Chissà come se la saranno giocata.. speriamo bene, noi una possibilità vogliamo dargliela!
Cannibal Kid: Assenza di dialoghi = voglia di scrivere una sceneggiatura saltami addosso!
Il film si preannuncia come la solita, ennesima storia survival di una famiglia alle prese con una minaccia misteriosa e a nessuno frega nulla di scoprire di cosa si tratti. Forse giusto a quelle fissate con il genere horror delle due Guardiane. Il film è diretto da John Krasinski, attore parecchio anonimo, che è anche il co-protagonista insieme alla moglie, Emily Blunt, attrice che in genere non mi convince troppo e che mi fa più paura nel futuro Mary Poppins che in un horror. Sembra insomma una roba un po' troppo a gestione famigliare per i miei gusti, e che invece potrebbe fare la gioia del Family Man della blogosfera. Non parlo di Nicolas Cage, ma di un uomo forse ancora più parrucchinato e fuori di testa: James Ford.
Ford: di norma diffido a priori dei film horror presentati nei trailer come chissà quale manna dal cielo per il genere, e questo non fa differenza, purtroppo. Non amo particolarmente i protagonisti, la scelta di azzerare i dialoghi mi pare più frutto di mancanza di idee che altro, non penso mi farà lontanamente paura. Insomma, tutte le carte in regola per rivelarsi una cannibalata!

GHOST STORIES - 19 aprile

"Hai sentito Ford, Cannibal Old? Taci."

Le Guardiane: Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un trailer che ci suscita un discreto interesse! Sarà la faccia pacioccona del protagonista o la tematica scetticismo vs paranormale che ci riporta alla mente pellicole simpatiche come Red Lights o 1408, fatto sta che anche questo non vogliamo perdercelo!
Cannibal Kid: Altro film che farà anche andare al manicomio quelle invasate delle Guardiane, mentre a me lascia parecchio più indifferente. Martin Freeman è molto amato dalle fans di Sherlock, Ford compreso, ma come attore non mi è mai sembrato un fenomeno. Qui si trova alle prese con delle storie di fantasmi, oddio che novità! La britannicità del tutto riuscirà a rendere la visione un minimo più interessante rispetto ai lavori a stelle e strisce?
Ford: altro film per il quale mi tocca schierarmi dalla parte del Cannibale rispetto a queste Guardiane versione "ci facciamo andare bene tutto" che mi convince decisamente poco. Freeman mi sta simpatico, la questione scetticismo contro paranormale è interessante, eppure non sono convinto per niente. E il fatto che al mio fianco ci sia il mio rivale fa più paura dell'idea di qualsiasi horror.

THE STRANGERS – PREY AT NIGHT - 31 maggio

"Come sono carini Ford e Cannibal quando dormono abbracciati!"

Le Guardiane: Sequel, a distanza di ben 10 anni, di The STRANGERS con protagonista Liv Tyler.. la prima pellicola la ricordiamo con piacere, questa almeno dal trailer non sembra niente che non sappia di “già visto”... ci proveremo ma in sincerità non ci attira molto.
Cannibal Kid: Il primo The Strangers mi pare non mi fosse dispiaciuto troppo, ma non era certo nemmeno niente di memorabile, visto che l'ho rimosso del tutto dalla memoria. In questo sequel, a parte le tettone di Christina Hendricks, mi sembra che di interessante non ci sia nulla. In pratica, l'inutilità al potere. E a proposito di inutilità, lascio la parola al mio collega.
Ford: il primo The Strangers mi era sembrato una vera merdata priva di logica, dunque non penso che a distanza di dieci anni possa essere stato fatto qualcosa di meglio con un sequel del quale non si sentiva certo la necessità. Neanche fosse una sparata del Cannibale.

OBBLIGO O VERITÀ - 21 giugno

"Hey, bloggers, obbligo o verità?"

