Visualizzazione post con etichetta Destino. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Destino. Mostra tutti i post

lunedì 10 novembre 2014

Lost - Stagione 1

Produzione: ABC
Origine: USA
Anno:
2004
Episodi: 25





La trama (con parole mie): il volo Oceanic 815, diretto da Sidney a Los Angeles, perde la rotta nel pieno del Pacifico e precipita su una misteriosa isola in una posizione imprecisata. I sopravvissuti si ritrovano a dover lottare non soltanto con la loro nuova condizione di esuli, ma anche con minacce apparentemente inspiegabili che paiono in qualche modo avere avuto un ruolo nel loro stesso passato, come se il presente di "naufraghi" fosse il culmine di un Destino già definito.
Così il medico Jack Shepard, i criminali Kate Austen e James "Sawyer" Ford, il milionario infelice Hugo "Hurley" Reyes, il musicista Charley Pace, la coppia in crisi dei Kwon, la giovane in dolce attesa Claire Littleton, l'ex soldato Sayid Jarrah ed il paraplegico ritornato miracolosamente a camminare John Locke divengono i protagonisti di un'avventura che cambierà per sempre le loro esistenze. E non solo.








Ricordo benissimo il periodo in cui approcciai per la prima volta Lost.
Era il maggio del duemilasei, in Italia era già diventata un fenomeno la prima stagione e negli States si avviava alla conclusione la seconda, ancora non mi allenavo, avevo un solo tatuaggio e vedevo la storia che mi aveva accompagnato stare per essere sgretolata da un desiderio di libertà totale ed incondizionata che fino a quel momento avevo vissuto segretamente, come una seconda vita.
Fu un mio collega - l'equivalente di Jack della quotidianità lavorativa - a passarmi i dvd, affermando che mi sarebbe piaciuta: ricordo che rimasi colpito dalla grande tecnica e dal taglio cinematografico del pilota, dai misteri di un'isola che, ancora non lo sapevo, avrebbe in qualche modo segnato la mia esistenza, ma che seguii per le prime puntate con un certo distacco.
Fu Confidence man, il primo episodio dedicato a Sawyer, a cambiare le carte in tavola: vedere quello che sarebbe diventato non solo il mio alter ego per i lostiani che mi frequentavano allora - "Sei proprio stronzo come Sawyer", mi fu detto da una fanciulla all'epoca - ma uno dei personaggi che più avrei amato nella Storia del piccolo e grande schermo fare carte false e subire addirittura una tortura soltanto per il gusto di essere il primo a rubare un bacio alla "bella e maledetta" Kate, prendendosi perfino colpe non sue, fu una vera svolta.
Da quel momento, Lost divenne una droga, una Fede - come direbbe l'indimenticabile John Locke -, qualcosa che, come il Destino pronto a legare i suoi protagonisti, definì alcuni degli anni migliori, più intensi e divertenti della mia vita, cui ancora oggi guardo con una certa malinconia e struggimento: decidere di rivedere l'intera serie una stagione all'anno come se fosse uscita una seconda volta era una vera e propria scommessa, ma per celebrare i dieci anni dalla prima messa in onda negli States qui in casa Ford non abbiamo saputo resistere, memori delle schermaglie che fecero non solo Sawyer del sottoscritto, ma Ana Lucia di Julez.
E la seconda visione è stata magica ed intensa almeno quanto la prima: osservare l'intera storia dei sopravvissuti dell'Oceanic 815 dopo aver assistito al termine delle loro avventure - tanto controverso tra i fan e rispetto alla critica - non solo ha portato alla luce una progettualità incredibile degli sceneggiatori - perfino nei piccoli particolari insignificanti l'impressione è che fosse tutto chiaro fin dal pilota, per Abrams e soci - ma ha finito per ridare lustro a sentimenti mai davvero sopiti per il cast of charachters più incredibile, azzeccato e clamorosamente perfetto mai pensato per un serial televisivo.
Del resto, come fu Twin Peaks un decennio prima e come sarà Breaking bad quasi un decennio dopo, Lost rappresenta senza ombra di dubbio un prodotto inarrivabile, rivoluzionario, magico anche nei suoi momenti peggiori: momenti che, di fatto, non riguardano la prima stagione, una delle più riuscite non solo di questa serie, ma del panorama della televisione in toto, dal già citato pilota alle puntate dedicate ai singoli personaggi, dal ritrovamento della famigerata botola alla morte di Boone, dalla partenza della zattera - forse il momento più commovente, che ha stretto il cuore dei Ford anche a distanza di tanto tempo - fino al climax del season finale, che probabilmente se avessi visto in contemporanea con la prima messa in onda avrebbe causato uno scompenso nel sottoscritto in attesa della visione della season two - ricordo che, invece, ebbi giusto il tempo della parentesi meravigliosa del viaggio a Barcellona in solitaria prima di tornare sull'isola, all'epoca -.
Non troppo tempo fa, parlando di questa nuova avventura con uno dei compagni di viaggio dell'epoca che si è dichiarato incapace di affrontare una volta ancora le vicissitudini dei superstiti dell'incidente aereo più importante della tv, ha finito per rimanermi impressa una sua frase: "Lost è una religione".
Ed è vero.
Con tutte le sue luci e le sue ombre, Lost ha, come nessun'altra serie, cambiato il mio modo di guardare al piccolo schermo, assotigliando la distanza che lo separava dal grande, legandosi a doppio filo non solo alla mia vita di spettatore, ma all'esistenza reale, di tutti i giorni.
Dal "sorriso all'arancia" di Locke ai soprannomi inventati da Sawyer, dagli orsi polari alla Black Rock, dal confronto tra Fede e Scienza dello stesso Locke e Jack, dal "walking the line" di Charlie al rigore di Sayid, dai rapporti pronti ad evolversi di Sun e Jin e Michael e Walt, c'è tutta la magia della vita e el Destino, del karma e dei significati che persone apparentemente estranee e lontane da noi possono assumere in particolari momenti della nostra vita, diventandone di fatto i protagonisti.
Questa è stata la magia di Lost.
Lo è ancora, e lo sarà per sempre.
Tutti sono protagonisti.
Tutti siamo protagonisti.
Perchè il Destino non fa sconti, e ha ben chiari i suoi numeri.
E noi possiamo solo giocarli al nostro meglio, sperando di non aver preso in mano il biglietto sbagliato.



