mercoledì 28 febbraio 2018

Mudbound (Dee Rees, USA, 2017, 134')




Un altro dei grandi temi legati al periodo degli Oscar è senza dubbio quello dei film "etici", titoli pronti a puntare molto sulle sensazioni provocate negli spettatori e sulla sensibilizzazione a temi molto importanti, che nel corso dei decenni ha fruttato - più o meno meritatamente - statuette in quasi tutte le categorie principali.
Curioso quanto nell'anno in cui a farla da padrone per quanto riguarda ruffianeria, retorica e strizzate d'occhio ai sentimenti sia un film d'autore - il sopravvalutatissimo The shape of water di Del Toro - un film passato in sordina ed accolto senza troppi entusiasmi come Mudbound sia riuscito, al contrario, a colpirmi positivamente e con tutta la forza dei titoli che non potranno certo ambire allo status dei grandi cult che faranno la Storia della settima arte ma che riescono in modo molto semplice a farsi voler bene.
Mudbound pare il ritratto di questo tipo di pellicola: prodotto con onestà da Netflix, ambientato nei decisamente poco ospitali e difficili Stati del Sud nel periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, il lavoro di Dee Rees è dritto come un pugno in pieno viso, pronto a toccare corde sensibili di ogni persona civile ma non per questo smielato o troppo carico, e attraverso la storia di due famiglie mostra le diversità razziali, le difficoltà di fronte alla Natura e al Destino, i desideri, i sogni, la sofferenza e tutto quello che si può immaginare di trovare in vite che paiono vere e vive nel racconto.
Partito come un curioso incrocio di voci off con i personaggi principali pronti a dare la propria versione della storia - o a raccontare la parte di cui si sentivano protagonisti - e pronto a diventare palcoscenico per il duetto di characthers di ritorno dalla guerra in Europa - con tutti gli strascichi che ne conseguono - forse potrà a tratti spiazzare, o non convincere appieno in alcuni passaggi, ma rimane una storia cruda e di grande forza emotiva, ottima nel raccontare l'evoluzione di un'amicizia che nasce dalla diversità, trova terreno fertile nel tentativo di superare un orrore e lotta strenuamente per sopravvivere ad un altro: il legame tra Jamie e Ronsel, il primo bianco e tornato dal fronte con una medaglia ed i ricordi della guerra dal cielo, i gradi e le domande a proposito del perchè soltanto lui si fosse salvato del suo equipaggio, il secondo nero, carrista, che ha visto i compagni perdere la vita allo stesso modo davanti ai suoi occhi ed avanti è andato, aprendo la strada al resto dell'esercito e lasciandosi dietro un figlio avuto da una ragazza tedesca, è quello dei sopravvissuti, di chi si chiede per quale motivo il Destino abbia riservato la salvezza a loro e non a chi, invece, non ce l'ha fatta, e di chi, guardato l'abisso, pensa non valga più la pena di rovinarsi la vita quando non se ne avrebbe motivo, e se non per scelta, non riesce più ad abbassare la testa.
Ed è sconvolgente e triste e fa incazzare, a prescindere dal fatto che al sottoscritto non freghi nulla di guerre ed eserciti, osservare come due ragazzi, per dirla come Ronsel, "accolti in Europa come salvatori", assumano i connotati di emarginati nel loro Paese, costretti a dimenticare la sofferenza con l'alcool e fare i conti con ignoranza, razzismo, vite buttate.
In questo, per quanto mi riguarda, sta il bello di film come Mudbound.
Film che non sono ricattatori nel risvegliare le emozioni.
Che non cercano storie d'amore dalla lacrima facile, e hanno comunque il coraggio di finire a testa alta, in barba alla sofferenza, con l'amore.
Perchè un lieto fine è possibile anche senza comprarselo.
Ed è decisamente più bello e goduto se ce lo si è sudato lottando.



MrFord



 

martedì 27 febbraio 2018

Il filo nascosto - The phantom thread (Paul Thomas Anderson, USA, 2017, 130')




Paul Thomas Anderson è da sempre considerato uno degli autori di punta del Cinema americano, qui al Saloon: fatta eccezione per Sidney, primo film che ancora manca all'appello, il resto delle sue pellicole è passato almeno una volta su questi schermi, e in alcuni casi - Boogie nights, Magnolia, Vizio di forma - il suo lavoro è e sarà considerato fino alla fine dei tempi assolutamente cult.
Personalmente, non avevo grosse aspettative rispetto a questo Il filo nascosto: questioni tecniche a parte, l'idea di portare sullo schermo la vicenda di un complicato e maniacale stilista e sarto nella Londra degli anni cinquanta non era esattamente quello che potevo sperare per alimentare l'hype della vigilia, in barba alle sei nominations agli Oscar ed al favore quasi unanime della critica oltreoceano.
E, devo ammetterlo, per una buona metà della visione ho sentito il tintinnare delle bottigliate scaldarmi le mani e la testa: al contrario dello scorso anno, infatti, quando alla lotta per la statuetta assegnata al miglior film si contendevano i pronostici della vigilia film come Arrival, La la land e Moonlight, questo duemiladiciotto riserva al pubblico prodotti che, per quanto realizzati impeccabilmente, non fanno altro che mostrare la mancanza di registi ed autori della necessità di raccontare davvero una storia, finendo per fare sfoggio di qualità e stile senza riuscire a coinvolgere il pubblico.
In questo senso, The phantom thread soffre per due terzi della sua durata degli stessi difetti di The Post, quasi Anderson avesse voluto rischiare atteggiandosi a Kubrick - le atmosfere mi hanno ricordato moltissimo Lolita, che pure non è uno tra i miei personali preferiti del Maestro - senza riuscire a bucare lo schermo - ma quando si parla di lui, è quasi ovvio - come il vecchio Stanley: fortunatamente, almeno per quanto mi riguarda, Il filo nascosto si rivela essere una di quelle pellicole da degustare con il tempo, che necessitano, con ogni probabilità, di ben più di una visione, e che ha il potere di rinsaldarsi minuto dopo minuto.
La storia di Alma e Woodcock - due personaggi detestabili e dal fascino incredibile -, con la sua evoluzione, regala infatti al film ed al suo regista un crescendo finale davvero notevole, che riscatta tutta la lentezza e la scarsa emotività della prima parte ed offre non solo un'interpretazione da una diversa prospettiva della canonica vicenda amorosa tipica dei film hollywoodiani, ma anche una visione dell'amore che, per quanto insana possa sembrare vista dall'esterno, ha il sapore della totalizzazione e della purezza che molte storie nella realtà possono solo sognare di avere.
Scrivendo in modo più pane e salame, occorre fare un plauso al rigore scenico portato sullo schermo da Anderson, ma anche ammettere che per un'ora abbondante, fino a quando non si comincia a capire dove voglia andare a parare, Il filo nascosto sia un film tremendamente freddo e noioso, poggiato sulle spalle di un Daniel Day Lewis bravissimo quanto lezioso - una specie di Meryl Streep versione maschile -, tanto da solleticare il dubbio che forse, se sforbiciato di qualche minuto o liberato in termini di passionalità molto prima, il lavoro del buon Paul Thomas avrebbe potuto ambire allo status di cult dei titoli che ho citato poco sopra invece di apparire come un tentativo dalle grandi potenzialità finito quasi soffocato dalle stesse, come fu per Il petroliere e, in misura minore, per The Master.
Certo, resta il fatto che si tratta di fare le pulci ad un film ineccepibile in grado di regalare una manciata di sequenze notevoli - la colazione nell'albergo che fa da teatro al primo incontro tra Woodcock e Alma, il delirio con la visione della madre, il finale -, e restare qui a scriverne di fatto quasi male mi fa sentire in un certo senso fuori posto, eppure il Cinema, a prescindere dai mezzi e dalla tecnica, è anche cuore ed emozione: e se devo pensare a quello che mi resterà dentro dei titoli in lizza per l'Oscar del Miglior Film duemiladiciotto, cuore ed emozione, purtroppo, paiono un filo nascosto.
Che, per un tamarro come me, non basta.
Non basta affatto.
Pur se cucito nella fodera di un vestito di prima scelta.