Le Guardiane: Per prima cosa vi consigliamo di vedere solo metà trailer perché altrimenti è come se aveste visto tutto il film, praticamente!! Detto questo non sembra comunque una pellicola particolarmente innovativa ne che abbia grandi carte da giocare a parte qualche brivido facile per adolescenti. Le facce spasmodicamente sorridenti dei vari protagonisti però sono un vero sogno, perciò chissà magari daremo anche a questo una possibilità XD
Cannibal Kid: Qualche brivido facile per adolescenti? Eccomi pronto al sacrificio! Come posso rinunciare a una stronzatina teen del genere? C'è pure un cast telefilmico capitanato da Lucy Hale di Pretty Little Liars e Life Sentence e sono curioso di scoprire se porterà il suo solito agghiacciante gusto nel vestire anche qui dentro. In quel caso preparatevi, perché i brividi sono garantiti! Ne approfitto anche per giocare a Obbligo o verità con Ford, obbligandolo a guardare questo film, o in alternativa ad ammettere che le pellicole teen in realtà negli ultimi tempi gli piacciono un casino, visto che si è sparato la doppietta Lady Bird + 17 anni (e come uscirne vivi). E ne è uscito vivo!
Ford: filmetto teen che va giusto bene per i finti giovani come Cannibal e le vere giovani come le Guardiane. Io, dal canto mio, preferisco ricordarmi i limoni duri nati da Obbligo e verità nei lontani anni novanta.

UNSANE - 14 giugno

"Pronto, Guardiane? Potete portarmi via da Ford e Cannibal, per favore?"

Le Guardiane: Steven Soderbergh, regista del film, non è certo l’ultimo arrivato sul grande schermo.. perciò speriamo che ci regali una bella pellicola! Il trailer ci incuriosisce e vogliamo proprio vedere come si sviluppa! Incrociamo le dita!


Cannibal Kid: Punto molto su questo film interpretato dalla bravissima Claire Foy della serie The Crown, qui in versione letteralmente pazzesca, e diretto da Steven Soderbergh, regista discontinuo ma se non altro mai noioso o banale. In questo caso ha girato un thriller-horror interamente con l'iPhone. Un vero incubo a occhi aperti per un anti-tecnologico come Ford, che ancora sogna il ritorno del vecchio Nokia 3310 con tanto di Snake.
Ford: non so come se la caverà Soderbergh alle prese con un horror, ma questo potrebbe essere senza dubbio il titolo di genere su cui puntare nei prossimi mesi: l'hype è alto, speriamo solo di non rimanere delusi come dalla più classica delle sparate cannibali.

martedì 22 novembre 2016

The neon demon (Nicolas Winding Refn, Francia/Danimarca/USA, 2016, 118')