MrFord



"Just a castaway
an island lost at sea
another lonely day
with no one here but me
more loneliness
than any man could bear
rescue me before I fall into despair."
The Police - "Message in a bottle" - 



 

mercoledì 2 luglio 2014

Saloon Mundial: un legno di troppo

La trama (con parole mie): oggi hanno avuto luogo gli ultimi due ottavi di finale del Mondiale, pronti a definire il quadro delle best eight del torneo.
L'Argentina, favorita quasi al pari del Brasile sospinta dalla sempre più crescente volontà dei tifosi sudamericani di vedere una finalissima tra le due superpotenze del pallone, se l'è vista con la Svizzera, mentre l'indemoniato e giovane Belgio ha incrociato i flussi con gli Stati Uniti, ormai una realtà solida del calcio mondiale.
Chi l'avrà spuntata?










Sono decisamente, inesorabilmente, clamorosamente stanco.
E non parlo di questioni fisiche - anche se ci starebbero tutte, considerati i ritmi lavorativi che mi attendono per questa malefica estate -, quanto senza dubbio emozionali.
Stanco, forse, non è la parola giusta.
Sono molto, molto arrabbiato.
Non è bastata la clamorosa traversa di Pinilla che ha graziato il Brasile qualche giorno fa, ora ci si è messo perfino il palo di Dzemaili, come a dire niente calci di rigore o rischi inutili, per l'Argentina.
E mi chiedo: ma è davvero possibile che perfino il Destino si accanisca contro gli outsiders, quelli che per giungere al risultato di un fuoriclasse devono farsi il culo un migliaio di volte di più?
Come se fosse un peso, essere un Neymar o un Messi.
Senza contare che, per quell'uno come loro, c'è un milione di ragazzi che sputa sangue sul campo da gioco ben sapendo, nel profondo, che non esiste neppure una speranza di potercela fare.
Dovevo aspettarmelo, da un Mondiale che era iniziato con la scandalosa Brasile-Croazia.
Per quanto le partite siano combattute, le speranze di assistere ad una conclusione nuova ed emozionante si affievoliscono sempre di più.
E intanto io covo una rabbia sempre maggiore: rabbia contro i massimi sistemi, i poteri consci dei poteri stessi, il fatto che chi è destinato a restare lì, ci resti.
Va bene essere Goonies per sempre, ma porca puttana, a tutto c'è un limite.
Ed io voglio vedere Neymar piangere, altro che i suoi cazzo di cuoricini da primo della classe all'oratorio.
E voglio vedere Messi ingoiare un boccone amaro. Di vomito, considerato che pare esserci abituato.
Voglio vedere la Colombia, venerdì, alla ripresa delle partite, fare polpette dei carioca da non lasciare a nessuno dei loro tifosi neppure le energie per farla finita.
E l'Argentina a capo chino sabato, destinazione casa.
Sono stanco, per l'appunto. E arrabbiato.
Voglio un Che Guevara del pallone che sovverta ogni pronostico e lasci con il culo per terra tutta questa manica di fighetti dalla strada spianata.
E nel weekend dei quarti di finale voglio che l'unico legno sia quello cantato da Modugno: "Tu ti lamenti, ma che ti lamenti, pigghia nu bastune e tira fora li denti".
Parole sante, cazzo.







Dall'altra parte, il Belgio, dopo un vero e proprio assedio ed una battaglia degne di Game of thrones e grazie all'inserimento all'inizio dei supplementari di Lukaku - che fino a questo momento, pur essendo un grande atteso, aveva deluso -, piega gli Stati Uniti approdando ai quarti più che meritatamente, mostrando un calcio veloce, dinamico, fresco ed una generazione di calciatori che noi nella Terra dei cachi possiamo solo sognarci.
La cosa curiosa è che, ora, le due squadre che spero con tutto il cuore di vedere contendersi la Coppa - Colombia e Belgio - si troveranno, tra venerdì e sabato, a doversi giocare un posto in semifinale contro le due vere favorite del Mondiale, Brasile e Argentina.
Considerato come vanno le cose in questo sporco mondo, sarei felice se ce la facesse anche una sola di loro. Ma poi penso che, fanculo, la vita è una sola.
E sabato sera, provato dall'ennesima settimana di merda al lavoro salvata solo da Julez e dal Fordino, spero di poter essere senza forze alla tastiera per scrivere della clamorosa doppietta che porta il Saloon e tutti quelli abituati a tenere i cavalli ad una sbronza colossale per festeggiare una rivincita con il Potere.
E poco importa se sarà solo calcistico.



MrFord



P. S. Piccolo appunto sugli ottavi appena conclusi: hanno vinto le sfide tutte le squadre arrivate prime nei loro girone ai danni delle seconde. Anche in questo caso, pare una beffa.




venerdì 20 giugno 2014

Saloon Mundial: leoni in gabbia e Cafeteros

La trama (con parole mie): continuano le partite legate al secondo turno dei gironi di qualificazione agli ottavi di finale dei Mondiali di calcio. Dopo i pesantissimi verdetti di ieri, oggi più che altro abbiamo assistito ad una serie di match che hanno ridefinito, in qualche modo, la geografia in vista del prossimo - e decisivo - giro di partite.
E se da un lato i padroni di casa del Brasile paiono essere favoriti anche dal Destino, per noi abitanti della Terra dei cachi le cose non si mettono, al contrario, così bene.




