lunedì 30 aprile 2012

The Avengers

Regia: Joss Whedon
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 142'



La trama (con parole mie): il Tesseract, magico e potentissimo artefatto in grado di segnare le esistenze di interi mondi, da tempo in mano allo Shield di Nick Fury, finisce nel mirino dell'esiliato e rancoroso Loki, alleatosi con i pericolosissimi Chitauri, una razza di alieni dalle belligeranti intenzioni di conquista.
Quando la situazione diviene particolarmente grave e le prospettive per la Terra paiono davvero poco rassicuranti, lo stesso Fury rispolvera un vecchio progetto di supergruppo in grado di contrastare minacce troppo grandi per le comuni difese: ed è così che il da poco "scongelato" Capitan America, il dio norreno Thor, l'instabile Bruce Banner - con il suo alter ego Hulk pronto ad esplodere -, i due letali agenti Vedova nera e Hawkeye ed il miliardario playboy filantropo ed esibizionista Tony Stark/Iron man si ritrovano a dover appianare tutte le loro divergenze giusto in tempo per ricacciare Loki ed il suo esercito nelle profondità da cui sono emersi.




Cominciamo con il botto: The Avengers è il miglior film di supereroi dai tempi de Il cavaliere oscuro.
Diverso, completamente lontano dall'ottica dark e giocata sull'inganno delle complicate architetture di Nolan, eppure incredibilmente efficace nel suo essere colorato, roboante, tamarro, casinista e larger than life.
Joss Whedon, prendendo spunto dall'affresco che i Marvel Studios hanno cercato di preparare nel corso delle loro produzioni degli ultimi anni - dall'Hulk del grande assente Edward Norton all'Iron man di Jon Favreau e Robert Downey Jr passando per i recenti Captain America e Thor -, riesce nell'impresa di convogliare in questo kolossal del genere l'azione sfrenata e gli effettoni necessari per lasciare il pubblico a bocca aperta, una nemesi interessante e sfaccettata - l'ottimo Loki interpretato da Tom Hiddleston -, una caratterizzazione dei personaggi funzionale e profonda ed un'ironia spiccata in grado di rendere quella che, a tutti gli effetti, dovrebbe essere una pellicola dalla forte connotazione drammatica - sempre nel suo ambito, ovviamente - una sorta di grande circo del divertimento anche di fronte ai momenti più "pesi" della stessa.
Merito di una grande sceneggiatura che dimostra lo stato di forma ottimo del papà di Buffy, in grado di rendere interessanti anche personaggi statici come Thor e il vecchio Capitano, caratterizzare al meglio anche i charatchers di contorno - l'agente Coulson su tutti - e lasciare che Iron man e Hulk divengano a tutti gli effetti i protagonisti assoluti, complici la consueta performance sopra le righe di Downey Jr e l'apporto fondamentale di Mark Ruffalo, certamente più adatto di Edward Norton a ricoprire i panni del Dottor Banner: di pari passo, la regia riesce a non deludere la parte più sguaiata dell'audience così come gli spettatori più avvezzi all'autorialità, che finiranno per ritrovarsi ad inneggiare presi dall'esaltazione neanche fossero gli ultimi dei nerd più accaniti dei fumetti di Mamma Marvel - il cui spirito, peraltro, è pienamente rispettato -.
E sempre parlando di sequenze memorabili, occorre riconoscere a questo The Avengers di aver centrato un filotto invidiabile di momenti cult, dai primi confronti Thor/Iron man - impareggiabile la testata del Dio del tuono - e Thor/Hulk all'apocalittica battaglia che vede i Vendicatori finalmente uniti fronteggiare l'esercito dei Chitauri nei cieli e per le strade di una Manhattan dominata dalla Stark Tower, in cui ognuno degli eroi trova il proprio spazio nella difesa e nell'offensiva e l'intero spirito dell'operazione si conferma dominato da una volontà di leggerezza e freschezza da fare invidia ai lavori di Edgar Wright: è proprio in questi frangenti che il personaggio di Hulk, profondamente drammatico e segnato da tormenti interiori che percorrono più di mezzo secolo di storia di "nuvolette parlanti", esce dal guscio che l'ha sempre caratterizzato - ricordo il noiosissimo polpettone che esibì in merito Ang Lee - per regalare al pubblico un nuovo lato della sua furia, che passa dal momento da brividi del "io sono sempre arrabbiato" - sequenza che ha provocato nel sottoscritto la stessa esaltazione di quella del camion ribaltato nel già citato Il cavaliere oscuro, per intenderci - ai due passaggi cult che vedono protagonista il gigante di giada e i due fratellastri Thor e Loki.
Il primo è una chicca di umorismo slapstick e profonda abilità nel delineare il personaggio, il secondo un piccolo Capolavoro di sguaiataggine da film action trash - quel "un dio piuttosto gracile" ancora mi lascia senza fiato -.
Un'esibizione dalla solo apparente mancanza di controllo che porta nuovamente alla ribalta Whedon e fa sperare benissimo per la realizzazione di un sequel che vedrà il gruppo di eroi fronteggiare una minaccia tra le più terribili e "cosmiche" dell'intera storia dell'Universo Marvel, invertendo di fatto una tendenza andata consolidandosi nelle ultime stagioni cinematografiche: in effetti la storia recente non era stata troppo tenera con le pellicole tratte dalle realtà superomistiche, tanto da insinuare il dubbio che le stesse fossero in procinto di diventare una sorta di ridicolo carrozzone in continua esibizione di mezzi sempre e solo sfruttati per le convenienze commerciali del momento, rischiando di trasformare il genere nell'involontaria parodia di se stesso.
The Avengers segna, di fatto, un nuovo punto di partenza, e fissa uno standard che, a mio parere, potrà essere superato soltanto dall'imminente ritorno del Batman nolaniano sugli schermi - previsto per quest'estate -: intrattenimento intelligente con tutto il gusto a metà tra il kitsch ed il sentimentale tipico degli eroi in calzamaglia, icone di una forma d'arte fin troppo sottovalutata come il Fumetto ed ora anche del Cinema.
Joss Whedon e i suoi Vendicatori hanno dato prova - non fosse bastato il pluricitato Nolan - che anche prodotti tamarri di questo tipo possono essere a buon diritto considerati figli più che legittimi della settima arte nella sua accezione migliore, in barba a tutte le credenze da "duri e puri" dell'autorialità sfrenata da saletta d'essai.
Perchè The Avengers è una ficata, senza se e senza ma.
Così una ficata da farmi rivalutare anche l'utilizzo del 3D, da me sempre osteggiato, e trovarlo funzionale.
Così una ficata da far risultare riduttivo il termine stesso.
Perchè ce n'è un altro, che ben si adatta alla situazione.
Che prendo volentieri in prestito dal vocabolario di un certo gigante verde.
The Avengers spacca.
E spacca forte.