Caro Nicolas Winding Refn, io ti ho sempre voluto bene, ho amato tantissimo molti - quasi tutti, a dire il vero - tuoi film, ma te lo devo proprio dire: se fossi la Liv cui è dedicato in chiusura The neon demon, ti manderei affanculo così tanto che dovresti ringraziare di non vederti rifatti i connotati a suon di parolacce.
Certo, la colpa è anche mia, che ho deciso in un giorno solo di farmi del male e vedere questo film dopo aver subito la tortura di Knight of cups, che conosco bene il Cinema di Lynch - cui questa roba deve molto, se non tutto - e spero sempre, una volta stabilito un certo legame con un Autore, di partire in vantaggio.
Certo, The neon demon è diretto e fotografato impeccabilmente, ma questo l'avrebbero saputo dire anche gli spettatori da centro commerciale la domenica.
Certo, è la prima volta che in cui mi tocca stroncarti, dunque avrei potuto anche essere più indulgente.
Ma proprio non ce la faccio.
Perchè The neon demon non solo è una merda fumante ben impacchettata, due ore di noia ed autoreferenzialità, ma un vero insulto - neanche l'avesse girato una delle mie nemesi come Lars Von Trier - a quelli che sono stati i veri Maestri della settima arte - resto convinto che se uno come Kubrick avesse visto la sequenza della tomba aperta con la truccatrice psicopatica all'interno nel mezzo del campo di fiori neanche fosse un quadro avrebbe preso Refn a calci in culo fino a fargli desiderare di essere sottoposto alla Cura Ludovico -: ho detestato questo film pur avendolo approcciato nella speranza di sbugiardare tutti quei critici che l'avevano fischiato a Cannes e dunque bersagliato all'uscita in sala, ne ho patito il ritmo, l'inutile scabrosità - che poi, a dirla tutta è un prodotto "scandaloso" solo sulla carta -, la vuotezza, la totale mancanza di empatia e passionalità, la voglia di raccontare una storia al pubblico o anche solo rapirlo, proprio come capita con le pellicole anche più ostiche del già citato Lynch - il paragone con un cult del livello di Mulholland Drive è impietoso -.
The neon demon è tutto quello contro cui lotto del Cinema da quando ho aperto il blog, il simbolo del ciarpame che mi sono lasciato faticosamente alle spalle dopo gli anni di formazione in cui più un lavoro era (apparentemente) complesso ed "artistico", meglio era, l'alternativismo spocchioso ed arricchito di registi ormai intossicati dalla tecnica e totalmente privi di idee interessanti e soprattutto della voglia di trasformarle in immagini.
Caro Nicolas, da queste parti non avrai i cuoricini della tua dedica.
E sappi che faccio questo anche per Liv, chiunque sia.
The neon demon,  per parafrasare un noto personaggio del Cinema nostrano, è una cagata pazzesca.
Considerato, però, che siamo al cospetto di un grande artista, cercherò di usare termini più adeguati: Refn, vaffanculo.
Con il cuore.
Tu e il tuo demone.
Nel caso ne sentissi il bisogno, qui c'è un esorcista pronto a prendere a calci rotanti entrambi.




MrFord




 

giovedì 9 giugno 2016

Hap and Leonard - Stagione 1

Produzione: Sundance
Origine: USA
Anno:
2016
Episodi: 6








La trama (con parole mie): Hap Collins, obiettore di coscienza dalla mira infallibile ma contrario alle armi, e Leonard Pine, veterano del Vietnam nero, gay e repubblicano fino al midollo, sono amici fraterni fin dall'infanzia, e condividono tutto il possibile, dalla quotidianità ai lavori precari.
Quando Trudy, ex moglie di Hap nonchè responsabile delle scelte di quest'ultimo ai tempi del rifiuto alla leva, si fa viva per reclutare il buon Collins affinchè recuperi un'auto abbandonata nelle profondità del fiume Sabine contenente il bottino di una rapina andata male decenni prima, i guai per la coppia di amici si moltiplicano: i compagni d'impresa di Trudy, infatti, una banda di ex hippies indecisi se darsi al crimine o alla rivoluzione pacifista, paiono non riuscire a combinarne una giusta, e quando i nodi verranno al pettine e si scopriranno i reali scopi di tutti i partecipanti al gioco, Hap e Leonard scopriranno sulla pelle che attrarre guai non è proprio la miglior qualità che si possa avere.











