mercoledì 31 luglio 2013

Fringe - Stagione 3

Produzione: FOX
Origine: USA
Anno: 2011
Episodi:
22




La trama (con parole mie): i membri della Divisione Fringe sono sempre più alle prese con i guai legati al sovrapporsi progressivo del nostro universo e di quello parallelo violato ventisei anni prima da Walter Bishop per salvare il Peter di quella realtà e portarlo nella nostra a sostituire il suo stesso figlio deceduto.
Lo scambio delle Oliva Dunham dei due mondi complica ancor più le cose, finendo per aumentare la tensione ed accelerare l'avvento di una guerra che potrebbe distruggere completamente sia una che l'altra Terra, al quale, forse, neppure gli apparentemente onniscenti Osservatori possono porre rimedio.
Toccherà ad Olivia e Peter, sempre più legati l'uno all'altra, sfruttare talento, coraggio, sfrontatezza ed un pò di improvvisazione suggerita da Walter per trovare una soluzione per impedire quella che potrebbe essere la fine di tutto, e di tutte le linee temporali possibili dall'ormai non più così vicino ottantacinque del Vecchio Millennio al duemilaventisei del Nuovo.




Tra le creature firmate J. J. Abrams, Fringe è stata quella che ha dovuto lottare con più forza per farsi apprezzare in casa Ford, complici un pilota che, ai tempi, non riuscì a conquistarci, ed il fatto che ad ogni potenziale momento buono corrispondesse l'arrivo di un titolo in grado di incuriosire maggiormente di questo gli occupanti del Saloon.
Quando la prima stagione, infine, riuscì a trovare il suo spazio, episodio dopo episodio arrivò a farsi voler bene sia per lo strambo cocktail servito dagli autori - una sorta di punto d'incontro tra il fu Alias e X-Files - che per i suoi protagonisti, dalla determinatissima Olivia al sempre pieno di risorse Peter, passando per lo statuario Broyles, la mascotte della squadra Astrid e soprattutto lui, il mitico, stralunato, pesantemente drogato Walter Bishop, scienziato pazzo nell'accezione migliore del termine.
Con la seconda annata le potenzialità del titolo parvero letteralmente esplodere, ponendo le basi per un proseguo della vicenda da cardiopalma, ed assestandosi tra i preferiti dei Ford per quanto riguarda il piccolo schermo: con questo terzo giro di giostra, occorre ammetterlo, i vulcanici creatori di Alias fanno un piccolo passo indietro rispetto all'annata precedente, dovuto principalmente all'enorme quantità di carne messa al fuoco e ad un indirizzo non ben delineato della stagione - il conflitto tra gli universi paralleli? Il rapporto tra Olivia e Peter? I casi passati per le mani alle due divisioni Fringe? -, che soltanto nella parte finale pare recuperare l'unità che era mancata per la sua quasi totalità portando a casa una conclusione che pone ulteriori interrogativi e solletica l'immaginazione per quelle che saranno le ultime due seasons del serial.
Badate bene, però, a non leggere questa critica in senso troppo negativo, anche perchè Fringe rappresenta senza dubbio una delle proposte più coraggiose, insolite e pronte a sfidare l'ignoto che il panorama televisivo possa vantare, dalla sigla adattata a seconda dell'universo in cui si svolge il singolo episodio alle sperimentazioni degli episodi stessi - che oltre ai viaggi nel tempo e attraverso le dimensioni non si fanno mancare perfino i cambi di genere, come l'utilizzo dell'animazione per raccontare la disavventura di Peter, Walter e William Bell alla ricerca di Olivia nella sua mente -, supportati nella loro quasi totalità da un ottimo impianto d'intrattenimento, la giusta dose di interrogativi necessari a mantenere incollati gli spettatori puntata dopo puntata ed una squadra di personaggi che funziona alla grande, in una realtà come nell'altra.
Certo, la storia d'amore tra Olivia e Peter potrebbe fare storcere il naso ai fan più "duri e puri", eppure funziona e con l'inserimento della seconda Olivia - o fOlivia, come direbbe Walter - come terzo elemento di un intricato triangolo sentimentale si hanno tutti gli elementi per comporre una formula senza dubbio dirompente che, specie in relazione alla chiusura di questa stagione, potrebbe essere il pepe delle successive due.
Ben costruita anche la maturazione di Walter, il cui gesto totalmente comprensibile di ventisei anni prima è stato la base per quella che potrebbe diventare la guerra tra due universi, e cui la morte di William Bell ha giovato nonostante l'ossessione dello stesso padre di Peter di recuperare le parti di cervello che lo stesso Bell, su sua richiesta, aveva rimosso per evitare che si sviluppasse la sua parte più disturbata e negativa, emersa invece in Walterativo, uomo disperato cui è stato ingiustamente tolto un figlio e che per lo stesso motivo finisce per cucirsi addosso i panni del "cattivo".
Non mancano dunque, nonostante il leggero passo indietro, riflessioni profonde ed entertainment di altissima qualità per un titolo che riesce ad essere in grado di conquistare gli appassionati di settore e non solo, nonchè uno dei più interessanti dell'intero panorama recente offerto dalla tv.


MrFord


"Deep inside of a parallel universe
it's getting harder and harder
to tell what came first
under water where thoughts can breathe easily
far away you were made in the sea
just like me."
Red Hot Chili Peppers - "Parallel universe" -


martedì 30 luglio 2013

Pain&Gain - Muscoli e denaro

Regia: Michael Bay
Origine: USA
Anno: 2013
Durata:
129'




La trama (con parole mie): Daniel Lugo, Adrian Doorbal e Paul Doyle sono tre bodybuilders in cerca di un'affermazione nel pieno della Miami anni novanta. Il primo è un fervente osservante del sogno americano, il secondo un gregario fedele ed il terzo un ex detenuto convinto che la Fede possa salvarlo dalle scelte sbagliate. Il fatto è che per vivere il sogno devi essere disposto a rischiare, anche quando la posta in gioco è di quelle grosse: ed è così che Lugo individua in Victor Kershaw, un imprenditore locale, il bersaglio ideale.
Supportato dai suoi due compagni, il giovane istruttore di fitness rapisce l'uomo e lo costringe - con l'aiuto di un notaio compiacente - a sottoscrivere la cessione di ogni sua proprietà al responsabile delle sue sofferenze: l'eliminazione dello stesso Kershaw ad operazione conclusa non va a buon fine, ma per il curioso trio la situazione pare risolversi quando le forze dell'ordine non credono alla denuncia della vittima.
Il sogno è dunque finalmente a portata di mano.
Ed è a questo punto che entra in campo un investigatore privato...






