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mercoledì 9 dicembre 2015

Bone Tomahawk

Regia: S. Craig Zaher
Origine: USA
Anno:
2015
Durata:
132'







La trama (con parole mie): siamo in un paese come gli altri lungo la grande Frontiera, quando una notte un vagabondo che in realtà cela una natura da sciacallo ed omicida giunge in un saloon dopo essere miracolosamente sfuggito all'attacco di misteriosi individui che paiono indiani a seguito di un colpo andato male.
Lo sceriffo del posto, Franklin Hunt, giunto ad indagare, alla reazione dell'uomo lo ferisce e decide di trattenerlo, chiedendo aiuto alla moglie di un cowboy che funge da medico locale quando lo stesso è troppo ubriaco per operare.
Peccato che, durante la notte, lo stalliere del paese venga ucciso brutalmente, e la donna, uno dei due vicesceriffi ed il vagabondo scompaiano, presumibilmente rapiti dagli stessi misteriosi assalitori ai quali il fuggitivo era già scampato una volta: Hunt, dunque, si trova costretto ad organizzare una spedizione verso la valle che pare essere il rifugio di una sorta di tribù di selvaggi senza alcun legame con i nativi americani, dediti al cannibalismo ed a rituali abominevoli.
A lui si aggregano il vecchio vice, il marito della donna scomparsa ed un ex soldato dai modi spicci: riusciranno a salvare i loro parenti e concittadini e riportare a casa la pelle?










Avrei dovuto sospettare fin dall'inizio, che se l'incontro tra il Western e Kurt Russell - uno dei miti acton della mia infanzia - fosse avvenuto, sarebbero stati fuochi d'artificio.
Non mi sarei mai aspettato, però, che tutto avvenisse grazie ad una produzione assolutamente di nicchia, con un regista praticamente esordiente e misconosciuto come S. Craig Zahler dietro la macchina da presa, lontani da tutti i grandi palcoscenici ma pronti a sfruttare il tam tam delle recensioni degli appassionati in rete: di fatto, è così che Bone Tomahawk è arrivato dalle parti del Saloon.
Ed è arrivato facendosi sentire come un pugno dritto alla bocca dello stomaco.
Perchè questo racconto di Frontiera non privo di difetti - se non ci fosse stato quel finale, probabilmente costruito nel caso in cui la grande distribuzione dovesse mettere gli occhi addosso al prodotto, l'impatto sarebbe stato anche maggiore - è una delle sorprese più cazzute dell'anno, quasi come se Neil Marshall avesse deciso di girare una sua versione di Dead Man, o se Gli spietati avesse incontrato il West pulp di Tarantino, che non ringrazierò mai abbastanza per aver rilanciato l'allora stantìa carriera di Russell grazie al pur non eccezionale Death proof.
Il viaggio dei quattro improbabili giustizieri Kurt Russell - che, tra le altre cose, vedremo tra non molto nell'attesissimo Hateful Eight dell'appena citato, vecchio Quentin -, Matthew Fox - che torna a ricoprire un ruolo di spessore dopo i fasti di Lost -, Patrick Wilson - sempre sottovalutato, a mio parere, e sempre valido - ed il mitico Richard Jenkins, pronti a soccorrere chi per amore, chi per dovere, chi per rigore morale i concittadini rapiti dai selvaggi si mantiene con grande equilibrio tra il Classico, la commedia nera, l'horror ed il revenge movie, pronto ad esplodere, nell'ultima parte, in un crescendo gore dall'ottimo realismo in grado di rivaleggiare perfino con giocattoloni all'apparenza scandalosi come The Green Inferno.
La Frontiera, dunque, vista come la dovevano vedere i pionieri del tempo, pronti a rischiare la vita in spazi sconfinati ed alla mercè della Natura e dell'Uomo, l'animale peggiore che possa essere immaginato libero: la civiltà, dunque, di personaggi come Samantha O'Dwyer contrapposta all'istinto puro e terribile dei selvaggi, la bassezza di Purvis e del suo compare Buddy - il Sid Haig che gli appassionati ricorderanno per i due mitici La casa dei 1000 corpi e La casa del diavolo - faccia a faccia con il senso del dovere dello Sceriffo Hunt e del suo vice, l'apparente e glaciale approccio di Brooder e quello tutto passionale di Arthur O'Dwyer.
Bone Tomahawk, dunque, nasconde molte identità nelle sue immagini, nei tempi apparentemente morti della preparazione allo scontro finale e nella crudele ineluttabilità delle sequenze più violente, da quelle mostrate a quelle lasciate fuori campo: non parliamo di una tamarrata, o di un survival senza ritegno, bensì di un cocktail ottimamente equilibrato all'interno del quale trovano spazio le riflessioni sui massimi sistemi, l'intrattenimento ed un'inquietante interrogativo a proposito di quello che noi tutti, in quanto esseri umani, portiamo dentro.
Poco importa che sia l'uomo civilizzato a tentare di dare una ragione, o quantomeno di usare la stessa per imporsi sulla violenza cieca dei selvaggi, perchè proprio la civiltà - almeno apparente - finisce per risultare la minaccia più pericolosa con la quale fare i conti: dagli sciacalli ai briganti, il sospetto che la ragione finisca per rendere anche più crudeli dell'istinto e della fame puri resta, e nonostante si tifi fino alla fine per i nostri eroi, l'idea che siano loro, in fondo, i più pericolosi del novero, finisce per radicarsi nel cuore dello spettatore anche quando lo stesso muore o esulta al loro fianco gettando una pietra lontana quasi un pericolo fosse scongiurato, e nuovi eroi consacrati alla Storia.