Quando penso al Camerun, torno subito con la mente a Italia '90 ed al mitico Milla, che fu uno dei mattatori di quel Mondiale trascinando i suoi compagni ben oltre le aspettative della vigilia.
I Leoni d'Africa, però, paiono essere ormai sdentati, e senza neppure troppa fatica finiscono in dieci, matematicamente eliminati dalla competizione e presi a silurate dai tosti croati, che potrebbero addirittura, nonostante la sconfitta all'esordio contro il Brasile, passare il turno.
Mentre, infatti, i carioca giocheranno l'ultima partita del girone contro gli ormai più che demotivati camerunensi, probabilmente assicurandosi il primo posto ed il conseguente vantaggio per gli ottavi, la Croazia si troverà a dare il tutto per tutto contro il Messico, sperando in una vittoria che potrebbe aprire a Mandzukic e compagni la strada per la seconda fase della competizione.





Nel girone accoppiato a quello degli Azzurri, invece, i Cafeteros colombiani superano di misura ma con efficacia la Costa d'avorio, trascinata - almeno apparentemente - da un sempre ottimo Gervinho, asso della Roma ed autore di un gol strepitoso.
Personalmente parteggiavo per gli africani, ma è ancora presto per pensare anche a come potrebbero mettersi le cose rispetto agli ottavi di finale: archiviata Giappone - Grecia, in programma tra poco, potremmo già avere un quadro più o meno definito di quale potrebbe essere l'eventuale avversaria dell'Italia tra una decina di giorni.



Il match clou della giornata è stato comunque, e senza dubbio, quello che ha visto opposte Inghilterra ed Uruguay. Un match non bello ma comunque spettacolare, che ha visto scendere in campo due formazioni determinate a tirarsi fuori dalla merda e dal rischio dell'eliminazione dopo le sconfitte patite all'esordio.
Peccato che i Leoni europei siano l'ombra della magnifica squadra giunta quarta a Italia '90 - che poteva contare tra le sue fila Seaman, Lineker, Platt e Gascoigne, giusto per citarne quattro -, conferma che i sudditi della Regina restino una delle più grandi incompiute del calcio figlio del Vecchio Continente, e dunque si ritrovino ancora una volta costretti ad inseguire, recuperare lo svantaggio e poi subire il colpo del KO sul più bello - proprio come era successo contro l'Italia -.
Per quanto la Celeste mi stia simpatica - e come potrebbe non piacermi una squadra guidata dal "Pistolero" Suarez e supportata da uno che si chiama Fucile!? - e possa contare su un attacco da paura - splendido l'assist di Cavani per il primo gol -, l'impressione è quella di una compagine stanca, lontana dalla furia che quattro anni fa sfiorò la finalissima.
Sulla carta, dunque, potrebbe essere un'avversaria abbordabile. 
Ma si sa che a noi piace complicarci la vita.
E quando non ci si pensa sul campo, provvede il caso: per quanto, infatti, in rete si sia gioito della sconfitta degli inglesi ormai ad un passo dall'eliminazione, egoisticamente per noi sarebbero stati infinitamente meglio una vittoria degli uomini di Hodgson o, se volessimo essere molto esosi, un pareggio.
In questo modo, battendo domani il Costarica - sempre che ce la si faccia, ovviamente - avremmo raggiunto la matematica qualificazione agli ottavi.
Per come stanno le cose ora, invece, pur sperando di vincere contro i centroamericani, la tensione resterà alta perchè nell'ultima partita andremo al confronto proprio con l'Uruguay, mentre il Costarica se la vedrà con l'ormai priva di motivazioni Inghilterra: paradossalmente, perdendo in quell'occasione, potremmo giocarci il passaggio del turno con Uruguay e Costarica in base alla differenza reti.
Speriamo solo di non doverci arrivare con quel pensiero.



MrFord





venerdì 13 giugno 2014

Brasile - Croazia

La trama (con parole mie): oggi - anzi, tecnicamente ieri - sono iniziati i Mondiali di calcio. Come nel 2010 e in occasione degli Europei del 2012 anche il Saloon scende in campo per raccontare, a modo suo, la kermesse calcistica.
L'inaugurazione sul campo è stata affidata allo scontro tra il Brasile - Paese ospitante e superfavorito - e la Croazia - squadra decisamente più operaia ed assolutamente sfavorita -.
Sarebbe stato bello scrivere di una giornata diversa, di sorprese e colpi da veri Goonies.
Ma purtroppo la Realtà è sempre più dura di quanto non si voglia sperare che sia.