Dai tempi della visione e dalla stesura del post sono passate un paio di settimane, e proprio come quel filo nascosto che citavo in chiusura del post, questo film è uscito dopo essersi sedimentato in tutta la sua potenza. Non sarà per tutti, dunque, a tratti richiederà uno sforzo nello spettatore, ma nasconde un ricamo davvero da Maestri.



MrFord



 

lunedì 26 febbraio 2018

The disaster artist (James Franco, USA, 2017, 104')





Non ricordo esattamente il post, o quale film terribile usai per raccontare la storia di Alberto Leone, un mio compagno di classe alle superiori che, ancora oggi, ritengo potesse essere un talento incompreso.
Silenzioso, chiuso, apparentemente disinteressato a tutto quello che non fosse calcio, il suddetto fu come un fantasma in una classe assurda e male assortita come quella in cui ebbi la sfortuna di passare i miei due anni peggiori da studente - e forse nella vita -: al termine del secondo di questi, travolta da un desiderio di essere una wannabe Keating, la nostra insegnante di Letteratura italiana, Latino e Storia ci esortò - e obbligò, ovviamente - a scrivere una serie di poesie e componimenti in diverse forme che andarono a comporre una raccolta che continuo a conservare come una reliquia. Il mitico Alberto Leone, dal nulla, tirò fuori un paio di "opere" al limite dell'assurdo che regalavano perle come "Ancora pochi mesi e sarà maggio, e spero vivamente nel cuor mio di poter comprare la moto Piaggio": ancora oggi, quando torno con la mente a quei giorni, ritengo che quel mio compagno di classe inutile e silenzioso fosse un genio assoluto.
Perchè se è vero che per realizzare qualcosa di grande occorre andare oltre l'eccellenza, per creare qualcosa di brutto che sia spontaneo e senza limiti occorra la stessa dose di genialità: Tommy Wiseau, sceneggiatore, produttore e regista del film di culto The Room - da non confondere con la pellicola salita alla ribalta un paio d'anni fa -, probabilmente rientra in questa speciale categoria di persone fuori dal comune.
A prescindere dal fatto che sia curioso il mistero a proposito delle sue origini, dell'identità e dei soldi investiti per la realizzazione del suo sogno - il dubbio che possa essere davvero un vampiro, effettivamente, viene -, questo incredibile personaggio preso a modello da James Franco per adattare il libro scritto dal suo amico e collaboratore Greg Sistero è l'esempio perfetto - una sorta di novello Ed Wood - di quanta genialità occorra anche per realizzare opere di dubbio valore, e di quanta energia venga spesa per la realizzazione delle stesse, a prescindere dall'accoglienza che riceveranno o che, a tutti gli effetti, meritano di ricevere.
Franco, affiancato per l'occasione dal fratello minore nel ruolo di Sistero - scelta perfetta -, realizza con ogni probabilità una delle operazioni più interessanti della sua carriera, graziata da un'interpretazione da urlo - ingiustamente ignorata dall'Academy - e dalla rappresentazione di una situazione in equilibrio - o bilico? - perfetto tra l'ironia ed il grottesco e la profonda tristezza e malinconia: la storia di Wiseau e della realizzazione di The Room abbraccia non solo una biografia, o il racconto di un episodio divenuto di culto per gli appassionati, ma anche una gamma ben precisa di emozioni umane come il desiderio di emergere, di inseguire le proprie passioni ed i sogni, di pensare di meritare una possibilità sul grande palcoscenico che è, di fatto, la vita.
Clint, in uno dei suoi Capolavori, Gli spietati, afferma che "non esistono meriti, in queste cose", e continuo a pensare a quanto abbia ragione.
Eppure Wiseau ha mostrato il coraggio e le palle che molti invidiano o sognano di avere semplicemente decidendo di essere se stesso, o quello che avrebbe voluto essere.
Una cosa non da poco che Franco ha descritto con sincerità, trasporto ed intelligenza.
Non saprei dirvi, dal canto mio, che fine abbia fatto Alberto Leone, uno che, da aspirante scrittore e adolescente pronto a rifugiarsi nella cultura, avrei dovuto disprezzare dall'alto delle mie letture, o ascolti, o cazzate di questo genere.
E che, al contrario, ho sempre considerato talmente incredibile da poter essere considerato unico.
Posso solo dirvi che, se fossi un editore e dovesse presentarsi alla mia porta con un mazzo di quelle poesie, oggi, non avrei alcun dubbio rispetto alla loro pubblicazione.
E se, poi, dovesse anche rivelarsi un vampiro, tanto meglio.
Avrei la scusa buona per garantirmi l'immortalità.



MrFord



 

venerdì 23 febbraio 2018

Al posto tuo (Max Croci, Italia, 2016, 90')




Durante la permanenza dei Ford alle Canarie, uno dei leit motiv delle serate dopo aver messo a nanna i Fordini, cibo e alcool a parte, era la scelta di titoli che potessero accompagnare senza troppo impegno al sonno concedendo, nel contempo, anche quel divertimento leggero che non fa mai male, soprattutto in vacanza: alle spalle la scelta azzeccata di Se dio vuole, si è ripiegato su questo Al posto tuo, commediola decisamente meno efficace ma ugualmente innocente e piacevole, che ha finito per ricordarmi E allora mambo! e fornito un altro esempio di lavoro "di coppia" di due protagonisti molto diversi tra loro pronti ad incastrarsi al meglio al servizio del film.
Del resto la commedia degli equivoci, specie se giocata sullo scambio di identità, finisce sempre per funzionare e regalare quantomeno l'intrattenimento e le risate giuste per godersi il film per tutta la sua durata senza pretendere chissà cosa: a questo ben si prestano Luca Argentero e Stefano Fresi, che nei panni di due designer di sanitari finiscono per essere obbligati a darsi battaglia scambiandosi vita, casa e quotidinità differenti, ovviamente per passare dallo scontro e dalle difficoltà ad imparare l'uno dall'altro completando le rispettive vite come un puzzle.
Non parliamo ovviamente di un film che cambierà la storia della Commedia all'italiana per come è stata resa famosa negli anni d'oro del Cinema nostrano, o di un titolo destinato ad essere ricordato oltre il tempo di una serata leggera da casa al mare e della recensione al ritorno - pubblicata mortalmente in ritardo -, ma comunque di qualcosa di semplice ed onesto come - e lo ribadisco di nuovo dopo quanto scritto per il già citato Se dio vuole - sinceramente non mi aspettavo più che si producesse qui nella Terra dei cachi.
Per chi, poi, come il sottoscritto, ha vissuto sia la condizione del single pronto a svicolare da qualsiasi storia più lunga di qualche ora che quella del padre di famiglia, vedere le due tipologie scambiarsi i ruoli è stato piuttosto divertente, complice anche il lavoro macchiettistico ma ben svolto dei due attori principali: probabilmente c'è chi si immaginerà più nei panni di uno o dell'altro, o sarà portato a pensare che il figo di turno è davvero il figo di turno, nonostante, a ben guardare, non sia assolutamente così.
E nonostante l'aura un pò fiabesca ed il classico finale da commedia romantica, forse dalla parte maschile si dovrebbe cominciare a pensare e riflettere su quella che è davvero la forza di alcuni considerati erroneamente "anelli deboli": imparare dalla diversità, a volte, insegna molto a proposito di noi stessi.