Ogni singolo dubbio è stato inequivocabilmente fugato.
Pain&Gain è il cult assoluto dell'estate fordiana.
Certo, il Cannibale sarà pronto a giurare di esserne già a conoscenza fin dai tempi precedenti alla realizzazione di quello che, senza se e senza ma, è il miglior film mai girato da Michael Bay, uno di quelli cui fino a qualche giorno fa non avrei dato una chance neppure se fosse venuto in ginocchio a pregarmi offrendosi di pagare per tutta la famiglia Ford il pacchetto VIP completo per la prossima edizione di Wrestlemania, ma per il sottoscritto la visione si è rivelata un'esperienza che è stato necessario vivere sulla pelle, proprio come tutte quelle che contano.
Parliamoci chiaro: dal primo all'ultimo minuto, momento più momento meno, mi sono goduto questa tamarrata che mescola amicizia virile, palestra, grottesco, pulp, sangue e morte rimbalzando tra una grassa risata e l'altra, incantato dalle interpretazioni perfette - volute o no che fossero - di Anthony Mackie, Marc Wahlberg e soprattutto di Dwayne "The Rock" Johnson, idolo del wrestling nonchè pupazzone per una volta - e dico sul serio - reinventatosi attore in barba alla massa spaventosa e alle sue due - nei suoi sogni - espressioni.
Eppure Pain&Gain è un film profondamente crepuscolare, malinconico, capace di mostrare "la faccia triste dell'America" partendo proprio dalla filosofia del self-made man alla base delle stelle e strisce, che trova nella vicenda - assolutamente reale - di Daniel Lugo e dei suoi due complici materia perfetta per mostrare il prezzo che i poveracci, gli illusi e chiunque non abbia il denaro per comprarsi la felicità si ritrovano a pagare anche soltanto per un unico giro sulla giostra che conta.
Così come per Alien in Spring breakers, i tre scombinati e terribilmente stupidi palestrati improvvisatisi gangsters guidati da assurdi imbonitori profeti dell'autorealizzazione e dalle visioni che tanti danni hanno fatto a generazioni intere di spettatori - parlo di cose come Scarface, per intenderci - tentano disperatamente di entrare dalla porta di servizio in un mondo che non appartiene loro neppure per sbaglio, al quale non è possibile mentire - clamoroso il primo confronto tra il rapito Kershaw ed i suoi rapitori, reduci da una mascherata al limite dell'assurdo - e che non è disposto a concedere nulla a chi non porta l'odore della vittoria addosso - con buona pace del buon Lugo -.
Simpatizzare per l'insolita banda è facile e quasi spontaneo - nonostante le imprese agghiaccianti che i tre riescono a portare più o meno a termine -, ed il crescendo di follia che contagia i pompatissimi soci riporta addirittura alle prime stagioni di Breaking Bad, all'approccio scombinato dei Coen e al bombardamento in stile videoclip di City of god o Domino, eppure dietro alla confezione assolutamente creata ad arte per conquistare qualche bullo cresciuto seguendo il credo di Tony Montana e soci, Pain&Gain rappresenta una delle critiche più feroci alla ferocia sociale degli States approdate di recente sul grande schermo grazie alla grande distribuzione.
Poco importa se tutto finisce per assumere la dimensione della burla, o del "è talmente assurdo da non poter essere vero": Lugo e soci finiscono per assumere i connotati del simbolo della stupidità di tutti noi che crediamo nel riscatto, nell'outsider che finisce per cogliere l'occasione della vita - che non è meravigliosa almeno quanto non esistono Rocky Balboa pronti a portarsi a casa il titolo venendo dalla periferia e ritrovandosi sparati dritti contro il campione del mondo dei pesi massimi -, nel "principe azzurro" - qualunque significato esso abbia - favoletta buona per mettere il guinzaglio a qualsiasi velleità che i film o le canzoni non riescano a tenere bene a cuccia.
E come se tutto questo non bastasse, quel moto di orgoglio di Daniel una volta messo di fronte ad una verità amara come quella dei propri crimini e delle loro conseguenze ha il sapore di distorsione percepito di recente osservando il protagonista di Reality: il problema, come si sarebbe detto nel pieno di quegli anni novanta, non è la caduta, ma l'atterraggio.
E quelli che si buttano sperando di trovare un grande materasso ad accoglierli, in genere non hanno mai il paracadute.



MrFord


"As I walk through the valley of the shadow of death
I take a look at my life and realize there's notin left
cause I've been blastin' and laughin so long that
even my ma'ma thinks that my mind is gone."
Coolio - "Gangsta's paradise" - 



lunedì 29 luglio 2013

La migliore offerta

Regia: Giuseppe Tornatore
Origine: Italia
Anno: 2013
Durata: 124'





La trama (con parole mie): Virgil Oldman è uno dei critici d'arte e specialisti in aste più apprezzati del mondo. Schivo e solitario per natura, passa la maggior parte del suo tempo libero a proteggersi dal contatto con l'esterno e ad organizzare acquisti mirati insieme al suo vecchio amico Billy Whistler in modo da rendere la sua personale collezione di ritratti di donna sempre più consistente.
Quando viene contattato da una giovane intenzionata a commissionargli la valutazione delle opere ereditate dai genitori per organizzare un'asta delle stesse, Virgil viene travolto dallo strano mondo della ragazza, che soffre di agorafobia e vive reclusa nella villa di famiglia che sogna, un giorno, di poter vendere per poter tornare ad uscire e conquistare quel "fuori" che le è sempre mancato.
Tra i due, così diversi eppure in qualche modo simili, comincia ad instaurarsi un legame sempre più profondo, che dai primi conflitti li porterà a vivere una storia d'amore intensa ed unica quanto la collezione dello stesso Oldman.
Cosa sarà più importante, alla fine? L'arte o la vita? E all'asta per il cuore di Virgil chi farà la migliore offerta?