Forse in giornate come quella appena trascorsa non sono nel mood migliore.
Forse sono cambiato, dai tempi in cui pensavo che l'estro fosse tutto, e che era giusto che i geni avessero la strada in discesa rispetto a tutti gli altri poveri stronzi attorno.
Avrei voluto anche scrivere un post diverso, per inaugurare i Mondiali 2014, pronti a travolgere casa Ford e solleticare la passione per il calcio che ho sempre coltivato, fin dai tempi della Lorenteggio - mia squadra all'epoca delle elementari - e di Holly&Benji.
Ma dopo una giornata pesante come quella che è stata, non ce la faccio proprio.
Avrei sperato di poter coltivare una piccola rivincita "sul campo" almeno in serata, e pubblicare un post solo con la foto qui sopra, nel momento della beffa maggiore per il Brasile superfavorito, in svantaggio grazie ad un autogol clamoroso del fresco campione d'Europa con il Real Madrid - altra superfavorita - Marcelo.
E invece nulla, anche questa volta, ed anche in questo caso, la Realtà dei favoriti, dei più forti, del già scritto ha portato a casa - con fatica, almeno - il suo bottino.
Complici un colpo da biliardo ed un rigore - assolutamente e vergognosamente regalato all'irritante Fred - di Neymar ed un ribaltamento di fronte dell'altrettanto fastidioso Oscar.
Ed io, che non ho mai parteggiato particolarmente per la Croazia - che, comunque, ha regalato ai Ford una vacanza splendida qualche anno fa -, mi sono ritrovato biancorosso dentro sperando in una clamorosa quanto improbabile rimonta, per zittire quell'aura di superiorità mascherata da allegria posticcia dei verdeoro: sono stanco dei favoriti.
Stanco che le cose vadano come devono andare, e che le croazie di turno si debbano accontentare abbassando la testa al Destino e ai loro avversari.
Stanco dei funamboli dalla caduta facile come il già citato Neymar, che piroetta come una ballerina troppo tatuata al primo soffio di vento e allarga i gomiti appena può, sperando di non essere visto dall'arbitro.
Stanco di vedere chi si sfianca e getta il cuore oltre l'ostacolo fermato dall'ordine costituito e dall'ovvietà dello scorrere degli eventi e di chi alza gli occhi al cielo come se tutto fosse un regalo divino, come se un presunto dio avesse già scelto da che parte stare.
Forse sono troppo arrabbiato.
Forse sono solo invidioso.
Forse tante cose.
Ma non mi importa.
Vaffanculo, Brasile. Vaffanculo Neymar, e Fred, e tutti voi fenomeni del pallone, tatuati per moda e pettinati come attori.
Non avrete mai lo spessore dei veri geni. Dei Pelè, dei Best e dei Maradona.
O dei Roberto Baggio. Che, tra l'altro, il Mondiale non l'ha neppure mai vinto.
Quelli sì, che il loro posto ed il loro talento se li sono meritati.
Voi siete solo un circo posticcio e fighetto, dei buonisti timorati di dio aiutati dagli uomini di "buona" volontà.
Come gli arbitri. Che qualcosa di divino, di fatto, ce l'hanno.
E vaffanculo anche ai miei amici per una notte croati, che non ce l'hanno fatta.
A Pletikosa che è alto sei metri, e non allunga abbastanza le mani sul rigore dell'odioso simbolo carioca e sul contropiede di Oscar, benedetto dai suoi difensori troppo arrendevoli.
Se questo è il Mondiale, ci sarà da lottare.
Ma se il potere costituito, dio e il Brasile pensano che per questo io mi arrenda, e smetta di cagare sangue in compagnia degli outsiders, si sbagliano di grosso.
Perchè c'è un vaffanculo pronto anche per loro.
Ed è sicuramente più grosso e schiacciante di un tre a uno talmente bugiardo da farmi quasi ben sperare per il futuro prossimo.