Non so neppure da quanto tempo attendevo una trasposizione - soprattutto legata al piccolo schermo - delle avventure di Hap e Leonard, antieroi protagonisti di una serie di romanzi cult per il sottoscritto firmati dal mitico Joe Lansdale: ricordo quando, grazie al lavoro, ebbi l'occasione di passare una giornata con lui come suo accompagnatore nell'autunno del duemiladieci, in occasione dell'uscita di Devil Red, e parlammo proprio di quali attori avremmo visto bene nei ruoli dei due amici fraterni e detectives improvvisati che tanta fortuna hanno portato a lui e gioia al sottoscritto.
Personalmente, la scelta degli attori protagonisti è stata uno dei pochi punti dolenti della prima stagione di Hap and Leonard: ho sempre detestato, infatti, James Purefoy, ed ignorato bellamente Michael Kenneth Williams, entrambi non solo troppo vecchi per interpretare i due cercaguai almeno ai tempi di Una stagione selvaggia - primo romanzo della serie, che ha ispirato, giustamente, questa prima stagione -, ma anche meno tosti ed in forma di come vengono descritti i main charachters della saga sulla pagina.
Ma tant'è.
Jim Mickle, già autore della più che discreta trasposizione del lansdeliano Cold in July, riesce nell'impresa non facile di adattare lo spirito di questi due azzeccatissimi personaggi e portarlo sullo schermo seminando, nel corso dei sei episodi, anche più di un indizio rispetto a quello che accadrà - o dovrebbe accadere - alla coppia nel corso delle prossime stagioni, a partire dal finale che conduce dritti a Mucho Mojo, romanzo numero due della serie nonchè mio personale favorito.
Certo, non tutto calza - specialmente per chi, come il sottoscritto, ha fatto una vera e propria malattia della saga letteraria -, l'approccio dei protagonisti appare più malinconico che gigionesco - un tratto che si è cominciato a sentire solo con gli ultimi romanzi, considerato anche l'avanzare dell'età di Hap e Leonard, partiti proprio con Una stagione selvaggia intorno ai trentacinque ed ormai giunti ai cinquanta suonati -, i protagonisti non spaccano neppure lontanamente i culi quanto le loro versioni cartacee, il tono è decisamente più morbido e meno pulp, eppure i sei episodi scorrono che è un piacere, mantengono una certa ironia e tensione, regalano diverse chicche ed un'atmosfera molto southern al pubblico senza per questo escludere dall'equazione i pusillanimi come Cannibal Kid, che forse riusciranno ad immedesimarsi bene nei tormenti di Hap, nella complicata e caotica Trudy o nello psicotico Soldier, lasciando ai fordiani di turno il cazzuto Leonard e la quasi inarrestabile Angel - interpretata alla grande da una sempre convincente Pollyanna McIntosh -.
Il risultato è una (mini)serie disimpegnata, easy, torbida, ritmata e bagnata di sangue quanto basta per affascinare ed incuriosire anche tutti quelli non abituati alla materia o legati alla mitica saga firmata da Joe Lansdale, che può contare fan hardcore - sottoscritto compreso - in tutto il mondo, una raccolta di racconti e nove romanzi con protagonisti Hap e Leonard.
Sinceramente, spero proprio che il piccolo schermo possa regalare ai miei due non detectives preferiti la stessa fortuna: i quel caso, sarò pronto a sostenerli dal primo all'ultimo episodio.
Anche se dovessi specchiarmi nei visi stanchi, sporchi e malinconici di attori che neppure per sbaglio riescono a ricordare l'immagine di due tra gli action heroes che ho più amato nel corso della vita di lettore e non solo.





MrFord





"I'm a rollin stone all alone and lost
for a life of sin I have paid the cost
when I pass by all the people say
just another guy on the lost highway."
Hank Williams - "Lost highway" -







martedì 27 ottobre 2015

Dark places - Nei luoghi oscuri

Regia: Gilles Paquet-Brenner
Origine: UK, Francia, USA
Anno:
2015
Durata:
113'






La trama (con parole mie): Libby Day, quando aveva appena otto anni, scampò al massacro della sua famiglia nella casa di campagna dove viveva con la madre, le due sorelle ed il fratello Ben. Proprio quest'ultimo, già al centro di gravi problemi a scuola, socialmente poco inserito, apparentemente satanista e legato al losco Trey ed alla ricca ma poco equilibrata Diondra, che dovrebbe dare alla luce un figlio suo, è accusato degli omicidi e condannato.
Ventotto anni dopo, Libby è una donna vissuta nel rancore, isolatasi dal mondo grazie ai redditi delle donazioni a suo nome e di un libro pubblicato a proposito delle drammatiche vicende che l'hanno vista protagonista: quando Lyle, a capo di un'organizzazione di volontari specializzati in "cold cases" la contatta offrendole dei soldi per parlare della sua storia risolvendole in fretta problemi di liquidità, per Libby si riapre un capitolo creduto sepolto della sua vita.
Lyle e i suoi compagni, infatti, sono convinti che suo fratello Ben sia innocente, e pensano, attraverso lei, di poter trovare le prove necessarie per riaprire il caso prima che scadano i termini di legge.
Libby sarà disposta a rimettersi in gioco? A perdonare? A guardare nell'oscurità del suo passato per ritrovare la verità di quella notte di sangue?










