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lunedì 10 novembre 2014

Lost - Stagione 1

Produzione: ABC
Origine: USA
Anno:
2004
Episodi: 25





La trama (con parole mie): il volo Oceanic 815, diretto da Sidney a Los Angeles, perde la rotta nel pieno del Pacifico e precipita su una misteriosa isola in una posizione imprecisata. I sopravvissuti si ritrovano a dover lottare non soltanto con la loro nuova condizione di esuli, ma anche con minacce apparentemente inspiegabili che paiono in qualche modo avere avuto un ruolo nel loro stesso passato, come se il presente di "naufraghi" fosse il culmine di un Destino già definito.
Così il medico Jack Shepard, i criminali Kate Austen e James "Sawyer" Ford, il milionario infelice Hugo "Hurley" Reyes, il musicista Charley Pace, la coppia in crisi dei Kwon, la giovane in dolce attesa Claire Littleton, l'ex soldato Sayid Jarrah ed il paraplegico ritornato miracolosamente a camminare John Locke divengono i protagonisti di un'avventura che cambierà per sempre le loro esistenze. E non solo.








Ricordo benissimo il periodo in cui approcciai per la prima volta Lost.
Era il maggio del duemilasei, in Italia era già diventata un fenomeno la prima stagione e negli States si avviava alla conclusione la seconda, ancora non mi allenavo, avevo un solo tatuaggio e vedevo la storia che mi aveva accompagnato stare per essere sgretolata da un desiderio di libertà totale ed incondizionata che fino a quel momento avevo vissuto segretamente, come una seconda vita.
Fu un mio collega - l'equivalente di Jack della quotidianità lavorativa - a passarmi i dvd, affermando che mi sarebbe piaciuta: ricordo che rimasi colpito dalla grande tecnica e dal taglio cinematografico del pilota, dai misteri di un'isola che, ancora non lo sapevo, avrebbe in qualche modo segnato la mia esistenza, ma che seguii per le prime puntate con un certo distacco.
Fu Confidence man, il primo episodio dedicato a Sawyer, a cambiare le carte in tavola: vedere quello che sarebbe diventato non solo il mio alter ego per i lostiani che mi frequentavano allora - "Sei proprio stronzo come Sawyer", mi fu detto da una fanciulla all'epoca - ma uno dei personaggi che più avrei amato nella Storia del piccolo e grande schermo fare carte false e subire addirittura una tortura soltanto per il gusto di essere il primo a rubare un bacio alla "bella e maledetta" Kate, prendendosi perfino colpe non sue, fu una vera svolta.
Da quel momento, Lost divenne una droga, una Fede - come direbbe l'indimenticabile John Locke -, qualcosa che, come il Destino pronto a legare i suoi protagonisti, definì alcuni degli anni migliori, più intensi e divertenti della mia vita, cui ancora oggi guardo con una certa malinconia e struggimento: decidere di rivedere l'intera serie una stagione all'anno come se fosse uscita una seconda volta era una vera e propria scommessa, ma per celebrare i dieci anni dalla prima messa in onda negli States qui in casa Ford non abbiamo saputo resistere, memori delle schermaglie che fecero non solo Sawyer del sottoscritto, ma Ana Lucia di Julez.