MrFord





giovedì 1 maggio 2014

Senna

Regia: Asif Kapadia
Origine: UK, Francia
Anno: 2010
Durata:
106'





La trama (con parole mie): il primo maggio millenovecentonovantaquattro moriva tragicamente in pista, a Imola, uno dei più grandi campioni della Storia della Formula 1, Ayrton Senna.
Talentuoso, amatissimo, controverso, noto per la storica rivalità con Alain Prost, che portò il grande circo dei motori dagli anni ottanta ai novanta, e traghettò il pubblico dall'epoca delle drammatiche morti sui circuiti a quella del controllo che sancì l'inizio dell'era di Schumacher.
Le gesta del fuoriclasse brasiliano, dai tempi dei kart ai tre titoli mondiali, raccontate attraverso le immagini delle vittorie e delle sconfitte più importanti della vita di un uomo combattuto tra Fede e Ragione, passione e dedizione, modestia e spirito di competizione. E del segno che lasciò in uno Sport, in un Paese e nel mondo.







Ricordo bene, il primo maggio millenovecentonovantaquattro.
Stavo finendo il primo anno di superiori, e mi portavo ancora dietro e dentro l'eredità di una fanciullezza che avrei pagato cara almeno fino al terzo: i miei compagni di classe piangevano ancora la morte di Kurt Cobain, mentre io mi perdevo dietro una delle più grandi passioni che coltivai per tutta l'infanzia, la Formula Uno.
Da amante degli outsiders, fin dalle elementari e dalle improbabili sveglie in notturna per seguire il Gran Premio del Giappone tifavo con tutto il cuore le Benetton, che con il loro verde ed i piloti di fascia medio bassa mi conquistarono fin da subito: e detestavo i campionissimi come Prost e Senna, sempre in pole position, con le vetture migliori ed il talento pronto a sprizzare da ogni poro.
Mi pareva che tutto fosse troppo facile, per quelli come loro.
Semplice, pensavo da Goonie, essere sempre il primo della classe.
Ma la vita riserva sempre sorprese.
E il Destino è beffardo.
Così quel primo maggio Senna, conquistando la pole position in un weekend di prove maledetto - l'incidente terrificante di Barrichello, quello fatale di Ratzenberger - si impose come il favorito davanti al giovane di belle speranze Michael Schumacher, astro nascente dei motori, proprio al volante di una delle "mie" Benetton, divenute paradossalmente le vetture da battere: alla partenza un altro incidente da paura portò la safety car in pista e la gara su binari che nessuno si sarebbe aspettato - e che sarebbero stati, purtroppo, il preludio di uno dei GP più drammatici di sempre -, come quelli che condussero - in circostanze, purtroppo, mai chiarite completamente - Senna ad uscire alla massima velocità alla curva del Tamburello, giudicata come una delle più semplici da affrontare del circuito per un pilota del suo calibro.
Dritto per dritto, un impatto pazzesco contro il muro prima di carambolare di nuovo al lato della pista.
Ero in camera mia, di fronte alla televisione, ai tempi, e da subito intuii che qualcosa di grave era in atto guardando la testa reclinata sul lato sinistro dell'abitacolo dell'asso brasiliano che così fortemente, e per anni, avevo detestato.
