Regia: Mario Bava
Origine: Italia
Anno: 1960
Durata: 87'
La trama (con parole mie): nel cuore della Moldavia del seicento una strega divenuta vampiro ed il suo servo ed amante vengono giustiziati dal fratello di lei, costretti alla tortura della Maschera del Demonio. Quando il rogo dovrebbe porre fine alle loro esistenze, però, un uragano invocato dalla strega stessa, pronta a maledire il fratello ed i suoi discendenti, impedisce la distruzione dei corpi degli accusati: due secoli dopo, a seguito dell'involontario intervento di due medici troppo curiosi, la maledizione prende forma.
Katia, la giovane figlia del principe di quelle terre, diviene il bersaglio delle anime dannate, che vorrebbero sfruttarla come veicolo per il ritorno della rappresentante del diavolo sulla Terra: soltanto l'amore del più giovane dei medici e l'esperienza del pastore del luogo potranno fare da baluardi contro l'affermarsi della maledizione e delle forze del Male.
Questo post partecipa alle sanguinose celebrazioni dedicate al Mario Bava Day.
Fu davvero curioso, il destino di Mario Bava.
Almeno qui in Italia.
Almeno qui in Italia.
Direttore della fotografia, Maestro degli effetti speciali, innovatore, figlio e padre d'arte, il cineasta sanremese ebbe una fortuna scarsissima nonostante il talento che mostrò nella maggior parte delle sue opere, alcune delle quali assolutamente strepitose, sia in termini autoriali che di seguito.
Non è un mistero, infatti, che mentre qui nel Bel Paese il buon Mario attendeva un riconoscimento dalla critica illustre, soprattutto negli States registi del calibro di Carpenter, Burton e Tarantino finirono per considerarlo un genio assoluto ed un ispiratore delle loro opere, e che quello stesso riconoscimento tanto agognato giunse - purtroppo postumo - proprio grazie agli apprezzamenti di questi ultimi: La maschera del demonio, suo primo lungometraggio ufficialmente documentato, è una dimostrazione di quello stesso, incredibile talento.
Nonostante, infatti, passerà alla storia più come trampolino di lancio per quella che fu una delle prime scream queen dell'horror, Barbara Steele, questo drammone gotico dai risvolti romantici - una specie di Casablanca in salsa Lovecraft - rappresentò una delle lezioni migliori per i registi del genere e non solo, dalla tecnica sopraffina - fotografia, firmata dallo stesso Bava, assolutamente perfetta, atmosfere lugubri ed affascinanti, quasi come se il Nosferatu di Murnau respirasse ed ispirasse seduzione, movimenti di macchina di ispirazione wellesiana - ad una cornice che, ai tempi, si era potuta ammirare solo nelle opere inglesi di Hitchcock - Rebecca la prima moglie su tutte - ed in cult totali come Gli invasati, senza contare un approccio decisamente avanti con i tempi che avrebbe aperto la strada a tutto quello che il Cinema d'orrore avrebbe riservato al suo pubblico soprattutto tra gli anni settanta ed ottanta.
Il genere vampirico, ai tempi assolutamente lontano dall'inflazione conosciuta in epoche più recenti e scialbe, unito ad un'atmosfera elegante e malinconica, un ritmo volutamente lento - del resto, l'ispirazione venne da un racconto di Gogol - ed un bianco e nero da fare invidia ai Capolavori dell'espressionismo tedesco regalano a questo film un fascino unico, di quelli che soltanto i titoli sfruttati dagli insegnanti nelle scuole e dai critici nei percorsi tematici delle rassegne possono avere, e che a distanza di più di mezzo secolo continua ad intrigare ed ipnotizzare nonostante l'ingenuità di fondo che ai tempi era parte integrante del prodotto finito - il duello con il pipistrello nella cripta, le luci sfruttate come riflettori pronti ad illuminare i volti dei maligni come torce elettriche in un campeggio a scandire i racconti di terrore sussurrati davanti ad un falò -.
Agli spettatori attuali forse potrà apparire perfino ingenuo, eppure La maschera del demonio rappresenta, di fatto, uno dei titoli più importanti della produzione italiana degli anni sessanta, precursore di una tradizione che vedrà opere come Profondo rosso prendersi le luci della ribalta anche grazie ai passi mossi da Bava quasi un ventennio prima: e dalla passione per gli effetti speciali - strepitosi in tutto e per tutto - all'incredibile miracolo operato su Barbara Steele - antesignana delle attuali cagne maledette, eppure incredibilmente efficace con i suoi movimenti quasi nevrotici delle mani e gli splendidi ed inquietanti primi piani dell'epilogo, con la strega sul rogo - tutto funziona in questo lavoro, che pur non essendo il mio personale favorito di questo incredibile regista - Reazione a catena e Cani arrabbiati restano, a mio parere, i suoi veri Capolavori - rappresenta uno degli esordi più potenti della Storia del Cinema non solo nazionale, ed un cult che gli appassionati del genere non potranno certo dimenticare facilmente.
Come una maledizione.
O un dono.
MrFord
Partecipano all'iniziativa con una goccia di sangue a testa i seguenti adepti:
Bollalmanacco
Director's cult
La fabbrica dei sogni
Montecristo
Non c'è paragone
Obsploitation
Recensioni Ribelli
Scrivenny