E' ormai risaputo che, da queste parti, le storie da provincia americana profonda tanto quanto quelle legate ai morti ammazzati finiscono per sfondare praticamente sempre una porta aperta: quando, poi, le due cose vanno a braccetto, almeno sulla carta dovrebbero avere ancora più probabilità di guadagnarsi almeno un giro di bevute sul bancone del Saloon.
Prodotti come Killer Joe, Il cacciatore di donne, Joe o Mud hanno, del resto, segnato le visioni fordiane degli ultimi anni decisamente nel profondo, pur con le giuste differenze in termini qualitativi e di risultato: Dark Places - Nei luoghi oscuri, almeno in linea teorica, avrebbe avuto tutte le carte in regola per far parte del club.
Tratto da un romanzo della stessa autrice di Gone girl, però, il film che ha al centro l'indagine tardiva di Libby Day, che si vide privata dell'intera famiglia - o quasi - in una sola notte quando aveva otto anni, finisce per mancare il bersaglio clamorosamente: non che si tratti di un brutto film, o di qualcosa irritante da seguire, quanto più che altro di un prodotto che non aggiunge nulla alla storia del genere, sceneggiato - dallo stesso regista - in maniera piuttosto televisiva - e non lo scrivo in accezione positiva -, privo di particolari momenti di tensione, di sequenze memorabili e della scintilla in grado di far distinguere un prodotto artigianale che si guarda volentieri in tv o uno che, appena scorsi i titoli di coda, si desidera avere nella propria videoteca per poterlo non solo rivedere, ma mostrarlo ad amici, partners, familiari e chi più ne ha, più ne metta.
Di fatto il lavoro di Gilles Paquet-Brenner, che non è certo il nome più prestigioso cui si sarebbe potuto affidare il progetto, soffre della stessa mancanza di personalità del recente Black Mass, con l'aggravante rispetto a quest'ultimo di offrire pochi spunti anche in ambito tecnico: personalmente ho finito per gustarmelo in grande scioltezza, rendendomi però conto di essermi trovato di fronte ad una sorta di episodio pompato di Cold case, di quelli in cui tutto pare così facile e lineare per i protagonisti da far sembrare chiunque abbia messo mano al caso in precedenza come un povero stronzo incompetente.
E se le oscurità dei main charachters - in particolare di Libby e di suo fratello Ben, ma anche della loro defunta madre - risultano interessanti e ricche di potenziali spunti di riflessione, tutto il resto pare sbiadire e regalare soltanto un paio di twists interessanti - come quello che porterà alla risoluzione del caso - ma nessun vero momento di tensione in grado di mettere davvero alle strette ed inchiodare alla poltrona lo spettatore: onestamente non so se tutto sia originato dalla scarsa empatia che si finisce per provare con la Libby di Charlize Theron - sempre bellissima, ma in questo caso, a mio parere, poco in parte - o all'attenzione sommaria legata all'approfondimento delle motivazioni di ogni singolo personaggio, ma tutto pare ridursi ad una serie di facili e troppo veloci scoperte pronte a condurre dritte alla verità, e momenti come quelli che hanno visto, sul grande schermo, sconvolgere personaggi come Clarice Starling o Will Graham appaiono davvero fuori portata per quello che non sarà mai più che un onesto thriller da serata disimpegnata in televisione.
Non tutto il male viene per nuocere, comunque, considerato che la visione non finisce per essere nociva o irritante, ed alcuni spunti come quelli legati alla figura del giovane Ben - un sempre interessante Tye Sheridan, che ormai pare essersi specializzato in questo tipo di ruoli - ed alla verità sulla notte nella casa dei Day e sul loro massacro paiono regalare quantomeno una certa intensità e la promessa di non scomparire dalla memoria come la maggior parte del resto.
Non aspettatevi, dunque, da questo Dark Places il thriller dell'anno, quanto più che altro una semplice ma a suo modo solida opera di un mestierante del Cinema da destinare ad una di quelle serate autunnali nel corso delle quali avete bisogno soltanto di una scusa per stringere più forte chi sta accanto a voi sul divano.
E più per goderne, che per tensione o paura.




