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giovedì 9 giugno 2016

Hap and Leonard - Stagione 1

Produzione: Sundance
Origine: USA
Anno:
2016
Episodi: 6








La trama (con parole mie): Hap Collins, obiettore di coscienza dalla mira infallibile ma contrario alle armi, e Leonard Pine, veterano del Vietnam nero, gay e repubblicano fino al midollo, sono amici fraterni fin dall'infanzia, e condividono tutto il possibile, dalla quotidianità ai lavori precari.
Quando Trudy, ex moglie di Hap nonchè responsabile delle scelte di quest'ultimo ai tempi del rifiuto alla leva, si fa viva per reclutare il buon Collins affinchè recuperi un'auto abbandonata nelle profondità del fiume Sabine contenente il bottino di una rapina andata male decenni prima, i guai per la coppia di amici si moltiplicano: i compagni d'impresa di Trudy, infatti, una banda di ex hippies indecisi se darsi al crimine o alla rivoluzione pacifista, paiono non riuscire a combinarne una giusta, e quando i nodi verranno al pettine e si scopriranno i reali scopi di tutti i partecipanti al gioco, Hap e Leonard scopriranno sulla pelle che attrarre guai non è proprio la miglior qualità che si possa avere.











Non so neppure da quanto tempo attendevo una trasposizione - soprattutto legata al piccolo schermo - delle avventure di Hap e Leonard, antieroi protagonisti di una serie di romanzi cult per il sottoscritto firmati dal mitico Joe Lansdale: ricordo quando, grazie al lavoro, ebbi l'occasione di passare una giornata con lui come suo accompagnatore nell'autunno del duemiladieci, in occasione dell'uscita di Devil Red, e parlammo proprio di quali attori avremmo visto bene nei ruoli dei due amici fraterni e detectives improvvisati che tanta fortuna hanno portato a lui e gioia al sottoscritto.
Personalmente, la scelta degli attori protagonisti è stata uno dei pochi punti dolenti della prima stagione di Hap and Leonard: ho sempre detestato, infatti, James Purefoy, ed ignorato bellamente Michael Kenneth Williams, entrambi non solo troppo vecchi per interpretare i due cercaguai almeno ai tempi di Una stagione selvaggia - primo romanzo della serie, che ha ispirato, giustamente, questa prima stagione -, ma anche meno tosti ed in forma di come vengono descritti i main charachters della saga sulla pagina.
Ma tant'è.
Jim Mickle, già autore della più che discreta trasposizione del lansdeliano Cold in July, riesce nell'impresa non facile di adattare lo spirito di questi due azzeccatissimi personaggi e portarlo sullo schermo seminando, nel corso dei sei episodi, anche più di un indizio rispetto a quello che accadrà - o dovrebbe accadere - alla coppia nel corso delle prossime stagioni, a partire dal finale che conduce dritti a Mucho Mojo, romanzo numero due della serie nonchè mio personale favorito.
Certo, non tutto calza - specialmente per chi, come il sottoscritto, ha fatto una vera e propria malattia della saga letteraria -, l'approccio dei protagonisti appare più malinconico che gigionesco - un tratto che si è cominciato a sentire solo con gli ultimi romanzi, considerato anche l'avanzare dell'età di Hap e Leonard, partiti proprio con Una stagione selvaggia intorno ai trentacinque ed ormai giunti ai cinquanta suonati -, i protagonisti non spaccano neppure lontanamente i culi quanto le loro versioni cartacee, il tono è decisamente più morbido e meno pulp, eppure i sei episodi scorrono che è un piacere, mantengono una certa ironia e tensione, regalano diverse chicche ed un'atmosfera molto southern al pubblico senza per questo escludere dall'equazione i pusillanimi come Cannibal Kid, che forse riusciranno ad immedesimarsi bene nei tormenti di Hap, nella complicata e caotica Trudy o nello psicotico Soldier, lasciando ai fordiani di turno il cazzuto Leonard e la quasi inarrestabile Angel - interpretata alla grande da una sempre convincente Pollyanna McIntosh -.
Il risultato è una (mini)serie disimpegnata, easy, torbida, ritmata e bagnata di sangue quanto basta per affascinare ed incuriosire anche tutti quelli non abituati alla materia o legati alla mitica saga firmata da Joe Lansdale, che può contare fan hardcore - sottoscritto compreso - in tutto il mondo, una raccolta di racconti e nove romanzi con protagonisti Hap e Leonard.
Sinceramente, spero proprio che il piccolo schermo possa regalare ai miei due non detectives preferiti la stessa fortuna: i quel caso, sarò pronto a sostenerli dal primo all'ultimo episodio.
Anche se dovessi specchiarmi nei visi stanchi, sporchi e malinconici di attori che neppure per sbaglio riescono a ricordare l'immagine di due tra gli action heroes che ho più amato nel corso della vita di lettore e non solo.





MrFord





"I'm a rollin stone all alone and lost
for a life of sin I have paid the cost
when I pass by all the people say
just another guy on the lost highway."
Hank Williams - "Lost highway" -







domenica 23 agosto 2015

Preacher special 2 - Quei bravi ragazzi

Autori: Garth Ennis, Richard Case, Carlos Ezquerra
Origine: USA, UK
Anno: 1998
Editore: Vertigo/Magic Press






La trama (con parole mie): uno sguardo al passato di alcuni dei personaggi che hanno segnato nel profondo la vita ed il percorso di Jesse Custer, finendo per definire il protagonista della saga di Preacher almeno in parte per quello che è.
Assistiamo dunque al racconto della formazione, adolescenza e origine di Facciadiculo, rockstar improvvisata e ragazzo emarginato da una figura paterna troppo violenta e limitante – lo sceriffo Hugo Root, visto ai tempi di Texas o morte -, seguito a ruota da una “scampagnata” di Jody e T.C., responsabili dell’omicidio del padre di Jesse e carcerieri tuttofare della sua arcigna e terrificante nonna, che il nostro predicatore ha affrontato insieme all’amata Tulip nello splendido Fino alla fine del mondo.
Due spaccati di vite completamente diverse tra loro e nel modo in cui vengono raccontate, ma non per questo meno potenti nel loro personale modo di farsi sentire dal mondo.











