lunedì 31 ottobre 2016

El club (Pablo Larraìn, Cile, 2015, 98')




Ogni volta che mi capita di riflettere a proposito di peccati e peccatori, ripenso al volo a Gli spietati, o a Johnny Cash, o a Edward Bunker: ogni azione commessa al di fuori della Legge, del resto, ha ispirazioni, moventi e spiegazioni molto diversi tra loro, e reazioni istintive a parte, l'ideale prima di giudicare o essere giudicati sarebbe sempre mettersi nei panni di chi sta di fronte, o dall'altra parte della nostra barricata.
Allo stesso modo, da ateo miscredente, ammetto di fare sempre una gran fatica ad affrontare il discorso non solo della Fede, ma anche e soprattutto a concepire l'esistenza delle grandi organizzazioni religiose.
Considerate queste premesse, ed il fatto che il mio rapporto con Pablo Larraìn non iniziò, anni fa, nel migliore dei modi - detestai con tutte le forze il sopravvalutato Tony Manero -, la visione di El club si presentava come una delle più toste dell'anno.
Quattro ex preti scomunicati ed isolati in una sorta di casa protetta nel Cile dell'oceano e della provincia profonda, ognuno per motivi diversi, controllati e guidati da un'ex suora caduta in disgrazia pronta a fare agli stessi da perpetua, madre, confidente, carceriera e guida, un suicidio indotto da vecchi peccati, un giovane esponente della "nuova" Chiesa pronto ad indagare ed eventualmente chiudere la struttura neanche fosse la filiale poco produttiva di un'azienda: ingredienti tosti, che ancora una volta - questo occorre riconoscerlo - pongono Larraìn tra i registi più "scomodi" del panorama internazionale.
Ingredienti che avrebbero potuto scatenare una delle peggior tempeste di bottigliate dell'anno, se trattati con spocchia o superficialità d'autore.
Al contrario, invece, Larraìn non solo porta sullo schermo una pellicola dalla quale è praticamente impossibile uscire indenni, ma anche uno dei film più strazianti, potenti e clamorosamente belli di una stagione che ha bisogno come l'aria di opere di alto livello, considerata la penuria vista fino ad ora: El club è una ferita aperta, un viaggio allucinante non tanto nelle menti di quattro uomini colpevoli, o di chi, per controllarli o metterli di fronte ad una scelta che potrebbe almeno in parte redimerli, si rivela predatorio e spietato forse anche più di loro, quanto nell'abisso che l'Uomo continua a mostrare e portare nel mondo, e che probabilmente non finirà mai di stupire per quanta assurda crudeltà noi animali "sociali" ed "evoluti" riusciamo a continuare a mostrare, ed al contempo con quanta forza e volontà lottiamo affinchè dolore e colpa possano essere lasciati alle spalle per ricominciare, anche quando probabilmente non esiste neppure una remota possibilità perchè questo sia possibile.
De Andrè, in uno dei brani più struggenti di uno dei dischi più importanti della Storia della Musica italiana, cantava "nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l'amore": una lezione fondamentale, che passa attraverso figure fondamentali della cultura globale, da Gesù a Gandhi, e che rappresenta un baluardo per la nostra umanità.
E poi ripenso a questo film, a Sandokan, vittima e carnefice, alla sorella ed al prelato che dovrebbero indirizzare e controllare i quattro "condannati", agli stessi ex religiosi, macchiati da peccati più o meno gravi, alla società attorno, che li isola ed imprigiona in una libertà forse più scomoda di qualsiasi carcere, al sistema carcerario norvegese mostrato da Michael Moore in Where to invade next, e penso a quanto sarebbe difficile vivere e rapportarsi in modo civile con qualcuno che, abusando del proprio ruolo - specialmente se si tratta di un ruolo spirituale come quello del prete -, ha commesso uno o più crimini.
A quanto sarebbe più facile comportarsi da Uomini, e lasciare che la Legge della nostra giungla - ben più feroce di quella animale - faccia il suo corso.
A quanto è facile metterli di fronte ad una scelta e poi dimenticarsi di loro, finendo per segnarsi allo stesso modo.
A quanto è facile strumentalizzarli, e gestirli come fossero bambini.
Io sono un ateo miscredente, ma penso che se il già citato Gesù avesse incontrato persone come queste, si sarebbe fatto un mazzo tanto anche e soprattutto per loro.
Peccato che la Chiesa l'abbia perso di vista, e sempre per citare De Andrè, abbia preso questa Legge divina e l'abbia "tre volte inchiodata nel legno".
Io sono un ateo miscredente, ma penso che, se esistesse qualcuno con tanta forza da poterlo fare, mi verrebbe quasi da credere in lui.
Invece sono un Uomo, e quando arrivo alla fine di opere come questa, mi ritrovo con il fiato corto e la voglia di lasciare libero l'istinto.
Ma se lo facessi, sarei esattamente come loro.