MrFord




giovedì 22 febbraio 2018

Thursday's child



Nuova settimane di uscite cinematografiche dal sapore di Oscar e nuova ospite a tenere compagnia a questo vecchio cowboy ed al suo rivale nonchè compagno di misfatti Cannibal Kid: Alessandra Muroni del blog Director's cult.
Continua dunque il viaggio nella blogosfera ed accanto ai suoi protagonisti della rubrica da triangolo più nota - più o meno - della rete, che a questo giro dovrà confrontarsi, tra le altre, con due pellicole che si preannunciano tra le protagoniste di questa parte finale dell'inverno.
Riusciranno James Franco e Paul Thomas Anderson a seminare zizzania tra i tre conduttori?


"E così tu vorresti portarmi a letto!? Ma se sei più vecchio di Ford!"

The Disaster Artist

"Ammazza! Questo film suggerito da Cannibal è davvero disastroso!"

Alessandra Muroni: Prima di Corinna Negri, aka la Cagna Maledetta, c’era lui, Tommy Wiseau, che non solo era ed è tutt’ora il cane dei cani della recitazione, ma è anche stato capace di produrre (non si sa con quali soldi), dirigere (non si sa con quale talento) e recitare (con grandissima cagnitudine) The Room, ovvero il Quarto potere dei film demme#da. Interpretato e diretto da James Franco, il film mostra la parabola esistenziale di questo malaugurato progetto che vide il coinvolgimento (suo malgrado) di Greg Sestero, suo partner a delinquere, nonché suo migliore amico. Dalle stelle alle stalle, James Franco ha fatto a malapena in tempo a coccolarsi il suo Golden Globes come migliore performance di un attore canissimo, che è stato travolto dalle accuse di molestie. Il film merita la visione, a meno che non lo boicottate - come potrebbe fare il Cannibal - che spera di ridare la spilla a Scarlett Johannson ora che è MILF e pure single. E se andate a vederlo e vi perdete i titoli di coda, siete dei brutti figli di sultana.
Cannibal Kid: Con tutto il rispetto, ma Scarlett se ne può andare a quel paese, insieme a tutti quelli che hanno boicottato il povero James Franco. Come attore non è mai stato cagno quanto Wiseau, ma non è mai stato nemmeno fenomenale. Fino a questo film, in cui dà veramente il massimo, con un'interpretazione da Oscar che probabilmente non ripeterà mai più. E invece non è arrivata per lui nemmeno la nomination. Per rimediare a questo torto, potete tutti precipitarvi a guardare questa pellicola tutt'altro che disastrosa, di cui a breve parlerò. E secondo me potrebbe piacere anche a James Ford, il Tommy Wiseau dei blogger cinematografici.
Ford: prima che a Franco venisse l'idea di produrre un film sull'Ed Wood moderno, Tommy Wiseau, non avevo assolutamente idea di chi fosse quest'ultimo. Poi ho visto questo film, che purtroppo, come dice Cannibal, è tutt'altro che disastroso, e più che rimanere basito di fronte all'ennesima ostracizzazione della finta società bene e dell'Academy non ho potuto fare. A breve ne parlerò, e secondo me potrei addirittura essere d'accordo con Cannibal Kid, il Greg Sestero dei blogger cinematografici.

Il filo nascosto

"E adesso corri a farti rifare il trucco dalla Muroni, perchè così sei davvero impresentabile!"

Alessandra Muroni: Il re del fesciòn londinese Reynold Woodcock (Daniel Day Lewis) incontra Alma, una bella cameriera in un ristorante dove era in procinto di abbuffarsi (ha fatto un patto con il diavolo, perché è così magro che vola alla prima folata di vento), e lei botta di chìulo da cameriera diventa modella e poi musa del fesciosissimo stilista. Dedito al lavoro e sempre in procinto di creare vestiti per le signore dell’alta borghesia, la sua vita e le sue abitudini abitudinarie (d’altronde uno che si chiama Woodcock – ovvero ca@@o di legno - mica è pieno di vitalità, no?) verranno sconvolte da questa deliziosa ragazza, che sembra uno zuccherino ma non lo è, ma è una tipa che quando mastica fa più rumore di un trattore e ha una malsano uso della cucina da far rabbrividire pure Gordon Ramsay. Film finto zuccheroso ma cazzuto, roba che potrebbe piacere al duro e puro come il Ford, che è cazzuto, ma con un velo di zuccherosità, nascondendo dentro ai piedi un sottile strato di pisellaggine romantica.
Cannibal Kid: Sul fatto che la protagonista femminile abbia una botta di chìulo a incontrare Woodcock avrei qualche dubbio... quasi quasi le andava meglio se conosceva Fordcock dal pizzettaro di Lodi. Perché dico questo?
Guardate il film del solito imprevedibile Paul Thomas Anderson e lo scoprirete.
Ford: Paul Thomas Anderson è da sempre uno dei favoriti del Saloon. Questo film, che ho già visto, è stato un banco di prova importante. Accadrà quanto è accaduto con Del Toro? Oppure no? A breve la risposta.

La vedova Winchester

"Cannibal ha detto di fare attenzione: qui sotto c'è la tana di Ford."

Alessandra Muroni: Oh mio Dio hanno ucciso il commissario Winchester dei Simpson, brutti bastardi! Ah, no, è un’altro Winchester, l’inventore dell’arma che ha il suo nome, che è moruto e ha reso vedova Sarah (Helen Mirren). Oltre alla vedovanza ha un gran bel da fare nel costruire una magione per tenere lontani gli spiriti uccisi dall’arma creata dall’anima dei mortacci di suo marito. Occhio, malocchio prezzemolo e finocchio non bastano, e quindi si deve fare il mazzo qadro nel costruire questa magione senza fine per tenere alla larga la miriade di anime dannate. Ammazza quanti ne ha ammazzati la Winchester! Un dottore è incaricato di verificare se la vedova ha sbroccato o meno, ma a quanto pare è vero le anime nel loro piccolo s’incazzano e invocano vendetta. Che gli spiriti vogliono anche vendicarsi di Ford e Cannibal e dei loro blog (così, come passatempo tra uno spavento alla Winchester e l’altro)? Per scoprirlo, dovete andare al cinema!
Cannibal Kid: Questa potrebbe essere una visione letteralmente mortale, per quanto mi riguarda. I film sulle case infestate non li sopporto più. A dire il vero credo di non averli mai sopportati. Come protagonista c'è pure Helen Mirren, una di quelle attrici per il mondo brave brave ma che io troppo sopravvalutata quasi quanto Meryl Streeptease. Mi vuoi proprio ammazzare proponendomi un film del genere, vero Alessandra?
Ford: lascio volentieri quest'ennesima ghost story che mi pare priva di qualsiasi appeal all'ormai anglosassone Alessandra, che di case infestate, abitando da quelle parti, ormai se ne intenderà parecchio. A Cannibal, invece, lascio la parte del fantasma.