E’ curioso quanto, ancor più de Il santo degli assassini, questo secondo Special di Preacher sia ufficialmente considerato come il divertissement per eccellenza del suo geniale e malefico creatore Garth Ennis: di fatto, un personaggio indimenticabile ma palesemente grottesco come Facciadiculo e i due malefici emissari dei traumi del passato di Jesse Custer Jody e T. C. si prestano, in effetti, a questo tipo di operazioni, di norma attuabili, nel Fumetto, solo quando l’opera di un autore riesce ad essere talmente celebrata e di successo da poter permettere allo stesso, di fatto, di fare il bello ed il cattivo tempo con editor e majors.
Eppure, ho trovato questo spin off della serie principale ben più profondo di quanto non si possa pensare ad un’analisi superficiale, o comunque troppo legata alla natura molto pulp, pure troppo di Ennis e delle sue trovate: la prima metà dell’albo, dedicata alle vessazioni che conducono Facciadiculo a divenire Facciadiculo stesso, dal legame con il migliore amico alternativo per forza che si scopre essere più giovane di lui ai problemi con i professori e soprattutto con il padre, il reazionario e fin troppo tutto d’un pezzo Hugo Root, che il nostro Jesse ha sistemato a dovere in uno dei primi episodi della serie regolare, è un ottimo ritratto del disagio e delle insicurezze che nel corso dell’adolescenza ognuno di noi affronta, ed ancora una volta una critica assolutamente non velata a quella che è stata l’influenza di una figura come quella di Cobain rispetto ad una generazione fatta a pezzi dalla voglia di autodistruzione suggerita dal grunge.
I passaggi, poi, che vedono il giovane Facciadiculo fare buon viso – e certo non bello – a cattivo gioco quasi suscitano tenerezza, come quando, di fronte al padre che lo critica rispetto alla posizione del fucile nel tentativo di suicidio, il ragazzo promette di non ripetere più un errore simile.
Altra cosa curiosa è la duplice natura di Ennis a proposito dei “duri”: dal John Wayne ispirazione di Custer a Hugo Root, è interessante notare come la formazione dello sceneggiatore nutra una certa predilezione per figure forti e legate ad un certo tipo di valori e, ad un tempo, non esiti neppure un secondo di fronte all’idea di ridicolizzare e criticare aspramente le stesse.
In questo senso, il racconto che occupa la seconda parte dello special, dedicato a Jody e T. C. alle prese con una coppia di fuggitivi che pare uscita da un action anni ottanta con protagonista uno Stallone o uno Schwarzy – pare che il modello per la resa grafica del personaggio fosse proprio Sly – è indicativo: da una parte abbiamo Jody, che tra le pagine del già citato Fino alla fine del mondo ha reso alla grande il concetto di “padre padrone”, un vero e proprio mastino incapace di mostrare sentimenti ed in grado di esprimersi solo attraverso crudeltà e violenza – come per Hugo Root, in un certo senso – eppure proprio attraverso questi intento a manifestare, paradossalmente, il suo affetto per il “figlio”, e dall’altra uno spocchioso action hero tutto d’un pezzo pronto ad essere smontato senza pietà non solo dallo stesso Jody – che, di fatto, rappresenta il Male – ma anche e soprattutto da Ennis stesso.
Probabilmente all’autore irlandese gli infallibili – almeno sulla carta – piacciono proprio poco, e da peccatore fatto e finito, non posso che sentirmi di dargli ragione, nonostante in questo si caso dei miei tanto adorati action heroes.
Quello che è certo, però, è che grazie a queste due storie non solo si finisce per dare spessore a charachters fondamentali per l’evoluzione della serie, ma anche per suscitare riflessioni non da poco a proposito della crescita e dell’importanza del rapporto con i nostri padri – o chi pensiamo, in un modo o nell’altro, che lo siano -.
Da padre, mi sento personalmente chiamato in causa.
E quasi avrei paura di scoprire cosa Ennis potrebbe pensare di me.
O forse no. Perché in fondo quello tra un genitore ed un figlio è un legame talmente unico da trascendere ogni interpretazione e definizione.




MrFord




"Mama told me when I was young
come sit beside me, my only son
and listen closely to what I say.
And if you do this
it will help you some sunny day.
Take your time... Don't live too fast,
troubles will come and they will pass.
Go find a woman and you'll find love,
and don't forget son,
there is someone up above."
Lynyrd Skynyrd - "Simple man" - 




sabato 24 gennaio 2015

Justified - Stagione 3

Produzione: FX
Origine: USA
Anno: 2012
Episodi:
13




La trama (con parole mie): Raylan Givens, impegnato con la sua consueta attività di US Marshall vecchio stile, è alle prese con più problemi di quanti potrebbe pensare di gestire contemporaneamente.
Mentre l'ex moglie è incinta del suo primo figlio e l'amico d'infanzia e criminale incallito Boyd Crowder pianifica un'attività che possa renderlo il boss della regione accanto alla vecchia fiamma dello sceriffo stesso Ava, infatti, da Detroit giunge un cane sciolto delle organizzazioni del Nord pronto a creare scompiglio e lasciare dietro di sè una lunga scia di cadaveri, mentre Arlo, padre di Raylan, comincia a dare segni di squilibrio, oltre a manifestare apertamente l'odio per il figlio ed il legame con Boyd.
Dietro le quinte delle vicende che si incrociano e delle lotte per la conquista del potere nella Contea di Harlan, invece, assume una forma sempre più definita la figura della vera anima nera del luogo, il "custode" Ellstin Limehouse.