MrFord



 

18 commenti:

  1. Ho faticato con questo film così come con i primi di Larraìn... quello sporco, quel viscido, mi respinge. Fatico ad entrarci, pur sentendone la potenza e la bellezza, in mezzo alla bruttezza che inquadra.
    Con lui ho fatto pace solo con i lavori "più commerciali" come No e Jackie, dove i temi sono diversi e la sua mano si riconosce in tutta la sua bravura.

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    1. Posso capirti, io avevo odiato - e odio tuttora - Tony Manero.
      Ma in questo caso la potenza supera di gran lunga un certo tipo di approccio.

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  2. Complimenti, davvero un bel post. Cmq mi hai convinto, sembra davvero interessante e mi sembra di capire che ricorda un po' Le mele di Adamo giusto?
    Lo recupero a breve! ;)

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    1. Direi che c'è solo dolore e dramma, quindi dimentica l'ottimismo e l'ironia de Le mele di Adamo.
      E' un film davvero terribile, nel senso doloroso del termine. Ma una bomba.
      Mi saprai dire, Fratello.

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  3. Larraìn, mi voglio sbilanciare, è il più grande regista contemporaneo under 40. I suoi ultimi film sono di una qualità impressionante (non perderti "Neruda" e "Jackie", sono altri due capolavori). Questo, poi, è un pugno nello stomaco di incredibile violenza e di incredibile riuscita: basterebbe la scena dell'uomo che, ad inizio film, si mette a "cantare" la sua litanìa fatta di violenze e sopraffazioni (davanti ai preti increduli) per restarci scolpito dentro. Grandissimo davvero.

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    1. Film pazzesco, e considera che io non amo particolarmente Larraìn, qualità indiscussa a parte.
      Sono molto curioso, comunque, di Neruda e Jackie.

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  4. ben detto, bellissimo post e bellissimo film. Neruda è ancora più bello!

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    1. Muchas gracias!
      Per quanto riguarda Neruda, spero di recuperarlo presto!

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  5. Si presentava come una delle visioni più toste dell'anno anche per me e, dopo questo tuo parere entusiastico che mi ha terrorizzato più di qualunque costume di Halloween, continuerà a rimanere tra i film in attesa. Mi sa ancora a lungo... :)

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    1. Beh, ormai non è più un segreto il fatto che tu i film validi cerchi di evitarli! ;)

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  6. Visto pochi giorni fa, e non c'è che dire. Insieme a Neruda uno dei migliori film di quest'anno finora

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    1. Spero di vedere presto Neruda. Se le premesse sono queste, sarebbe forse la prima volta in cui lo stesso regista nello stesso anno piazza due titoli nella classifica dei migliori film dell'anno.

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  7. Anche a me Tony Manero non era piaciuto, però devo dire che è un film necessario per mantenere viva la memoria delle brutture accadute nel suo paese, incluse le storture religiose che sono invece universali...

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    1. Verissimo. Poi, ti dirò: meglio non aver apprezzato Tony Manero per amare i suoi lavori successivi, che non il contrario. ;)

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  8. Un film potente e straordinario che ci costringe a guardare nell'abisso. Come Larrain, in giro, ce ne sono pochi.

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    1. Concordo in pieno. Un abisso che solo pochi sarebbero riusciti a gestire così.

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  9. Dopo questo recensione, non posso fare altro che recuperare il film. Me lo segno

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