MrFord






"Without an answer, the thunder speaks for the sky, and on the cold, wet dirt I cry.
And on the cold, wet dirt I cry.
Don’t you wanna come with me? Don’t you wanna feel my bones
on your bones?
It's only natural."
The Killers - "Bones" - 






domenica 3 maggio 2015

We are Marshall

Regia: McG
Origine: USA
Anno: 2006
Durata: 131'




La trama (con parole mie): nel novembre del 1970 una terribile tragedia aerea conduce alla morte l'intera squadra - fatta eccezione per quattro elementi -, lo staff tecnico ed alcuni sostenitori dei Marshall, orgoglio dell'omonima università e di una città letteralmente distrutta dall'evento.
Ingaggiato l'autopropostosi coach Jack Lengyel, sognatore entusiasta, il Presidente della squadra Dedmon si trova ad affrontare il complesso processo di ricostruzione, che parte da una richiesta fatta alla Federazione di convocare in squadra anche le matricole e conduce allo spirito di Lengyel stesso e del suo assistente Red Dawson, scampato per una casualità all'incidente.
Riusciranno dunque i Marshall a tornare i Marshall? E quale sarà il prezzo per rialzarsi dopo un simile evento?







A prescindere dalla mia passione per tutto quello che è a stelle e strisce - anzi, direi più tutto quello che mi piace -, il cosiddetto Football americano è fin dai tempi dell'infanzia un vero e proprio must, da queste parti, per quanto non segua l'NFL dai tempi dei Dolphins di Dan Marino: ricordo quando imparai le regole attraverso i videogiochi ai tempi del Sega Mega Drive, così come l'esaltazione dei tempi più recenti grazie ad una delle serie televisive del cuore di questo vecchio cowboy, Friday Night Lights.
We are Marshall, solido prodotto di genere sportivo/patriottico made in USA fino al midollo diretto dal mestierante McG e sorretto da un cast di prim'ordine - da Matthew McConaughey a David Strathairn -, giaceva in attesa nei meandri del Saloon da parecchio tempo quando ha finito per essere ripescato in una settimana povera di uscite in sala e novità di spessore grazie a Julez, che spesso e volentieri finisce per conoscermi meglio di quanto non creda di farlo io stesso.
Il risultato è stata una di quelle visioni che tanto adoravo nei primi anni della mia crescita come spettatore: una vicenda emozionante e coinvolgente, a tratti sicuramente ingenua e retorica eppure impossibile da non seguire con partecipazione dall'inizio alla fine, resa interessante da un approccio - legato ovviamente anche alle reali vicende di Jack Lengyel e dei suoi Marshall - che nonostante la cornice non fa troppe concessioni e finisce per ricordare i perdenti di successo di Moneyball o il primo Rocky.
A prescindere, dunque, dalla cronaca di fatti drammatici che divennero motivo di riscatto positivo non solo per una squadra di football non professionistico, ma anche di un'Università e di una città, la parte più interessante di questo prodotto va ricercata nell'analisi per nulla superficiale del lavoro che richiede una ricostruzione affinchè si possa, un giorno o l'altro, tornare "a riveder le stelle".