Come gli ultimi Ford Awards dedicati alle serie tv hanno chiaramente testimoniato, uno dei titoli che, nel corso dell'anno appena concluso, ha più fatto breccia nel cuore del vecchio Ford è stato indubbiamente Justified, un western fuori dal suo tempo ispirato da un racconto del pioniere del genere Elmore Leonard pronto a regalare due antagonisti degni delle battaglie che vedono protagonisti il sottoscritto e Cannibal Kid: Raylan Givens e Boyd Crowder, amici d'infanzia cresciuti nello stesso contesto - la Contea di Harlan, in Kentucky, dove le possibilità di crescita per un giovane, escluse le fortune sportive, sono molto limitate: un distintivo, il carcere o una vita a spaccarsi la schiena con qualche lavoro duro -, rivali quasi "per contratto" ed ugualmente in grado di portare avanti un rapporto che sconfina in un legame quasi più forte di quello di sangue.
Con la sua terza stagione, la serie compie un ulteriore passo verso la maturità, aggiungendo elementi che saranno fondamentali per la crescita dei suoi protagonisti - la futura paternità di Raylan, il rapporto di Boyd con Ava e Arlo - ed un paio di personaggi che difficilmente gli amanti di questo genere di proposte riusciranno a dimenticare: il killer e psicopatico albino Quarles, forse uno dei più folli e disturbati villains passati sul piccolo schermo di casa Ford dai tempi di Breaking bad e l'eminenza grigia Limehouse, cresciuto ed inserito in un contesto profondamente redneck e campagnolo eppure in grado di trasmettere l'inquietudine e l'aura di potere di un boss da grande metropoli.
I tredici episodi di questa terza season, meno coesi, forse, rispetto a quelli della seconda - incentrata quasi interamente sulla lotta di Raylan e Boyd contro la famiglia Bennet, in grado di trascinare una coda anche a questo giro di giostra -, riescono comunque nella non facile impresa di unire la tensione del thriller all'azione cui Raylan ha ormai abituato il suo pubblico, il rapporto dello stesso con la Legge ed il lato meno in ombra della sua esistenza - i colleghi, il capo, l'ex moglie incinta - e quello, al contrario, del lato oscuro - la volontà di fare spesso e volentieri quello che decide e sente a prescindere dalle regole, il grilletto facile ed una capacità di cacciarsi nei guai ben oltre il livello di guardia -: se, inoltre, le premesse sono quelle che sembrano, pare che il buon Limehouse sia destinato a diventare un personaggio cardine di questo prodotto che pare costruito su misura per chi, come il sottoscritto, ama un certo tipo di atmosfere, da Lansdale ad una sorta di Stand by me per adulti, con tanto di sesso e violenza aggiunti ad un cocktail troppo forte per stomaci da pusillanimi.
Ed è davvero interessante scoprire quanto un'opera che, di fatto, appare tagliata con l'accetta come i suoi protagonisti - gente dura, abituata a crescere battendosi, e senza fare troppe domande sul perchè, come è evidente nei confronti tra Quarles e Boyd, Raylan o Limehouse - basi la sua profondità sulle sfumature, e sul fatto che, nella vita, per quanto possano esistere il bianco ed il nero, finiamo per batterci con il coltello tra i denti nuotando tra i flutti dei grigi, e non ci sono uomini di Legge completamente a norma della stessa, così come criminali privi di qualsiasi moralità - Quarles a parte, ma questo è un discorso che sconfina nell'ambito della psicopatia -.
Il bello di Justified è proprio questo: il carattere, la voglia di lottare.
A prescindere da quale lato della barricata ci si sia trovati, per colpa o per destino, a difendere.
Lo sanno bene Arlo e Raylan, padre e figlio che tutto vorrebbero essere tranne padre e figlio.
Uno con un nuovo protetto per il quale pare disposto a fare tutto quello che non ha fatto per il suo sangue, per "l'uomo con il cappello".
E l'altro con un piccolo Givens in arrivo, e la sensazione che, pur senza essere presente, potrà sempre esserci.
Specie se si tratterà di dover piantare qualche pallottola in corpo a chi vorrebbe minacciarne il futuro.



MrFord



"Nice guys finish last.
You're running out of gas.
Your sympathy will get you left behind.
Sometimes you're at your best, when you feel the worst.
Do you feel washed up, like piss going down the drain."
Greenday - "Nice guys finish last" -



martedì 12 agosto 2014

Justified - Stagione 1

Produzione: FX
Origine: USA
Anno: 2010
Episodi: 13






La trama (con parole mie): Raylan Givens, US Marshall dal grilletto facile poco ligio alle regole e dai metodi decisamente old school, fredda un uomo di spicco della mala di Miami - suo luogo di lavoro - finendo per essere rispedito a Lexington, in Kentucky, sua terra d'origine, in attesa che si calmino le acque in Florida.
Neppure il tempo di fare ritorno a casa, e Givens comincia a distinguersi proprio grazie agli stessi metodi che l'hanno messo nei guai riportandolo dove è cresciuto: e tra l'ex moglie, la nuova fiamma, i problemi con il padre - un vecchio truffatore incallito - e quelli con la spietata famiglia Crowder, il federale dovrà dare fondo a tutte le sue abilità di affascinante bastardo per mantenersi vivo e riuscire ad avere meno guai possibili con i superiori.