MrFord




"All of the things that I tried to explain,
how something inside of me started to break.
we were living proof, one by one we drifted away.
one by one we drifted away."
The Gaslight Anthem - "Dark places" - 





martedì 27 agosto 2013

Mad Men - Stagione 3

Produzione: AMC
Origine: USA
Anno: 2009
Episodi: 12




La trama (con parole mie): la Sterling Cooper attraversa una nuova fase della sua esistenza legata alla partnership istituita con i soci inglesi entrati a far parte dell'esecutivo, pronti a far ridurre i costi ed inserire figure e competenze nuove in modo da snellire l'agenzia e riproporla in una nuova e più allettante forma per la vendita all'insaputa dei suoi stessi dirigenti. Nel frattempo gli account vivono momenti di grande competizione - come Pete Campbell e Ken Cosgrove - per un posto in primo piano ed altri di affermazione più privata che lavorativa - l'ex segretaria Peggy Olson -, e Don Draper si trova a dover fronteggiare non soltanto la nuova dimensione lavorativa ed il rapporto con l'eccentrico milionario Hilton, ma anche due crisi in famiglia legate l'una all'arrivo in casa sua del suocero e l'altra alla scoperta della moglie Betty del suo vero nome e del passato che l'uomo tiene tanto a lasciare nascosto.
Il tutto mentre un cambiamento a dir poco epocale sta per avvenire a seguito di uno degli eventi più traumatici della Storia degli USA: l'assassinio di Kennedy.





Nel panorama delle serie televisive degli ultimi quindici anni, senza dubbio Mad Men figura come uno dei nomi di spicco per quanto riguarda la qualità e lo stile della proposta, l'eleganza e la ricchezza della messa in scena e della narrazione, il fascino della cornice e la quantità quasi incredibile di premi raccolti. Eppure Mad Men è anche una visione decisamente poco simpatica, empaticamente lontana anni luce dai suoi spettatori almeno quanto il suo indiscusso protagonista, Don Draper.
Enigmatico e distante, l'impeccabile Draper - che unisce allo charme da 007 la sicurezza dello squalo della finanza - è il simbolo perfetto di un serial apparentemente senz'anima eppure in grado di stregare neanche ci si trovasse nel pieno di una seduta d'ipnosi a seguire le vicissitudini dei suoi protagonisti, alla scoperta di un'epoca ormai lontana e legata ad un passato quasi remoto per le nostre generazioni eppure rappresentata con una tale profonda modernità da far quasi pensare al futuro.
Con questa terza annata si può pensare che le vicende degli account e dei dirigenti della Sterling Cooper abbiano raggiunto la maturità della struttura, consegnando al proprio pubblico, di fatto, la stagione più completa fino a questo momento passata sugli schermi di casa Ford, in grado di unire l'indagine interiore del protagonista come fu per la prima ed alcuni viaggi nel tempo nella New York di allora - e non solo - come per la seconda: in particolare, il rapporto con il suocero e lo scontro con la moglie Betty a seguito della scoperta della "doppia identità" di Don di quest'ultima rappresentano senza dubbio i momenti più forti mostrati nei dodici episodi, mentre dall'altra parte si passa dalle "vacanze romane" in pieno stile Hilton alla grottesca ed esilarante festa in onore dei soci inglesi finita nel sangue grazie ad un trattore imbizzarrito, senza contare la splendida chiusura di annata legata a doppio filo all'attentato che costò la vita a JFK, uno degli avvenimenti più funesti e sconvolgenti della Storia degli States, giustamente considerato "la fine di un'era" e trampolino per una quarta stagione che, nonostante l'odio e l'antipatia di Julez per questo titolo, aumenta l'hype in attesa del suo passaggio dalle parti del Saloon.
La cosa più interessante di questo terzo giro di giostra per i nostri pubblicitari rampanti è stata senza dubbio l'apparente frammentarietà della narrazione - al contrario soprattutto della prima stagione, nel corso di questi dodici episodi è raro assistere ad una riunione creativa in cui siano presenti tutti i nomi di spicco del cast - rivelatasi, di fatto, un perfetto mosaico di caratteri, storie ed identità alla ricerca di una strada che porti nel futuro, una sorta di confronto tra la realtà ed i sogni in grado di smussare gli angoli perfino di charachters non proprio positivi come Pete Campbell o mostrare tutti gli attributi di altri, come la dirompente - in tutti i sensi - Joan di Christina Hendricks, che personalmente non vedo l'ora di rivedere tra le scrivanie della Sterling Cooper.
Personalmente credo che non amerò mai alla follia questo titolo, e che lo stesso non riuscirà neppure nelle sue annate migliori a conquistarmi il cuore quanto Breaking bad, Lost o Six feet under, eppure tra le righe della sua perfetta composizione mi pare di rivedere la perfezione che fu il tratto distintivo de I Soprano, nonchè la capacità di riuscire ad ammaliare pur essendo decisamente lontano dal vero coinvolgimento emotivo: in un certo senso, Mad Men è come una modella da copertina.
Non potresti mai uscirci perchè potrebbe rivelarsi un'agghiacciante figa di legno, eppure non riesci a fare a meno di fare fantasie su di lei ad ogni occhiata.