In un certo senso, più che la rinascita di un'istituzione sportiva americana, assistiamo alla costruzione delle sue fondamenta, alla testimonianza di fatti isolati che, a prescindere dal grado di successo immediato, finiscono per assumere la connotazione di una vittoria alla lunga distanza, grazie al lascito che hanno garantito alle generazioni future: entusiasti come Jack Lengyel oppure no, i protagonisti dell'impresa dei Marshall chiamati a colmare il vuoto di una ferita che probabilmente non potrà mai guarire del tutto hanno finito per rendersi complici di un'impresa unica nel suo genere, che ha riportato alla mia mente quella del Grande Torino finito contro il basamento della Basilica di Superga, e non solo rispetto all'incidente aereo.
La perdita di un'intera squadra sportiva, in occasioni come queste, rappresenta, di fatto, la perdita non solo di simboli, idoli, risultati, ma anche e soprattutto di genitori e figli, amici, parenti, fidanzati, addirittura un'intera generazione che pare essersi compressa in un numero "limitato" di vittime: rialzarsi non è mai facile, così come fare tesoro del proprio dolore, della responsabilità di essere ancora vivi, quasi come accade con i sopravvissuti alle guerre.
Ed è il riscatto, il comeback - come si direbbe oltreoceano -, uno dei punti forti della cultura statunitense: We are Marshall rappresenta, racconta e fotografa proprio quell'istante, quella riscossa, quella sensazione di quasi invulnerabilità che avvolge e porta a compiere imprese che si pensavano impossibili.
Anche quando, prima ancora che dalle vittorie, passano da cocenti e clamorose sconfitte.
Nessuno ha mai detto, infatti, che la strada per la Hall of Fame debba essere necessariamente costruita su incontrastati ed a volte perfino noiosi successi.



MrFord



"Don't know what's comin' tomorrow
maybe it's trouble and sorrow
but we travel the road, sharin' our load
side by side."

Ray Charles - "Side by side" - 





lunedì 10 novembre 2014

Lost - Stagione 1

Produzione: ABC
Origine: USA
Anno:
2004
Episodi: 25





La trama (con parole mie): il volo Oceanic 815, diretto da Sidney a Los Angeles, perde la rotta nel pieno del Pacifico e precipita su una misteriosa isola in una posizione imprecisata. I sopravvissuti si ritrovano a dover lottare non soltanto con la loro nuova condizione di esuli, ma anche con minacce apparentemente inspiegabili che paiono in qualche modo avere avuto un ruolo nel loro stesso passato, come se il presente di "naufraghi" fosse il culmine di un Destino già definito.
Così il medico Jack Shepard, i criminali Kate Austen e James "Sawyer" Ford, il milionario infelice Hugo "Hurley" Reyes, il musicista Charley Pace, la coppia in crisi dei Kwon, la giovane in dolce attesa Claire Littleton, l'ex soldato Sayid Jarrah ed il paraplegico ritornato miracolosamente a camminare John Locke divengono i protagonisti di un'avventura che cambierà per sempre le loro esistenze. E non solo.








