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venerdì 28 ottobre 2016

Mother's Day (Garry Marshall, USA, 2016, 118')





E' curioso, iniziare a scrivere un post su un film come Mother's Day, piacevole - a sorpresa, almeno per il sottoscritto -, patinatissima e mainstream commedia dei buoni sentimenti made in USA con un cast di prim'ordine snobbata ai tempi dell'uscita in sala e recuperata solo ora nel corso di una giornata tipica del weekend fordiano attuale, tra piscina per i bimbi, spesa e sessioni di gioco intensive a causa dei primi sentori di brutto tempo autunnale: prendono infatti corpo di colpo due entità simili all'angelo ed al diavolo tipici dei cartoni animati pronti a consigliare il charachter di turno, il primo a dirmi quanto alla fine meno peggio di quello che mi aspettassi si è rivelato questo prodotto, o mi sia piaciuta la vicenda del padre vedovo interpretato da Jason Sudeikis alle prese con le sue due figlie ed il ricordo della moglie, o la visione si sia rivelata leggera abbastanza da permettermi un allenamento pomeridiano insperato mentre il Fordino assemblava uno dei suoi zoo eccezionalmente senza l'aiuto del sottoscritto e le due donne di casa si dividevano il divano, il secondo a ricordare quanto in questi casi mi manca la rubrica estiva del Bullettin, quando un titolo come questo, pur passato senza troppi patemi su questi schermi, sarebbe stato liquidato in una decina di righe al massimo invece che "costringermi" alla stesura di un post intero.
Probabilmente, la verità sta nel mezzo, e questa sorta di film corale di grana grossa è finito per risultare gradevole per le scelte di casting ed il fatto di averlo visto in un classico sabato "da famiglia" di quelli che paiono talmente normali da risultare assolutamente eccezionali da vivere tanto quanto ora finisce per apparire un'impresa titanica scrivere qualcosa che non suoni troppo forzato o tirato per le lunghe: dunque farò accenno alla discreta varietà di registri delle varie storie raccontate - dal comico/grottesco delle due sorelle alle prese con l'improvvisata dei genitori, texani purosangue, all'oscuro del fatto che una delle due sia lesbica e che l'altra sia sposata con un medico di origini indiane, ed entrambe madri al più classico degli intrecci da romcom, passando per la tipica storia dei due giovani innamorati che prima di coronare il loro sogno si troveranno a dover affrontare difficoltà emotive e "materne" -, allo stupore di vedere inserito in un contesto di questo genere un fordiano come Timothy Olyphant, star del cult Justified, che probabilmente sta ad un prodotto di questo tipo quanto il sottoscritto, se non fosse che, come già sottolineato, ha finito per passare la durata della pellicola con i pesi tra le mani.
Senza dubbio se una quindicina d'anni fa mi avessero detto che avrei trascorso un sabato pomeriggio in salotto in pieno contesto di famiglia allenandomi - ai tempi, nonostante sia sempre stato sportivo, il fitness non era proprio in cima alla mia lista - guardando una cosa come questo Mother's Day avrei riso di gran gusto, bersagliando a priori questo film e, in caso mi fosse capitato tra le mani o davanti agli occhi, bersagliandolo ancora di più.
Ma i tempi cambiano, e così noi, senza contare che non penso che Tarkovskij o Welles si adattino ad una visione da palestra con bambini in sottofondo, oltre al fatto che, in quel caso, perdere qualche fotogramma "a causa" di una serie di flessioni alimenterebbe enormi sensi di colpa verso il Cinema: dunque, per questa volta, mi sono goduto anche il lavoro di Garry Marshall, consapevole che faccia parte dei compromessi a loro modo piacevoli che rendono la vita in famiglia - ed i rapporti con chi ci ama, madri comprese - l'avventura che, di fatto, è.




MrFord






lunedì 16 novembre 2015

Tutto può accadere a Broadway

Regia: Peter Bogdanovich
Origine: USA, Germania
Anno: 2014
Durata: 93'






La trama (con parole mie): Isabella, una giovane escort nata e cresciuta nei sobborghi di New York, si ritrova a dover trascorrere una delle sue serate di lavoro con un regista di Broadway che cela la sua identità per preservare matrimonio e tranquillità del focolare.
Lo stesso regista, dopo averla portata fuori a cena ed averle regalato una nottata indimenticabile, si offre di donarle trentamila dollari in cambio di una promessa, ovvero mollare il lavoro più antico del mondo per coltivare i suoi sogni.
Tempo dopo la stessa ragazza, trasferitasi in città per tentare di costruirsi una carriera come attrice, si ritrova ad un provino per uno spettacolo che vede l'uomo come regista e la moglie di quest'ultimo come protagonista femminile: il loro secondo incontro sarà l'innesco di una serie di coincidenze e guai sentimentali che coinvolgeranno tutto il cast.