MrFord


"I've got you under my skin.
I've got you deep in the heart of me.
So deep in my heart that you're really a part of me.
I've got you under my skin.
I'd tried so not to give in."
Frank Sinatra - "I've got you under my skin" - 



martedì 26 giugno 2012

Detachment

Regia: Tony Kaye
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 97'




La trama (con parole mie): Henry Barthes è un professore supplente di letteratura abituato a muoversi di istituto in istituto, saldo nel suo proposito di mantenere un distacco dagli studenti tale da fornire loro nel modo più equilibrato possibile tutti gli strumenti necessari per affrontare le difficili prove della vita.
Giunto in una nuova scuola sulla quale gravano i problemi dei giochi di potere rispetto alla direzione ed una condotta dei ragazzi praticamente incontrollabile, il giovane insegnante finirà per confrontarsi con le angosce dei suoi alunni, del resto degli insegnanti e di una giovane prostituta che cercherà di redimere in modo da fornirle un'alternativa alla strada.
Il tutto tenendo botta, non senza difficoltà, ai colpi inferti dai fantasmi di una vita senza buoni maestri che non ha lesinato nel segnarlo nel profondo del cuore.





"Ora basta", affermava deciso James Belushi/Rick Latimer nel supercult del trash tardo anni ottanta The principal, deciso a debellare tutto quello che rendeva il disastrato istituto che era stato spedito per i suoi problemi di condotta a dirigere un luogo in cui i giovani studenti si sarebbero persi.
Più o meno, è stato il mio pensiero quando i titoli di coda hanno posto fine alla sofferenza che è stata la visione di Detachment, celebratissimo ed attesissimo - da me per primo - grande ritorno sugli schermi di Tony Kaye, autore di un film che segnò un'intera generazione sul finire degli anni novanta, quell'American history X che, con tutti i suoi limiti, ancora riesce a scuotere il sottoscritto ad ogni visione.
Perchè lo sfoggio di autoreferenzialismo, retorica, arte pretestuosa e demagogia che è questo quasi infinito monologo di un Adrien Brody tornato ad interpretare il suo bollito personaggio depresso dopo l'illusione di ripresa data con il magnifico Dalì di Midnight in Paris volutamente ed insistentemente narrato da Kaye come se fossimo ancora nei magnifici anni dei Cahiers du Cinema, o nel pieno del fermento intellettuale dello stile jazz del primo Cassavetes è una delle delusioni più cocenti e terribili dell'anno, una sviolinata da presuntuosi e presunti grandi saggi della vita e della settima arte venuti a salvare noi poveri stronzi mortali dalle insidie del mondo brutto e cattivo.
Negli anni del mio percorso da studente, purtroppo per il sottoscritto, non ho avuto la fortuna di incontrare un insegnante davvero completo e rispettoso di uno dei ruoli più difficili, impegnativi ma anche appaganti dopo quello del genitore: spesso e volentieri mi sono trovato di fronte individui che, frustrati dalle mancate realizzazioni delle aspirazioni di gioventù, finivano per sfogare gli insuccessi personali esercitando il potere sugli studenti capitati nelle loro mani, senza preoccuparsi di quello che sarebbe stato di loro una volta terminato il percorso didattico - riferimento presente ad inizio pellicola, unico momento davvero promettente del lavoro di Kaye -.