MrFord


"We're insane but not alone,
you hold on,
and their gone,
like the sun we will live to rise,
like the sun we will live and die,
and then ignite again,
like the sun we will live to rise again."
Soundgarden - "Live to rise" -


 

domenica 29 aprile 2012

Uccellacci e uccellini

Regia: Pier Paolo Pasolini
Origine: Italia
Anno: 1966
Durata: 89'



La trama (con parole mie): Totò e Ninetto, padre e figlio, camminano lungo le strade della periferia ancora spoglia di Roma, incrociando le loro esistenze con quella di un corvo parlante professore di filosofia che espone ai due uomini teorie e fiabe che possano portarli alla riflessione rispetto alla politica, alla religione e al futuro.
Così, tra un racconto ed una rocambolesca sosta forzata in mancanza di un bagno, i tre viaggiano attraverso il tempo e lo spazio confrontando l'approccio terreno dei due umani e quello "alto" del volatile, convinto assertore del comunismo precedente alla morte di Togliatti.
Passati dalla riscossione presso poveri contadini nei propri terreni al pagamento nella casa di un architetto facoltoso, Totò e Ninetto, stanchi del ciarlare del corvo, finiranno per dire l'ultima parola di questa neppure troppo voluta seduta di discussione.




So cosa state pensando.
Due bicchieri e mezzo ad uno dei film universalmente più incensati di uno dei nostri registi più importanti, quel Pier Paolo Pasolini che ha regalato, nel corso della sua carriera, pellicole straordinarie e poesia agli spettatori di tutto il mondo, sono una bella sfida.
Ebbene sì. Quando ci vuole, ci vuole. Anche se si tratta di grandissimi.
Ma occorre fare un passo indietro, per spiegare questa scelta che, di fondo, altro non è se non una media: perchè Uccellacci e uccellini, rivoluzionario e clamoroso alla sua uscita - ormai quasi cinquanta primavere fa -, ricco di riflessioni che toccano vita e morte, politica e religione, costume e società, ora, nel pieno di questi anni zero ancora senza identità, risulta vecchio e verboso, a tratti perfino ammorbante, e finisce per trasformare la meraviglia del colpo di genio dei titoli cantati da Domenico Modugno in una reazione che è simile a quella di Totò e Ninetto Davoli con il finale, assumendo, di fatto, il ruolo del corvo saccente rispetto a noi poveri cristi in cammino sulla strada della vita.
Un peccato, effettivamente, che il lavoro assolutamente unico di Pasolini abbia inesorabilmente perso smalto con il passare del tempo, eppure non sono riuscito - neppure, a tratti, forzandomi - a trovare una possibile chiave di lettura più moderna che svecchiasse i temi così eloquentemente esposti dal pennuto, finendo per trovarmi - senza riuscire minimamente ad empatizzare con loro - spesso e volentieri in accordo con i protagonisti umani, finale compreso.
Certo, alcuni passaggi paiono non aver subito l'erosione del tempo - in particolare le riflessioni di natura religiosa, ancora assolutamente attuali e simili a quelle proposte nella musica da un signore chiamato Fabrizio De Andrè -, eppure Capolavori come Il Vangelo secondo Matteo o Accattone appaiono lontani anni luce da quello che assume le connotazioni di un esperimento di solo cuore - con tutti i limiti del caso - e che non riesce a tirare fuori il meglio neppure da Totò, interprete che è parte integrante della nostra cultura e del nostro Cinema ma che sicuramente appare troppo imprigionato in se stesso per poter esprimere al meglio quello che il suo personaggio sulla carta avrebbe potuto dare.
Resta invece inalterato il fascino incredibile della periferia romana ancora in fieri di allora, fatto di campagna e miserie umane e sociali da brividi, ritratto al crocevia di neorealismo e surrealismo, quasi l'eredità dei De Sica e dei Rossellini andasse ad incontrare la visionarietà di Bunuel: anche in questo caso, però, basta pensare al meraviglioso Le notti di Cabiria firmato Fellini per cogliere il senso di incompiutezza di questa pellicola, uno sfoggio affascinante e magico della poetica intellettuale di Pasolini tuttavia incapace di lasciare a bocca aperta come i più grandi Capolavori di un Autore e un Artista scomparso troppo presto da un mondo, senza dubbio, troppo crudele per lui.
Un mondo in cui i corvi vengono mangiati per davvero.
Specie se gay, comunisti e dalla risposta pronta.
E in questo, non c'è Tempo che tenga: la nostra società è rimasta uguale.


MrFord


"Like a bird on a wire
like a drunk in a midnight choir
I have tried in my way to be free.
Like a fish on a hook
like a knight in some old fashioned book
I have saved all my ribbons for thee."
Leonard Cohen - "Bird on a wire" -


sabato 28 aprile 2012

Spartacus: vengeance

Produzione: Starz
Origine: Usa/Nuova Zelanda
Anno: 2012
Episodi: 10



La trama (con parole mie):  il massacro avvenuto nella casa di Batiatus ha dato il via alla rivolta di Spartacus, deciso a lottare - fino alla morte, se necessario - contro i Romani che l'hanno privato della donna che amava e della libertà. Al suo fianco restano Crissus - ossessionato dal desiderio di ritrovare l'amata Naevia - e Agron, mentre Enomeo pare sconvolto dai sensi di colpa per essersi ribellato al padrone che gli aveva promesso di renderlo un cittadino, nonchè proprietario del suo ludus.
A Capua la tensione cresce, e da Roma giungono per risolvere la spinosa questione Varinio e Glabro, vecchio nemico di Spartacus, in modo da mettersi in mostra agli occhi del Senato soffocando i moti ribelli: il loro compito risulterà più arduo del previsto, complici anche gli intrighi di Seppio e della sua giovane sorella, di Ilizia - che sta per dare alla luce l'erede di Glabro - e della rediviva Lucrezia, sopravvissuta alla carneficina avvenuta nella sua villa.
Spartacus, dal canto suo, dovrà fare fronte alle tensioni tra Galli e Germanici, alla fame e alla mancanza di guerrieri ed armi: la resa dei conti di questa prima parte della sanguinosa lotta tra i ribelli e la Rebubblica avverrà alle pendici del Vesuvio, dopo aver sconvolto il cuore della stessa Capua.