Per quanto mi riguarda, basterebbero L'ultimo spettacolo e Paper moon per voler bene a Peter Bogdanovich, e consegnarlo in tutta onestà alla Storia del Cinema.
Sinceramente, tra le altre cose,  pensavo che ormai non avrei più rivisto in sala un suo nuovo lavoro, e che i recuperi sarebbero stati il solo modo per assaporare la sensazione di avere a che fare con un piccolo ma importantissimo pezzo della settima arte statunitense.
E invece, quasi a sorpresa, con ogni probabilità per le evidenti influenze ed apparenze alleniane, è giunto addirittura in sala nella Terra dei cachi She's so funny that way, adattato come lo avrebbe adattato un gruppo di scimmie urlatrici lasciate senza banane per settimane con Tutto può accadere a Broadway, commedia degli equivoci ambientata nel cuore dell'ambiente teatrale newyorkese in grado di accontentare tanto il pubblico più radical in cerca di uno sfizioso divertissement quanto il pubblico più generico che di Bogdanovich non conosce nulla e che, chissà, forse è finito seduto sulla poltrona pensando che dietro quello strano pseudonimo si celasse, per l'appunto, Woody Allen.
Perchè, in bilico tra jazz ed equivoci, ironia e psicanalisi, fotografie di rapporti alla deriva e di cotte destinate ad un solo, grande caos, questo film è quanto di più simile al Cinema dell'autore di Pallottole su Broadway e Manhattan si possa trovare al momento in tutto il mondo, suddetto autore compreso.
Dunque, l'apparenza di Tutto può accadere a Broadway sarà stata un vantaggio oppure no, qui al Saloon, per Bogdanovich ed i suoi?
La risposta è semplice e diretta: assolutamente sì.
L'ora e mezza di questa commedia estremamente brillante, giocata ed interpretata con leggerezza, dal cast azzeccatissimo e dalla colonna sonora smooth è scorsa come un cocktail di quelli che non si dimenticano, pronto a scivolare fin nello stomaco dando il suo colpo di grazia quando meno ce lo si aspetta, giusto prima di tornare a casa, quando ci si rialza dal tavolo e ci si accorge di non reggersi più troppo bene sulle gambe: le vicende di Isabella e di Arnold, la prima sognatrice legata a doppio filo al concetto più meraviglioso di Cinema ed il secondo inguaribile seduttore pronto a sfoderare le sue armi sempre efficaci e sempre uguali, quasi fosse un serial killer dedito allo stesso rituale - il tormentone di scoiattoli e noci è una vera chicca, per quanto "non originale" sia -, riempiono lo schermo con la giusta dose di sorrisi amari, risate sguaiate, riflessioni e tutto quello che si può chiedere ad un prodotto "alto" che, di fatto, si trasforma nell'intrattenimento puro della parte più intellettuale della settima arte.
Un intrattenimento che potrebbe rischiare di far storcere il naso tanto ai "duri e puri" quanto a chi non è abituato a questo tipo di prodotto -  e che potrebbe arrivare a definirlo verboso prima ancora che noioso - che in realtà è un omaggio al Cinema di ieri e di oggi, dalle commedie romantiche anni cinquanta ai noir, dal teatro allo slapstick, da Audrey Hepburn a Quentin Tarantino: e resto convinto che soltanto un vecchio leone come Bogdanovich, aiutato da un gruppo di attori decisamente affiatato, avrebbe potuto raccontarlo con lo stile ed il tocco giusti, senza esagerare da una o dall'altra parte.
Certo, non risulterà imperdibile o sarà un titolo destinato a spodestare Io e Annie dalle personali classifiche del cuore degli appassionati, eppure resto convinto che, se esistessero più film di questo tipo, anche un certo Cinema d'autore "hipster" osteggiato dal grande pubblico avrebbe tutti i riconoscimenti ed il rispetto che merita: in fondo, il grande schermo vende sogni pronti ad alimentare aspirazioni, ideali ed idee di persone che vengono da ogni latitudine e realtà.
E poco importa, che siano scoiattoli e noci, o noci e scoiattoli.
L'importante sarà aver vissuto quel sogno.




MrFord




"American girls are weather and noise
playing the changes for all of the boys
holding a candle right up to my hands
making me feel so incredible."
Counting Crows - "American girls" - 





martedì 26 maggio 2015

Cake

Regia: Daniel Barnz
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 102'






La trama (con parole mie): Claire Bennett, straziata nel corpo e nello spirito da anni a seguito di un incidente stradale che l'ha privata del figlio, si rifugia in un'esistenza costruita attorno agli antidepressivi e sulle spalle della salda Silvana, sua confidente, domestica e coscienza.
Quando la giovane Nina Collins, sua compagna in un gruppo di terapia, si suicida lasciando marito e figlio, per Claire inizia un percorso che la vede rapportarsi non solo con gli stessi Collins, ma anche e soprattutto con un mondo esterno contro il quale è stata in guerra dal giorno in cui tutto, nella sua realtà quotidiana, è apparentemente finito.
Riuscila donna a venire a patti con il passato e se stessa, le medicine e la rabbia, il dolore ed il futuro, in modo da poter ricominciare a guardare il mondo faccia a faccia, piuttosto che rintanata su un sedile reclinato?






  