La mia permanenza nella blogosfera, oltre ad un signor nemico - ovviamente sto parlando di Cannibal Kid - è riuscita a regalarmi anche un signor amico, che ancora oggi, nonostante gli impegni di entrambi non permettano di vedersi così spesso, considero molto più vicino a me rispetto a gente che frequento da quasi una vita: Dembo.
Il mio fratellino - che in molti, sempre bloggers, hanno pensato fosse davvero mio fratello, e in un certo senso è come se lo sentissi in questo modo -, ben conscio dell'amore che entrambi proviamo per le ambientazioni e le storie in pieno stile Hap e Leonard - e se non li conoscete, correte immediatamente a recuperare il loro ciclo di avventure firmato da Joe Lansdale - non troppo tempo fa mi ha proposto il recupero di una serie ispirata dalla penna di Elmore Leonard, uno che di Frontiera, West e personaggi fordiani se ne intendeva parecchio - grande romanziere recentemente scomparso ed autore, tra gli altri, di Jackie Brown -: Justified.
Incentrata sulle vicende dello US Marshall Raylan Givens e sul suo nemicoamico Boyd Crowder - interpretato dal mitico Walton Goggins, che da queste parti è amato fin dai tempi di The Shield -, questa serie è entrata immediatamente nel cuore del sottoscritto grazie ad una cornice pressochè perfetta, una sigla che ricorda in maniera quasi scandalosa quella di Sons of anarchy ed un piglio che definire nelle mie corde risulta quasi riduttivo, divenendo di fatto una sorta di versione realistica e plausibile del divertentissimo e tamarro Banshee.
Alcool, pallottole, sesso e situazioni da provincia profonda si mescolano in un cocktail decisamente esplosivo, che non solo tiene benissimo per l'intera durata della stagione, ma riesce a rinnovarsi ed avvincere perfino con gli episodi di raccordo - splendido quello dedicato al detenuto asserragliato nell'ufficio degli sceriffi a Lexington -: tolto, comunque, il più che fordiano main charchter - Raylan pare perfetto per la galleria dei bastardi dal cuore d'oro che tanto piacciono al sottoscritto - la parte del leone è senza dubbio quella di Boyd Crowder/Walton Goggins, che non solo da prova di essere un attore decisamente più interessante di quanto non si direbbe, ma che porta in scena un personaggio controverso e ricco di spunti anche rispetto al futuro della serie, recentemente confermata negli States per la sesta - ed ultima, a quanto pare - stagione.
Il cambiamento radicale di Boyd dal primo all'ultimo episodio, infatti, rende il personaggio di fatto il fulcro delle avventure di Givens e della serie intera, con tutti i suoi estremi ed il passaggio dalla spietata efferatezza del criminale senza scrupoli e rimorsi a quella del pastore/vigilante redento dal Signore.
Accanto alla spalla del protagonista, comunque, troviamo in Givens altrettanti spunti decisamente importanti, legati principalmente all'approccio da Far West dello sceriffo ed alla questione del "Justified" che da il titolo alla serie: gli ultimatum forniti da Raylan ai criminali, tutti rispettati dal federale, rappresentano di fatto un ritorno alle origini - in senso assolutamente comprensibile, eppure clamorosamente negativo - degli States, da sempre figli di una cultura che ha nelle armi da fuoco e nella difesa della propria "zona di sicurezza" dei capisaldi che è sempre meglio non mettere in discussione.
Potrà piacere oppure no, essere discutibile, dal grilletto facile e chi più ne ha, più ne metta, eppure questa serie - ed il suo protagonista con lei - funziona alla grande dall'introduzione al climax finale - che, peraltro, promette scintille rispetto all'annata numero due -, e fin da questo esordio al Saloon si prefigge di diventare uno dei cult fordiani da piccolo schermo.
Alcool, sesso, Frontiera, sparatorie e botte.
In fondo, non potevo chiedere niente di più.
Tranne un bel cappello da cowboy.




MrFord




"On this lonely road, 
trying to make it home
doing it by my lonesome-pissed off, 
who wants some
I see them long hard times to come."
Gangstagrass - "Long hard times to come" - 





domenica 4 maggio 2014

Homefront

Regia: Gary Fleder
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 100'




La trama (con parole mie): Phil Broker, agente sotto copertura della DEA infiltrato in una gang di bikers coinvolti nel traffico di metanfetamine, viene scoperto dai suoi "compagni" proprio nel corso dell'operazione che avrebbe dovuto portare all'arresto dell'intero gruppo, finita in un vero e proprio bagno di sangue. Inserito in un programma di protezione e trasferitosi con la figlia in Louisiana, l'ex poliziotto pare doversi preoccupare principalmente delle intemperanze della sua piccola, che non esita ad usare gli insegnamenti del padre per farsi rispettare a scuola. Proprio da uno scontro con un bulletto compagno di classe della ragazzina ha inizio un'escalation di eventi che non solo vedrà coinvolto anche Broker, ma che riporterà i motociclisti ancora assetati di vendetta nei suoi confronti sulle tracce del fu membro delle forze dell'ordine.








Per un appassionato dell'action anni ottanta come il sottoscritto, gli ultimi anni così poveri di eroi spaccaculi in grado di raccogliere il testimone della generazione Expendables hanno visto Jason Statham divenire una sorta di vero e proprio baluardo da opporre a questa stessa carenza, ed ogni pellicola con lui protagonista l'oasi perfetta in cui riprendere fiato e far riposare il cervello tra una giornata di lavoro e l'altra.
Homefront, titolo passato quasi sotto silenzio dalle nostre parti, appartiene senza dubbio alla categoria: gran botte - anche se, con il buon Jason in gioco, io spero sempre in scazzottate in sequenza dal primo all'ultimo minuto -, ambientazione southern, gang di bikers in pieno stile Sons of anarchy, sceneggiatura firmata nientemeno che da Stallone.
Ingredienti perfetti, in parole povere, per una goduriosa proposta fordiana in piena regola, cui prendono parte addirittura James Franco - che ultimamente appare praticamente in un film su due - e Winona Ryder, lontanissima dai fasti del suo status di simbolo degli anni novanta.
Il risultato è un film piacevole e divertente, ruvido come i colpi di Statham - che regala almeno un paio di perle niente male - e girato come se fossimo ancora nell'ottantanove, prevedibile e dritto come un cartone sul grugno: non posso negare, però, il fatto che mi aspettassi qualcosa in più soprattutto dallo script targato Sly, che nella prima parte si prende il tempo necessario per porre le basi di quello che sarà il telefonatissimo climax finale - che, sia chiaro, in questi casi è giusto che sia prevedibile, anche perchè si attende il confronto tra il buono ed il cattivo per tutta la pellicola proprio alimentando le aspettative di vedere il primo scassare di legnate il secondo - per poi andarci giù pesante con l'accetta nella seconda parte, dimenticando alcuni personaggi - l'assistente scolastica che pare possa diventare la nuova compagna del protagonista, sponsorizzata anche dalla figlia di quest'ultimo - e facendo di tutto per andare dritto al sodo, senza però preoccuparsi che alcune situazioni paiano, in conclusione, come tagliuzzate dalla produzione in fase di montaggio.
Niente di irreparabile, ovviamente, per un titolo che negli States ha funzionato discretamente anche al botteghino - pur essendo, di fatto, una cosa molto artigianale tipica da passaggio diretto al mercato home video - e che ha rinfrescato la memoria del vecchio Ford rispetto ai bei tempi in cui proposte di questo tipo andavano per la maggiore: doveste recuperarlo, godetevelo senza troppi pensieri, tifando spudoratamente per Statham liberando un'ovazione dietro l'altra nei momenti in cui i torti vengono riaggiustati come solo gli Expendables sanno fare.
Old school a profusione, dunque, pronta a sopperire con i più classici degli inseguimenti e delle legnate dure alle lacune del copione, senza alcuna ambizione se non quella di intrattenere a dovere un pubblico da rutto libero e cervello in serata di permesso, culminato con il clamoroso pestaggio subito da James Franco nel finale, simbolo del vecchio adagio di casa Ford secondo il quale, se sei il personaggio di un film in cui il protagonista è il Jason Statham di turno, dovresti pensarci due volte prima di cercare di rompergli le uova nel paniere.