Chi l'avrebbe detto che una serie iniziata, ai miei occhi, come la versione tamarra e sguaiata de Il gladiatore o Alexander dalle rimembranze del 300 firmato Zack Snyder - che, come ormai chi frequenta il saloon da qualche tempo sa bene, ho detestato profondamente - sarebbe diventata uno dei cult indiscutibili del 2012 delle serie tv in casa Ford?
Nessuno, probabilmente. Io per primo.
E invece Spartacus è riuscito a sorprendermi e smentirmi, ritagliandosi un posto di assoluto rilievo tra le visioni più apprezzate di questa prima metà dell'anno - almeno per quanto riguarda il piccolo schermo -, fissando uno standard che già da ora fa salire l'aspettativa per la prossima - ultima? - stagione e superare il trauma della morte prematura del protagonista Andy Whitfield, lo Spartacus che in casa Ford avevamo imparato ad apprezzare episodio dopo episodio, sostituito dal più giovane ma decisamente meno prestante Liam McEntyre.
Effettivamente quest'ultimo rappresenta il vero punto debole della terza serie dedicata alle gesta del ribelle più famoso della storia di Roma, privo della forma - spesso e volentieri il nuovo Spartacus indossa corpetti che, di fatto, nascondono la differenza sostanziale tra lui ed i suoi più imponenti e scolpiti colleghi - e del carisma del suo predecessore, ma ugualmente grintoso, e senza dubbio non privo di margini di miglioramento ampi in attesa del prossimo anno, quando assisteremo alla parte finale - e più drammatica: ricordiamo che la rivolta di Spartacus è destinata a finire nel sangue dei suoi protagonisti - di questa saga.
Il resto, dal cast agli intrighi, dal sesso alla morte, funziona a meraviglia, ed anche la CGI dal gusto kitsch e tamarro che tanto mi disturbò nelle prime puntate ora mi pare perfetta per un prodotto volutamente sopra le righe per il quale risulta impossibile non provare l'esaltazione tipica da testosterone in eccesso o, più semplicemente, da partecipazione ad un'impresa assolutamente persa in partenza che resta una delle testimonianze più forti di ribellione al concetto di schiavitù nel mondo antico.
Ammetto inoltre che il passaggio dalle battaglie nell'arena a quelle per l'affermazione del proprio diritto di uomini liberi di Spartacus e dei suoi abbia provocato un esponenziale aumento della mia empatia verso i protagonisti, tratteggiati benissimo e costruiti con intelligenza, partecipazione e profondità - il lavoro degli autori sui personaggi rappresenta, di fatto, il vertice "autoriale" del prodotto -: charachters come Ashur - uno dei favoriti di casa Ford - risultano pressochè perfetti, e perfino nei peggiori tra i Romani - e tra i ribelli - è possibile trovare una scintilla in grado di accendere il fuoco della passione ed esercitare un fascino a tratti anche perverso sull'audience.
Senza contare sul piatto forte: la ribellione.
Attraverso gli occhi, il cuore, le azioni e le loro conseguenze troviamo interpretazioni diverse della stessa fornite da ognuno di questi ex schiavi pronti a dare anche la vita pur di non tornare sotto il giogo della Repubblica: da Spartacus stesso - che scopre passo dopo passo di essere a capo di una rivolta che potrà essere nata dal desiderio di vendetta per la moglie uccisa tempo prima dai sicari di Batiatus dopo essere stata resa schiava da Glabro ma che, di fatto, diviene il simbolo di qualcosa di più grande delle loro singole esistenze - a Crissus - mosso dall'amore per Naevia e dal desiderio di poter vivere libero con lei, lontano da Roma, e da un concetto di onore appreso nell'arena e progressivamente mutato per le necessità imposte dalla guerra -, da Enomeo - smarritosi dopo la notte del massacro nella villa di Batiatus e ritrovatosi nel concetto di fratellanza - a Gannicus - un ritorno graditissimo dal sottoscritto, quello del campione divenuto libero, personaggio egoista e contradditorio eppure clamorosamente votato alla causa grazie al suo legame con Enomeo e la sua defunta moglie Melitta -, da Agron - presentato quasi come una comparsa nel corso della prima stagione e divenuto uno degli alfieri di Spartacus - al vecchio Lucio, nobile che fu uomo della Repubblica caduto in disgrazia che preferisce abbracciare la causa dei ribelli e morire felice per mano "di qualcuno che non è un Romano".
E poi ci sono loro, le donne: raramente una serie ha fornito una galleria di personaggi femminili così forti e profondi, dalle maestre d'intrighi Lucrezia e Ilizia alla giovane Seppia, trovando in Naevia - splendida la sua evoluzione, così come il legame con Crissus - e Mira simboli di un coraggio e di una forza - d'animo, ma non solo - che spesso e volentieri gli uomini possono solo sognarsi, trovando nella loro presenza proprio la spinta che finisce per mancare.
I risvolti di questa serie, così come i suoi personaggi, divengono molteplici con il passare delle puntate, e tutto pare riduttivo, se non il consiglio di buttarcisi a capofitto, facendo il possibile per esserne coinvolti e travolti, dai suoi aspetti più ludici e tamarri a quelli più profondi, che toccano il nostro essere Uomini nel profondo: "noi siamo mostri", dichiara Glabro parlando della sua ossessione di porre fine alla rivolta di Spartacus, che di contro è pronto a rinunciare alla propria vendetta "perchè non avrebbe lo stesso valore rispetto alla mia perdita".
Eppure, gli schiavi divenuti ribelli hanno le mani sporche di sangue almeno quanto i loro nemici Romani: provano rabbia e rancore, e sono dominati da una furia passionale che appare più onesta solo perchè non macchiata dallo spettro terribile della politica. Eppure c'è.
Forse perchè, più che mostri, siamo Uomini. Tutti quanti.
E proprio in quanto tali, meritiamo di giocarci la nostra partita alla pari.
Liberi nel corpo e nell'anima.
Questa è la differenza principale che corre tra quello che ormai è l'esercito di Spartacus e quello della Repubblica più potente dell'antichità.
Questa è la differenza che permette ad un mercenario come Gannicus di scoprire il senso di una lotta persa in partenza. E crederci fino in fondo.
"Meglio regnare all'Inferno, che servire in paradiso", recitava il Lucifero del Paradiso Perduto firmato da John Milton.
Meglio liberi all'Inferno, che schiavi in Paradiso, mi viene da pensare.
E un brivido corre lungo la schiena all'idea che sarebbe stato un onore battersi accanto a Spartacus fino alla fine.


MrFord


"People say that you'll die
faster than without water.
But we know it's just a lie,
scare your son, scare your daughter.
People say that your dreams
are the only things that save ya.
Come on baby in our dreams,
we can live on misbehavior."
Tha Arcade Fire - "Rebellion (lies)" -


venerdì 27 aprile 2012

I diari della motocicletta su www.whatyoulove.it

La trama (con parole mie): e così, anche il vecchio Ford, post dopo post, finisce a fare delle ospitate. Nella cornice dell'ottimo www.whatyoulove.it, tra un viaggio e l'altro, c'è spazio per un post del sottoscritto dedicato alla pellicola firmata da Walter Salles che racconta il viaggio attraverso l'America Latina intrapreso nel 1951 da due giovani destinati a fare la Storia: Alberto Granado ed Ernesto Guevara.