Il tempismo, che si parli di Cinema, Musica, Arte in generale o della Vita, è sicuramente un fattore importante non solo per la riuscita di un progetto o di un'impresa, ma anche per la percezione dello stesso.
A volte capita, come per un appuntamento che non funziona, di uscire con una persona interessante, carina, piacevole, magari anche intensa, e di non trovare alcun motivo per rivederla.
Con la visione di Cake è andata proprio in questo modo: probabilmente, se Daniel Barnz avesse portato sugli schermi un prodotto di questo tipo una decina d'anni fa, quando ancora titoli legati al superamento del dolore non apparivano inflazionati come oggi, la vicenda di Claire Bennett sarebbe risultata molto più potente ed innovativa di quanto non appaia oggi, a pochi mesi di distanza dall'uscita di un film associabile a questo e decisamente più incisivo come Still Alice.
In realtà, però, non vorrei calcare troppo la mano su Cake, che ha come unica colpa il fatto di non incidere quanto avrebbe potuto pur raccontando una storia onesta ed emozionante, azzeccando un personaggio che da solo regge l'intera pellicola - la domestica Silvana, interpretata da un'ottima Adriana Barraza - e regalando un paio di sequenze decisamente interessanti - il viaggio in Messico alla ricerca degli antidepressivi su tutte -: di fatto, il problema è che, una volta terminata la visione, resta poco impresso nella memoria soprattutto emotiva, quasi come se non riuscisse a travolgere come vorrebbe neppure nei momenti in cui la commozione e l'empatia con i protagonisti prendono il sopravvento.
Eppure la vicenda di Claire ed il suo progressivo ritorno ad affacciarsi alla vita a seguito di un dramma tra i più difficili da affrontare per una persona - genitori o no che si sia - è raccontata con onestà e la pancia che servono, ed osservare l'inevitabile percorso compiuto per passare dall'apnea al respiro profondo, dal sedile reclinato completamente allo sguardo sulla strada - e sulla vita, e sul mondo -, dalla propria famiglia perduta a quelle della confidente in proiezione Nina e dell'uomo responsabile della sua perdita - il sempre apprezzato William Macy, presente giusto in una scena e probabilmente legato alla partecipazione della compagna Felicity Huffman - è interessante e coinvolgente.
Peccato che, a conti fatti, tutto torni alla situazione iniziale dell'appuntamento che va liscio come l'olio destinato ugualmente ad essere l'unico e l'ultimo con chi abbiamo di fronte: tutto funziona, ma solo uno sbiadito ricordo resta.
Una visione, comunque, che non mi sento di sconsigliare, che resta in grado di emozionare e perfino a convincere nelle sue componenti più deboli - Sam Worthington, spesso e volentieri massacrato dagli snob, mi è parso anche convincente, probabilmente aiutato da un charachter molto profondo -, scritto discretamente e decisamente più onesto rispetto sia a pellicole da radical Sundance che a sbrodolate retoriche da blockbuster con lacrima facile.
Nel frattempo, io spero di non avere mai modo di percorrere la strada in salita di Claire Bennett - una convincente ma non così miracolosa Jennifer Aniston, che mostra forse più di non avere il talento di altre sue colleghe, piuttosto che paghi il fatto di imbruttirsi per portare a casa premi certi - e che Barnz, in futuro, sappia essere più che un bell'appuntamento pronto per essere dimenticato.
In fondo, le potenzialità per fare un passo oltre le ha tutte.




MrFord




"I only wanted to be sure
that what it was was really pure.
I put my face down in the cake.
My feet were flailing in a lake."
Cake - "Up so close" - 




giovedì 7 maggio 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): nuova settimana di uscite in sala e nuovo confronto a distanza tra il vecchio Ford ed il finto giovane Cannibal Kid.
Peccato che, a quanto pare, il Cinema abbia deciso di latitare offrendo, come negli ultimi due mesi circa, soltanto scommesse e poco altro, e dunque non ci sia davvero modo di assistere ad uno scontro all'ultimo sangue di quelli che le Blog Wars ci hanno insegnato ad amare.
Fortunatamente, in soccorso, giungerà il Cinema russo, pronto a soffocare il borioso mio rivale ed esaltare il sottoscritto neanche fosse un assetato in pieno deserto.
Per il resto, la speranza è tutta nelle possibili sorprese che ci riserverà il weekend in sala.


"Altro che White Russian, per sopportare le stronzate del Cannibale mi devo appellare a Dio!"

Cake

"Cannibal ha definito Inarritu l'erede di Orson Welles: il Cinema piange."

Cannibal dice: Questo film con un'inedita Jennifer Aniston l'ho già visto. O sarebbe meglio dire che questa torta l'ho già mangiata?
In attesa della mia recensione, un'altra bella torta ci starebbe. Da tirare in faccia a quel pagliaccio cinematografico di Ford, UAHAHAH!
Ford dice: questo film con un'inedita Jennifer Aniston non l'ho ancora visto, e continua a non ispirarmi granchè. Non escludo, comunque, un recupero per dovere di cronaca. Un pò come per dovere di cronaca ribadisco l'ignoranza cinematografica del mio rivale. Ahahahahah!



The Gunman

"Ford, la prossima volta che mi paragoni a Liam Neeson ti faccio secco."
Cannibal dice: Super floppissimo negli Stati Uniti, questo The Gunman sarà davvero una robaccia da trascurare come hanno fatto gli americani?
A me sembra tanto un tentativo dell'ottimo Sean Penn di riciclarsi in una specie di pessimo action hero alla Liam Neeson. Sarà giunto il momento della fordianizzazione di un grande attore?
Spero proprio di no.
Ford dice: Sean Penn non mi è mai stato particolarmente simpatico, eppure in passato ha regalato davvero interpretazioni memorabili e film difficilmente dimenticabili. Non sembra il caso di questo The Gunman, che pare la brutta copia di un Taken qualsiasi.
Neppure l'essere tamarro mi invoglia a vederlo.



Forza maggiore

"Qui è dove l'antico vichingo Fordar ha sepolto il suo rivale, l'insopportabile Peppa Kid."