Ricordo anche bene i titoli dei giornali il giorno successivo, i processi, le domande, il lavoro sulla sicurezza che da quel giorno venne svolto in modo da evitare che si ripetessero weekend come quello del maledetto Gran Premio di San Marino.
Clint Eastwood, nel suo Capolavoro Million dollar baby, ricorda fin dal principio quanto nell'Uomo sia presente il desiderio di accostarsi alla violenza, al brivido che corre lungo la schiena nel momento in cui l'adrenalina pompa, e le emozioni si moltiplicano: per i piloti che rischiano la vita alla guida di vetture lanciate a trecento all'ora ed il pubblico che, nonostante le apparenze, spera sempre nell'incidente spettacolare e possibilmente mortale pronto a scuotere le coscienze anche dei non appassionati e far sgranare gli occhi.
Il vecchio medico della Federazione amico del campione, Syd Watkins, proprio in occasione della vigilia della gara che sarebbe finita in tragedia, testimonierà di aver chiesto a Senna il perchè della sua voglia di continuare a correre, essendo già stato incoronato campione per tre volte ed avere, di fatto, una vita davanti, magari per dedicarsi alla pesca, e alla tranquillità: alla vigilia della morte, il fuoriclasse risponderà, semplicemente, che non può farlo.
La forza della passione.
Sono passati vent'anni, e mi rendo conto di aver parlato davvero poco del bellissimo documentario firmato da Asif Kapadia, quanto più dei ricordi che io stesso ho accumulato di quell'evento fondamentale per la Formula Uno, che ora come ora seguo molto meno e che spero di tornare a vivere con la stessa intensità di allora, magari accanto al Fordino, che mostra una certa passione per le macchinine: la morte di Senna, infatti, innescò un giro di vite che, se da un lato e per il dispiacere di molti - o tutti? - annullò o quasi i rischi di questa disciplina diminuendone, di fatto, la percentuale di spettacolarità, portò a quella che, ad oggi, è l'ultima morte documentata di un pilota del più importante circo di motori del mondo, con la sua politica, i suoi soldi, e le sue leggi scritte o non scritte.
Se fossi un uomo di Fede, come Senna, potrei quasi affermare che il suo Destino era proprio questo.
Un sacrificio in nome di qualcosa che avrebbe preservato le vite di decine di altri come lui negli anni a venire.
Ma non lo sono.
Sono un uomo di profonde passioni.
E di fronte alle dichiarazioni che chiudono il documentario, e al ricordo di Senna del suo esordio europeo nel mondo dei kart, lontano dai riflettori e dai giochi di potere, dalle rivalità e dalle sponsorizzazioni, o di un intera nazione commossa dalla morte di un simbolo per tutti i suoi figli, ricchi o poveri che fossero, e alla velocità, non posso che porgere omaggio.
Neanche fossi Prost, e non mi sognerei di esserlo neanche per sbaglio.
Io sono solo un Goonie.
Ma non credo che Ayrton, con tutto il suo talento, il denaro ed il successo, potesse affrontare la vita e le sue conseguenze con tanti più mezzi di quanti ne possa avere io, che da qualche mese sono diventato più vecchio di quanto lui sia mai stato, o potrà mai essere.
Spero solo che la sua gara - considerato che avrebbe voluto una vita più lunga della sua carriera da pilota - sia valsa la pena quanto lo è valsa per i milioni di tifosi che ancora oggi invocano quel nome come un'ancora di salvezza.