Sconnessi

"Ford aveva proprio ragione: il caffè corretto vodka è molto meglio."

Alessandra Muroni: Sapessi quanto sono sconnessa io la mattina quando mi sveglio! Ah, un momento, non è un film su quanto si è rinco@lioniti la mattina, ma è la storia una famiglia (rinco@lionita) dove il patriarca (Fabrizio Bentivoglio) è nemico giurato di internet e talmente figlio di sultana da riunire per il suo compleanno la sua famigliola in uno chalet di montagna senza I-Pad, Internet, Instagram, Facebook, WhatsApp, roba che manderebbe al manicomio l’intera famiglia Kardashian insomma. Tutto sto’ ambaradam per far riavvicinare il figlio giocatore incallito e l’altro figlio sfigat... Ehm, nerd e introverso con la seconda moglie ciòfane e con prole in arrivo. Alla famigliola si aggiungerà la tata, sua figlia, il fratellastro del patriarca e il bipolare. Vale la pena vederlo, o il Ford e il Cannibal si sconetteranno dalla blogosfera pur di non parlare di questo film in caso di monnezza movie conclamato?
Cannibal Kid: Tipica commediola italiana incentrata sulle nuove tecnologie, o meglio sull'astinenza da nuove tecnologie. Sottogenere che come guilty pleasure/monnezza movie a me personalmente non dispiace nemmeno. E la prevedibile morale di fondo, che è meglio la vita sconnessi in uno sperduto chalet di montagna rispetto alla frenesia del mondo moderno iperconnesso, potrebbe far felice persino il vecchio Ford che ancora rimpiange i tempi in cui si comunicava attraverso i geroglifici e Kardashian era solo l'avvocato di O.J. Simpson.
Ford: tipica commediola italiana che farà andare in brodo di giuggiole Cannibal, che ormai difende qualsiasi porcata si produca da queste parti, ma che, avendo già dato con il caro vecchio Verdone, dubito passerà da queste parti. Piuttosto, vado a fare un salto sull'Appennino da mio nonno, dove davvero non c'è possibilità che internet e affini prendano in alcun modo.

Belle & Sebastien – Amici per sempre

"Ford & Goien - Nemici per sempre."

Alessandra Muroni: Canta con noi, auuu, meglio che puoi auuuuu, canta con noi meglio che puoi canta insieme a noi viva viva i nostri eroi, viva Belle e Sebastien. Versione in carne ed ossa del cartone giappo, Belle e Sebastien racconta la storia di un cane finisce per fare da genitore all’ennesimo ragazzino rimasto orfano. Dopo le prime rocambolesche (?) avventure del primo film, ci smaron... Ehm, ci allieta con il ritorno del bambinello orfanello che inizia ad andare a scuola dopo la fine della guerra. Che bello, un po’ di normalità dopo una mamma cane e tante tante bombe! Ma anche no! E infatti la sua amica Angelina è forse perita in un incidente aereo, o forse è ‘solo’ dispersa. Mai una gioia eh. Ma il piccolo Sebastien – carramba che sorpresa! – scopre di avere un papà, che non solo se ne sbatte di lui, ma anche di trovare Angelina. Così Belle, deve fare da mamma e da inviato di Chi l’ha visto, cercando di ritrovare l’amica di Sebasien. Pierre li aiuta svogliatamente, ma forse c’è speranza si avvicini a Sebastien, così come c’è speranza che Cannibal e Ford si vogliano bene!
Cannibal Kid: Alessandra, sul serio ti sei vista il primo film, o hai fatto solo un sapiente uso del copia e incolla della trama da Wikipedia?
Spero la seconda, temo la prima. Comunque devo correggerti: questo non è il secondo film della serie, Belle & Sebastian – L'avventura continua, bensì addirittura il terzo, Belle & Sebastien – Amici per sempre. Ebbene sì. Sono arrivati al terzo capitolo della trilogia, proprio come quella di Cinquanta sfumature.
Comunque sia, io già non sopportavo il cartone giappo, figuriamoci se mi guardo la trilogia di una versione melò strappalacrime e animalesca di una tipica bambinata fordiana. Preferisco un'altra visione: Ford & Cannibal – Nemici per sempre.
Ford: ricordo il vecchio cartone animato dedicato a Belle e Sebastien, che comunque non è mai stato tra i miei preferiti. Dai film mi sono sempre tenuto alla larga. Quindi, cara Alessandra, per una volta ancora, purtroppo, questa settimana, sono d'accordo con il mio antagonista e preferisco pensare a Ford&Cannibal - Nemici per sempre.
Alessandra Muroni: Tana per Cannibal! Io ho copiato pari pari da Wikipedial, tu invece di sicuro l'hai visto, e scommetto che l'hai visto insieme a Ford, anche se negate! E tu Ford, scommetto che farai vedere ai tuoi figli, piuttosto si vedono la serie di Sharknado! XD

Omicidio al Cairo

"Pur di non tornare a lavorare con Ford e Cannibal, la Muroni si è buttata di sotto."

Alessandra Muroni: Urka qua le cose si fanno serie in Egitto, quando il poliziotto Nouredin è corrotto fino al buco del c@lo come tutti i suoi colleghi e si ritrova a dover indagare un omicidio, talmente preso da fare tana ai commercianti che doveva proteggere dal marasma di una rivoluzione che sta per scoppiare in piazza Tahrir. Come se la grossa crisi non bastasse, pure le botte. Non bastava Amazon? Se ci dovete corcare, comprate online, no?!? Nouredin è talmente coinvolto dal caso, da arrivare a un possibile colpevole - Il Cannibal? Ford? No, dippiù! Un deputato del Parlamento. Salveneee? Tsé, magari!
Cannibal Kid: Leggo su MYmovies che “questo film si ispira a un omicidio realmente accaduto nel 2008 di cui risultò colpevole un uomo d'affari e parlamentare egiziano vicino alla famiglia Mubarak”. Più che Salveneee, Silvio, c'entri qualcosa tu?
Ford: questa sorta di noir politico egiziano mi lascia perplesso. Scommessa d'essai della settimana o roba dalla quale scappare a gambe levate? Direi che non ho voglia di scoprirlo. Quanto più di ritrovare l'alchimia giusta per una nuova Blog War con Cannibal.

mercoledì 21 febbraio 2018

Fabrizio De Andrè - Principe libero (Luca Facchini, Italia, 2018, 193')