Cannibal dice: Questo film mi incuriosisce un casino! Potrebbe essere la pellicolona della settimana, almeno spero. Anche se una storia ambientata tra le nevi avrebbero potuta farla uscire prima, non adesso che siamo alle porte dell'estate. Ma d'altra parte i distributori italiani sono quasi più fuori tempo di Ford, uno che a Ferragosto si mette in testa il cappello da Santa Claus e a Natale va in giro in costume da bagno.
Ford dice: anche in questo caso mi trovo abbastanza freddo rispetto all'idea di correre a recuperare questo titolo, ed anche in questo caso penso che potrei recuperarlo giusto per stare un po' dietro alle nuove uscite, che ultimamente sono state così povere di soddisfazione da spingermi quasi esclusivamente ai recuperi. Staremo a vedere.



Leviathan

"E così questi sono i resti degli antenati di Ford: impressionanti!"

Cannibal dice: Film russo premiato ai Golden Globe 2015 come miglior film straniero che si preannuncia come un mattonazzo assurdo di quelli che Ford so già che osannerà come un capolavoro.
E poi quello radical-chic sarei io...
Ford dice: finalmente un film che sulla carta promette scintille. Il regista è uno dei più grandi talenti russi della generazione post-Sokurov, ed il film è stato già ottimamente sponsorizzato. Inutile dire che un recupero per quanto mi riguarda è assolutamente obbligatorio.

La voce - Il talento può uccidere

"Per sopportare una nuova visione di Birdman spiegata scena per scena da Cannibale ho bisogno di fare un lifting per rimanere sveglio."
Cannibal dice: Oltre al talento, ci sono anche dei film che possono uccidere. Quelli consigliati da Ford, tanto per fare un esempio casuale. O quelli con Rocco Papaleo in versione thriller (seriously???), come in questo caso.
Ford dice: detesto Papaleo quasi quanto Peppa Kid, e dunque questo film, che già non mi pare roba per la quale strapparsi i capelli, cade automaticamente nel dimenticatoio insieme a tutte le opinioni astruse del mio rivale.



Doraemon Il Film - Le avventure di Nobita e dei cinque esploratori

"Peppa, esci immediatamente da questo corpo!"

Cannibal dice: Questo film lo lascio volentieri ai miei nipotini, che del gatto che ha fatto la cazzata di venire dal futuro nella nostra epoca sono fan. E lo lascio a Ford, che appena c'è una bambinata, meglio se retrò, ci si butta con tutti e due i suoi (puzzolenti) piedi.
Ford dice: Doraemon mi è sempre stato simpatico, non dispiace al Fordino e dunque questo film dedicato al gatto venuto dal futuro potrebbe risultare interessante per accompagnare uno dei pomeriggi di gioco con il piccolo ed un film in sottofondo.



Mi chiamo Maya

Katniss Kid insieme alla sua sorella maggiore, Katniss Ford.

Cannibal dice: E io mi chiamo Cannibal. Ma non mi sembra il caso di farci su un film.
Se poi mi chiamassi Ford, mi andrei proprio a nascondere.
Ford dice: mi chiamo Ford. E spero, presto, di poter dire che il mio scomodo antagonista si chiamava Cannibal Kid.


martedì 10 marzo 2015

Come ammazzare il capo 2

Regia: Sean Anders
Origine: USA
Anno:
2014
Durata: 108'
 





La trama (con parole mie): Dale, Kurt e Nick, finalmente liberatisi dei problemi e dei loro precedenti lavori, decidono di mettersi in proprio in modo da poter essere capi solo di se stessi. Peccato che il loro progetto, un congegno che dovrebbe rendere il momento della doccia ancora più rilassante, abbia bisogno di finanziatori e le loro strade incrocino quelle di Bert e Rex Hanson, squali dell'industria e del mercato.
Fregati prima dal figlio e dunque dal padre, i tre amici si improvviseranno una volta ancora criminali tentando di mettere in pratica un rapimento che possa tutelare il loro futuro da imprenditori: sfumata la possibilità, troveranno in Rex un inaspettato alleato pronto a dare loro aiuto per la realizzazione del piano.
Ma sarà davvero così semplice come i nostri l'avranno pianificato ed immaginato?
O nuove insidie si celeranno dietro un'apparente semplicità?