A questo punto, non mi resta che invitarvi a scoprire il tutto cliccando il seguente link, -http://www.whatyoulove.it/2012/04/26/un-continente-una-motocicletta-due-amici-, leggere e commentare come se foste qui al saloon.
L'occasione mi riporta alla mente l'incontro che ebbi con Alberto Granado qualche anno fa, emozionante e pane e salame neanche ci si trovasse sul mio bancone, e tutta la mitologia attorno al mito del ragazzo che sarebbe divenuto il "Che".
In questo caso, più che ai film dedicati alle sue imprese da combattente, vi consiglio il Capolavoro a fumetti Che firmato da Oesterheld e Breccia: una meraviglia per la quale lo sceneggiatore fu ucciso dal governo argentino ai tempi drammatici dei desaparecidos.
Insomma, materia ce n'è, almeno quanto voglia di muoversi, vivere e viaggiare.
Approfittatene.


MrFord


"Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa
che "Che" Guevara è morto, forse non tornerà,
ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni
e voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni,
da qualche parte un giorno, dove non si saprà,
dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà,
da qualche parte un giorno, dove non si saprà,
dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà!"
Francesco Guccini - "Stagioni" -


Last friday night

La trama (con parole mie): settimana piuttosto movimentata, quella che ci aspetta in sala, e certo non per i commenti come sempre ben poco interessanti del mio antagonista Cannibale.
Nonostante le consuete proposte terrificanti made in Italy, infatti, abbiamo la possibilità di scegliere tra blockbusteroni tamarri per una serata divertente e fracassona, tentativi di Cinema d'autore con tanto di Johnny Depp scatenato in omaggio e ripescaggi molto interessanti pur se figli di una distribuzione nostrana a dir poco assurda.
Comunque meglio di quello che, di norma, siamo costretti a sorbirci per il fine settimana.


"E' arrivato il Cannibale!? Allora io me ne vado senza pensarci due volte!"
The Avengers di Joss Whedon


Il consiglio di Ford: Vendicatori uniti... Contro il Cucciolo Eroico!
Da appassionato di fumetti nonchè tamarro cronico non posso che attendere con ansia il titolo fracassone della settimana, ormai pubblicizzato da anni in coda ad ogni film targato Marvel - Hulk, Iron man, Thor, e chi più ne ha più ne metta -.
Tra l'altro, dietro la macchina da presa c'è Joss Whedon, che farà andare il mio antagonista in brodo di giuggiole, tentando l'impresa di mettere d'accordo i due più acerrimi nemici della blogosfera: ci riuscirà?
Attendete le prossime visioni e lo scoprirete!
Il consiglio di Cannibal: Joss Whedon, salvaci tu dai supereroi!
Da non appassionato di fumetti, da non appassionato di supereroi e soprattutto da non appassionato di tamarri, di questo The Avengers non me ne frega più di tanto, anche considerando che i film di Iron Man, Thor e Hulk finora mi hanno fatto tutti piuttosto pena. Insomma, a gran voce grido: basta pellicole sui supereroi!
La sorpresa però potrebbe arrivare dalla regia, firmata dal mio preferito Joss Whedon, il paparino di Buffy. Riuscirà a evitare che sia la solita operazione di marketing spacciata per film?
E riuscirà Ford a scrivere commenti validi invece di sproloqui senza senso spacciati per la Verità suprema sul Cinema?
In entrambi i casi, ne dubito…

"Abbiamo dovuto radere al suolo la città, ma finalmente il Cannibale è stato annientato!"
The rum diaries - Cronache di una passione di Bruce Robinson


Il consiglio di Ford: rum, rum, noi vogliamo del rum!
Dal titolo parrebbe un biopic incentrato sulla vita piratesca del vostro vecchio cowboy Ford, invece altro non è se non un tentativo di riportare Johnny Depp ai fasti di Paura e delirio a Las Vegas dopo le recenti schifezze interpretate da uno degli attori più amati delle ultime generazioni.
In realtà il film è stato girato una vita fa, ma in una settimana di ripescaggi come questa la cosa non suona neppure strana: potrebbe rivelarsi una schifezza atomica da bottigliate o una discreta ficata. Staremo a vedere, perchè in ogni caso non mi perderei mai un film che è l'incontro tra road movie, alcool e letteratura.
E brindo alla faccia di quel pusillanime del mio antagonista sempe chiuso in casa vestito da Coniglione!
Il consiglio di Cannibal: viva il rum, abbasso WhiteRussian!
Leggendo il titolo non mi viene certo in mente la vita piratesca (?) del Ford. A spasso con Daisy, quello sì che è un titolo che mi fa venire in mente il vecchio Ford! Uahahah
E poi Ford smettila di fingerti tutto ‘sto gran bevitore, che sei talmente un fisichella che manco bevi la birra, femminuccia che non sei altro!
Il film comunque si preannuncia una discreta schifezza. Negli Usa è stato ignorato alla grande e sembra la versione di noiosa e di serie B di Paura e delirio a Las Vegas. L’unico motivo per vederlo? Non un Johnny Depp dopo The Tourist ormai sempre più in caduta libera, bensì Amber Heard.
E ora tutti a bere, alla faccia di quell’astemio del whiterussian Ford!

"Ford, smetti di perdere tempo a scrivere rubriche con il Cannibale e vieni a farti un bagno di mezzanotte con me!"
Laputa - Il castello nel cielo di Hayao Miyazaki

Il consiglio di Ford: meglio un castello nel cielo che un Cannibale in terra!
Non mi spiego per quale motivo venga distribuito in sala un film targato Miyazaki ormai di secoli fa, ma poco importa: le opere del Maestro e fondatore dello Studio Ghibli sono sempre una garanzia, quindi sarebbe da folli perdersele.
Io, giusto per essere partecipe, potrei rispolverare il dvd che acquistai almeno cinque anni fa, quando per la prima volta uscì nei negozi italiani.
Il consiglio di Cannibal: alla buon'ora - parte 1
Questo film è solo di 27 anni fa, quindi massì perché non farlo uscire adesso?
Io davvero non so cosa abbiano dentro la testa i distributori italiani. Forse farfalle, forse niente, forse degli omini che fanno un incontro di wrestling come dentro il cranio di Ford…
Non lo so, fatto sta che fanno uscire sto film in presumibilmente una decina massimo di sale, quando la pellicola è già disponibile in italiano da un sacco. C’era arrivato persino Ford, non certo la pistola più veloce del West, voi distributori italiani ci arrivate dopo appena 27 anni?
Comunque, il film è tra quelli di Miyazaki che mi mancano. Sarà all’altezza delle sue pellicole migliori? E, soprattutto, dentro la testa di Ford lo scontro sarà vinto da Hulk Hogan o da John Cena?