Personalmente, credo che Fabrizio De Andrè sia il più grande cantautore della Storia della Musica italiana, e senza dubbio tra i migliori in assoluto di tutti i tempi: ho sempre pensato che, se fosse nato in Inghilterra o negli States ed avesse cantato in inglese, avrebbe eclissato gente non proprio poco nota come Bob Dylan.
Dischi come La buona novella o Non al denaro, non all'amore nè al cielo sono e resteranno vere e proprie pietre miliari, senza contare opere come Creuza de ma: il vecchio Faber, figlio della Genova bene pronto a vivere sulla pelle gli umili, i derelitti, i poveri cristi e tutti i loro peccati, dall'animo anarchico e dal carattere difficile, dalla paura del palco al fascino della bottiglia e delle donne, è senza dubbio una figura affascinante a prescindere dal valore artistico della sua opera, di quelle che, da queste parti, troveranno sempre uno sgabello ed un bicchiere pieno.
Principe libero, passato prima in sala e di recente trasmesso in due puntate dalla Rai, mostra uno spicchio del mondo interiore del grande cantautore, dal rapporto profondo seppur conflittuale con il padre - un sempre ottimo Ennio Fantastichini - ed il fratello, all'amicizia fraterna con Paolo Villaggio, dalle simpatie politiche al rapimento, dalle infedeltà e le fughe alla famiglia allargata e l'amore per Dori Ghezzi: grazie ad un sempre ottimo Luca Marinelli - forse il volto più promettente del giovane Cinema italiano - e alle canzoni di De Andrè il viaggio, nonostante qualche taglio di troppo ed un finale forse un pò frettoloso, risulta sentito e coinvolgente, pronto a mostrare un'epoca in cui nel nostro Paese si era pronti a lottare molto più di quanto non si sia ora, e dal Cinema alla Musica il fermento era tale da portare alla ribalta artisti geniali come, per l'appunto, Villaggio e De Andrè, ma anche Tenco, al quale è dedicata una bellissima parentesi.
La parabola di Faber, o Bicio, come lo chiamavano affettuosamente in famiglia, dalle prime notti nelle osterie e nei vicoli genovesi alla ribalta fornita inizialmente da grandi nomi come Mina che cantarono le sue canzoni fino ai successi che lo resero quello che è ora, è simile a quella dei protagonisti delle sue canzoni, costruita e resa forte più dalle cadute che dai successi, ed è raccontata in modo delicato e lirico anche grazie alla scelta di inserire come accompagnamento nei raccordi di narrazione brani tratti da Anime salve, il suo ultimo disco di studio, registrato tre anni prima della morte avvenuta all'inizio del novantanove.
Fabrizio De Andrè, ed è questo il bello delle sue canzoni e anche di questo film verace ed imperfetto, prima ancora che un principe libero era un uomo in tutte le sue contraddizioni, che dalle debolezze e dai peccati ha tratto una forza espressiva unica come una voce che "non è quella di un cantante", e dalla penna di qualcuno pronto a continuare a dubitare di se stesso anche di fronte all'evidenza.
In tutta onestà, le oltre tre ore spezzate in due parti mi sono sembrate addirittura poche, per tentare di raccontare la storia e la poesia di un artista che continua a sorprendermi e rivelarsi ascolto dopo ascolto - la stessa Julez, al momento del passaggio de Il pescatore, ha avuto un'epifania dopo trent'anni di ascolti di quelle che solo il Faber può regalare -, che è riuscito a trasformare in magia le vite sporche, gridate, graffiate, lottate che partono dal basso ed alzano la testa senza più abbassarla.
Fosse anche solo un'ora.
Quell'ora di libertà che non fa distinzioni, perchè come la cattiva strada, ci rende tutti Uomini.
Con i nostri occhi spalancati e i nostri pozzi profondi.




MrFord




 

martedì 20 febbraio 2018

The Greatest Showman (Michael Gracey, USA, 2017, 105')




Ho sempre subito il fascino dell'idea romantica del circo, di quella parte di ottocento brutta, sporca e cattiva da freak show, alcool, fumo e mistero, così come dal concetto di illusionismo basato sulla volontà del pubblico di farsi ingannare quasi fosse una sorta di antesignano di quello che è, oggi, il Cinema - o il wrestling, sempre per rimanere nell'ambito delle mie passioni più grandi -.
Come se non bastasse, e nonostante forse non si potrebbe pensare, almeno ad un'occhiata superficiale, ho anche sempre avuto un debole per il musical, e da West side story - forse in assoluto il mio preferito - a Moulin Rouge!, passando per il Rocky Horror, molti sono i rappresentanti del genere che ho amato negli anni alla follia.
The Greatest Showman, dunque, aveva dalla sua la possibilità di conquistarmi senza troppo sforzo, nonostante le aspettative non fossero certo alte e l'operazione puzzasse di ruffianata lontano un paio di miglia: ebbene, visione alle spalle, posso dire che Michael Gracy - spalleggiato alla sceneggiatura dal "mitico" Bill Condom, già plurivincitore del Ford Award per il peggior film nei suoi anni legati alla saga di Twilight - ce l'ha messa proprio tutta per farmi detestare una delle pellicole più paracule, patinate e terribilmente melense degli ultimi mesi, tanto da farmi pensare a cosa dovevano essersi bevuto le persone che hanno finito per consigliarlo a Julez neanche si trattasse di un novello Moulin Rouge!, per l'appunto.
Salvate - ma solo per orecchiabilità, sia chiaro - le canzoni decisamente molto pop, il resto è una fiera del già visto, del prevedibile e soprattutto del disneyano nella peggiore accezione del termine, che più che celebrare il diverso ne sfrutta - neanche fosse Barnum - il lato più lacrimevole e retorico, finendo per apparire come una versione lunga ed in costume delle puntate di Glee quando la serie canora era già decaduta e crollata in termini di qualità espressa.
La vicenda - fortemente romanzata - dell'ascesa, delle luci e delle ombre di uno dei primi, veri pionieri del mondo dello spettacolo nella sua concezione moderna, J. P. Barnum - uno Hugh Jackman che pare di plastica, con tutto l'affetto che posso provare per l'attore australiano - risulta pesante e stucchevole fin dal principio, complici la storia d'amore da romanzo rosa di bassa lega con la sua futura moglie, le coreografie delle canzoni - che occupano la quasi totalità del minutaggio del film - e tutto il filotto dei luoghi comuni che possiate immaginare ed applicare ad uno scenario come quello del povero pieno di idee e sogni che riesce nell'impresa di rendere gli stessi realtà e dunque incappa nei più ovvi scivoloni prima di redimersi e tornare in seno alla sua famiglia, con tanto di passeggiata a bordo di elefante finale da brividi - e non per l'emozione -.
Se Barnum - quello vero -, come il Nolan di The Prestige chiedeva al suo pubblico di farsi ingannare e trasportare dall'immaginazione di fronte all'ignoto, al diverso, al costruito per stupire, The Greatest Showman mostra il posticcio, il vuoto, l'inutile: tutto quello che i detrattori di questo tipo di spettacoli usano per contestare gli stessi.
Curioso che il protagonista di entrambi i film - con esiti opposti - sia proprio Jackman, quasi il Destino avesse voluto mostrare i due lati della stessa medaglia: in fondo, costruire un'illusione è tutto sommato semplice. Il difficile è renderla davvero credibile.