In tutta onestà, non mi sarei davvero aspettato di considerare il sequel quasi fotocopia del primo Come ammazzare il capo - tutto tranne che memorabile, si intenda - come un guilty pleasure da stanca e divano in grado di intrattenermi e regalare ben più di una sequenza da risata sguaiata, ma tant'è: nonostante le riserve della vigilia ed i chiari limiti legati ad operazioni biecamente commerciali come questa, il numero due del brand che appare proporsi come una sorta di nuovo Una notte da leoni mi ha proprio divertito, permettendomi di spegnere il cervello ed annullare una qualsiasi pretesa di Cinema alto per quasi due ore.
Probabilmente i paladini dei radical chic come il mio antagonista Peppa Kid saranno già pronti a criticare un voto troppo alto ed un parere in qualche modo favorevole rispetto al lavoro di Sean Anders, ma se dovessi spaventarmi per così poco, credo che il Saloon sarebbe destinato a chiudere i battenti in brevissimo tempo: le disavventure nel mondo criminale di Dale, Kurt e Nick, infatti, sono riuscite alla grande nel loro intento, ovvero permettermi di staccare la spina e ridere del contrasto tra la serietà di Nick e la fin troppo pronunciata stupidità dei suoi due amici inseparabili - che arrivano in più di un'occasione, soprattutto Dale, a risultare fastidiosi -, di un personaggio come "Fottimadre" - impagabile nell'inseguimento in macchina del finale -, di un sorprendente Chris Pine nel ruolo del voltafaccia Rex e di una vicenda che, effettivamente, in una realtà effettiva non avrebbe alcun riscontro divertente - si pensi a Pain&Gain - ma che in questo caso assume quasi le sembianze di un buddy movie in pieno Apatow style, corredato dagli ottimi outtakes dei titoli di coda.
Per il resto, impazza un cast in gioco in parte per il vil denaro - Kevin Spacey e Christoph Waltz - ed in parte e basta - sempre ottima ed in grande forma Jennifer Aniston -, tutto al servizio degli affiatatissimi protagonisti: la sequenza del progetto del rapimento andato ovviamente a buon fine è una vera goduria, così come il pensiero del confronto con quella che si dimostrerà essere la messa in atto del piano stesso dello strampalato trio, e nonostante qualche volgarità di troppo si finisce per superare qualsiasi fastidio e viaggiare a tavoletta fino ad una conclusione che pare una neppure troppo velata critica sociale rivolta ad una parte ed all'altra dell'organigramma tipico del mondo del lavoro.
Non è detto, infatti, che siano sempre del capo tutte le responsabilità di un fallimento - o di un successo -, così come è altrettanto incerto che la sola presenza di un "direttore d'orchestra" possa condurre inevitabilmente al raggiungimento degli obiettivi: una riflessione neppure troppo banale, considerata la società attuale - senza, purtroppo, toccare il tasto dolente dell'effettiva mancanza di posti di lavoro, soprattutto fissi - ed una pellicola che si propone di essere - giustamente, considerati i mezzi tecnici e l'approccio - una mera pausa dalle spesso non troppo piacevoli riflessioni della vita di tutti i giorni.
Il fatto, poi, che riesca nell'intento anche divertendo il pubblico, è un altro punto a favore - dal rapporto di Dale con moglie e figlie alla serie di colloqui al limite del surreale che mi hanno riportato alla mente Chiedimi se sono felice - di un prodotto che alla vigilia aveva possibilità pressochè nulle di andare oltre le bottigliate, o al muro del singolo bicchiere.
Certo, a volte preferirei essere sorpreso in positivo da prodotti autoriali in grado di poter davvero fare la differenza nelle visioni di una stagione, di un anno o addirittura della vita, ma capita che, come quando si ha a che fare con il mondo del lavoro, ci si debba accontentare: in questo senso, Come ammazzare il capo 2 non è l'impiego peggiore che potrebbe capitarvi tra le mani.




MrFord




"Well I'm running police on my back
I've been hiding police on my back
there was a shooting police on my back
and the victim well he wont come back."
The Clash - "Police on my back" - 





mercoledì 25 settembre 2013

Come ti spaccio la famiglia

Regia: Rawson Marshall Turber
Origine:
USA
Anno:
2013
Durata:
110'




La trama (con parole mie): David Clark è un piccolo spacciatore che opera a Denver, e che fin dai tempi del college si dedica alla vendita al dettaglio di piccoli quantitativi di erba fornitagli dal suo boss, il decisamente scombinato e sopra le righe Brad Gurdlinger. Quando, a seguito di una rapina, perde la merce ed i risparmi di una settimana, è costretto ad accettare un incarico da "mulo" in modo da recuperare una partita di erba dal Messico per poi riportarla negli States.
Per evitare di essere immediatamente classificato come potenziale contrabbandiere e fermato alla frontiera, David organizza così un viaggio "di famiglia" costruendosi un'identità da padre totalmente fittizia: accompagnato dalla vicina spogliarellista in crisi con il fidanzato e completamente in bolletta Rose, "adotta" il decisamente sfigato Kenny, adolescente che vive abbandonato dalla madre nel suo palazzo, e la ribelle più o meno senzatetto Casey, ordinando ai suoi inusuali compagni di viaggio di apparire come una sorta di cloni della famiglia Bradford in modo da destare meno sospetti possibili.
Giunti a destinazione e convinti di potersela cavare facilmente, i "neonati" Miller si troveranno ad affrontare un viaggio di ritorno decisamente travagliato.




