Torno, e con il botto.
Perchè Bellocchio sarà anche un radical chic supersnob ed intellettualoide, ma Vincere conferma che è anche uno dei più grandi registi italiani attualmente in attività.
Ad un'apertura fulminea - la sfida di Mussolini, giovane esponente del partito socialista, a Dio in persona - segue una prima parte purtroppo solo ed esclusivamente concentrata sull'estetismo sfrenato delle immagini - splendido, non c'è che dire, ma decisamente insipido - e sui duetti nella penombra del talamo di Timi/Mussolini e Mezzogiorno/Dalser.
Tanto da farmi temere per la caduta rovinosa di un regista che, negli ultimi anni e con le recenti opere, pareva aver ritrovato la magia che permeava il suo straordinario debutto, quel Pugni in tasca datato ormai 1965: ma evidentemente a Bellocchio piace giocare, così si tiene le carte migliori per il finale.
Nel momento cruciale della pellicola - il passaggio anche fisico fra il Mussolini cinematografico e quello reale dei filmati di repertorio sapientemente distribuiti all'interno del film - il registro, ed il regista, cambiano marcia dedicandosi principalmente al dramma di una donna sola contro un Paese, un Governo, una realtà che uno psichiatra definirà transitoria - "Tenga duro, Ida, pensi al futuro: il fascismo non durerà per sempre." - ma che pare schiacciante e granitica come il busto del Duce che il piccolo Benito Albino fa cadere senza riuscire a distruggere.
E il dramma umano che coinvolge anche le poche persone ancora vicine alla disperata protagonista diviene critica feroce alla Chiesa - straordinario il dialogo fra Ida e la Madre Superiora - e al regime imposto da uomini che paiono conoscere solo sotterfugio e violenza, quand'anche questa non sia esplicitamente fisica.
Un Changeling alla rovescia e dalla potenza smisurata, che si traduce in due carrellate da antologia nel momento della separazione di Ida e il suo adorato figlio e nell'ultimo arresto avvenuto di fronte a tutto il suo paese, una piccola comunità della provincia trentina.
La folla lotta, cerca di aprire la portiera della macchina che sta conducendo questa donna sola e non più abbandonata di nuovo in manicomio - dove morirà -, grida "assassini" alle camicie nere, prima di lasciare il campo e l'inquadratura al silenzio di Ida, che guarda avanti a se mentre alle sue spalle scorrono le scritte sui muri "Il Duce ha sempre ragione".
Il tempo di voltarsi verso la macchina da presa, ed arrivano le parole magiche: "Non dimenticatevi di me."
Bellocchio non l'ha fatto. Perchè sarà un intellettuale un pò troppo snob e dai gusti eccessivamente estetizzanti, ma non dimentica. E non perdona.
E proprio quando, con i brividi, pare sia tutto finito, il regista, come la sua protagonista, ci ricorda di non dimenticarci di come era iniziato: la sfida di Mussolini a Dio.
"Se entro cinque minuti Dio non mi avrà fulminato, sarà la prova che non esiste."
Mussolini, ricorda la grafica in chiusura, morirà giustiziato dai partigiani nel 1945, più di trent'anni dopo.
Forse Dio non ha la stessa concezione del tempo che possiamo avere da queste parti, ma qualche dubbio, in proposito, rimane.
Bellocchio rinnova la sua sfida. Forse la vince, e forse no. Del resto, il senso del grido che da titolo al film è stato solo l'antefatto di una sconfitta. La nostra, prima della sua.
Più che di Dio, in questo Paese pare si possa parlare solo del Divo.
Ma questa è un'altra storia.
"L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto e un Dio che è morto."
MrFord
Welcome back Mr Tattoo
RispondiEliminaLove ya
su questo sono completamente d'accordo, film meraviglioso!
RispondiEliminaFilmone totale, una delle vette del cinema italiano degli ultimi dieci anni.
RispondiEliminaVincere, Il divo e L'uomo che verrà sono i classici del futuro.