Lo ammetto: ho approcciato La migliore offerta - vincitore netto degli ultimi David di Donatello - con ben più di una perplessità, dalla confezione apparentemente laccata al regista, Giuseppe Tornatore, uno dei cineasti nostrani più amati e premiati all'estero dal sottoscritto sempre considerato fin troppo sopravvalutato.
Come spesso accade, poi, nei casi in cui le aspettative partano dal basso, ho finito non solo per considerare il film decisamente ben riuscito, ma anche per ritenerlo forse uno dei migliori del buon Tornatore, in grado senza dubbio di orchestrare con un piglio ed un respiro assolutamente internazionali un cast in grande spolvero riuscendo a portare sullo schermo tutto il fascino di una vicenda che intreccia un gusto ed una cornice assolutamente radical chic con un incedere a metà tra il melò ed il thriller di rimembranze polanskiane.
Sorretto come sempre con esemplare bravura da un ottimo Geoffrey Rush, l'impianto narrativo legato alla sceneggiatura scritta dallo stesso regista sfrutta alla perfezione il gioco di specchi fornito dalla storia d'amore tra i due protagonisti attirando l'audience in una direzione senza mostrare - almeno alla luce del sole, un pò come la giovane ed agorafobica Claire - quelli che sono i suoi reali intenti, scomodando grandi temi come l'Amore e l'Arte in modo che i piccoli dettagli, gli ingranaggi di un automa pronto a svelare la Verità, non possano essere individuati ed assemblati dallo spettatore, più impegnato a perdersi nel gioco delle parti che avvicina progressivamente Virgil e la già citata Claire - impagabili i loro litigi da ragazzini da una parte all'altra del muro - che non a cogliere il filo che lega tutti i misteriosi e splendidi ritratti che Oldman colleziona un'asta dopo l'altra grazie all'apporto del fedele amico Billy Whistler e lo stesso banditore, un uomo che si rifugia dal mondo eppure lo anela disperatamente, perso negli occhi, nei sorrisi e nei lineamenti di ognuna di quelle misteriose donne che custodisce nel suo caveau privato.
E in questo continuo rimbalzare di cuori, nella complessa lotta che parallelamente porta Virgil e Claire a specchiarsi l'uno nell'altra, si inserisce il solo apparentemente semplice e lineare personaggio di Robert, vero e proprio deus ex machina del riscopertosi in balìa dei sentimenti Oldman pronto ad aprire al suo interlocutore un mondo nuovo, ben più complesso e sfaccettato di quello delle opere e dei dipinti che lui conosce così a fondo, nel pubblico come nel privato: quello dell'amore e dell'universo femminile.
Ed ecco scendere prepotentemente in campo il concetto della "migliore offerta", tutto quello che ci giochiamo nell'asta più importante, quella per il cuore di chi ci sta di fronte: e tanto più profondi saranno i nostri sentimenti per lei, tanto più accanita sarà la concorrenza, più alto il rischio, più vibrante l'attesa di quel martello che batte il colpo che ci assegnerebbe la vittoria.
Ma davvero l'amore è un'asta? Un gioco al rialzo? Un azzardo? Una compravendita?
E' possibile imprigionare in un dipinto - o in dieci, cento, mille - l'essenza di una vita, di una storia, di qualcosa pronto a travolgerci e portarci via tutto quello che abbiamo?
Nessuno potrà mai dirlo.
Non potrà Claire, impegnata a rappresentare se stessa.
O Billy, generosamente coccolato dal suo ruolo di gregario.
O Robert, che rimetterà insieme i pezzi dell'automa in grado di rivelare la Verità senza poterla scoprire davvero.
O Virgil, che dovrà ricominciare da capo, e scoprire cosa accade quando la pagina è voltata, la tela vuota, lo specchio in pezzi.
A volte la migliore offerta è accettare di essersi buttati ed avere perso, ed essere ancora più desiderosi di ricominciare.


MrFord


"I just called to say I want you to come back home
I found your picture today
I swear I'll change my ways
I just called to say I want you to come back home
I just called to say, "I love you. Come back home""
Kid Rock feat. Sheryl Crow - "Picture" -


domenica 28 luglio 2013

TBP - AFK

Regia: Simon Klose
Origine: Svezia, Danimarca, Norvegia, UK
Anno: 2013
Durata: 85'




La trama (con parole mie): Pirate Bay, il più grande luogo di sharing della rete mai esistito, a partire dal duemiladieci lotta contro il potere di Hollywood, che a seguito della violazione dei diritti del copyright sui film ha ingaggiato una vera e propria guerra contro i tre fondatori ed amministratori del sistema, Gottfried Svartholm, Peter Sunde e Fredrick Neji.
In un continuo botta e risposta tra tribunali, corti d'appello, media fino ad arrivare al Parlamento Europeo, i tre giovani ed i loro sostenitori continuano ad opporre alla logica della legge del più forte imposta dalle major della distribuzione l'ideale di un nuovo mercato basato sulla libertà ed il libero scambio della Rete.
Ma i tre accusati sono davvero idealisti come sembra? Cosa c'è davvero dietro Pirate Bay ed il suo impatto sul mondo - internettiano e non -?