E la seconda visione è stata magica ed intensa almeno quanto la prima: osservare l'intera storia dei sopravvissuti dell'Oceanic 815 dopo aver assistito al termine delle loro avventure - tanto controverso tra i fan e rispetto alla critica - non solo ha portato alla luce una progettualità incredibile degli sceneggiatori - perfino nei piccoli particolari insignificanti l'impressione è che fosse tutto chiaro fin dal pilota, per Abrams e soci - ma ha finito per ridare lustro a sentimenti mai davvero sopiti per il cast of charachters più incredibile, azzeccato e clamorosamente perfetto mai pensato per un serial televisivo.
Del resto, come fu Twin Peaks un decennio prima e come sarà Breaking bad quasi un decennio dopo, Lost rappresenta senza ombra di dubbio un prodotto inarrivabile, rivoluzionario, magico anche nei suoi momenti peggiori: momenti che, di fatto, non riguardano la prima stagione, una delle più riuscite non solo di questa serie, ma del panorama della televisione in toto, dal già citato pilota alle puntate dedicate ai singoli personaggi, dal ritrovamento della famigerata botola alla morte di Boone, dalla partenza della zattera - forse il momento più commovente, che ha stretto il cuore dei Ford anche a distanza di tanto tempo - fino al climax del season finale, che probabilmente se avessi visto in contemporanea con la prima messa in onda avrebbe causato uno scompenso nel sottoscritto in attesa della visione della season two - ricordo che, invece, ebbi giusto il tempo della parentesi meravigliosa del viaggio a Barcellona in solitaria prima di tornare sull'isola, all'epoca -.
Non troppo tempo fa, parlando di questa nuova avventura con uno dei compagni di viaggio dell'epoca che si è dichiarato incapace di affrontare una volta ancora le vicissitudini dei superstiti dell'incidente aereo più importante della tv, ha finito per rimanermi impressa una sua frase: "Lost è una religione".
Ed è vero.
Con tutte le sue luci e le sue ombre, Lost ha, come nessun'altra serie, cambiato il mio modo di guardare al piccolo schermo, assotigliando la distanza che lo separava dal grande, legandosi a doppio filo non solo alla mia vita di spettatore, ma all'esistenza reale, di tutti i giorni.
Dal "sorriso all'arancia" di Locke ai soprannomi inventati da Sawyer, dagli orsi polari alla Black Rock, dal confronto tra Fede e Scienza dello stesso Locke e Jack, dal "walking the line" di Charlie al rigore di Sayid, dai rapporti pronti ad evolversi di Sun e Jin e Michael e Walt, c'è tutta la magia della vita e el Destino, del karma e dei significati che persone apparentemente estranee e lontane da noi possono assumere in particolari momenti della nostra vita, diventandone di fatto i protagonisti.
Questa è stata la magia di Lost.
Lo è ancora, e lo sarà per sempre.
Tutti sono protagonisti.
Tutti siamo protagonisti.
Perchè il Destino non fa sconti, e ha ben chiari i suoi numeri.
E noi possiamo solo giocarli al nostro meglio, sperando di non aver preso in mano il biglietto sbagliato.