MrFord




"E ho deciso una notte di maggio
in una terra di sognatori
ho deciso che toccava forse a me
e ho capito che Dio mi aveva dato
il potere di far tornare indietro il mondo
rimbalzando nella curva insieme a me
mi ha detto "chiudi gli occhi e riposa"
e io ho chiuso gli occhi."
Lucio Dalla - "Ayrton" - 





domenica 17 febbraio 2013

Dead end

Regia: Jean Baptiste-Andrea, Fabrice Canepa
Origine: Francia, USA
Anno: 2003
Durata: 85'




La trama (con parole mie): gli Harrington - padre, madre, due figli e fidanzato della maggiore - sono in viaggio verso la casa della nonna materna come per tradizione la vigilia di Natale, quando, nel pieno di una botta di sonno collettiva, Frank, il capofamiglia, che è alla guida, decide di "rompere le consuetudini" prendendo una provinciale che si snoda tra i boschi invece della collaudata autostrada.
Purtroppo, con tutti gli altri nel mondo dei sogni ed il buio attorno, anche lui cade vittima di un colpo di sonno che porta ad un incidente quasi mortale: scampato il peggio, i cinque scopriranno di essersi persi e di vagare nel nulla seguendo le indicazioni che porterebbero ad un centro abitato che pare essere irraggiungibile. 
Intanto, una misteriosa donna vestita di bianco fa la sua apparizione, ed i membri della famiglia cominciano ad essere uccisi uno dopo l'altro.