Il fatto che internet e la rete abbiano cambiato il mondo è un fatto assodato ed ormai fuori discussione: ricordo quando, ai tempi della mia adolescenza - già immagino le battute del Cannibale in proposito -, se soltanto si pensava di portare fuori una ragazza ci si doveva fare coraggio, buttare il cuore oltre l'ostacolo e chiamare a casa della stessa - sperando che a rispondere non fossero i genitori - per chiedere tutto quello che si doveva chiedere a voce.
Se mi sforzo, ricordo almeno un paio di situazioni imbarazzanti proprio al telefono - ovviamente fisso - legate a dichiarazioni - una mia compagna di classe dell'ultimo anno di superiori, di punto in bianco, mentre si parlava d'altro, mi disse "non so se l'hai capito, ma tu mi piaci, e voglio che stiamo insieme" - o consigli - terrificanti telefonate in cui le amiche di lei ti dicono "mi raccomando, trattala bene", roba da spaventarsi già dopo un'uscita -: internet, ai tempi, era praticamente fantascienza.
Poi, di colpo, nel giro di neppure vent'anni, si è passati dai telefoni a gettone agli smartphone in grado di dirti in ogni momento il tempo che fa, se i mezzi saranno puntuali oppure no, dove si trova questo o quel tuo amico, e via discorrendo: accanto ai progressi della comunicazione e della tecnologia, ovviamente, è giunto a sconvolgere il mondo il file sharing.
Ed anche in questo caso, non prendiamoci troppo per il culo: che si tratti di musica o film, libri o videogiochi, tutti noi sappiamo bene cosa significhi scaricare.
Sia che la motivazione stia nel fatto che un determinato titolo non è mai stato distribuito qui nella Terra dei cachi o che senza un lavoro ben retribuito - o un lavoro - è ben difficile poter considerare di spendere gran parte del proprio stipendio in prodotti editoriali, alla maggior parte delle persone almeno in parte in grado di muoversi online sarà capitato di recuperare una volta nella vita una canzone, un romanzo, un film.
Probabilmente, se questo è accaduto negli ultimi anni, è passato in un modo o nell'altro attraverso i server di The Pirate Bay, il più grande sito di file sharing mai esistito, in grado di rivaleggiare - per importanza e bacino d'utenza - con Napster, primo grande network di questo tipo mai creato: Gottfried Svartholm, Peter Sunde e Fredrick Neji, creatori di Pirate Bay, da qualche anno sono al centro di un'intricata vicenda legale che li ha visti battersi in tribunale in Svezia - loro Paese d'origine -, sui media e al Parlamento Europeo.
Il percorso seguito dai tre giovani informatici è stato documentato da Simon Klose e distribuito - non in Italia, guardate caso - per testimoniare l'accanimento che l'industria cinematografica hollywoodiana ha manifestato nei confronti dei nomi di spicco del sito colpevole di aver sottratto introiti dal botteghino per riciclarli - anche se detto così suona ancora più criminale - nel risparmio degli utenti e nelle tasche dei fondatori della Baia: tralasciando il discorso prevalentemente cinematografico - il lavoro di Klose è interessante, anche se ancora acerbo e privo della mano polemica di un Michael Moore così come di quella prevalentemente analitica di un Werner Herzog -, sono rimasto colpito da TBP ATK principalmente per le riflessioni che lo hanno accompagnato.
Da un lato, infatti, la mia parte più ribelle nonchè profonda sostenitrice della Libertà - di parola, idee, pensieri e scambio, come in questo caso - è uscita profondamente sconvolta dall'idea che lobbies di potere - economico e sociale - enorme possano premere fino a questo punto su tre giovani colpevoli principalmente di avere un talento fuori dal comune, mentre dall'altro la parte più razionale e paterna del sottoscritto ha continuato a pensare che ai già citati Svartholm, Sunde e Neji poco importasse della tanto sbandierata battaglia per la loro identità di intellettuali liberi di esprimersi attraverso la Rete, quanto di poter tornare liberi a godere della loro notorietà il più in fretta possibile.
I tre moschettieri qui presenti, infatti, non sono personaggi da film, eroi senza macchia perseguitati dall'orribile macchina di una Giustizia che privilegia il più forte, bensì nerd con un altissimo tasso di rancore verso la società - espresso attraverso le dipendenze di Gottfried, l'eccessiva esposizione di Peter e la rabbia e l'alcolismo di Fredrick - che hanno avuto la fortuna, in qualche modo, di poter contare su doti eccezionali che li potessero distinguere dai tanti disadattati che finiscono per scomparire inghiottiti dall'anonimato o per esplodere in follie omicide.
In questo senso, TBP AFK è una pellicola fondamentale nell'esprimere il disagio presente nella società attuale divenuta dipendente da quella stessa Rete che fino a qualche anno fa neppure esisteva a livello quotidiano, incompleta e soltanto abbozzata eppure in grado di scatenare riflessioni decisamente complesse: da che parte finiremo per schierarci? E mossi da quali scopi?
Proclamare l'innocenza di questi tre ragazzi è giusto perchè ideologicamente è assurdo che multinazionali della comunicazione esercitino la loro volontà di imporre il loro gusto agli utenti oppure perchè sotto sotto tutti noi vogliamo continuare a poter vedere cento film per comprarne soltanto dieci?
La condivisione è un'illusione da Fattoria degli animali o una nuova frontiera che le majors, guidate da sensazioni simili a quelle dei politici attaccati alla poltrona, non abbandoneranno fino a quando la lotta non si farà troppo dura?
Difficile dirlo. Difficile rispondere.
Simon Klose, da par suo, ha posto la prima pietra di qualcosa che, forse, sarà più grande della Rete stessa.
L'etica della sua esistenza.


MrFord


"Pirate I’m gonna take your soul
I only want the right to love you
I know the sea won’t let you go
pirate, my love will only chain you down
so just know how much I love you
and then turn that ship around."
Cher - "Pirate" -


sabato 27 luglio 2013

Three kings

Regia: David O. Russell
Origine: USA
Anno:
1999
Durata: 114'



La trama (con parole mie): Archie Gates, Troy Barlow ed il Capo Elgin sono tre uomini di punta - nei rispettivi settori - della Prima Guerra del Golfo, campagna militare che vide Bush senior combattere l'Iraq appellandosi all'invasione del Kuwait ordinata da Saddam Hussein.
La guerra, però, è ben diversa da come viene raccontata al mondo esterno, ed i soldati USA devono fare i conti con i rapporti da costruire giorno per giorno - e con molta attenzione - con i media: quando una mappa scovata in un nascondiglio decisamente intimo di un prigioniero rivela l'ipotetica posizione di un tesoro in lingotti d'oro trafugato dallo stesso Saddam e custodito non lontano dalla base delle operazioni statunitensi, i tre si mettono in cerca della stessa finendo per disertare.
Questo gesto totalmente egoistico e legato al mero guadagno li tramuterà in qualche modo in eroi quando si troveranno a dover scegliere se diventare ricchi o salvare un gruppo di iracheni - che altro non sognano se non una vita da americani - intenzionati a varcare il confine con l'Iran. 