"I Vendicatori hanno annientato il Cannibale: che felicità!"
Ho cercato il tuo nome di Scott Hicks

Il consiglio di Ford: non ti ho cercato, Cannibale. E non ti cercherò.
Una schifezza atomica dall'alto tasso di retorica a stelle e strisce di quelle malsane e per nulla pane e salame, infarcita di luoghi comuni e come se non bastasse interpretata da quel parruccone di Zac Efron.
Un High school musical a ritmo di Iraq e zuccherosi sentimenti che lascio ben volentieri al Cucciolo Eroico, chissà mai che, abbagliato dal suo idolo teen, non trovi il suo film dell'anno.
Il consiglio di Cannibal: ho cercato il tuo nome tra le lapidi del cimitero, Ford. Uahahahah!
I film tratti dai romanzi di Nicholas Sparks sono l’equivalente americano di quelle di Moccia in Italia, con in più l’aggiunta di una componente da drammone strappalacrime di quelli in grado di far piangere il finto duro Ford. Roba che quindi prima o poi vedrò, per farmi delle risate di gusto.
Quanto a Zac Efron, negli ultimi tempi si è gonfiato di steroidi e quindi ormai più che un teen idol cannibale può entrare a pieno diritto tra i Ford idol. E poi ammettilo Ford che il friday night ti fai le seratone di karaoke cantando le hit di High School Musical!

"Fare palestra e fingermi più macho non è servito: il Cannibale mi ha scaricato!"
Interno giorno di Tommaso Rossellini

Il consiglio di Ford: tutti i radical chic verranno rispediti all'esterno a suon di bottigliate.
Ed eccoci al primo film italiano inutile della settimana, una polpettonata radical chic infarcita di figli d'arte che solo al pensiero mi fa incazzare come un toro.
Materia cannibalesca dal primo all'ultimo minuto. Io faccio finta di nulla, altrimenti finisce che comincio a fare andare le mani.
Il consiglio di Cannibal: interno giorno? Meglio l’esterno notte
Materia cannibalesca sta roba? Ma se sei tu il fan numero uno della famiglia Rossellini? Io faccio volentieri a meno sia dei film del nonno che ancor di più di quelli del nipotino d’arte. Neo neorealismo? Ford ha già un posto prenotato al cinema!

"Ho sentito dire che i Vendicatori hanno finalmente sistemato il Cannibale." "Evvai!"
Hunger di Steve McQueen

Il consiglio di Ford: in Italia per avere film interessanti in sala dobbiamo ripescare cose uscite da anni.
Hunger è il primo film di Steve McQueen, autore del recente Shame.
Come quest'ultimo, non mi aveva convinto al massimo -http://whiterussiancinema.blogspot.it/2012/01/hunger.html-, nonostante la messa in scena ottima e l'interpretazione incredibile di Fassbender: eppure, a fronte di titoli made in Terra dei cachi come quello appena segnalato, Hunger potrebbe facilmente diventare il film della settimana.
Il consiglio di Cannibal: alla buon'ora - parte 2
Se per Laputa ci sono voluti 27 anni, per Hunger ce ne sono voluti appena 4, quindi: Hallelujah!
La distribuzione italiana dimostra così sempre più di essere la cosa più lenta sulla faccia della terra dopo… esatto: Mr. Ford.
Il primo film di Steve McQueen comunque non mi ha esaltato parecchio, è una pellicola interessante però ho trovato molto meglio Shame, quello sì un cazzo di capolavoro!

"Michael, lo so che i film che propone il Cannibale sono dei pipponi pazzeschi, ma se continui con lo sciopero della fame finirai per schiattare sul serio!"
Maternity blues - Il bene dal male di Fabrizio Cattani

Il consiglio di Ford: il blues vero viene guardando le prospettive del nostro Cinema.
Secondo titolo che mi puzza di tentativo pseudo d'esportazione con venature radical chic e poco altro.
Tema scomodo, grandi ambizioni, ma risultato "troppo italiano".
Altra roba che scarico volentieri sul Cannibale insieme ad una camionata di mattoni.
Il consiglio di Cannibal: più che il bene dal male, io vedo solo del male e basta
Laddove Ford parla come al solito di radical-chic, io vedo invece l’ennesimo polpettone neo neorealista. Ognuno ha le sue ossessioni, no? Qualunque siano le ragioni, entrambi comunque eviteremo questa Ciofeca blues. Alla fine, ecco un film che ci mette d’accordo!

"Un appunto personale: mai più comprare una rivista dove scrive il Cannibale!"
La casa nel vento dei morti di Francesco Campanini

Il consiglio di Ford: il vento dei morti è quello delle proposte italiane.
Terzo titolo italiano della settimana, e terzo film che non vedrei neanche sotto minaccia di convivenza forzata con il Cannibale.
Mano alle bottiglie e rullo di tamburi: Ford 3, Cinema italiano 0.
Palla al centro e attendiamo la prossima settimana.
Il consiglio di Cannibal: il cinema nel vento dei morti
Consiglio a tutti di guardare il trailer di questo film, perché è una vera chicca di trash allo stato puro.
Quanto a Ford, fa le triplette contro il cinema italiano, ok, ma ci va davvero poco. Quando se la deve vedere con un rivale cannibale nelle Blog Wars, invece, il risultato è decisamente meno a suo favore. Buahaha!

"Che razza di mortorio! Pensavamo di finire nella casa di Raimi, e invece siamo finiti in quella del Cannibale!"

I Muppet

Regia: James Bobin
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 103'



La trama (con parole mie): Walter è un muppet alla nascita, proprio come i pupazzi eroi della sua infanzia, ed insieme al fratello umano Gary ha mantenuto, negli anni, un'ammirazione sconfinata per Kermit e soci.
Quando, nel corso del viaggio di Gary e della sua fidanzata Mary per il loro decimo anniversario in California, a Los Angeles Walter visita gli studi ormai in rovina della vecchia serie dei Muppets, scopre che un magnate del petrolio vuole mettere le mani sul terreno per demolire un pezzo della storia della televisione.
Inizia così un viaggio della speranza in modo che la vecchia banda si riunisca ed allestisca uno spettacolo in grado di portare nelle casse del gruppo i dieci milioni di dollari che serviranno ad estromettere il minaccioso nuovo acquirente dalla proprietà.
Il tutto con tanta, troppa Disney e tanto, troppo miele.