MrFord



"Two years later,
street Survivors hit the shelves.
beyond expectation, sounding better than ourselves.
just wanna keep playing
as long as we possibly can."

Drive by truckers - "Cassie's brother" - 





lunedì 3 febbraio 2014

Dallas buyers club

Regia: Jean Marc Valleè
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 117'




La trama (con parole mie): Ron Woodroof, elettricista e giocatore d'azzardo dedito ad alcool, eccessi e donne, si ritrova, nel pieno degli anni ottanta, positivo all'HIV. Superato il trauma della presa di coscienza della propria condizione ed abbandonati gli amici di un tempo, l'uomo si dedica ad una personale ricerca di potenziali cure per la malattia, ingaggiando una vera e propria crociata a favore dei malati contro le multinazionali farmaceutiche intente a promuovere l'AZT.
I suoi trenta giorni di vita previsti alla prima visita divengono così anni di battaglie legali e non contro lo status quo che poneva i malati di AIDS ai margini della società, nonchè vere e proprie cavie per i colossi dell'industria farmaceutica.






La fama di alcune pellicole gioca molte delle sue carte sul passaparola: Dallas buyers club, salito alla ribalta della cronaca grazie ai Globes vinti da Matthew McConaughey e Jared Leto - entrambi meritatissimi -, divenuto il caso cinematografico made in USA di questo inizio anno, deve molta della sua fortuna proprio a questo fenomeno.
Mossi dalle incredibili performances attoriali dei protagonisti, pubblico e critica hanno finito per spingere il lavoro di Jean Marc Valleè oltre ogni più rosea aspettativa, portando Dallas buyers club a diventare, di fatto, un blockbuster d'autore pronto a battersi con i più grandi favoriti nella notte degli Oscar: visione alle spalle, posso dire che senza ombra di dubbio siamo di fronte ad un gran bel prodotto, confezionato alla perfezione e costruito per colpire ed emozionare pur sfruttando un main charachter certamente non empatico o "positivo" come il Ron Woodroof di McConaughey, seppur lontano dal Capolavoro che vorrebbe essere venduto.
Onestamente, penso ci si trovi più dalle parti dei solidi Milk o Erin Brockovich - titoli che riguardo sempre volentieri, impegnati e non banali - che non da quelle degli imprescindibili, nonostante la pellicola avvinca e renda il pubblico più giovane edotto rispetto ad una delle grandi battaglie degli emarginati nel corso degli anni ottanta e quello più stagionato sensibile ad un periodo decisamente particolare della Storia recente: tratto da una vicenda realmente accaduta - la battaglia legale e non del già citato Ron Woodroof, elettricista devoto all'alcool, agli eccessi, al gioco ed al sesso lontano dal mondo omosessuale che ai tempi si credeva unico a dover fare i conti con l'HIV - e profondamente legato alle lotte che resero possibile una maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica a proposito dello sfruttamento dei malati da parte delle multinazionali farmaceutiche, Dallas buyers club rappresenta il tipico e coinvolgente film di grande impegno sociale, con alcuni spunti splendidi - la scena finale, il rapporto sessuale tra Woodroof e la ragazza malata, liberatorio come solo il sesso libero e non protetto può essere, sicuri di non infettare altri - ed alcuni passaggi appena sotto il livello di pericolo di retorica.
Una pellicola solida e di cuore ma comunque ben distante dalle vere e proprie pietre miliari, che mi sono goduto una volta presa coscienza dei suoi limiti principalmente grazie allo stimolo regalato dal protagonista, un redneck fatto e finito che, di fronte alla prospettiva della morte, finisce per attaccarsi alla vita con una determinazione incrollabile che io stesso ben comprendo, considerato che è mia ferma intenzione quella di attaccarmi a questo mondo con le unghie e con i denti almeno fino ai centotre anni.
E dico almeno.
L'esempio dato da personaggi in grado di affrontare l'avvicinarsi dell'ultimo viaggio con la stessa contagiosa voglia di sperimentare e lottare di chi, al contario, ha la possibilità di godersi ogni giorno senza avere l'impressione di stare affrontando un conto alla rovescia è senza dubbio stimolante, anche quando si tratta di dover convivere con qualcosa che, presto o tardi, finirà per vincere la guerra anche a fronte di qualche sconfitta di poco conto.
In un certo senso, è la stessa cosa anche per noi, con la differenza che, di norma, non prestiamo troppa attenzione alla sabbia che scivola nella clessidra togliendo ogni giorno qualcosa dal tavolo della nostra mensa.
A scanso di equivoci, io ho intenzione di mangiare e gustarmi quanto più possibile ogni momento. Come in un rodeo che potrebbe finire da un istante all'altro.



MrFord



"Are you my main man
are you now are you now
are you my Main Man
are you now are you now
are you now."
T-Rex - "Main man" - 



mercoledì 30 ottobre 2013

True blood - Stagione 6

Produzione: HBO
Origine:
USA
Anno: 2013
Episodi: 10




La trama (con parole mie): Sookie, ormai alle spalle le storie con Bill ed Eric, si ritrova a dover fronteggiare la minaccia del millenario vampiro Warlow, responsabile della morte dei suoi genitori tornato per riscuotere un antico credito con la famiglia della cameriera telepate.
Nel frattempo la situazione che vede il progressivo incrinarsi dei rapporti tra umani e succhiasangue continua a peggiorare, ed il Governatore della Louisiana, accanto alla costruzione di campi di prigionia all'interno dei quali segregare le creature della notte, accarezza il sogno di un ritorno del Tru Blood sul mercato: c'è però un oscuro segreto, dietro la nuova versione del sangue sintetico.
La formula progettata, infatti, ha il compito di divulgare tra la popolazione vampirica una mortale malattia pronta a sterminare i figli di Lilith dal primo all'ultimo ribattezzata Epatite V.