 

E' più che legittimo affermare che ormai David O. Russell sia uno dei protetti del Saloon grazie ad una fama costruita pellicola dopo pellicola, resa solida dal buon The fighter ed ancor più dall'ottimo Il lato positivo, titoli che l'hanno di fatto lanciato verso i piani più alti del dorato mondo di Hollywood: all'appello mancava Three kings, che nell'ormai lontano novantanove ebbe un buon riscontro di critica ma non il successo commerciale che ci si sarebbe potuti aspettare per un blockbuster con protagonisti George Clooney e Marc Wahlberg.
Forse perchè, di fatto, un blockbuster - nel senso più commerciale ed appiattente del termine - Three kings non è: quello che Russell ha confezionato, infatti, è un film molto più profondo e stratificato di quanto non possa sembrare all'apparenza, più simile al successivo Jarhead che non a polpettoni di retorica a stelle e strisce come ci si aspetterebbe da un connubio tra guerra e film di grande distribuzione.
Basterebbero sequenze come quella dell'interrogatorio di Marc Wahlberg/Troy Barlow, aperto con la domanda del suo carceriere "che cosa ha fatto il tuo Paese a Michael Jackson? In nessun altro luogo del mondo un nero è costretto a diventare bianco e a lisciarsi i capelli", per rendere l'idea del contenuto profondamente satirico, grottesco ed insolito per quella che, di fatto, è una pellicola d'azione, almeno sulla carta: al contrario, quello che viene portato in scena da Russell è un acuto pamphlet contro l'amministrazione di Bush senior e l'aggressività del modello di vita statunitense, capace di influenzare perfino le vite degli abitanti del loro rivale in Guerra - ed anche in questo caso, le battaglie più importanti paiono quelle mediatiche, in netto anticipo sui tempi cambiati a seguito dell'undici settembre e del Nuovo Millennio - e di mostrare tutti i limiti di quello stesso modello fatto di ottimismo larger than life e sindrome dei salvatori.
Il tutto senza necessariamente dover demolire o demonizzare il prodotto dello Zio Sam, che sarà pure fallace ed esposto alle critiche, ma che rappresenta, di fatto, un approccio alla vita ed alla sua conduzione in grado di dare la sensazione a chiunque lo provi sulla pelle di poter realizzare qualcosa, e che in un momento storico pessimo come quello che stiamo vivendo ora in Italia potrebbe essere un esempio cui fare riferimento per cercare di tornare ad alzare la testa senza pensare di crescere i nostri figli in un luogo senza futuro.
Dunque, pur se ancora senza la profondità del già citato Il lato positivo, David O. Russell mostra tutto il talento per il quale il Cinema imparerà a conoscerlo negli anni successivi, azzeccando il giusto equilibrio tra la componente più tamarra del suo lavoro e quella profondamente drammatica - perchè non è mai detto che la satira debba necessariamente portare alle risate sguaiate -, una regia ottimamente organizzata ed un cast particolarmente ispirato - non solo uno dei migliori Wahlberg di sempre, ma perfino un Ice Cube che pare espressivo -, una profonda analisi della sua stessa cultura ed un finale che lascia il dubbio che si possa trattare di Cinema verità - e di nuovo tornano in ballo i media -, perchè anche se parliamo di fiction dall'inizio alla fine quello che è messo in scena, di fatto, è molto più simile alla cronaca di quanto potremmo pensare.
Nell'epoca delle grandi manipolazioni e della comunicazione globale, infatti, anche la guerra è diventata una merce di scambio, un complesso gioco di ruolo all'interno del quale non è più il forte a sopravvivere - non siamo più ai tempi degli antichi regni e delle spade -, il più furbo - il Rinascimento e l'Illuminismo -, il più solido - i due conflitti mondiali -, bensì il miglior promoter di se stesso: in un certo senso, la politica e le sue conseguenze sono diventate uno spettacolo ben più terribile e costruito di quello hollywoodiano.


MrFord


"Got in a little hometown jam so they put a rifle in my hand
sent me off to a foreign land to go and kill the yellow man
born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
I was born in the U.S.A.
Born in the U.S.A."
Bruce Springsteen - "Born in the USA" -


venerdì 26 luglio 2013

Non guardarmi: non ti sento

Regia: Arthur Hiller
Origine: USA
Anno: 1989
Durata: 103'




La trama (con parole mie): Dave Lyons ha perso l'udito da otto anni, vive da solitario e rimpiange i tempi precedenti alla fine del suo matrimonio. Quando assume nella sua edicola Wally Karue, che perse la vista a seguito di un incidente, tra i due scatta subito un'amicizia pronta a permettere al primo di vivere la vita con maggiore ironia ed al secondo di manifestare maggiore fiducia in se stesso.
Testimoni involontari di un omicidio, ricercati dalla polizia così come dai due killer responsabili del crimine, gli ormai inseparabili amici dovranno ingegnarsi e sfruttare le loro abilità così come i loro handicap in modo da risolvere il caso, consegnare i colpevoli alla Giustizia ed evitare di finire a concimare le piante.





Questo post partecipa alle celebrazioni per il Kevin Spacey Day, che avrebbe tranquillamente potuto cedere il passo al ben più importante Sylvester Stallone Day.