MrFord



lunedì 19 febbraio 2018

La forma dell'acqua - The shape of water (Guillermo Del Toro, USA, 2017, 123')




Forse sto invecchiando, diventando insensibile rispetto a certe cose e troppo sensibile rispetto ad altre.
Forse comincio ad aver visto troppi film, o a trovarmi di fronte storie, sequenze, situazioni che mi pare di aver già vissuto, come un sogno ricorrente.
Forse chissà quali e quante cose, ma il tanto decantato, celebrato, premiato The shape of water di Guillermo Del Toro potrà vantarsi di essere la prima, grande, vera delusione di questo duemiladiciotto.
Leone d'oro a Venezia, applaudito, recensito entusiasticamente, definito commovente e magico, il lavoro del regista messicano mi è parso la versione sbiadita e buonista dell'ottimo Il labirinto del fauno, un cocktail già visto, sentito ed assaggiato di cose ormai fuori tempo massimo, che ripesca dalla mitologia del mostro a partire da Frankenstein per giungere ad Edward mani di forbice infarcendo il tutto con una cornice da Amelie - con una colonna sonora spudoratamente simile - ed una storia d'amore che mi avrebbe fatto massacrare uno qualsiasi degli ultimi Spielberg tenuto in piedi soltanto da una fotografia di ottimo livello e da un paio di interpretazioni che sono conferme di altrettanti ottimi attori - Richard Jenkins ed un gigantesco Michael Shannon -: un massacro su tutta la linea che sinceramente non mi aspettavo di compiere, nonostante le ultime prove non brillantissime del buon Guillermo, e che considerate le premesse speravo non avvenisse, considerate le critiche eccezionalmente positive piovute su una favoletta dark che mi ha fatto sentire come uno di quei vecchi cinefili che vede riproposte sullo schermo le versioni scialbe ed edulcorate dei cult con i quali è cresciuto e finisce per incazzarsi anche più del dovuto, in barba ai sentimenti, alla poesia e qualsiasi altra stronzata di questo genere vogliate ammettere.
Mi piacerebbe, in questo senso, avere la possibilità di confrontarmi con tutti i cinefili corsi ad acclamare questo film e pronti, in altre occasioni, ad usare come bersaglio i titoli Disney o cose come Avatar quando The shape of water ne è la versione vuota ed ancora più ipocrita: in questo caso abbiamo, infatti, un Autore che vorrebbe risultare alternativo pronto a dirigere e portare sullo schermo una storia che non aveva assolutamente esigenza di raccontare mascherata da grande melodramma romantico giocato su talmente tanti luoghi comuni da risultare a sua volta il prototipo del luogo comune stesso, che oltretutto strizza l'occhio in maniera vergognosa a produzioni di valore nettamente superiore - ho rischiato una vomitata a spruzzo in stile esorcista sulla sequenza da musical neanche si volesse ricordare La La Land -.
Prevedibilità, piattume, empatia pari a zero per un'opera confezionata ad uso e consumo della superficialità, che non ha nulla a che spartire con il Cinema d'autore in quanto ad originalità e con quello popolare per l'incapacità di trasmettere emozioni vere e non costruite: da sostenitore acceso degli outsiders, non mi era mai capitato di fare un tifo così spudorato per il personaggio del "cattivo" come in questo caso, l'unico a risultare vero e credibile dall'inizio alla fine, quasi simbolo di una rivolta - almeno per quanto mi riguarda - all'indirizzo di tutti gli autori o presunti tali pronti a sedersi sulla loro comoda formula o sulla possibilità che chi si troverà di fronte il loro lavoro non abbia mai visto altro, o avuto la curiosità di scoprirlo.
E dai richiami fin troppo evidenti all'Abe dei due Hellboy - ma è davvero possibile plagiare così clamorosamente se stessi? - all'irritante personaggio della pur brava Sally Hawkins, tutto gira nel verso più sbagliato possibile, e trasforma quella che doveva essere una favola emozionante e magica in qualcosa di vuoto e sterile a prescindere dal valore tecnico: un buonismo alternativo che pare perfino peggiore di quello di grana grossa che tanto criticano e criticheranno i fan sfegatati di Del Toro e di bolle di sapone come questa.
Bolle che, più che richiamare la forma dell'acqua, da queste parti ricordano altre geometrie decisamente meno piacevoli, magiche e profumate.




MrFord




 

venerdì 16 febbraio 2018

Gorchlach - The legend of Cordelia




Uno dei guilty pleasures maggiori del sottoscritto dai tempi dell'apertura del Saloon è rappresentato senza dubbio dall'occasione di confrontarsi con i lavori di giovani registi alla ricerca di un posto al sole nel vastissimo oceano che rappresenta la settima arte.
Negli anni, pur se meno di quanto avrei voluto, diversi cineasti si sono gettati tra le fauci del sottoscritto senza temere recensioni ed interviste: tra loro ricordo bene Fabio Cento, che sei anni fa portò da queste parti l'interessante - ma ancora acerbo - Mud lounges, e che ora fa il suo ritorno con il pilota di una serie che fin dalle prime sequenze mostra non solo l'evoluzione stilistica del suo autore ed una produzione decisamente più importante rispetto all'appena citato Mud lounges, ma anche l'importanza sempre crescente delle opere indirizzate al piccolo schermo dalla qualità che pare uscita dal grande, mescolando Game of thrones a Spartacus senza dimenticare lavori come il Centurion di Neil Marshall.
I quaranta minuti che introducono lo spettatore al mondo di Gorchlach - La leggenda di Cordelia sono serrati, discretamente violenti e ben gestiti dal suo autore, e lasciano ben sperare rispetto a quanto sta accadendo nel sottobosco delle produzioni seriali italiane - un pò quello che accadde con Quella sporca sacca nera -: l'unico appunto che mi sento di fare a Fabio è di avermi ingolosito con il pilota senza avere la possibilità di proseguire la cavalcata del prodotto, dato che ora, tra Ercole, il presente legato all'archeologia ed al fantasy ed un Medioevo perfetto per l'appellativo "Secoli bui", con personaggi folli e maledizioni incombenti, la curiosità cominciava a farla senza dubbio da padrona.
Resterò sintonizzato in attesa che la vicenda dell'amuleto maledetto - ma sarà davvero così? - possa tornare a dare speranza al piccolo schermo "indie" della Terra dei cachi, per quanto muscolosa e poco radical possa sembrare quest'opera.




MrFord



 

giovedì 15 febbraio 2018

Black Sails - Stagione 3 (Starz, Sudafrica/USA, 2016)