Continuo a pensare che le aspettative siano davvero brutte bestie.
In particolare, e più ancora rispetto ad una serata, un appuntamento, una cena, un qualsiasi cosa vogliate metterci, rispetto al Cinema: le delusioni maggiori avute dal momento in cui il Saloon ha aperto i battenti sono state quelle maturate da pellicole spinte dal tam tam di rete - e non solo - finite per non raggiungere neppure alla lontana gli standard che, nel frattempo, il sottoscritto pensava di affrontare con la loro visione.
L'ultima in ordine di tempo - ma che, senza dubbio, ultima non sarà - è stata regalata da questo Dead end, pellicola della quale mi ero trovato a leggere abbastanza bene praticamente ovunque nella blogosfera e non solo, cercata con forza e privilegiata rispetto ad altre sicuramente più recenti, alla moda ed in pieno trend "da visite" proprio per la curiosità ormai crescente nel sottoscritto.
Risultato? Nessuno spavento - o spauracchio -, nessuna risata - uno dei punti forti del lavoro di Jean-Baptiste Andrea e Fabrice Canepa avrebbe dovuto essere lo humour nero - e tanta, tanta delusione per essermi ritrovato di fronte a qualcosa di decisamente mediocre sia dal punto di vista tecnico e realizzativo che rispetto a contenuti e potenzialità.
Certo, il budget non deve essere stato quello delle grandi occasioni, l'impegno è ben chiaro e manifesto, gli intenti anche, eppure il tutto stenta a decollare fin dalle prime battute e nonostante la presenza di una garanzia come Ray Wise, amatissimo da queste parti fin dai tempi di Twin Peaks e Robocop, curiosamente legato - come personaggio, sia chiaro - ad una donna di nome Laura, quasi si possa trattare di un omaggio al geniale serial ideato da David Lynch e Mark Frost tra gli anni ottanta e novanta.
Dovendo pensare ad un modello per un lavoro come questo i riferimenti che più insistentemente hanno bussato alle porte di casa Ford sono stati Bunuel e Jodorowsky in salsa horror, roba che neanche se Rodriguez avesse deciso di darci dentro quel filo di troppo con il peyotesi sarebbe potuta azzardare: l'idea di sviluppare una sorta di slasher psicologico approfittando dell'occasione per decostruire il concetto di famiglia, almeno sulla carta, sarebbe potuta risultare vincente, ma la sceneggiatura - soprattutto per quanto riguarda i dialoghi - pare in ogni modo riuscire a banalizzare l'intera operazione finendo per scivolare spesso e volentieri nel ridicolo involontario - tutte le sequenze legate all'irritante personaggio del fratello minore, senza contare la donna in bianco, interpretata da una Amber Smith particolarmente cagna maledetta - annullando qualsiasi effetto thrilling nonchè l'obiettivo degli autori di confezionare una sorta di "opera di rottura" di genere.
Davvero pochetto, dunque, per un titolo che prometteva faville e che avrei voluto come portabandiera per l'horror in questo inizio 2013 - pur risalendo ormai a parecchi anni fa -, quasi un augurio che lo stato di salute di una parte di settima arte a me molto cara possa risultare migliore di quanto non sembri, e che al contrario si è rivelato come una cosa tra le tante, niente più che una visione da relegare ad una serata da weekend resa particolarmente ostica dalla stanchezza al termine della settimana lavorativa - questo, almeno, per i fortunati che non debbano lavorare su turni -.
Ma questa sarebbe un'altra storia, decisamente più grottesca e, a tratti, spaventosa di questa.


MrFord


"The beautiful people, the beautiful people
it's all relative to the size of your steeple
you can't see the forest for the trees
you can't smell your own shit on your knees."
Marilyn Manson - "The beautiful people" -


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...