Ai tempi della scoperta del Cinema e delle videocassette consumate insieme a mio fratello, Non guardarmi: non ti sento divenne uno dei cult indiscutibili dell'allora casa Ford, visto e rivisto allo sfinimento dalle risate fino alle lacrime per gli irresistibili duetti dei due protagonisti - veri e propri mostri sacri del genere come Gene Wilder e Richard Pryor - al seno strarifatto di Joan Severance - nonostante la famosa scena dell'asciugamano lasciato cadere fosse una delle più usurate della cassetta, ai tempi -.
Onestamente potrei ancora citarlo a memoria, ed avere l'occasione di rivederlo con Julez è stato davvero un gran bel regalo, considerato che ancora una volta ci siamo ritrovati con le mani sulla pancia in momenti come l'esilarante confronto con la poliziotta addetta alle foto segnaletiche: in fondo, parliamo di una delle pellicole cui voglio più bene di quel periodo, nonostante l'ovvia irrealtà dello script ed una seconda parte più action decisamente non all'altezza della prima, dedicata principalmente allo svilupparsi dell'amicizia tra Dave e Wally.
Ancor più onestamente potrei passare ore a riproporre i siparietti tra i protagonisti in compagnia di mio fratello o di Dembo senza annoiarmi un secondo, omaggiando un'epoca che ora, purtroppo per gli spettatori, pare essere finita nel dimenticatoio, e consigliare un recupero immediato per qualsiasi scellerato cinefilo che non avesse mai posato gli occhi su questo gioiellino dell'intrattenimento.
Il fatto è che oggi si celebra, mio - e di Sylvester Stallone - malgrado, il compleanno di Kevin Spacey, ai tempi relegato a figura secondaria - interpretò, poco più che trentenne, il sicario Kirgo, spalla della già citata Joan Severance - nonchè segnato da qualcosa che non si è capito se essere un bozzo, un alieno presente sul suo zigomo sinistro o la prima vittima di quello che sarebbe stato il serial killer psicopatico di Se7en che probabilmente venne pagato come fosse un suo assistente.
Inutile che io stia qui a spiegarvi che senza dubbio il buon Sly avrebbe potuto interpretare il ruolo del suddetto Kirgo con una fisicità ed una prestanza decisamente più importanti, e che soltanto l'aura da sfigatino del buon Kevin ha permesso a quest'ultimo di spuntarla - del resto, non sarebbe stato affatto credibile vedere Rocky Balboa messo al tappeto da un cieco, come se non bastasse piuttosto magrolino -.
Inutile anche che io stia qui a sottolineare che lo Stallone Italiano avrebbe potuto senza troppi problemi incantare nel ruolo di Richard Pryor, ma che il fatto che non fosse afroamericano fu un ostacolo insormontabile, o in quello di Gene Wilder, ma la differenza di altezza con la Severance sarebbe stata troppo evidente e le scarpe con il rialzo progettate per Berlusconi erano ancora in fase di sperimentazione.
Inutile anche affermare che il leggendario Sly se la sarebbe cavata decisamente meglio di Arthur Hiller dietro la macchina da presa, ma nel corso di quell'anno fu troppo impegnato per le riprese e la promozione di due perle come Tango e Cash e Sorvegliato speciale.
Insomma, per dirla tutta, Non guardarmi: non ti sento, già cult, con la presenza di Sylvester Stallone sarebbe senza dubbio diventato un supercult.
Così come il Kevin Spacey Day sarebbe stato molto più efficace se fosse stato un Sylvester Stallone Day.


MrFord


Partecipano al Kevin Spacey Day, che avrebbe dovuto essere il Sylvester Stallone Day: 
50/50 Thriller
Cinquecentofilminsieme
Combinazione casuale
Cooking Movies
Director's Cult
Ho voglia di cinema
Il Bollalmanacco di Cinema
In Central Perk
Montecristo
Pensieri Cannibali
Scrivenny
Triccotraccofobia
Viaggiando (meno)




"'Cause, I think I'm goin' blind
and i know how it should be, yeah'
'Cause, I think I'm goin' blind
and i know how it should be, yeah'."
Kiss - "Goin' blind" -


giovedì 25 luglio 2013

Thursday's child

 

La trama (con parole mie): è esplosa l'estate, e fortunatamente, quasi per una sorta di contrappasso dantesco, sono implose le uscite, che per quanto poco interessanti, sono finalmente in un numero onesto che possa permettere al sottoscritto e al suo rivale numero uno Cannibal Kid di respirare un pò prima che ricominci la stagione con la s maiuscola.
Eccovi dunque lo sparuto - e ben poco interessante - quantitativo di proposte per il weekend, in attesa di partire tutti per il mare dimenticandoci almeno per un pò del Cinema. O almeno, di un certo tipo di Cinema.

"Ciao Peppa, sono il tuo nuovo barbiere."

Wolverine - L’immortale di James Mangold


Il consiglio di Cannibal: Wolverine, ti faccio diventare io mortale
A costo di diventare ripetitivo come l’arterioscelerotico Ford, ribadirò un’altra volta che io i film sui supereroi non li reggo più. Già non sono mai stato un fan del genere, però adesso stanno davvero esagerando. Ormai ne arrivano con una frequenza maggiore persino rispetto ai filmetti italiani inutili! Stiamo arrivando al punto che tra un po’ ci spacciano pure Mister Ford per un nuovo supereroe. E lì sarebbe davvero la fine del genere.
Quanto a Wolverine nello specifico, è uno dei personaggi dell’universo supereroistico che per giunta mi piacciono di meno, non ho visto nemmeno il precedente film, gli X-Men mi sono bastati, e Hugh Jackman mi sta sulle balle. Se lui sarà anche immortale, io non lo sono e a vedere una roba del genere potrei perdere la vita.
Il consiglio di Ford: Cannibal Kid - Il pusillanime
Onestamente, come il mio sgradevole antagonista anche io sono parecchio dubbioso a proposito dell'eccessivo numero di proposte legate ai supereroi che ha invaso le sale.
Tra le altre cose, il Cinema non ha portato gran bene a Wolverine, uno dei personaggi più amati della Marvel bistrattato da un ruolo praticamente macchiettistico in molti dei film sugli X-Men e da un primo film a lui dedicato che era una schifezza abominevole.
Questo Wolverine - L'immortale non mi attira granchè, se non che l'ambientazione Giapponese e la firma di James Mangold potrebbero, di fatto, rivelare qualche sorpresa.

"Hey Cannibal, non ci provare neanche per scherzo a contestare il mio gusto per l'arredamento!"

Se sposti un posto a tavola di Christelle Raynal


Il consiglio di Cannibal: se sposti un posto a tavola… accorre subito un Ford affamato
Mai sottovalutare il cinema francese. Negli ultimi tempi, i nostri cugini furbi stanno tirando fuori un sacco di commedie davvero niente male e allora pure questo, che pure sulla carta non sembra possedere un enorme appeal, potrebbe essere una visione decente.
Non credo si rivelerà una delle cose migliori dalla Francia degli ultimi mesi ma, visto il panorama desolante di questa settimana, in confronto alla concorrenza rischia di essere un capolavoro.
Il consiglio di Ford: se sposti un posto a tavola... Togli la sedia da sotto il culo di Peppa Kid!
Così come per molte delle commediole francesi sbarcate di recente da queste parti, non ho alcuna voglia di vedere questo film, che invece farà sbrodolare l'ormai francofono Monsieur Goì.
Io me lo salto.
E non parlo del pasto, ovviamente!