Se osservare un regista cui ci si sente legati sprofondare un film dopo l'altro nell'oceano della mediocrità e delle stronzate soffocanti - vero, Malick!? - fa male al cuore di ogni cinefilo, osservare l'agghiacciante declino di una serie tv finisce per avere effetti anche più devastanti, considerato l'affetto che si finisce per provare rispetto ai protagonisti di proposte nate per accattivare e conquistare l'audience neanche si trattasse di un gruppo di vecchi amici.
True blood, creatura figlia del mitico Alan Ball, responsabile di quel Capolavoro di Six feet under, partita alla grande qualche anno fa e rimasta a livelli decisamente alti fino alla sua terza annata, sancisce con questa season numero sei la sua definitiva sepoltura - sempre per restare in tema "balliano" - con un anno di anticipo rispetto alla stagione conclusiva, fissata per il prossimo anno.
Tutto quello che, fino a qualche tempo fa, infatti, rendeva questo titolo un'intrigante rilettura del mito del vampiro applicato ad un'atmosfera rovente da southern profondo è stato sostituito da un trash ben oltre il pacchiano, personaggi divenuti macchiette ed un assurdo quanto illogico inanellarsi di eventi spesso e volentieri pronti a scadere nel ridicolo involontario: colonne portanti della serie come Eric Northman - che aveva avuto una vera e propria evoluzione nei primi due anni del prodotto - ridotte a pupazzoni privi di spessore, dinamiche ed eventi buttati a caso nel calderone neanche dietro la macchina da scrivere si trovassero gli sceneggiatori di Occhi del cuore, atmosfera da teen eccitabili buona giusto per la trasmissione della serie su Mtv ed un'escalation esplosa in un finale tra i più discutibili passati sul piccolo schermo negli ultimi anni.
Tutto questo senza contare la profonda antipatia - peraltro continuamente crescente - di Sookie, quella che dovrebbe essere l'eroina della serie e che, di fatto, rappresenta ormai una sorta di cacciatrice di cazzi - e mi perdonino le signore, ma del resto qui siamo in un Saloon -, preferibilmente di origine sovrannaturale, da attizzare per bene prima di dedicarsi al successivo, magari dopo aver abilmente eliminato il precedente facendolo passare per fesso oltre che per cattivo - ovviamente -.
Emblematico è il caso di Warlow, personaggio dallo spessore nullo nato e morto - fortunatamente - con queste dieci puntate che finisce per passare nella loro quasi totalità legato come un salame ad una sagra di paese: neppure l'utilizzo come sua nemesi di un grosso calibro come Rutger Hauer riesce a scuotere, dunque, un charachter inutile fin dal principio, simbolo del declino di un titolo che finisce per appiattire praticamente ogni suo punto di riferimento.
In questo senso, il responso è davvero impietoso: Bill in formato "divino" non si può assolutamente vedere, gli abitanti di Bon Temps paiono riciclati nel ruolo di bagonghi disposti ad accettare ogni ordine di stranezze, i vampiri in toto finiscono per recitare la parte dei perenni assatanati senza alcuno scopo, Alcide - che probabilmente finirà per essere affossato il prossimo anno - è un orsacchiottone senza carattere che rimbalza da una situazione all'altra, Sam un comprimario cui pare essere assegnato d'ufficio il ruolo di tappabuchi.
L'unico a scampare in qualche modo al massacro pare essere Jason, che conserva l'ingenuità da scemo del villaggio che ha fatto la sua fortuna fin dalla prima stagione, e che spero ardentemente non sia in qualche modo coinvolto nella debacle con la conclusione della saga: quello che è certo, nel frattempo, è che il Southern Comfort che ben simboleggiava True blood ai suoi esordi, è diventato una sorta di Crodino annacquato da discount.
Ed essendo in un Saloon questa non è mai una buona cosa.


MrFord


"Well, he's trying to survive up on Mulholland Drive 
he's got the phone in the car in his hand 
everbody's trying to be a friend of mine
even a dog can shake hands."
Warren Zevon - "Even a dog can shake hands" - 


giovedì 27 settembre 2012

True blood - Stagione 5

Produzione: HBO
Origine: USA
Anno: 2012
Episodi: 12




La trama (con parole mie): Sookie Stackhouse è in pericolo. Russell Edgington, millenario vampiro che già tempo prima l'aveva braccata e che tutti credevano morto, è in realtà ancora in vita, salvato dall'avventatezza di Eric e Bill e dall'intervento di un misterioso salvatore rimasto nell'ombra.
Come se non bastasse, ai guai di Sookie si aggiungono quelli di Alcide - licantropo innamorato della ragazza - con il suo nuovo branco, di Lafayette - perseguitato dalla presenza dello zio del suo fidanzato morto -, di Terry ed Arlene - cacciati dallo spirito evocato da una maledizione - e la presenza sempre più incombente dell'Authority, organo di governo che unisce Stato e Chiesa nella società vampirica.
Ma non è ancora finita: perchè Tara è stata uccisa davanti agli occhi di Sookie, e l'unica soluzione per poterla riportare indietro pare essere quella di farla trasformare in una figlia della notte.