Ricordo benissimo il periodo in cui approcciai per la prima volta Lost.
Era il maggio del duemilasei, in Italia era già diventata un fenomeno la prima stagione e negli States si avviava alla conclusione la seconda, ancora non mi allenavo, avevo un solo tatuaggio e vedevo la storia che mi aveva accompagnato stare per essere sgretolata da un desiderio di libertà totale ed incondizionata che fino a quel momento avevo vissuto segretamente, come una seconda vita.
Fu un mio collega - l'equivalente di Jack della quotidianità lavorativa - a passarmi i dvd, affermando che mi sarebbe piaciuta: ricordo che rimasi colpito dalla grande tecnica e dal taglio cinematografico del pilota, dai misteri di un'isola che, ancora non lo sapevo, avrebbe in qualche modo segnato la mia esistenza, ma che seguii per le prime puntate con un certo distacco.
Fu Confidence man, il primo episodio dedicato a Sawyer, a cambiare le carte in tavola: vedere quello che sarebbe diventato non solo il mio alter ego per i lostiani che mi frequentavano allora - "Sei proprio stronzo come Sawyer", mi fu detto da una fanciulla all'epoca - ma uno dei personaggi che più avrei amato nella Storia del piccolo e grande schermo fare carte false e subire addirittura una tortura soltanto per il gusto di essere il primo a rubare un bacio alla "bella e maledetta" Kate, prendendosi perfino colpe non sue, fu una vera svolta.
Da quel momento, Lost divenne una droga, una Fede - come direbbe l'indimenticabile John Locke -, qualcosa che, come il Destino pronto a legare i suoi protagonisti, definì alcuni degli anni migliori, più intensi e divertenti della mia vita, cui ancora oggi guardo con una certa malinconia e struggimento: decidere di rivedere l'intera serie una stagione all'anno come se fosse uscita una seconda volta era una vera e propria scommessa, ma per celebrare i dieci anni dalla prima messa in onda negli States qui in casa Ford non abbiamo saputo resistere, memori delle schermaglie che fecero non solo Sawyer del sottoscritto, ma Ana Lucia di Julez.
E la seconda visione è stata magica ed intensa almeno quanto la prima: osservare l'intera storia dei sopravvissuti dell'Oceanic 815 dopo aver assistito al termine delle loro avventure - tanto controverso tra i fan e rispetto alla critica - non solo ha portato alla luce una progettualità incredibile degli sceneggiatori - perfino nei piccoli particolari insignificanti l'impressione è che fosse tutto chiaro fin dal pilota, per Abrams e soci - ma ha finito per ridare lustro a sentimenti mai davvero sopiti per il cast of charachters più incredibile, azzeccato e clamorosamente perfetto mai pensato per un serial televisivo.
Del resto, come fu Twin Peaks un decennio prima e come sarà Breaking bad quasi un decennio dopo, Lost rappresenta senza ombra di dubbio un prodotto inarrivabile, rivoluzionario, magico anche nei suoi momenti peggiori: momenti che, di fatto, non riguardano la prima stagione, una delle più riuscite non solo di questa serie, ma del panorama della televisione in toto, dal già citato pilota alle puntate dedicate ai singoli personaggi, dal ritrovamento della famigerata botola alla morte di Boone, dalla partenza della zattera - forse il momento più commovente, che ha stretto il cuore dei Ford anche a distanza di tanto tempo - fino al climax del season finale, che probabilmente se avessi visto in contemporanea con la prima messa in onda avrebbe causato uno scompenso nel sottoscritto in attesa della visione della season two - ricordo che, invece, ebbi giusto il tempo della parentesi meravigliosa del viaggio a Barcellona in solitaria prima di tornare sull'isola, all'epoca -.
Non troppo tempo fa, parlando di questa nuova avventura con uno dei compagni di viaggio dell'epoca che si è dichiarato incapace di affrontare una volta ancora le vicissitudini dei superstiti dell'incidente aereo più importante della tv, ha finito per rimanermi impressa una sua frase: "Lost è una religione".
Ed è vero.
Con tutte le sue luci e le sue ombre, Lost ha, come nessun'altra serie, cambiato il mio modo di guardare al piccolo schermo, assotigliando la distanza che lo separava dal grande, legandosi a doppio filo non solo alla mia vita di spettatore, ma all'esistenza reale, di tutti i giorni.
Dal "sorriso all'arancia" di Locke ai soprannomi inventati da Sawyer, dagli orsi polari alla Black Rock, dal confronto tra Fede e Scienza dello stesso Locke e Jack, dal "walking the line" di Charlie al rigore di Sayid, dai rapporti pronti ad evolversi di Sun e Jin e Michael e Walt, c'è tutta la magia della vita e el Destino, del karma e dei significati che persone apparentemente estranee e lontane da noi possono assumere in particolari momenti della nostra vita, diventandone di fatto i protagonisti.
Questa è stata la magia di Lost.
Lo è ancora, e lo sarà per sempre.
Tutti sono protagonisti.
Tutti siamo protagonisti.
Perchè il Destino non fa sconti, e ha ben chiari i suoi numeri.
E noi possiamo solo giocarli al nostro meglio, sperando di non aver preso in mano il biglietto sbagliato.