MrFord



"Just a castaway
an island lost at sea
another lonely day
with no one here but me
more loneliness
than any man could bear
rescue me before I fall into despair."
The Police - "Message in a bottle" - 



 

mercoledì 13 febbraio 2013

Hawaii Five-O - Stagione 2

Produzione: CBS
Origine: USA
Anno: 2011
Episodi: 23




La trama (con parole mie):  la situazione per la task force dei Five-O è complicata. Molto complicata. Steve McGarrett, comandante della squadra, è in carcere accusato dell'omicidio del Governatore delle Hawaii; Wo Fat, autore materiale del delitto, è in fuga; i misteri che circondano la morte del padre dello stesso McGarrett sono ancora aperti; Kono Kalakaua è stata privata del distintivo e si ritrova con la disciplinare alle costole.
I nostri, però, riusciranno a risolvere la situazione e riguadagnare il campo, affiancando alle missioni di routine la risoluzione del mistero di Shelbourne - che coinvolge Wo Fat ed il mentore di Steve, il comandante Joe White -, le delicate relazioni con la Yakuza, il ruolo di Jenna Kaye ed il confronto con un nucleo di poliziotti corrotti locali guidato da Frank Delano.




E' un bene quando una serie, nel corso del suo naturale svolgimento, finisce per evolversi - sempre entro i suoi limiti, chiaramente - sorprendendo invece che deludere: Hawaii Five-O, dopo una discreta stagione d'avvio, ingrana dunque la marcia con una seconda annata solida ed avvincente, confezionata come un prodotto d'intrattenimento ed in quanto tale in grado di dimostarsi viva e pulsante nei suoi risvolti più drammatici, in quelli prettamente tamarri, ed in tutto ciò che, per l'appunto, il suo ruolo di fracassonata made in USA impone.
Nel corso dei tiratissimi ventitre episodi, infatti, è possibile incontrare le tipiche storie autoconclusive buone per coltivare i propri protagonisti - ed occorre considerare che sia la squadra che i suoi alleati e rivali funzionano alla grande, da McGarrett con il suo essere tutto d'un pezzo all'inseparabile amico Danny "Danno" Williams, mio preferito in assoluto, da Kono Kalakaua, approfondita alla grande sia in avvio che sul finire della stagione, a Chin Ho Kelly, che se non fosse un gregario per vocazione potrebbe essere un piccolo McGarrett, da Joe White alla nemesi Wo Fat - così come snodi fondamentali per la comprensione dell'intera saga, legata a doppio filo alla famiglia di Steve e all'evoluzione dell'intero progetto, in un equilibrio invidiabile per quello che, di fatto, resta un titolo prettamente ricreativo.
L'ambientazione da sogno delle Hawaii - che ad ogni episodio fanno venire una gran voglia di trasferirsi in una di quelle villette perse nel pieno di paesaggi meravigliosi - ed un cast legato alla storia recente del piccolo schermo - Lost, Heroes e 24, giusto per citare i titoli più noti - così come a quella del Cinema - James Caan, padre di Scott/Danny Williams, ma anche Tom Sizemore e William Baldwin - fanno il resto, rendendo questa proposta figlia delle penne del team creativo responsabile di Alias un appuntamento imperdibile per casa Ford e tutti gli amanti di un pò di solido movimento e di adrenalina non gettata al vento con scelte illogiche e situazioni al limite dell'assurdo.
Certo non stiamo parlando di un Capolavoro, ed in alcuni passaggi si notano i miracoli che l'action impone ai suoi autori ed i "sacrifici" che richiede al suo pubblico - l'episodio ambientato in Corea del Nord, ad esempio -, eppure se goduto con l'approccio rilassato di chi ha intenzione di concedersi una visione di quaranta minuti che possano garantire evasione e sfogo, un pò come una bella sessione di palestra o una serata di sbronze con gli amici, Hawaii Five-O non manca neppure per un secondo all'appello, garantendo il suo spettacolo onesto e solido, neanche fosse qualcuno sempre pronto a coprirci le spalle, non importa per cosa.
E lasciate che ve lo dica: una serie in grado di far apparire credibile perfino Mark Dacascos, interprete dei poveri dei seguiti de Il corvo, nel ruolo di cattivo per eccellenza, ha tutto il mio rispetto.
In fondo, si potrebbe considerare una proposta di questo genere come l'emblema dell'approccio di grana grossa tipico dell'american way nella sua accezione migliore, quella scanzonata eppure a suo modo profonda in grado di riuscire a garantire spettacolo senza per questo doversi svendere o considerare l'audience dall'altra parte dello schermo come una mandria di decerebrati pronti ad accettare qualsiasi cosa venga loro propinata.
Certo, i non amanti del genere ed il pubblico femminile - fatta eccezione per il fisico scolpito di McGarrett - potrebbero non amare particolarmente, o limitarsi alla visione di episodi sporadici senza curarsi della serialità, eppure credo che, nel panorama attuale, esistano pochi serial così semplici eppure in grado di parlare ad un range quasi totale di pubblico come questo, senza contare che il finale di stagione almeno al pari del suo svolgimento lascia più che ben sperare per il terzo giro di giostra, attualmente in programmazione negli States e destinato a giungere al Saloon il prossimo anno: del resto, il sottoscritto ha sempre sognato di vivere in riva al mare - o all'oceano, non fa differenza - una sorta di perenne primavera - o estate - con cocktail in mano e sguardo nel sole.
Se per farlo devo godermi i battibecchi bromantici di McGarrett e Danno o sparatorie da migliore tradizione del poliziesco, ben venga: sarà un sacrificio assolutamente piacevole.


MrFord


"Still my favorite person in this whole wide world
is the woman who can understand every word
and when she speaks to me she makes me see the whole world
as my favorite place:
Hawaii."
The Strokes - "Hawaii" -


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