Alla fine, è successo.
Dopo le avvisaglie della scorsa stagione, anche True blood incappa in un'annata di passaggio e crisi così come era accaduto ad un altro dei miei preferiti, Dexter, proprio nel corso dell'autunno passato.
Il serial dedicato alle disavventure di Sookie Stackhouse e degli abitanti di Bon Temps, la proposta più southern, passionale e "sudata" del piccolo schermo, tradisce le attese implodendo sotto il peso delle aspettative e dell'eccessiva quantità di carne al fuoco messa dagli autori a partire dalla già citata passata stagione: il solo ritorno di Russell Edgington, infatti, sarebbe bastato a rendere interessante una quinta tornata iniziata molto bene, con la trasformazione in vampiro di Tara e l'ombra dell'Authority ad incombere su Eric e Bill.
Alan Ball e i suoi sceneggiatori, invece, preferiscono buttare nel calderone di Bon Temps praticamente ogni creatura magica conosciuta, costruendo sottotrame spesso assurde ed inconcludenti, e per nulla utili all'economia dell'opera nel suo complesso pur di non perdere di vista nessuno dei protagonisti o l'attenzione di un pubblico che, rispetto alle prime stagioni, mi pare abbia abbassato considerevolmente la sua età media.
Dunque tornano in gioco le fate - che ho sempre trovato pessime ed involontariamente ridicole -, la vicenda di Alcide e del branco di licantropi di Shreveport finisce per fare da tappabuchi nei momenti di stanca degli episodi, la maledizione che porta Terry ed Arlene a confrontarsi con l'Efreet appare tirata per i capelli, i cambi di rotta improvvisi ed improvvisati finiscono per nuocere alla resa finale delle puntate come della stagione - Lafayette prima protagonista dello scontro con il brujo, poi relegato praticamente a comparsa, l'Authority che passa nel giro di una scena dall'essere completamente dedita all'integrazione all'integralismo da setta di invasati, Salomè e Russell che da vampiri millenari quasi invincibili divengono in men che non si dica lamentosi bambini cresciuti molto più vulnerabili di quanto non si potrebbe credere -.
Considerata la potenza che la serie aveva sfoderato nelle prime stagioni - e soprattutto nella terza - quest'approssimazione nella scrittura risulta davvero sconvolgente, senza contare i passaggi forzatamente action che fanno rimpiangere le atmosfere da thriller dell'annata d'esordio: se, poi, la poco sopportabile Sookie appare a suo modo contenuta, l'ancor meno sopportabile Bill acquista sempre più spazio, e se la sua metamorfosi in delirante messia malvagio potrebbe risultare interessante nell'ottica della sesta stagione dall'altra parte aumenta il timore di un True blood completamente Compton-centrico.
Ovviamente questo passo falso non è completo, e nel mezzo disastro ci sono alcune cose sulle quali sicuramente riporre le speranze future: in primis Eric, che seppur scombinato da una sceneggiatura per nulla all'altezza del suo personaggio si appresta a diventare l'effettivo protagonista maschile della serie; subito a ruota il duo Tara/Pam, nato per caso e divenuto uno dei più interessanti proposti dagli autori; il tutto senza dimenticare Alcide accanto al ritrovato padre e la giovane Jess, che ha ormai perduto sia Jason - sciroccato ulteriormente dall'ultimo "colpo di fata" ricevuto - che Hoyt, la partenza del quale è forse la sequenza migliore regalata dai dodici episodi.
La speranza, comunque, è che possa essersi trattato soltanto di una sbronza di esseri sovrannaturali e che presto si possa tornare al caro, vecchio, southern cajun style fatto di cattiveria - vera -, vampiri - altrettanto di sostanza -, e di un bel pò di pulp e sesso come si converrebbe a delle creature della notte che si rispettino.


MrFord


"Searching in the darkness, running from the day
hiding from tomorrow, nothing left to say
victims of the moment, future deep in doubt
living in a whisper until we start to shout."
Kiss - "Creatures of the night" -


lunedì 19 settembre 2011

True blood Stagione 4

Produzione: Hbo
Origine: Usa
Anno: 2011
Episodi: 12



La trama (con parole mie): Sookie, perduta nel mondo delle fate senza sapere che nella realtà dei mortali è trascorso un anno, torna a Bon Temps scoprendo che molte cose sono cambiate, nella sua cittadina. 
Bill è ufficialmente il re dei vampiri della Louisiana, Eric ha acquistato la casa della giovane telepate e pare sempre più convinto a conquistarne il cuore, suo fratello Jason è diventato un vice sceriffo e l'amica di una vita Tara vaga di città in città celandosi dietro una falsa identità.
Il tutto condito dalle consuete stranezze in sensuale salsa southern cui la serie di Alan Ball ci ha abituati, senza contare la minaccia incombente di una congrega di wiccan guidata dallo spirito di una strega morta secoli prima per volere dei vampiri accecata dalla furia e dal desiderio di vendetta.



Sono davvero poche le serie tv in grado di mantenere quasi inalterata la loro qualità con il passare degli anni e delle stagioni, continuando in qualche modo a reinventarsi e tornando puntualmente a sedurre gli spettatori ad ogni nuova premiere, o season finale: senza dubbio, una delle realtà più consolidate degli ultimi anni in questo senso è stata True blood.
Figlia del talentuoso autore di Six feet under - altra serie Capolavoro - e tratta dai romanzi di Charlene Harris - a detta di Julez, decisamente meno incisivi della serie, ed io le credo senza riserve -, fin dalla prima annata questa serie è stata una delle mie personali favorite ad ogni stagione televisiva, fornendo un'alternativa validissima ai miei due cult personali Lost e Dexter e confermandosi quest'anno accanto a Misfits e Game of thrones come uno dei prodotti qualitativamente più importanti del piccolo schermo.
Certo, replicare un grande passaggio come quello dello scorso anno non era facile, e per certi versi la vicenda di Russell Edgington resta la migliore mai mostrata sugli schermi di Bon Temps, eppure, eliminato il superfluo - il mondo delle fate e la sottotrama delle reiette pantere mannare -, Sookie e soci regalano al loro pubblico anche in questo loro quarto passaggio in tv emozioni a profusione, spargimenti di sangue, sesso come se piovesse, nuovi intrighi ed un crescendo conclusivo che sfocia in un'ultima puntata a dir poco clamorosa, che apre nuovi, affascinanti scenari per il prossimo anno e, come al solito, lascia con il fiato sospeso ed ansiosi di scoprire cosa riserverà la prossima estate in questa southern realtà venata di sangue denso e corposo.
Se, da un lato, perdono un pò di mordente Jason - mio idolo sin dall'esordio - e la parte "umana" della piccola città della Louisiana, dall'altro scopriamo il lato più politico di Bill, un Eric assolutamente inedito - secondo favorito fordiano -, il meglio della coppia Lafayette/Jesus - Nelsan Ellis da applausi dalla prima all'ultima puntata - e tutto il fascino di Jessica, nata come un personaggio praticamente di contorno e divenuta progressivamente sempre più importante nell'economia della serie intera - un pò come fu per lo stesso Eric/Alexander Skarsgard -: certo, con un parterre di personaggi come quello che offre la creatura di Ball ce n'è davvero per tutti i gusti - la stessa Julez resta in trepidante attesa di ogni nuova apparizione di Alcide/Joe Manganiello -, e anche le vicende secondarie come la possessione del figlio di Arlene e Terry ed il rapporto tra Sam e suo fratello minore paiono assumere un'importanza quasi pari alla storyline principale, grazie ad un sempre attento approfondimento da parte degli sceneggiatori, che seppur non impeccabili dal punto di vista più realistico del lavoro - ma sarà mai possibile che, dopo la trama quasi thriller della prima stagione, nessuno si preoccupi più di tutti i morti seminati per le strade di Bon Temps!? - continuano a realizzare ottime cose riguardo la caratterizzazione di tutti i protagonisti.
Inutile sottolineare, dunque, che a suon di sudore, corpi che si affrontano e sfiorano, alcool, fuoco, passione, morte e sesso, il prossimo giugno saremo ancora lì, nel cuore del profondo Sud, con le zanne ben in vista pronte ad addentare il primo boccone di questo succulento pasto notturno.