Io ce l'ho messa proprio tutta.
Ricordo quanto, da piccolo, adorassi i Muppets, con le loro curiose canzoni e le strane movenze, quell'ironia che non sempre riuscivo a cogliere e le follie dei miei due preferiti in assoluto, Animal e Gonzo.
Quando venne annunciata l'uscita del film, in testa ad un'operazione amarcord come spesso e volentieri è capitato negli ultimi anni, ricordo rimasi con più di una perplessità di fronte all'idea di riesumare Kermit e soci negli anni zero, con tutta la loro mancanza d'innocenza e gusti ormai completamente diversi rispetto a quei fantastici primi anni ottanta: poi, recensione dopo recensione, finii per risultare molto incuriosito dal lavoro di James Bobin, definito splendido da molti, omaggio perfetto allo spirito che animava i pupazzi più popolari del piccolo schermo di trent'anni fa.
Così, ho finalmente dato fuoco alle polveri e I Muppet è approdato in casa Ford.
Risultato: un'ecatombe dei miei bellissimi ricordi di questi pupazzi pazzi.
Dagli anni ottanta ad oggi sarò stato io a cambiare fino a divenire un vero e proprio bruto, oppure Bobin e soci sono riusciti nella non facile impresa di rendere gli acutissimi Muppets un prodotto per una massa di utenti degni di Teletubbies ubriachi di melassa?
Purtroppo per me e per il pubblico, la seconda che ho detto.
Tolte, infatti, un paio di idee metacinematografiche non disprezzabili ed il rap del malvagio Tex Richman - per il quale si finisce a fare il tifo dall'inizio alla fine -, il resto è qualcosa di così indigesto e sdolcinato, retorico e squinternato da far apparire operazioni meglio riuscite ma dello stesso stampo - su tutte, il recente Come d'incanto - praticamente dei pulp dal taglio nerissimo e senza speranza.
Irritanti all'inverosimile i due protagonisti umani Gary e Mary - interpretata da Amy Adams, già protagonista dell'appena citato Come d'incanto -, che avrei preso a bottigliate selvagge fin dalla prima sequenza per le strade di Smalltown, pessimo il pupazzoWalter, che pare la versione Mickey Mouse di Casa Muppet, letteralmente agghiaccianti gli adattamenti italiani delle canzoni - ma per quale motivo non sottotitolare le parti cantate!? -, per nulla divertenti le scenette, fuori luogo i riferimenti cinematografici "cool" - tutta la cestinabile parte in Il diavolo veste Prada style di Miss Piggy a Parigi -, Muppets importantissimi lasciati ai margini - Gonzo su tutti -, per non parlare delle apparizioni di personaggi dello spettacolo allo sbando come Selena Gomez, Whoopi Goldberg e soprattutto Jack Black - che ormai pare sempre più simile alla caricatura di se stesso - letteralmente uno più ridicolo dell'altro.
Una pellicola in grado di appiattire l'originalità che fu marchio di fabbrica dei Muppets, svilire il loro mito e presentarsi come un irritante quadretto ad alto tasso retorico che neppure sotto tortura proporrei a dei bambini - ma neppure ai nostalgici del periodo nonchè fan della prima ora -: fortunatamente esiste ancora lo Studio Ghibli, che anno dopo anno continua a produrre favole dallo spirito magico in grado di toccare i cuori di grandi e piccini senza far sentire in imbarazzo gli uni o gli altri - si veda il recente, e splendido, Arrietty -, perchè se dovessimo fare affidamento a queste discutibili operazioni commerciali, finiremmo davvero a rimpiangere i tempi in cui la meraviglia pareva davvero una realtà possibile.
Un pò come i mondi che i veri Muppets sarebbero stati in grado di farci esplorare.


MrFord


"But now its getting started
why don't you get things started?
Its time to get things started
on the most sensantional
inspirational
celebrational
muppet-ational
this is what we call The Muppet Show!"
Muppets - "The Muppets theme" -


giovedì 26 aprile 2012

I più grandi di tutti

Regia: Carlo Virzì
Origine: Italia
Anno: 2011
Durata: 100'



La trama (con parole mie): quindici anni fa, i Pluto erano una realtà scoppiettante del rock alternativo di provincia.
Ora Loris, Sabrina, Mao e Rino non si parlano praticamente più, hanno vite lontane da quelle delle rockstar e cercano di fare fronte al tempo che passa e lascia indietro tutto e tutti, specialmente i sogni.
Ludovico Reviglio, un giovane giornalista musicale appassionato fan degli stessi Pluto nonchè più che benestante rampollo di una famiglia altolocata che nel pieno degli anni novanta, proprio dopo un concerto della band, perse la fidanzata e l'uso delle gambe in un incididente stradale, li contatta in modo da realizzare un'intervista da inserire in un documentario costruito interamente su di loro, e chissà, magari organizzare anche una storica reunion sul palco.
L'occasione darà modo ai componenti del gruppo di trovare nuovi stimoli e confrontarsi sui vecchi rancori.




Il fascino del rock di provincia ha sempre avuto una discreta presa, sul sottoscritto, vuoi per le velleità musicali mai effettivamente realizzate - non mi sono mai applicato abbastanza per poter effettivamente farmi il culo necessario per arrivare ad avere un gruppo fisso che avesse almeno un discreto giro di concerti, e non essendo propriamente un piccolo Hendrix o un Pastorius in erba, oltre alla saletta e qualche festa di amici non sono mai andato -, vuoi per un certo senso di appartenenza che ho sempre sentito rispetto ai rocker, specialmente fuori tempo massimo.
Già ai tempi di Radiofreccia mi ero gustato l'omaggio un pò naif e certamente lontano dai titoli effettivamente di valore nel panorama cinematografico italiano di Ligabue con piacere, e l'arrivo in sala di questa pellicola del meno talentuoso dei fratelli Virzì lasciava presagire un'operazione molto simile a quella che portò alla ribalta sul grande schermo il rocker di Correggio: in effetti I più grandi di tutti è uno di quei film da commedia all'italiana alternativa che si fa voler bene proprio per il suo essere outsider - come, del resto, i suoi protagonisti -, è piacevole e divertente, nonchè estremamente vero ed onesto nel finale e nell'evoluzione della storia dei Pluto e dell'intervista del caparbio Ludovico, che probabilmente vede nella band una possibilità concreta di confrontarsi con l'incidente che cambiò la sua vita per sempre.
Purtroppo, però, i modelli del genere come Ovosodo - firmato dal Virzì "titolato" - risultano decisamente distanti, e dal punto di vista prettamente cinematografico il risultato raggiunto da I più grandi di tutti è esile e poco consistente, giocato tutto sui siparietti forniti dai componenti della band neanche fosse un film d'animazione della Dreamworks - neppure dei migliori - e decisamente troppo semplicistico soprattutto rispetto allo script, davvero elementare e poco orientato verso un vero e proprio approfondimento della trama e dei personaggi.
Probabilmente l'interesse del regista era più quello di portare sullo schermo una storia di amicizia tendenzialmente raffazzonata per rivivere un amarcord personale - geografico e culturale - e mostrare un gruppo di quasi quarantenni lontano - fortunatamente - dagli stereotipi mucciniani, fatto di lavoratori - almeno in fieri - e casinisti, scombinati seduttori e padri di famiglia: in questo senso, è interessante scoprire il ruolo di Ludovico - cardine della pellicola, nonchè personaggio più sfaccettato - e la conseguente smitizzazione dei suoi racconti nei ricordi dei membri della band - su tutti il "leggendario" provino per Vasco di Rino, interpretato da Dario Cappanera, che i frequentatori della scena metal nostrana conosceranno di fama - che non l'evoluzione effettiva di una trama praticamente assente.
Interessante anche vedere nel ruolo del timido e barbuto batterista e padre di un futuro rocker Alessandro Roja, che qui in casa Ford era ancora noto come volto dello spietato e da me poco sopportato Dandi di Romanzo Criminale, la serie migliore mai prodotta qui nella Terra dei cachi.
Poco altro resta da dire di un film piacevole ma per nulla destinato a rimanere nella memoria degli spettatori, se non il consiglio di gustarvelo come se guardaste indietro a quando magari proprio voi, nel pieno degli anni del liceo - o dell'università -, rapiti dal dolce far niente dello studio, ci davate dentro con uno strumento insieme ad un gruppo di amici che, chissà, ora sarà disperso tra lavoro, famiglia, crescita o voglia di non crescere, ma che ai tempi vi pareva più vicino della famiglia: potrà essere bello, oppure mostrare il fianco a tutte i miti che il tempo inesorabilmente abbatte.
Ma anche in questo caso, non tutto il male verrà per nuocere.