Di recente, il tam tam della blogosfera a proposito di quella che si è rivelata - in termini di incassi - la commedia made in USA dell'anno è riuscito a portare Come ti spaccio la famiglia - adattamento pessimo dell'originale We're the Millers - anche al Saloon, nonostante l'iniziale diffidenza del sottoscritto a proposito di quello che avrebbe potuto essere l'effettivo valore del lavoro di Rawson Mashall Turber.
A visione ultimata, devo ammettere che il risultato è stato in qualche modo ambivalente: da un lato ho trovato il film assolutamente divertente, sboccato quanto basta per piacere ad un tipo pane e salame come il sottoscritto nonchè perfetto per intrattenere in una di quelle serate senza impegno nel corso della quale si dovrebbe essere grati per ogni risata sguaiata fatta di pancia e come si deve; dall'altro, seppur sottilmente, mi è parso che questo titolo mancasse della dose di coraggio necessaria per confezionare un lavoro davvero polically scorrect da satira selvaggia ed umorismo nero: in una certa misura, infatti, tutte le situazioni più scomode - che a ben vedere risultano anche le più divertenti, tra l'altro - non osano mai oltre una certa misura, e dall'ipotetico pompino al poliziotto messicano fino allo scambio di coppia la presunta volgarità della pellicola non si spinge mai oltre la linea che avrebbe rischiato di comprometterne la distribuzione da parte di una major, senza contare che il finale "tutto è bene quel che finisce bene" mi ha dato l'impressione di una certa ipocrisia, rispetto alla direzione che pare prendere l'intero film dai primi minuti.
Un peccato, a conti fatti, tanto che soprattutto la chiusura in pieno stile Quei bravi ragazzi - anche se, ovviamente, paragonare i due film risulterebbe praticamente fantascienza - ha in parte rovinato la festa che fino a quel momento era stata la visione, una delle più godibili dal punto di vista della risata incontrollata dai tempi di Sharknado.
Non voglio però fare le pulci a quello che, di fatto, è uno dei titoli più genuinamente sguaiati del periodo passando per il capostipite di quei radical chic cinefili che tanto detesto, quindi archivio la discussione ed affermo senza riserve che Come ti spaccio la famiglia è riuscito nell'impresa di regalare sonore sghignazzate agli occupanti di casa Ford praticamente per tutta la sua durata, che il lavoro degli attori è perfetto - dall'ormai mitico (per il genere) Jason Sudeikis ad una sorprendente Jennifer Aniston, che pare sempre più yeah rispetto alla legnosissima Jolie che, ai tempi, le rubò clamorosamente il buon Brad Pitt da sotto il naso - e che l'idea della famiglia disfunzionale - molto disfunzionale, anzi: da antologia la sequenza delle prove di bacio - in viaggio per contrabbandare una quantità enorme di erba è decisamente interessante - anche se non sviluppata con la stessa profondità e qualità di cose come Shameless o Breaking bad, ennesima prova delle rivelazioni che può riservare il piccolo schermo -.
Detto questo, probabilmente il miglior modo di gustarsi appieno Sudeikis e soci in tutte le tappe del loro road movie è quello di mettere da parte qualsiasi riflessione o approfondimento, agguantare dell'alcool, accompagnarlo con vagonate di patatine e lasciare che questo film faccia quello che gli riesce meglio: far ridere. 
Senza troppi peli sulla lingua e certamente con qualcuno in più sullo stomaco.
Anche perchè essere fighe di legno difficilmente gioverebbe nella fruizione del prodotto.
Sia esso su pellicola, o di natura vegetale.


MrFord


"Don’t go chasing waterfalls
please stick to the rivers
and the lakes that you’re used to
I know that you’re gonna have it
your way or nothing at all
but I think you're moving too fast."
TLC - "Waterfalls" - 


mercoledì 5 settembre 2012

Nudi e felici

Regia: David Wain
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 98'




La trama (con parole mie): George e Linda sono sposati, innamorati ed ottimisti rispetto al futuro. 
Hanno appena fatto un investimento forse al di fuori della portata delle loro tasche per avere un appartamento - molto, molto piccolo - in una delle zone più cool di New York, e progettano la loro vita insieme: peccato che il documentario di Linda venga rifiutato dalla HBO e George perda il lavoro.
Addio appartamento, dunque, ed unica prospettiva per l'immediato resta il trasferimento ad Atlanta da Rick, borioso fratello di George.
Nel corso del viaggio, i due si imbattono in una curiosa comune chiamata Elysium all'interno della quale paiono regnare ancora i precetti del "peace and love" figlio dei gloriosi seventies: quando la casa di Rick non parrà il posto più accogliente della Terra, la coppia di newyorkesi si rifugerà proprio nella comunità.
Nonostante l'entusiasmo iniziale, però, presto cominceranno a sorgere dei problemi.




E' ormai assodato che in casa Ford, una volta ogni tanto, debba entrare per allietarne gli occupanti un titolo prodotto dal clan Apatow, soprattutto nei periodi come l'estate in cui l'impegno viene meno e, in attesa delle ferie non ancora godute, la stanchezza comincia a farsi sentire.
Nel caso di Nudi e felici - pessimo, più che pessimo adattamento dell'originale Wanderlust - non si poteva chiedere di più: un filmetto innocuo e non particolarmente eclatante neppure per gli standard del genere che, comunque, si lascia guardare senza troppi patemi, non spinge a particolari evoluzioni le cellule cerebrali ma trova ugualmente il tempo per una riflessione di fondo per nulla banale e perfetta per questo periodo di crisi economica accompagnando il tutto con alcune scene discretamente divertenti. 
Inoltre, la presenza di due protetti fordiani come Paul Rudd e Justin Theroux - praticamente irriconoscibile nel ruolo del "capo hippie" Seth tutto veganesimo, sesso, chitarra e meditazione, protagonista del magnifico Mulholland Drive e discreto sceneggiatore - rende al lavoro di David Wain compito facile rispetto al guadagnarsi qualche risata ed un'ideale pacca sulla spalla da parte del sottoscritto per aver reso possibile il passaggio di una serata di quelle più pane e salame possibili prima che fosse troppo tardi e l'estate salutasse con tutta la sua spensieratezza per fare spazio agli impegni - anche solo apparentemente - più pressanti dell'autunno.
Certo, gli stomaci deboli - rispetto alla commedia sguaiata -, i radical chic o i più abituati al Cinema d'autore storceranno il naso di fronte a ben più di una sequenza - su tutte, la preparazione al sesso con l'avvenente Eva da parte di George - al limite del ridicolo involontario, e tendenzialmente mi verrebbe da consigliare loro di evitare cortesemente la visione di questo titolo, eppure senza accollarsi troppe pretese ed aspettandosi la poca cosa che, in effetti, è, Nudi e felici potrà senza troppi problemi farvi trascorrere un'oretta e mezza di quelle con molto alcool e patatine e pochi, pochissimi neuroni, giusto per non disturbare troppo i piani alti.
Nonostante questo, comunque, occorre sottolineare e dare spazio almeno per un momento alla problematica cui accennavo poco fa legata principalmente al mondo del lavoro in un periodo d'incertezze come quello che stiamo vivendo sulla pelle da un anno buono, se non di più: a partire dai due protagonisti, per spostare la nostra attenzione sullo scrittore nudista appassionato di vino Wayne - forse il personaggio più riuscito del film - e lo spirito seventies style dell'Elysium così come dei suoi occupanti, tutto pare suggerire e caldeggiare la spinta a reinventarsi per poter "sopravvivere" ad un passaggio certo non facile della nostra società, pericolosamente in bilico su certezze economiche che di certo paiono avere ben poco.
Una sorta di evoluzione giocata tutta sul mondo del lavoro, che in alcuni casi potrebbe addirittura segnare una rinascita ed una riscoperta di noi stessi mentre in altri, di fatto, costituisce la rappresentazione ideale di chi svolge il mestiere stesso - non credo sia un caso, infatti, che l'odioso Rick, fratello del protagonista, abbia fatto fortuna producendo bagni chimici -.
In questo senso il lavoro del regista di Role models assume addirittura un significato quasi profondo - ho detto quasi, badate bene -, che forse più delle risate o delle sequenze al limite del grottesco - che ho osservato con simpatia particolare, considerata la mia posizione rispetto agli estremisti del veganismo e della vita modello Elysium - regala un significato, pur se solo superficiale, ad un titolo come questo, di quelli che si finisce per vedere in totale relax e tendenzialmente si dimenticano entro pochi giorni.


