venerdì 25 novembre 2016

Aftershock (Xiaogang Feng, Cina, 2010, 135')





Dal recente terremoto che ha colpito l'Italia allo Tsunami che sconvolse il Sud-Est Asiatico qualche anno fa, le grandi tragedie naturali hanno da sempre significato, oltre al dramma, anche un momento in cui singoli o intere famiglie hanno finito per lottare con una forza miracolosa per vivere, ricominciare o rialzarsi.
Il ventotto luglio millenovecentosettantasei, a Tangshan, nel cuore della Cina che affrontava gli ultimi anni di Mao, ebbe luogo quello che è considerato uno dei terremoti più devastanti della Storia, non tanto per potenza quanto per numero di vittime - si parla di quasi seicentomila morti -: Xiaogang Feng, con un piglio classico che dall'altra parte del mondo si potrebbe considerare tipico dei drammoni da Oscar, racconta l'epopea di una famiglia spezzata dalla catastrofe e dalla stessa pronta a ripartire e vivere per i trent'anni successivi, in attesa della possibilità, un giorno, di potersi finalmente riunire.
Per quanto mi riguarda, Aftershock ha assunto una valenza importante già dalle prime sequenze, che a prescindere dagli effetti forse non all'altezza del Cinema americano cui tutti noi occidentali siamo abituati, riesce più che bene a trasmettere l'orrore che dev'essere trovarsi vicini all'epicentro di un sisma di questa portata, e vedere i propri cari lottare per la vita contro la Natura: come se non bastasse, la scelta forzata della madre dei piccoli Fang Deng e Fang Da impostale dai primi soccorritori rappresenta probabilmente l'incubo di qualsiasi genitore, quello di essere l'ago della bilancia della morte o della salvezza di uno soltanto dei suoi figli.
Proprio il personaggio della madre, segnato non solo dalla tragedia ma anche dalla responsabilità di una scelta da incubo come quella, rappresenta il metronomo di una pellicola intensa e drammatica, molto classica e rispettosa - probabilmente in Cina un lavoro di questo tipo finisce per essere molto ben accolto e poco scomodo - ma altrettanto genuina e coinvolgente, capace di raccontare la lotta della gente comune a fronte di eventi talmente grandi e devastanti da seppellire o in grado di far trovare la forza necessaria a compiere imprese straordinarie per quanto mascherate da assoluto ordinario - dalla scelta di non voler abbandonare il luogo del dramma e la prima casa abitata dopo il sisma a quella corriera fermata in tempo affinchè ad una donna non fosse tolto anche l'ultimo legame con la vita -.
Personalmente, in una situazione come quella mostrata dal regista, credo preferirei morire piuttosto che trovarmi a decidere quale dei miei figli salvare a scapito della vita dell'altro, magari proprio permettendo loro di sopravvivere: ma la Natura ha i suoi cicli e le sue regole, e noi che ne facciamo parte, possiamo solo lottare con tutte le nostre forze affinchè le persone che amiamo sentano la nostra presenza e possano sapere che, distanti o alla porta accanto, saremo sempre con loro.
Perchè quel tipo di legame, fatto di lacrime e sangue, ma anche di qualcosa che solo chi l'ha provato almeno una volta nella vita conosce, ha e da la possibilità di resistere a qualsiasi catastrofe, e che nessuna catastrofe è in grado di spezzare.
E biologico o no, dai parenti più prossimi agli amici più cari, personalmente adoro chiamare quel legame Famiglia.




MrFord




 

6 commenti:

  1. Di tragedie ce ne sono già abbastanza nei telegiornali.
    Questa catastrofica fordianata quindi mi sa che me la risparmio.
    E ciò non è un grande shock... :)

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    1. In effetti non mi sembra neanche per sbaglio una cosa per te. ;)

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  2. Siamo appassionati di cinema asiatico,provo a segnalarlo al Khal,anche se essendo vecchiotto(il film),mi sa che se gli interessava l'avremmo già visto ;)
    Che cosa terribile il terremoto :(

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    1. Il terremoto - e questo in particolare - terribile, ma questo comunque se vi capita guardatelo. Una visione ci sta tutta.

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  3. Di solito non amo i film del genere, ma questo mi ha colpito dentro...

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    1. Senza dubbio colpisce. Del resto, l'argomento è importante.

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