E' risaputo quanto i pirati siano stati, testimonianze alla mano, tra gli individui più crudeli e spietati della storia del crimine. Eppure, attraverso Letteratura, Cinema, Musica e via discorrendo, è oggettivo quanto ancora riescano ad esercitare un fascino indiscusso sul pubblico.
Sarà per la carica ribelle, o per l'anelito a vivere senza seguire le regole imposte dalla società bensì affidandosi ad un'autoregolamentazione che prevedeva ad un tempo benefici per tutti e sgarri per nessuno, per la cornice o il ruolo, ma ho sempre trovato le loro imprese ed avventure irresistibili, tanto da considerarli secondi soltanto al West della Grande Frontiera.
Black Sails, proposta Starz ispirata alle opere di Stevenson e a personaggi amatissimi dal sottoscritto come il Capitano Flint e John Silver, lontana dalla meraviglia, per l'appunto, de La vera storia del pirata Long John Silver, ma ugualmente potente, giunge alla terza stagione compiendo il salto che attendevo dal primo episodio: ribellione, tensione, morte, tradimenti, amore e sacrificio fanno da base alla romanzata interpretazione della rivolta dei pirati all'ingombrante presenza del governo inglese, all'idealizzazione del sogno di Avery - avventuriero al quale si attribuisce la paternità della pirateria "da romanzo" - di un luogo in cui uomini e donne senza legge, grazie alla loro forza, sono in grado di gestirsi senza alcun bisogno di un governo, di regole o di imposizioni.
La lotta di Flint, Anne Bonnie, Charles Vane, John Silver e compagni per scrollarsi di dosso un passato che li trasforma in mostri divenendo mostri per il mondo "civile" schiavo delle alleanze e delle giustificazioni politiche solletica il lato del sottoscritto pronto a riconoscere che, se fossi nato in condizioni, luoghi e situazioni diverse, sarei appartenuto senza dubbio alla parte senza legge del mondo: e dall'addio ad uno dei pilastri della serie - una scelta che non condivido, ma lungimirante e splendida in termini di scrittura del personaggio - all'escalation che chiude la stagione e completa la costruzione del personaggio di Long John Silver, partito molto in sordina e divenuto una rappresentazione più che degna di quella che è la sua incredibile controparte letteraria, restano dieci episodi da fiato sospeso, pregni di un'umanità rabbiosa e feroce, guidati da una passione senza controllo, fuoco che alimenta l'immaginario di una figura come quella del pirata, protagonista di vite difficili, crudeli, stentate ed allo stesso tempo rese uniche e senza limiti.
Personalmente, più che chiedermi come verranno sciolti i nodi sospesi nella quarta ed ultima stagione, penso a godermi la magia che il concetto di Libertà a tutti i costi espressa sulla carta da grandi scrittori rispetto ai pirati regala al petto quando si gonfia di aria che non si vede l'ora di buttare fuori dopo aver assaporato, di ribellione alle pochezze contro le quali siamo costretti a batterci nella vita di tutti i giorni e nella società, di denaro che si spenderà subito dopo averlo guadagnato, di donne con le quali si condividerà il letto per conservarne solo un ricordo buono per i sogni nelle serate di solitudine, di ingordigia e passione, che sono i motori del mondo e di tutte le vite che vengono vissute senza ipocrisie e mani ritratte dopo aver scagliato il sasso.
Questo, probabilmente, è il vero fascino del pirata nel senso più romanzesco del termine.
Quasi fosse l'antesignano del punk, il pirata è un vaffanculo allo stato sociale nel senso più statico, bigotto ed impostato - o falsamente impostato, anche peggio - che si possa immaginare.
E in questo senso, non posso che schierarmi dalla parte dei Flint, dei Vane, dei Silver.
E sono ben disposto a fare incetta di peccati per trovarmi in loro compagnia.



MrFord



mercoledì 14 febbraio 2018

Wednesday's child - Valentine's Day Special



Per il giorno di San Valentino, uno dei più sfruttati in tutto il mondo a livello commerciale, la rubrica a tre più casinista della rete torna con un ospite speciale, giunto a dare un tocco di femminilità ai commenti per le uscite di questa settimana - oltre che a scrivere un'introduzione: dunque, accanto al vecchio cowboy e al suo rivale Cannibal Kid, questa volta sarà in azione Lazyfish, una blogger tuttologa che spazia dai trucchi, ai viaggi, al Cinema, per l'appunto. Ed ecco la sua introduzione per voi:

Volevo cominciare il mio intervento parlando di come chiamare me, come "ospite" per questa rubrica, evidentemente fosse segno che i due blogger sono arrivati a raschiare il fondo del barile, ma ho notato che l'espressione è già stata usata da altri precedentemente, quindi evidentemente non solo nel barile non c'è più nulla da raschiare, ma il barile è stato buttato, e si è cominciato a scavare sotto di esso. Dopo di me, da queste parti, cominceranno ad arrivare blogger che si occupano di mazze da golf, diete o che spiegano come creare il proprio bidone di compost in salotto, mimetizzandolo con l'arredamento.


"Ora sono pronta a rompere le uova nel paniere a Cannibal."


La forma dell'acqua – The Shape of Water

"Fai silenzio un secondo: sto cercando di ascoltare le stronzate che sparano quei tre bloggers."

Lazyfish: Ma veniamo ai film in uscita in questa settimana di San valentino: il primo è "La forma dell'acqua – The Shape of Water", che esce proprio il 14 e, oltre ad avere al volante il mitico Guillermo del Toro, che adoro dai tempi del meraviglioso "Il labirinto del fauno", ha sulla carta tutti i numeri per piacermi: una grande produzione, begli effetti speciali, una storia d'ammmmore tormentata fra due esseri molto diversi fra loro, peccato per il Leone d'oro vinto a Venezia che, con l'Orso d'oro di Berlino, a casa mia grida sempre PACCO!!! Spero non sìa il caso.L'ambientazione, anni 50/60, unita alle atmosfere anfibie, mi ricorda molto Bioshock (https://www.2kgames.com/bioshock/), un favoloso videogioco che ho amato molto.
Cannibal Kid: Siamo all'appuntamento di San Valentino, ma qui da queste parti solo per questo non è che si diventa più teneri e sdolcinati. Dico subito quindi che io parto da premesse opposte a quelle di Lazyfish, visto che Guillermo del Toro in passato raramente mi ha fatto impazzire, la storia stile La Bella e la Bestia non è certo una bella premessa e degli effetti speciali non me ne importa una mazza. Il fatto che abbia vinto il Leone d'oro invece per me è un notevole motivo di vanto, nonché una ragione per recuperarlo subito. Io infatti il film l'ho già visto e presto ve ne parlerò, a modo mio...
Comunque Melissa P. su una cosa c'ha ragione: se abbiamo invitato lei, siamo davvero al di sotto del barile...
No, dai, scherzo! Altri due o tre pessimi elementi da chiamare ce li abbiamo ancora.
Ford: Guillermo Del Toro è sempre stato piuttosto ben accetto da queste parti, ed ha avuto i suoi momenti migliori con i due Hellboy e lo splendido Il labirinto del fauno. Cosa accadrà, dunque, quando il film che ha sbancato Venezia giungerà al bancone del Saloon? In barba a San Valentino ho già visto questa pellicola due o tre settimane or sono, e attendevo il momento dell'uscita in sala per poter cavalcare l'onda del maggior nominato alla prossima Notte degli Oscar. Quale sarà stato il risultato? Prestissimo lo scoprirete.
Nel frattempo, non vedo l'ora di scoprire cosa ne penseranno la nostra ospite della settimana Lazyfish e soprattutto il mio tanto detestato rivale Cannibal: che possa essere l'inizio di una nuova Blog War?

Black Panther

"Bilbo Baggins, finalmente, dopo tutti questi anni, ti ho ritrovato!"

Lazyfish: "Black Panther" era un fumetto che l' editoriale Corno(https://it.wikipedia.org/wiki/Editoriale_Corno) mi propinava sempre come seconda/terza storia nelle testate Marvel che pubblicava e seguivo nella mia gioventù (lasciamo stare che anni erano, probabilmente persino Ford era giovane, all'epoca), e non è mai riuscito ad interessarmi minimamente. Certo i film di adesso sono tratti dalle versioni moderne di quei personaggi, e da quanto vedo online il film sembra una figata tamarra che da queste parti potrebbe riscuotere un buon successo. Da completisti della Marvel, in ogni caso daremo una chance a re T'Challa. Non potrà essere peggio di Iron Fist,comunque!
Cannibal Kid: Lazyfish più vecchia di Ford???
Naaah, non ci credo. Altrimenti vorrebbe dire che è la versione al femminile di Matusalemme.
Il film, come al solito quando si tratta di prodotti Marvel, negli Usa ha ricevuto recensioni entusiastiche. Del tipo che ha il 100% su Rotten Tomatoes. E questa è una cosa che io proprio non capisco. Nemmeno alcun capolavoro nella storia del Cinema ai tempi della sua uscita ha mai ottenuto consensi unanimi. Nessuna cosa in generale può piacere a tutti. Soprattutto, non un film Marvel. Questa cosa quindi ha un'unica spiegazione: i giornalisti che hanno visto la pellicola in anteprima sono stati pagati profumatamente da un certo Topolino, con soldi oppure con gadget pucciosi.
Detto questo, Black Panther ha un ottimo cast, una colonna sonora figosa curata da Kendrick Lamar e il regista Ryan Coogler, nonostante in passato abbia lavorato con Stallone, è uno dal potenziale notevole, quindi il risultato potrebbe essere piuttosto valido. Anche se non da 100% di consensi.