MrFord


"Marry him or marry me,
I'm the one that loves you baby can't you see?
I ain't got no future or a family tree,
but I know what a prince and lover ought to be,
I know what a prince and lover ought to be...."
Spin Doctors - "Two princes" -


 

venerdì 10 agosto 2012

Last friday night

La trama (con parole mie): la premiata - si fa per dire - ditta Ford&Cannibal non si ferma neppure di fronte all'assenza di uno dei due bloggers rivali per antonomasia più battaglieri della rete, o al Ferragosto e a quella che è senza dubbio la settimana più povera per il Cinema in tutto l'anno.
Anzi, nonostante sia presente solo un titolo da passare al giudizio, non ci si risparmiano allusioni e colpi bassi che fanno già presagire la tempesta del rientro che sarà l'incombente Blog War...


Abbiamo letto Pensieri Cannibali per trenta secondi, e siamo crollati dal sonno.

Nudi e felici di David Wain



Il consiglio di Ford: eravamo felici finchè il Cannibale se ne stava nudo su una spiaggia in totale solitudine dall'altra parte del mondo. Purtroppo ha deciso di tornare.
Filmetto dalle poche pretese buono giusto per non lasciare completamente a secco la settimana cinematograficamente più morta dell'anno, noi senza la consueta dose di provocazioni settimanali e voi senza la rubrica numero uno della blogosfera - più o meno -.
Certo, c'è sempre Paul Rudd a cui da queste parti vogliamo molto bene, e Justin Theroux che è un personaggio particolare, ma le premesse sono della classica pellicola che passa e va. Un pò come il Cannibale, più sciapo di una hit estiva! Ahahahahaha!

Il consiglio di Cannibal: restate nudi e felici in vacanza, proprio come faccio io, alla facciazza di Ford!
Nonostante Ford non aspetti altro che il mio ritorno, seduto vicino al telefono in attesa di una mia chiamata che non arriverà mai, mi dispiace per lui (anzi no) ma sono ancora in vacanza. A lui non posso far altro che consigliare di iscriversi alla Cannibali Anonimi, un’associazione che tenta nella difficile impresa di guarire e riconsegnare alla società i Cannibal-dipendenti.
Questa settimana potevamo fare a meno della rubrica delle uscite cinematografiche, ma la solita assurda distribuzione italiana ha deciso di farci lavorare pure a Ferragosto. Il caso di Nudi e felici (titolo originale Wanderlust, ovvero: voglia di viaggiare) è davvero clamoroso.
Il film era stato annunciato fino a qualche giorno fa in uscita natalizia, ovvero il periodo più redditizio per il box-office italiano. Poi all’improvviso hanno deciso di anticipare l’uscita alla settimana di Ferragosto, ovvero il periodo più deserto dell’anno in assoluto nelle sale nostrane. Così, senza via di mezzo, perché chi decide le uscite dei film in Italia è più schizofrenico di Mad Ford.
Quanto al filmetto, sembra guardabile così come allo stesso tempo pure evitabile. Ford nella sua solita misoginia ha elencato l’intero cast della pellicola, ma si è dimenticato il motivo principale per vederlo, Jennifer Aniston, già unica ancora di salvezza dell’orribile Horrible Bosses.
Adesso me ne torno in spiaggia, lasciando il mio rivale in cerca di sollievo dal caldo vagabondare nudo per le strade di Milano, tra lo sconcerto e il terrore degli sventurati passanti…


"Hey, che ci fa il Cannibale nudo qui!? Lo voglio immediatamente fuori dal set!"