"Lo vedi quel tizio, Marco Goi!? Basta che gli dici che sei francese, e ti paga anche la cena di domani!"

Titeuf - Il film di Philippe Chappuis


Il consiglio di Cannibal: Chi? - Il Film
Non ho idea di chi o cosa sia Titeuf… l’alter-ego cartoonesco di Ford?
Una brutta malattia?
Chiunque esso sia, qualunque cosa esso sia, non mi pare il caso di vedere un intero film a lui dedicato, visto che già dal trailer sembra una bimbominkionata di quelle che potrebbe sorbirsi giusto bimboFord. E allora persino io, per una volta, schifo la Francia alla grande.
Il consiglio di Ford: il francofono Goì non conosce il fumetto francese, oui!
Nonostante Titeuf sia uno dei personaggi dei fumetti più popolari oltralpe, non sono mai riuscito a digerirlo neppure ai tempi in cui provai a leggere la sua versione italiana.
Figuratevi se ho davvero voglia, a questo punto, di sciropparmi il film a lui dedicato!
Piuttosto ripesco qualche titolo che ha fatto impazzire il Cucciolo e lo bottiglio per bene!

Il Cucciolo Eroico come di consueto intimidito dalla presenza di una fanciulla.

Eco Planet - Un pianeta da salvare di Kompim Kemgumnird


Il consiglio di Cannibal: Ego Ford - Un uomo da salvare
Adesso ci arrivano i cartoni animati pure dalla Thailandia?
Non ci bastano le nostre robette?
Sta favola ecologista buonista la lascio tranquillamente al Fabio Fazio della blogosfera, Ford, e che nessuno provi a salvarlo, che tanto lui in queste bambinate ci sguazza!
Il consiglio di Ford: Eco planet - Ricicliamo il Cannibale!
Per una volta che ci vengono risparmiate schifezze italiane, ecco la solita schifezza per bambini un po’ indietro portati in sala da genitori un po’ indietro.
Per favore, mamme e papà: aspettate qualche settimana, e arriverà Monsters University!

"Questo è l'orologio di Peppa Kid! L'ho vinto con i punti delle merendine del Cucciolo Eroico!"

The following - Stagione 1

Produzione: FOX
Origine: USA
Anno: 2013
Episodi: 15



La trama (con parole mie): Ryan Hardy è un ex agente dell'FBI specializzato nella caccia ai serial killer ormai "in pensione" da una manciata d'anni, a seguito dei traumi fisici e mentali che la cattura dello spietato Joe Carroll ha lasciato su di lui prima che fosse finalmente incarcerato.
Quando lo stesso serial killer, supportato da una vera e propria "famiglia allargata" di seguaci pronti a tutto per lui riesce ad evadere, Hardy viene richiamato in modo che possa consegnarlo una volta ancora alla Giustizia: in realtà è lo stesso Carroll a volere un rinnovato confronto con il suo antagonista, spinto dal desiderio di scrivere un nuovo capitolo - se non addirittura un romanzo intero - della loro storia di rivali.
Per Hardy inizierà una caccia che presto si trasformerà in un vero e proprio incubo per l'agente, i suoi colleghi, gli States nonchè per l'ex moglie di Carroll - della quale Ryan è innamorato - e suo figlio, il piccolo Joey.





Film, serie tv, romanzi che abbiano come cornice un'ambientazione legata a serial killer, morti ammazzati e chi più ne ha, più ne metta, sono di norma molto ben accetti in casa Ford, forti del fatto di rappresentare una di quelle categorie in grado di mettere d'accordo il sottoscritto e Julez senza dover necessariamente ricorrere al compromesso come capita con il Cinema d'autore o un certo tipo di musica - un nome su tutti, Tom Waits -.
Accanto ai consueti Criminal minds e Jo Nesbo, dunque, devo ammettere che l'arrivo di una grossa e pubblicizzatissima produzione come The following aveva creato un certo hype qui al Saloon, nella speranza che lo stesso si potesse tradurre in una serratissima caccia/confronto tra l'agente Hardy - Kevin Bacon, altro attore molto ammirato da queste parti - e l'assassino seriale Joe Carroll - un molto, molto meno ammirato James Purefoy - in grado di tenerci praticamente inchiodati allo schermo.
Il risultato è stato decisamente più deludente - o diludendo, per usare un termine ormai mitico - di quanto non si presentasse sulla carta e non fosse stato spinto dalla massiccia campagna pubblicitaria della Fox, che ha presentato il prodotto di Kevin Williamson neanche si trattasse di una sorta di versione tv de Il silenzio degli innocenti: certo, la confezione è buona, il cast - Purefoy a parte - discreto, la tensione regge e la curiosità stuzzica, eppure il risultato pare più simile ad una sorta di improbabile affresco nello stile di Harper's Island - altra robetta spacciata per grande thriller uscita qualche stagione fa - che non ad un'opera da mozzare il fiato come sono state, in sala, il già citato Il silenzio degli innocenti, Manhunter o Zodiac.
Se, dunque, da un lato la questione della setta di seguaci di Carroll, unita alla devozione per il killer e alle azioni perfettamente coordinate intriga e suscita riflessioni importanti sul controllo che esercitano - ed hanno esercitato, vedasi Charles Manson - figure dubbie ma oltremodo carismatiche su menti più influenzabili e ne escano personaggi sfaccettati e ben scritti come quello di Emma - braccio destro di Joe -, dall'altro spesso e volentieri si sfiora la quasi fantascienza per la facilità con la quale i suddetti followers Carrolliani riescono a tenere in scacco le forze dell'ordine, o si inciampa in dettagli poco curati - cellulari triangolati solo ed esclusivamente quando serve alla risoluzione della trama, il problema di alcolismo di Hardy già dimenticato alla seconda puntata, l'utilizzo di figure decisamente troppo sopra le righe come la vicina di casa nonchè ex dello stesso Ryan - che, fondamentalmente, finiscono per minare la credibilità del risultato finale.
Un peccato, perchè se si fosse puntato meno sulle scene madri - l'inutilmente troncato e sopra le righe season finale - e più sulle sfumature convincenti - i personaggi di Roderick e Jacob, in assoluto i più interessanti tra i seguaci della setta, l'ossessione di Hardy per Carroll ed il rapporto con sua moglie - il risultato sarebbe stato senza dubbio ricordato non tanto come l'ennesima sparata delle major del piccolo schermo ma come una produzione di qualità autoriale in grado di solleticare paure ed inquietudini con potenzialità da blockbuster.
Nonostante tutto, comunque, in casa Ford si continuerà a seguirlo anche il prossimo anno, nella speranza che, come fu per American Horror Story, ad una prima stagione decisamente al di sotto delle attese segua una seconda in grado di lasciare a bocca aperta: in caso contrario, nonostante i morti ammazzati ed i killer siano pane per i denti degli occupanti del Saloon, non avrò certo difficoltà a destinare Ryan Hardy ed i suoi tormenti al limbo dei serial abbandonati senza troppi patemi d'animo.
Nel frattempo, nonostante mantenga alta la guardia, cerco di essere ottimista e di credere che il meglio di e per The following debba ancora venire, e che l'eredità di Joe Carroll ed il suo impatto sulle vite di Ryan, Claire ed il piccolo Joey si sia fatto sentire solo in superficie.