MrFord



"Just a castaway
an island lost at sea
another lonely day
with no one here but me
more loneliness
than any man could bear
rescue me before I fall into despair."
The Police - "Message in a bottle" - 



 

giovedì 18 luglio 2013

Thursday's child


La trama (con parole mie): settimana stranamente "ristretta", quella che ci aspetta in sala, già in completo assetto estivo e priva di bislacche proposte italiote in grado di porre sullo stesso fronte - contrario ad esse, ovviamente - il sottoscritto ed il suo rivale nonchè compare di rubrica Cannibal Kid.
Come se non bastasse, inoltre, i titoli proposti potrebbero rivelarsi quasi tutti interessanti, sempre che si sia pronti ad accoglierli nel pieno spirito della stagione più "leggera" dell'anno.

"Hey Ford, qua la mano! Sei venuto anche tu a dare un paio di legnate a Peppa Kid!?"
 
Pain & Gain - Muscoli e denaro di Michael Bay


Il consiglio di Cannibal: ecco a voi la fordianata DEFINITIVA
Pain & Gain - Muscoli e denaro, un film di Michael Bay con Mark Wahlberg e soprattutto Dwayne “The Rock” Johnson?
Ma questo non è un film. È un sogno di Ford che si materializza davanti a noi. Già super floppone dell’estate americana, si prepara a passare pure in Italia senza lasciare alcun segno. Se non per Ford che è già pronto a eleggerlo come suo film dell’anno, forse a nominarlo anche suo film preferito di tutti i tempi, nonché modello esistenziale assoluto.
Per tutti noi persone (più o meno) normali, meglio invece girare al largo da questa orripilante parata tutta muscoli e zero cervello. E zero cinema.
Il consiglio di Ford: ecco a voi la tamarrata dell'estate!
Ogni estate che si rispetti ha la sua porcata musicale o cinematografica tamarra oltre misura che non riusciamo proprio a detestare, pronta ad insinuarsi nelle nostre vite e a diventare una sorta di istantanea di ricordi pronti a nascere e morire su una spiaggia.
Una specie di Danza Kuduro, insomma, che in questo caso mi regala la presenza in stereo di Marc Wahlberg e The Rock, due dei bistecconi più amati al Saloon.
Inutile dire che sarò in prima fila per schiaffarmelo il prima possibile, con il cervello spento ed il testosterone a mille alla facciazza di quel pusillanime di Peppa Kid.

"Guida Ford!? Ma non fatemi ridere!"