 

martedì 30 agosto 2011

Come ammazzare il capo... E vivere felici

Regia: Seth Gordon
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 98'


La trama (con parole mie): Kenny, Nick e Dale sono tre amici dai tempi del liceo con un problema in comune: tutti vivono situazioni frustranti e al limite della sopportazione con i loro capi, tre individui che non presenterebbero neppure al loro peggiore nemico. Anche perchè sarebbe come presentarli a se stessi.
Dave Harken - direttore di Nick -, è uno sfruttatore che porta le frustrazioni della sua vita privata in ufficio vessando continuamente i suoi dipendenti e facendo passare il tutto come un favore; Julia - capo di Kenny - è una ninfomane mangiauomini che sogna di approfittare di lui sul corpo inerte della sua fidanzata anestetizzata, e Bobby Pellit - principale di Dale - ha ereditato l'azienda dal padre solo per usarla come portafoglio personale e risorsa per l'acquisto di ingenti quantità di cocaina.
Quando, dunque, il limite viene superato per l'ennesima volta, i nostri decidono di assumere un professionista che si incarichi di eliminare gli scomodi superiori in modo da poter vivere una vita più serena: ma i guai inizieranno non appena "Motherfucker" Jones prenderà in carico l'insolito compito di consulente in omicidi.



Credo che - e sono piuttosto sicuro vi siano pochi dubbi in proposito - almeno una volta nella vita ognuno di noi abbia pensato che tutto, dall'ufficio al mondo intero, sarebbe migliorato se il capo di turno fosse scomparso dalla circolazione, possibilmente soffrendo tutte le pene che lo stesso doveva aver inflitto nel corso della sua carriera ai malcapitati sottoposti di turno in una sorta di contrappasso dantesco di matrice quasi fantozziana.
Personalmente, spesso e volentieri ho immaginato cruentissimi match di pugilato a senso unico o cicloni di bottigliate in pieno viso di alcuni dei capi che ho avuto nel corso del mio percorso lavorativo, e ancora oggi non disdegno di dedicare almeno un momento della giornata a pensieri ricreativi ed antistress come questo: l'approccio a questa commedia nera, dunque, non poteva essere che di un'empatica partecipazione, nel pieno rispetto delle situazioni che vive la maggior parte della gente che non possa permettersi di stare al vertice della catena alimentare lavorativa o - ancora meglio - possa svolgere un lavoro completamente autogestito.
E devo ammettere che, nonostante un livello certo non altissimo, questa divertente commedia tutto sommato si merita l'empatia di partenza, riuscendo nell'intento di proporsi come una buona soluzione da weekend rigenerativo dopo la settimana passata sul posto di lavoro: i tre protagonisti, che paiono un incrocio dei tipici sfigati Apatow-style e degli sciamannati di Una notte da leoni, giocano con le fantasie di ogni lavoratore dipendente regalando spesso e volentieri momenti di divertimento basso ma profondamente godurioso, aiutati da grossi nomi come Kevin Spacey, Donald Sutherland, Jamie Foxx e Colin Farrell a portare a casa il risultato con il sorriso sulle labbra e senza neppure sforzarsi troppo.
Proprio l'utilizzo delle star affermate si rivela l'idea vincente di Gordon, che sfrutta al meglio un'inedita Jennifer Aniston mangiauomini, un "Motherfucker" sotto le righe e soprattutto uno spassosissimo Bobby Perrit/Colin Farrell, che con i nunchaku ed una casa che pare uscita dall'incrocio tra l'Hemingway cacciatore sbronzo e Tamarreide si aggiudica la mia personale preferenza tra i boss che i nostri si troveranno ad eliminare.
Curioso invece il ruolo di Kevin Spacey, che si ritrova in una situazione all'opposto di quella che lo vide come dipendente represso anni fa in American Beauty, e porta a casa la pagnotta senza sforzarsi neppure troppo, shakerando la sua versione psicopatico con quella vista in Americani.
Certo non stiamo parlando di una pellicola destinata a fare storia, dunque, ma che si lascia guardare dignitosamente intrattenendo e strappando ben più di una risata - la scena della cocaina sul tappeto ed il faccia a faccia tra Harken e Pellit sono momenti degni dei migliori seguaci di McLovin -, fornendo l'intrattenimento necessario per un giorno ben lontani - fisicamente e mentalmente - dal posto di lavoro e sicuramente molto migliore di quanto non potesse sembrare sulla carta, o leggendone il consueto pessimo adattamento italiano del titolo.
Inutile dire, inoltre, che se l'escalation dei guai che i protagonisti collezioneranno come figurine con il passare dei minuti porterà ad un finale che per certi versi potrà risultare telefonato, i nostri sapranno sorprendere lo spettatore in ben più di un'occasione, dal whisky alle otto del mattino alla sequenza dell'iniezione antiallergica per giungere a quella della confessione di Harken, e arriveranno alla conclusione con il tifo dell'audience tutto per loro, benchè si tratti, a ben guardare, di tre cazzoni da record che, forse, nessuno di noi vorrebbe come colleghi.
E, chissà, neppure come "sottoposti".
Ma questo non lo si ammetterà mai, perchè tra noi che apriamo gli ombrelli quando piove merda e non possiamo permetterci di guardare verso l'alto, esiste da sempre un tacito accordo di solidarizzazione.
O almeno, questo è quello che si spera sempre.

MrFord

"Monday, you can hold your head
Tuesday, Wednesday stay in bed
or Thursday - watch the walls instead
it's Friday, I'm in love."
The Cure - "Friday I'm in love" -

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