Ford: da ex accanito lettore di Fumetti, il personaggio di Black Panther non mi ha mai detto granché, e l'ho sempre considerato un personaggio tutto sommato minore del mondo degli Avengers. Eppure, sarà per la colonna sonora, per una certa quale atmosfera tamarra o la regia di Ryan Coogler - regista del più che discreto Fruitvale Station e dell'ottimo Creed -, ma sono molto, molto curioso di questa proposta "black" del Cinematic Universe.

A casa tutti bene

"Certo che questa roba è praticamente acqua frizzante. Ma chi è il barman, Cannibal Kid!?"

Lazyfish: Di Muccino ho visto 2 film in vita mia: "L'ultimo bacio", che mi aveva fatto davvero schifo, e "Sette anime", che invece mi era piaciuto molto. "A casa tutti bene" sfoggia un cast discreto, sembra ben fatto e potrei recuperarlo prima o poi, anche se la lista di film italiani da vedere senza il mio lui (che li detesta) è tanto lunga che, per darvi un'idea, non ho manco visto "Perfetti sconosciuti", ancora. Questo trabocca di paturnie relative alla famiglia che non so se ho la forza di affrontare, in questo momento.
Cannibal Kid: Pure in questo caso opinione opposta rispetto a quella di Lazyfish, che oggi sembra rivelarsi la mia nuova nemesi peggio di Ford. L'ultimo bacio era esagerato, troppo urlato e corso dai suoi personaggi, però all'epoca dell'uscita mi era sembrato una piacevole boccata d'aria fresca per il cinema italiano che allora doveva ancora risorgere. Sette anime invece era una stronzat**a di proporzioni galattiche che non a caso ha rischiato di mettere fine alla carriera hollywoodiana di Muccino, e non solo hollywoodiana.
Ma poi non hai mai visto lo splendido Perfetti sconosciuti?
Corri subito a recuperarlo, Mela, che un bel film al giorno toglie il Ford di torno.
Ford: di Muccino apprezzai, ai tempi, soltanto il genuino - del resto allora era ancora praticamente uno sconosciuto - Come te nessuno mai, finendo per detestare gradualmente tutta la sua produzione successiva, culminata con merdate atomiche uscite negli States, tra le quali, a malincuore dovendo dare ragione a Cannibal, metto Sette anime, una roba che mi fece, ai tempi, vomitare anche le budella.
Sinceramente, di recuperare quest'ennesimo ritorno della fine degli anni novanta con Accorsi e compagnia non ho proprio alcuna voglia.

Hannah

Lazyfish si avventura tra i quartieri più tristi di Casale per portare il pranzo a Cannibal Kid.

Lazyfish: Produzione Italo-franco-belga, "Hannah" vede protagonista un'anziana Charlotte Rampling, col marito in prigione, il figlio che la odia e, come dire, mi ha stracciato le palle già dal trailer. Già i film con protagonisti vecchi mi fanno tristezza ed un po' ansia, aggiungiamoci che la storia non è proprio un'allegria... me lo risparmierò supervolentieri.
Cannibal Kid: Ooh, finalmente. Qui sì che siamo sulla stessa lunghezza d'onda! Abbasso i film sui vecchi, abbasso i vecchi, e quindi abbasso Ford!
Ford: i film sui vecchi funzionano se si parla di Expendables o Gran Torino, ma in questo caso prevedo una rottura di palle radical che non riuscirebbe ad immaginare neppure il mio nemico Cannibal. Cinque alto dunque a Lazyfish ed approvazione per la bocciatura.

Hostages

"Una bottiglia di spumante vuota e niente White Russian: si vede che non siamo a casa Ford."

Lazyfish: Tratto da un tragico fatto vero accaduto nella Georgia russa negli anni '80, "Hostages" potrebbe essere un thriller niente male e ben recitato, malgrado l'aspetto squallidino e la povertà (di mezzi cinematografici) generica che emana il trailer che lo riguarda. Credo finirà anche questo nella lista degli eventuali recuperi in home video, con tutta la calma del caso. Eventualmente vedrò prima cosa ne dicono i miei blogger di fiducia (no, non ho detto Cannibal e Ford).
Cannibal Kid: Tipico mattonazzo russo buono giusto per l'autore di White Russian, o potenziale sorpresa internazionale della settimana?
Credo che aspetterò il giudizio di qualcuno che ne capisce davvero di cinema...
Peccato che, a parte me, non mi venga in mente proprio nessun altro.
Ford: questo thriller ad ambientazione sovietica potrebbe essere una buona scusa per una serata a base di White Russian - come se ne avessi bisogno - o per un ritorno alla guerra tutt'altro che fredda con Cannibal, eppure non riesco ad essere ispirato rispetto al recupero. Sarà l'influenza del Pescepigro o della pigrizia di Cannibal?

San Valentino Stories

"Cosa!? Cannibal e Ford hanno invitato Lazyfish e non me!? Li denuncerò per molestie!"

Lazyfish: "San Valentino Stories" è un film ad episodi (ma non erano passati di moda almeno 30 anni fa?) ,di ambientazione/produzione/protagonisti partenopei, perchè, come recita il flano, "Cupido è nato a Napoli". Sì, vabbè, parliamoci chiaro: ho visto il trailer, che mostra solo scene non parlate, ma io, oltre alla colonna sonora del promo, che consta di una canzone strappacuore, già vi sento abbaiare, cari protagonisti supersconosciuti di questo filmetto, e quindi mi terrò ben lontana da qualsiasi cosa vi riguardi.
Cannibal Kid: Chiudiamo questo appuntamento di San Valentino con una nota positiva. No, non intendo quelle del trailer inascoltabile, oltre che inguardabile, di questa pellicola neomelodica a episodi che non credo vedrò mai nemmeno sotto tortura. A meno che l'alternativa non sia un concerto di Gigi D'Alessio. Intendo perché almeno su questo “film” torno ad andare d'ammore e d'accordo con Lazyfish. E credo che pure Ford in questo caso sarà sulla nostra stessa lunghezza d'onda. Un piccolo miracolo di San Valentino?
Ford: miracolo di chiusura di San Valentino, perfetto per questa rubrica ormai definitivamente a tre, la stroncatura il più pesante possibile di questa roba, talmente indigesta da farmi rivalutare perfino le peggiori proposte radical di Cannibal Chic. Personalmente, credo potrebbe farmi lo stesso effetto di un concerto di D'Alessio. E credetemi, non sarebbe bello da vedere.
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