Piccoli uomini e donne, incapaci di comprendere la vera meraviglia del ruolo di educatore: quello di consegnare ai propri allievi tutti gli strumenti possibili affinchè gli stessi possano fare sempre e comunque meglio di quanto abbiamo fatto noi stessi, e non necessariamente seguendo la stessa strada.
Una sorta di passaggio di testimone, una versione ancora più complessa - se possibile - di quello che dovrebbe accadere anche in famiglia.
Ma quasi peggio di tutti loro sono stati i presunti messia dell'insegnamento: personaggi ancora più subdoli, perchè nel loro caso il potere esercitato sugli studenti faceva leva sul fascino che erano in grado di esercitare fingendo una partecipazione ed un interesse che altro non erano se non un massaggio all'ego anche più disturbante di quello dei loro colleghi assetati di potere.
Passato il primo quarto d'ora scarso fino alla conclusione, è come se fossi stato ancora tra i banchi di fronte ad uno di questi ultimi, inebetito dalle fregnacce di un presunto messia, che mi sono sentito. Tanta voglia di stupire, imporre la propria idea, fare in modo che la stessa fosse percepita come migliore delle altre seppur celata dietro il confortante abbraccio del suggerimento.
Pensate con la vostra testa, ragazzi. Leggete, guardatevi attorno.
Ma fatelo sempre e comunque con i miei occhi.
A poco e nulla servono una messa in scena confezionata apposta per i Festival, un cast all star in cui James Caan e Bryan Cranston finiscono per fare le comparse di lusso dando spazio a Sami Gayle e Betty Kaye, brave abbastanza per i ricatti morali che sono i loro due ruffianissimi personaggi, supportati da una sceneggiatura che nel compimento delle vicende di Erica e Meredith trova il punto più alto - o più basso - della sua retorica mascherata da opera d'arte.
Con pellicole di questo genere ci vorrebbe lo Spike Lee dei tempi migliori, da Fa la cosa giusta a La 25ma ora: non si gioca con i ragazzi, i loro destini, le idee che vorresti fossero ancora le tue, perchè sei il primo che vorrebbe essere ancora al loro posto, e viverti tutta la vita con la testa di un adulto.
Loro sono qui per fare molto meglio di quello che abbiamo fatto noi.
E questo Detachment, passatemi il termine duro e piuttosto brusco, mi ha lasciato un sapore amaro in bocca: quello della pedofilia culturale.
Quindi, caro il mio Tony Kaye dell'insegnante buono che però pensa tanto a guardare in macchina e farsi bello scandalizzandosi se una collega dubita di lui, che ha abbracciato una studentessa in lacrime plagiata dal suo modo cool di farla sentire speciale, vaffanculo.
Vaffanculo i disegni da film radical chic del cazzo, il montaggio alternativo, il voler premere sull'acceleratore quel tanto che basta per far rimanere a bocca aperta qualche Giuria che non sa davvero cosa significa stare tra quei banchi.
E mi sa tanto che non lo sai neanche tu.
Fanculo tu ed il tuo sincero patinatismo, o paternalismo che dir si voglia.
Ti rispedisco tra i banchi a suon di bottigliate.
Bocciato.
E chissà che l'anno prossimo, se sarai ne La classe giusta, tu non ti decida ad imparare qualcosa.
O ancora meglio, ad insegnarla.


MrFord


"Well we got no choice 
all the girls and boys
makin' all that noise 
'cause they found new toys 
well we can't salute ya can't find a flag 
if that don't suit ya that's a drag."
Alice Cooper - "School's out" -


 
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