MrFord


"E ogni volta che non sono coerente
e ogni volta che non è importante
ogni volta che qualcuno si preoccupa per me
ogni volta che non c'è
proprio quanto la stavo cercando
ogni volta
ogni volta quando..."
Vasco Rossi - "Ogni volta" -


mercoledì 25 aprile 2012

Coriolanus

Regia: Ralph Fiennes
Origine: Uk
Anno: 2011
Durata: 122'



La trama (con parole mie): Caio Marzio, generale romano inviso al popolo per aver ordinato la chiusura dei magazzini con le scorte di grano, fronteggia fieramente le contestazioni prima di partire alla volta di Corioli, cuore del territorio in mano ai Volsgi guidati dal suo acerrimo rivale Aufidio, che Marzio ha già più volte in passato affrontato e vinto.
Nel pieno di quello che dovrebbe essere il loro ultimo duello, i due vengono separati, ed il generale romano, pur provato, riesce a portare a compimento la vittoria sui nemici guadagnandosi l'appellativo di Coriolano. Al suo rientro a Roma, sfruttando i successi militari, verrà spinto dalla madre a tentare la carriera politica: osteggiato dal popolo ed esiliato, Caio Marzio tornerà dalla sua nemesi per schierarsi al suo fianco e marciare insieme verso la città che gli ha voltato le spalle.




Avere il Bardo dalla propria è sempre un gran bel pezzo di vantaggio.
In fondo, Storia e Teatro a parte, parliamo del più grande sceneggiatore per il Cinema mai esistito.
In passato Maestri della settima arte hanno confezionato i loro più grandi Capolavori proprio a partire dalle tragedie del mitico Bill - su tutti, due signori chiamati Orson Welles e Akira Kurosawa, tra i più grandi di tutti i tempi -, e anche in tempi più prossimi ai nostri e seppur non portando a casa pellicole immortali, registi come Baz Luhrmann sono riusciti a trasmettere l'energia e l'universalità del messaggio di Shakespeare attualizzandolo visivamente senza che lo stesso perdesse nulla del suo fascino, rischiando addirittura di accrescerlo.
Ralph Fiennes - un attore che, nonostante la bravura, ho sempre poco sopportato - raccoglie con perizia il testimone e sfrutta una delle tragedie meno note al grande pubblico del buon Will trasformando l'ambientazione del primo periodo romano - non siamo tanto lontani da Romolo e Remo, e l'Impero è un futuro ancora a venire - in un mix efficace di The hurt locker e Alexandra, ricordando all'audience quanto conflitti repressivi di questo genere siano comuni a qualsiasi epoca e popolo: personalmente, nel corso della visione, ho associato la parte della battaglia a Corioli, oltre ad un gusto vagamente splatter di sapore quasi videoludico - qualcuno ha detto Call of duty? - ad un ritratto dei drammi che spesso e volentieri vengono riproposti dai notiziari rispetto all'Afghanistan, l'Iraq o la Cecenia - quest'ultima in particolare -.
Del resto, l'Uomo è sempre stato vittima del fascino primordiale ed insano della guerra, probabilmente intendendo la stessa come Shakespeare riusciva a renderla attraverso le sue parole, ovvero un'espressione di una passionalità incontrollata e cieca, che amore o no ci porta inevitabilmente a tirare fuori il peggio della nostra natura per continuare a fronteggiarci l'un l'altro fino all'inevitabile fine.
Caio Marzio detto Coriolano, personaggio ambiguo e tragico, nato come un vero e proprio dittatore e finito come il più fragile degli uomini comuni, affascina e lega il pubblico alla sua vicenda, impreziosita da un'interpretazione ottima dello stesso Fiennes, che si avvale di un cast di prim'ordine per portare in scena questa sua efficace versione del dramma: dal solido Gerard Butler - forse messo in ombra dall'ex Voldemort, eppure duro e roccioso nel ruolo di Aufidio - alla garanzia Brian Cox - un attore troppo sottovalutato e certamente di livello superiore ad alcuni suoi colleghi più blasonati come Anthony Hopkins -, tutto funziona, e ha come vertice le due ottime interpretazioni di Jessica Chastain e soprattutto Vanessa Redgrave, fenomenale volto di Volumnia, madre di Coriolano e vera e propria anima nera dell'intera vicenda.
Il resto, pur se con qualche sbavatura, completa un quadro decisamente interessante per questo esordio come regista del noto attore, che mi ha ricordato - pur se con un piglio decisamente più realistico, meno sfarzoso ed estremo - le atmosfere che resero un cult Romeo+Giulietta: evidentemente la potenza del nostro Bardo e delle sue parole riesce ad andare ben oltre frontiere, ambientazioni, epoche e chi più ne ha più ne metta, grazie alla portata dei messaggi che dallo scritto al rappresentato arrivano quasi a travolgere - e sempre a coinvolgere - il pubblico. 
Certo, non tutti i registi - e non tutti gli attori - sono in grado di riproporre degnamente le sue opere, ma Ralph Fiennes non è tra questi, ed il suo Coriolanus è senza dubbio uno dei film sulla guerra - e non "di" - più interessanti degli ultimi mesi, nonchè una riflessione sull'Uomo in grado di mettere in luce contenuti profondi ed interpretazioni importanti.
Teniamolo d'occhio, e attendiamo di scoprire cosa avrà in servo per noi in futuro: del resto - e questa vicenda lo insegna - cacciare qualcuno potrebbe non portare all'esito sperato della storia.
Se poi c'è di mezzo lo zampino del misterioso William, allora, state all'erta: perchè la tragedia calerà sopra di voi con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno.
Neanche fossimo sotto la Spada di Damocle di Ezechiele 25:17.
O nel pieno dell'hybris nella più spietata delle sue accezioni.