Facciamola finita di Evan Goldberg, Seth Rogen


Il consiglio di Cannibal: Ford, falla finita!
Se tutti i film fossero delle robe come Pain & Gain, uno spot al fordismo più sfrenato, ci sarebbe davvero da farla finita. Per fortuna così non è e qualche piacevole sorpresa ogni tanto arriva anche. Una di queste potrebbe essere Facciamola finita, esordio alla regia in co-abitazione con Evan Goldberg per lo spassoso Seth Rogen, un comico americano snobbatissimo in Italia ma che incredibilmente riesce a far ridere sia il sottoscritto Cannibal che quel musone di Ford. L’apocalittica pellicola comedy è la storia di un gruppo di VIPs nella parte di loro stessi (tra cui Rihanna, Emma Watson, Channing Tatum, lo stesso Seth Rogen e molti altri) che, durante un party a casa di James Franco, si ritrovano nel bel mezzo della fine del mondo…
Facciamola finita con le schifezze sponsorizzate da Ford e godiamoci questa spassosa apocalisse!
Il consiglio di Ford: la faccio finita con il Cannibale, a suon di bottigliate!
Film che promette di essere un vero spasso, una cosa a metà tra l'approccio di Edgar Wright e Judd Apatow che ho come l'impressione riuscirà a mettere d'accordo perfino lo scatenato Ford ed il fighetto Cannibal, quasi riuscisse a concentrare le loro opposte visioni del mondo in un'unica, grande, mitica festa da apocalisse globale totale.
Dunque, per una volta, apriamo i cancelli e buttiamoci senza ritegno!

"Stiamo attenti, quello è il Cannibale, mica una persona normale!"

The Lost Dinosaurs di Sid Bennett


Il consiglio di Cannibal: Ford l’abbiamo perso già da un pezzo…
The Lost Dinosaurs?
Cos’è? Un documentario su Ford e sui suoi artisti preferiti, quei dinosauri di Bruce Springsteen e dei Kiss?
Pare di no, per fortuna, però potrebbe essere qualcosa di quasi ugualmente inquietante. Un nuovo film avventuroso alla Jurassic Park di cui non si sentiva (non io, almeno) un gran bisogno. Unico elemento che potrebbe rappresentare una variante positiva rispetto al solito è il fatto che provenga dalla Gran Bretagna, e quindi non è la solita americanata. Anche se lo sembra…
Il consiglio di Ford: dopo la lezione che riceverà dal sottoscritto alla prossima Blog War, sarà difficile ritrovare il Cannibale...
Onestamente non ho mai amato il genere dinosauri, nonostante consideri Jurassic Park ed i suoi sequel un buon giocattolone d'intrattenimento: dunque questa sorta di sua versione anglosassone non mi ispira granché, a meno che tra i protagonisti non vi sia un certo Marco Goi destinato a venire braccato da un qualche mostro pronto a trasformarlo nella portata principale della sua cena.
Ma non credo che un prodotto così interessante esista, purtroppo.

Un'istantanea di Peppa Kid con due coetanei di Ford.

Alex Cross di Rob Cohen


Il consiglio di Cannibal: meglio Alex Del Piero, vero Ford?
Ed ecco un’altra americanata. Visto che Michael Bay non bastava, ritorna anche Rob Cohen, il regista del primo Fast & Furious, di xXx e di altre tamarrate. Pur essendo incentrato sulla figura del detective Alex Cross, già portato sullo schermo da Morgan Freeman ne Il collezionista e Nella morsa del ragno, qui mi sa che più che di fronte a un thriller ci troveremo davanti un action trash di quelli perfetti per il mio blogger rivale. Ovvero: si rivelerà una porcheria. Ma che dico? Una forderia!
Il consiglio di Ford: meglio l'uccellino, vero Cucciolo Eroico?
Filmaccio action mascherato da thriller che si prospetta come una vera e propria tamarrata di quelle che al Saloon vengono sempre buone, soprattutto in questa stagione da neuroni - e non solo - in vacanza.
Peccato che venga in una settimana insolitamente ricca di proposte, e dunque scenda al terzo posto: ma certo non me lo farò mancare, da buon, vecchio Expendable.

"E va bene, mi arrendo: Lost è finito e non cercherò più di tornare a forza sull'isola!"

sabato 22 ottobre 2011

Prospettive di un delitto

Regia: Pete Travis
Origine: Usa
Anno: 2008
Durata: 90'



La trama (con parole mie): a Salamanca, in Spagna, si tiene una grande manifestazione che è il culmine della collaborazione tra il governo americano e quelli europei per arginare la minaccia del terrorismo internazionale. Durante la cerimonia, un misterioso cecchino fa fuoco sul Presidente degli Usa, scoppiano due bombe e con loro il panico. Chi si cela dietro il complotto?
Attraverso le prospettive del capitano di Ogni maledetta domenica reinventatosi Jack Bauer per l'occasione, un turista buono e caro come solo gli ammmeregani sanno essere, i giornalisti cinici che si sciolgono di fronte all'evento traumatico, Said giunto dalle strade de L'odio, il bolsissimo William Hurt ed un altro Jack, quello di Lost, assistiamo ad una sarabanda di eventi che vorrebbero essere sorprendenti e tesissimi, eppure appaiono come una clamorosa sagra del telefonato.