MrFord

"Bite hard well it's a broken smile,
breaking their hearts
and breaking their minds
bite hard, well its a five ol' five?
Your engine's alive and we ride together
bite hard."
Franz Ferdinand - "Bite hard" -

 

martedì 16 agosto 2011

Tucker&Dale vs Evil

Regia: Eli Craig
Origine: Usa
Anno: 2010
Durata: 89'


La trama (con parole mie): Tucker e Dale sono due ragazzotti di campagna che amano stare all'aria aperta e non vedono l'ora di ristrutturare e sistemare la loro casa per le vacanze, acquistata con tutti i risparmi di Tucker. Quello che i due amiconi non sanno è che la baita è stata il rifugio di un killer che vent'anni prima commise un vero e proprio massacro nei boschi che saranno il loro luogo di soggiorno, e che un gruppo di studenti di college che li pensa usciti direttamente da Un tranquillo weekend di paura in gita da quelle parti sarà disposto a giocarsi anche la vita per sopravvivere ed eliminare il Male e le sue più terribili personificazioni: Tucker e Dale.


E' davvero difficile, ormai, riuscire a sorprendere grazie ad un horror.
In positivo, intendo.
Tendenzialmente, si hanno due sole strade: o la liberazione del lato più oscuro possibile - vedi l'agghiacciante Eden lake - oppure una presa di coscienza decisamente più leggera, che punta senza troppi complimenti sul divertimento e recupera le atmosfere de La casa per mescolarle alle trovate irresistibili di Shaun of the dead.
Senza dubbio, Tucker&Dale vs Evil rappresenta il film dell'anno rispetto a quest'ultima categoria.
A partire dall'apertura, con la straordinaria Welcome to the jungle dei Guns a fare da cornice ai più classici boschi da film horror che abbiate visto, fino ai suoi protagonisti, tanto geniali nella loro capacità di finire nei guai da scomodare il paragone con il protagonisti dell'appena citato lavoro di Edgar Wright.
Eli Craig, attore di poco conto - interpretò il giovane Tommy Lee Jones in Space cowboys di Clint per un totale di cinque minuti di girato, giusto per intenderci, nella sua parte più importante -, sfodera con questa sua opera prima una vera e propria chicca, andando a cogliere a piene mani dall'immaginario di genere legato ai boschi e agli assassini spietati senza dimenticare cult come Un tranquillo weekend di paura e I guerrieri della palude silenziosa, mescolandoli a robustissime dosi di ironia e gore riuscendo a rendere il tutto perfettamente in equilibrio evitando il pretenzioso citazionismo da radical chic presentato da Tarantino o Luc Besson - e i suoi riferimenti a Non aprite quella porta e Predator sono da antologia - e mantenendo anche una discreta originalità trasportando in un genere come l'horror la più tradizionale, travolgente, scombinata commedia degli equivoci.
A partire dal primo tentativo di approccio di Dale con le studentesse del college fino alla geniale scena dell'arrivo dello sceriffo, i due protagonisti ribaltano tutti i canoni del teen horror finendo ad essere gli involontari ed innocui "mostri" e le decisamente poco usuali vittime di un gioco al massacro altrettando involontariamente - o quasi - orchestrato dal gruppo di universitari.
L'attacco alla baita di Tucker e Dale, così come il confronto davanti a un the tra lo stesso Dale e il molto poco equilibrato Chad - vero e proprio "cattivo" della pellicola - sono momenti che non si dimenticano, e finiscono dritti dritti tra i più cult dell'anno: un pò come questa pellicola, breve e fulminante, sanguinolenta e divertentissima, profondamente southern eppure clamorosamente intelligente, acuta e sorprendente, capace di presentarsi come la più tamarra, ottusa e scombinata delle proposte horror possibili ma che, fin dalle prime sequenze, si rivela essere una vera e propria sorpresa. Un pò come i suoi due impareggiabili "eroi".
Una visione imprescindibile per tutti i miei compari Expendables, che troveranno pane per i loro denti nonchè un film potenzialmente in grado di divenire uno di quelli che, a suon di visioni propinate ad amici, parenti, potenziali fidanzate e mogli, finiremo di certo per imparare a memoria.
Dunque tenetevi forte, schiantatevi sul divano con una salopette di jeans ed una camicia a quadri, procuratevi una scorta di carne essicata e birra, tenete il rutto in canna e preparatevi ad uno dei viaggi più esilaranti ed insanguinati che la provincia profonda - con i suoi boschi - potrà regalarvi.
E state molto attenti alle vostre dita da bowling.


MrFord

"Well I heard mister Young sing about her
well, I heard ole Neil put her down
well, I hope Neil Young will remember
a southern man don't need him around anyhow."
Lynyrd Skynyrd - "Sweet home Alabama" -


domenica 3 luglio 2011

If you want blood... You got it!

La trama (con parole mie): ieri è andata in onda, sugli schermi di casa Ford, la prima, attesissima puntata della nuova stagione di True blood. 
Un inizio che promette scintille per una delle produzioni migliori che il piccolo schermo abbia fornito nel dopo Lost.

Viaggi nel tempo, possessioni, fate, giochi di potere ed una scena da manuale di montaggio alternato.
Pochi cazzi, signore e signori.
State pronti a sudore, lacrime e sangue. Tanto sangue.
Perchè è tornato il serial southern più caldo della tv.

MrFord

"So give them blood, blood, gallons of the stuff!
Give them all that they can drink and it will never be enough.
So give them blood, blood, blood.
Grab a glass because there's going to be a flood!"
My chemical romance - "Blood" -

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