MrFord


"A warning to the prophet, the liar, the honest
this is war
oh, to the leader, the pariah, the victim, the messiah
this is war 
it's the moment of truth and the moment to lie
the moment to live and the moment to die
the moment to fight, the moment to fight
to fight, to fight, to fight."
30 seconds to Mars - "This is war" -


martedì 24 aprile 2012

Battleship

Regia: Peter Berg
Origine: Usa
Anno: 2012
Durata: 131'



La trama (con parole mie):  Alex Hopper, ventiseienne casinista e scombinato, viene arrestato mentre cerca di farsi bello con una ragazza che l'ha colpito al cuore mandando su tutte le furie il fratello maggiore Stone, che lo costringe ad arruolarsi in marina con lui.
Nel frattempo, cervelloni al lavoro su un complesso sistema di satelliti lanciano un segnale verso un pianeta che si direbbe in tutto e per tutto simile al nostro, dall'altra parte dell'universo.
Non troppo tempo dopo, mentre Alex è in procinto di essere buttato fuori dalla suddetta marina e cerca di trovare il modo per chiedere all'Ammiraglio Supremo la mano di sua figlia - la stessa per la quale si fece arrestare -, nel pieno di un'esercitazione piombano nel Pacifico le forze d'invasione aliene, pronte a fare polpette di chiunque sbarri loro la strada.
A quel punto Alex non potrà far altro che mettere da parte i suoi squilibri da testa calda e darsi da fare per salvare il mondo.




Mettiamo subito in chiaro le cose: Battleship è una tamarrata formato gigante, con pochissima logica, un sacco di sbruffonate all'americana - roba da far sembrare Independence day praticamente un film d'autore - e tanto di quel trash che pare quasi di essere ripiombati nel pieno delle improbabili perle figlie degli anni ottanta.
Eppure mi ha divertito, e neanche poco.
Perchè, con tutti i suoi difetti ed il suo essere un giocattolone sopra le righe, questo film ha una cosa che molti dei titoli dello stesso tipo passati sul grande schermo negli ultimi anni hanno pensato di poter lasciare a casa con leggerezza: l'ironia.
Dal regista Peter Berg - autore di un'altra baracconata simile che ugualmente mi divertì, Hancock, e della serie tv di superculto Friday night lights - al cast - il lanciatissimo Taylor Kitsch, tra i protagonisti della suddetta serie e del recente John Carter, Liam Neeson, Rihanna e Alexander Skarsgard -, dall'atmosfera all'ispirazione gentilmente offerta dalla Hasbro - lo stesso colosso che confezionava anche i G. I. Joe, per intenderci - rispetto alla sua battaglia navale, tutto sa di consapevole e divertito blockbusterone da zero neuroni, tante schifezze nello stomaco e grasse risate con gli amici.
Tolti i legami con il gioco da tavolo, infatti, quello che viene presentato sullo schermo è una sorta di cocktail divertito e divertente di quelle che sono state le pellicole più "larger than life" dell'ultimo ventennio - o poco più - di catastrofismo made in Usa, dal già citato Independence day a Titanic, da Top Gun a 2012, in un tripudio di patriottismo e gigionismo come solo i nostri cuginoni a stelle e strisce sanno tirare fuori dal cilindro.
Non mancano, in questo senso, le scene già cult per il livello di trash mostrato: dal confronto tra Stone e gli alieni al "tuffo" di Alex e Nagata - incredibile pensare che si tratti dello stesso Tadanobu Asano che anni fa mi fece impazzire con Ichi the killer - in pieno stile Winslet/Di Caprio fino alla clamorosamente ridicola sequenza del rinnovato arruolamento dei reduci della Seconda Guerra Mondiale tutto sa di "troppo", eppure non si ha neppure per un istante l'impressione che questo "troppo" sia sinonimo di tronfio, e lo spirito dell'intera operazione pare non sia altro che confezionare una giostra da godersi per quel giro che viene buono per farti girare la testa prima di dimenticartene appena sceso.
La cosa importante è dunque quella di lasciarsi alle spalle tutto quello che può essere il buon senso cinematografico, e godersi queste due ore piene come se si fosse ancora bambini - probabilmente i maschi finiranno per apprezzarlo di più, anche grazie alla loro voltairiana semplicità -, rimanendo a bocca aperta davanti alle esplosioni e alle sequenze più catastrofiche - realizzate comunque in maniera assolutamente ineccepibile - o esaltandosi a dismisura quando l'ex soldato spaccaculi depresso per aver perso le gambe in bilico sulle protesi scazzotta selvaggiamente l'alieno di turno, stimolando quel patriottismo recondito che ci porta in questi casi a dare contro a questi ospiti del nostro pianeta un pò come se fossimo tutti ammeregani sempre vigili e sempre primo bersaglio dell'invasione.
Lanciati dunque i popcorn in aria e festeggiato a suon di birroni e rutto libero l'inevitabile riuscita dell'impresa - con tanto di siparietto finale decisamente da action eighties -, potremo tornare a casa felici di aver resistito - quasi come se fossimo noi gli eroi - all'ennesimo assalto extraterrestre ed aver passato una serata in libera uscita dal buon senso e dal cervello, che a volte pretende davvero un pò troppo, giusto perchè pensa di essere il capo: fortunatamente ci sono film come questo, che ci ricordano che c'è un'altra consistente fetta di corpo che chiede ogni tanto un pò di tregua.
Che poi la stessa sia giocata su esplosioni di dimensioni sempre più considerevoli, poco importa.
Il giorno dopo potremo fare finta di niente, come quando ci si accorge di aver fatto qualche stronzata nel pieno di una sbronza.
Si può sempre fingere di essersene dimenticati.
Ma non si potrà dimenticare di essersi divertiti un mondo.


MrFord


"Sound of the drums
beatin' in my heart
the thunder of guns!
Tore me apart
you've been - thunderstruck!
Rode down the highway
broke the limit, we hit the ton."
AC/DC - "Thunderstruck" -

 
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