A volte capita di incrociare film per i quali scrivere un post anche minimamente interessante e che vada oltre le cinque/dieci righe dell'introduzione risulta essere un'impresa a dir poco titanica: sono le cosiddette sòle, roba giusto buona per riempire casualmente un pomeriggio di goduriosissimo relax casalingo dopo una settimana di lavoro non sempre piacevole, assolutamente innocua - e meno male! - ma altrettanto clamorosamente inutile rispetto alla nostra vita di spettatori.
Da tempo - esattamente dai giorni migliori di Lost - io e Julez pensavamo di regalare almeno una visione a questa facilmente dimenticabile pellicola, e quasi per caso finiti davanti ad un suo passaggio nella programmazione tv - altro miracolo, che veda qualcosa inserito nei comuni palinsesti - abbiamo deciso di approfittare dell'ozio domenicale per scoprire se il gioco del rewind poteva valere la candela e rendere la visione qualcosa in più del semplice blockbuster che il vostro collega non proprio a suo agio con il grande schermo sarà sempre pronto a definirvi un filmone il lunedì mattina, quando non vorreste nient'altro che essere stesi al sole su una spiaggia tropicale con un bel cocktail e la vostra dolce metà.
Ma cosa non va, per l'esattezza, in Prospettive di un delitto?
Per prima cosa, la patinatissima regia di Pete Travis, anonima quanto più non si potrebbe, seguita a ruota dal consueto cast all stars presenti giusto per il lauto compenso e neppure lontanamente sfiorati dal pensiero di sprecarsi troppo per fornire un'interpretazione non dico memorabile, ma almeno degna dei loro nomi.
Lo stesso script, inoltre, in bilico tra il Cinema action della peggior specie ed una sorta di pallida imitazione della già citata 24, non ha un solo spunto particolarmente sorprendente, ed il gioco - peraltro arcinoto - del continuo ripetersi della singola scena sfruttando i diversi punti di vista dei protagonisti rischia di stancare già al terzo passaggio - e sono otto! -, senza contare che nel momento della vera deflagrazione della storia l'effetto sorpresa è talmente poco sorprendente da lasciare sorpresi al contrario.
Ad aggravare ulteriormente una situazione già delicata, il pessimo personaggio interpretato da Forrest Whitaker, che pare uscito dritto dritto da un film Disney diretto da Muccino o, al limite, da Michael Bay: la sua presenza nel centro del climax conclusivo che porta alla risoluzione della vicenda è in armonia con il resto almeno quanto la scomposta ed involontariamente ridicola corsa dello stesso Whitaker in pieno delirio da eroe del momento.
Se non avete mai provato, nel corso di una visione, il vero terrore, riservatevi di dedicare almeno un rewind - tanto per non andare fuori tema - al bolso Forrest - corri, Forrest, corri! - all'inseguimento dei cattivi, cattivissimi terroristi che non hanno alcun problema, ovviamente, a far saltare una bomba in una piazza gremita all'inverosimile uccidendo decine di persone ma al momento giusto sono pronti a mettere a repentaglio il piano e le loro stesse vite per non investire una bambina.
Bravi.
Benvenuti nel mondo della magia dove tutti siamo amici e amati e felici.
Una sveglia ottima è pensare lucidamente a questo film: che tolto il puro e semplice intrattenimento - molto, molto semplice - non ha assolutamente nient'altro da offrire.
Figuriamoci il realismo.

MrFord

"It's a different point of view to you
you cannot see things that are different to me
and I can't understand why you cannot see
the things that I cannot see."
Blink 182 - "Point of view" -
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