MrFord



"Hey, I ain't never coming home
hey, I'll just wander my own road
Hey, I can't meet you here tomorrow 
say goodbye don't follow
misery so hollow."
Alice in chains - "Don't follow" - 


mercoledì 24 luglio 2013

The last exorcism - Liberaci dal male

Regia: Ed Gass-Donnelly
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 88'




La trama (con parole mie): Nell, giovane scampata all'entità demoniaca che l'aveva tormentata nel primo episodio, ricompare in stato confusionale e viene condotta ad una casa per giovani sopravvissute ad abusi e traumi dove pare poter finalmente cominciare una nuova vita.
Grazie alle attenzioni del proprietario del luogo Merle, un nuovo lavoro, l'amicizia che nasce con alcune delle sue coinquiline e l'attrazione per il giovane Chris, la ragazza può cominciare finalmente a nutrire una speranza per il futuro.
Ma l'incubo è sempre dietro l'angolo, e quando Nell scopre che il demone è tornato non per darle la caccia, ma perchè innamorato di lei e pronto a scatenare l'Apocalisse dopo averla sedotta, sarà costretta a chiedere aiuto ad un gruppo di esorcisti e guardiani che si impegnano per tradizione a tenere il Male lontano dal nostro mondo.





Spesso e volentieri, ultimamente, mi è capitato di citare la necessità estiva di staccare la spina grazie a tamarrate action senza pretese o horror che possano riportare - almeno idealmente - il sottoscritto all'atmosfera delle seconde serate passate con mio fratello tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta, quando a farla da padroni erano film che effettivamente riuscivano a smuovere più di un brivido lungo le schiene di noi giovani spettatori pronti a scoprire un genere nuovo e terrificante.
Il tempo è poi finito per passare - triste consuetudine, a volte -, ed epoche come quella sono divenute una sorta di miraggio: al momento, infatti, riuscire a pescare un buon film d'orrore è un evento che ha le stesse probabilità di verificarsi rispetto a quelle che ha trovare un film italiano degno di nota.
Molto basse, dunque.
Questo The last exorcism - Liberaci dal male, secondo capitolo di un titolo che onestamente non ricordo se sia passato oppure no dalle parti di casa Ford ai tempi della sua uscita nel 2010 - anche se l'idea che io e Julez ci siamo fatti propende per la seconda opzione -, rientra perfettamente nel novero di quei titoli nati per essere destinati al cestino una volta visionati senza alcuna pretesa e con una soglia di attenzione che tende ad abbassarsi minuto dopo minuto nello stile dei pessimi The Wicked e Non aprite quella porta 3D, altre due porcatone di qualità di molto sotto lo zero che ho avuto il piacere - per il mio cervello, che ha ringraziato per la serata libera in entrambi i casi - di ospitare da queste parti di recente.
Occorre ammettere che, tutto sommato, questa robetta senza arte ne parte risulta totalmente innocua, e almeno nella prima mezzora riesce in un paio di occasioni a creare un'atmosfera degna di un paio di salti sulla sedia, e senza dubbio è decisamente lontana da merde galattiche del calibro de L'altra faccia del Diavolo, sempre per rimanere in tema di esorcismi.
Definito il suo status di "schifezzina innocua", resta davvero poco di un film girato, interpretato e scritto a livello ben più basso che amatoriale, che non ha nulla a che vedere con effettive possessioni o atmosfere demoniache inquietanti nello stile di Classici come Rosemary's baby o L'esorcista e che riesce a regalare almeno un paio di sequenze in grado di andare ben oltre il ridicolo involontario - la protagonista che esce da una chiesa dopo l'ennesimo incontro con il suo spasimante demone pronta pronta per essere riconosciuta da un turista con problemi di obesità dall'altro lato della strada che al volo la riconosce come la ragazza posseduta del video che gira su Youtube, giusto per citarne una -, abbastanza noioso nonostante il minutaggio piuttosto ristretto ma ugualmente in grado di concedere al pubblico un finale almeno non buonista.
Se siete in cerca di un film di genere di livello o di emozioni forti, comunque, state pure tranquilli che non troverete nulla di cui sopra: parliamo infatti di un prodotto di riciclo buono giusto per qualche ragazzino bisognoso di una scusa per portarsi in sala la ragazza conosciuta in vacanza e sperare che questa gli si stringa addosso facilitando la prima limonatona della stagione.
Per il resto, questi demoni del nuovo millennio hanno ben poco di minaccioso per noi ragazzi old school abituati alle notti horror.



MrFord


"Do not cry in underwater
I can't get down any farther
all my drowning friends can see
now there is no running from it
it's become my cross of me
I wish that I could rise above it
but I stay down, with my demons
I stay down, with my demons."
The National - "Demons" - 


 
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