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lunedì 10 settembre 2018

Mission Impossible: Fallout (Christopher McQuarrie, USA/Cina, 2018, 147')








- Nonostante gli anni passino e perfino su un eterno Peter Pan come lui comincino a vedersi i segni dell'età, nonostante la follia e l'ego smisurato, continuo ad adorare senza ritegno Tom Cruise, che non ricordo avermi mai deluso neppure nelle produzioni peggiori cui ha preso parte.

- Il brand di Mission Impossible, dai tempi dell'esordio nel novantasei con De Palma in regia, rappresenta forse il più curato e meglio realizzato che l'action d'avventura classica abbia proposto negli ultimi vent'anni, in barba ai più pubblicizzati 007.

- Christopher McQuarrie, già regista del buonissimo Rogue Nation, si supera portando sullo schermo un film serrato, tecnicamente ottimo, ricco di twists e colpi di scena, che si regge sulle spalle di Cruise ma non alimenta il suo divismo sfrenato come in altre occasioni - Ghost Protocol o Mission Impossible 2, ad esempio - e porta il pubblico ad appassionarsi e restare inchiodato allo schermo dal primo all'ultimo minuto.

- La produzione è sicuramente ricca di livello, così come lo sono tutti i passaggi legati agli effetti speciali, ma un plauso particolare va, a mio parere, alle coreografie dei combattimenti e delle parti più fisiche, adrenaliniche e tiratissime neanche fossimo catapultati all'interno di un titolo made in Hong Kong o qualcosa come The Raid. Nello specifico, la sequenza della lotta nella toilette degli uomini a Parigi di Cruise, Cavill e del loro bersaglio è da antologia.

- La squadra dell'IMS, malgrado la perdita di un elemento e, come scritto poco sopra, dell'età che avanza, continua a convincere, grazie anche alle spalle Ving Rhames e Simon Pegg, perfetti nel ruolo di comprimari.

- Sempre a proposito di personaggi, la Vedova Bianca di Vanessa Kirby rappresenta forse uno dei migliori charachters femminili dai tempi della migliore tradizione, anche in questo caso, della serie con protagonista un certo James Bond. Speriamo che venga di nuovo considerata.

- L'entusiasmo che ha accolto la critica anche illustre soprattutto oltreoceano è forse eccessivo, ma se non è questo l'action dell'anno, non vedo proprio quale altro potrebbe essere. Senza contare che parliamo di uno dei titoli più solidi dell'intera saga di Ethan Hunt.

- Gli incassi parlano chiaramente, e indicherebbero la strada per un ulteriore capitolo: non so se il buon Tom riuscirà fisicamente ad essere sempre ai livelli cui ci ha abituati, ma senza dubbio se deciderà di vestire ancora una volta i panni dell'agente Hunt, i Ford saranno pronti a gettarsi a capofitto in una qualsiasi missione impossibile. E senza aspettare che il messaggio che la preannuncia si autodistrugga.



MrFord



venerdì 12 maggio 2017

La notte del giudizio - Election Year (James DeMonaco, USA/Francia, 2016, 109')




Quando si parla di saghe, che si tratti di ambito letterario o cinematografico, si entra sempre e quasi obbligatoriamente in un campo minato.
Mantenere, infatti, un livello qualitativo alto - o quantomeno discreto - per tutti i capitoli delle suddette senza snaturare ad un tempo lo spirito originario è cosa non da poco, ed i titoli che ci sono riusciti, da Star Wars a Il signore degli anelli - senza contare Game of thrones -, sono entrati nel cuore dei fan di tutto il mondo.
Certo, per me la saga cinematografica per eccellenza - alla faccia del più autoriale Il padrino - è e resterà per sempre Rocky, ma devo ammettere che spesso e volentieri il fascino di un mondo, personaggi o vicende in qualche modo legate mi attrae non poco, dando ad un'opera di fiction una dimensione a suo modo più reale: La notte del giudizio, survival urbano legato alla riflessione sull'uso della violenza legalizzata come arma per ridurre la criminalità, uscito qualche anno fa e ben accolto dal pubblico e da parte della critica, aveva dato inizio ad un franchise che, per quanto certamente non scarso o protagonista di momenti destinati al peggio della stagione cinematografica, non aveva mai raggiunto picchi di emozione, coinvolgimento o qualità complessiva davvero in grado di fare la differenza.
In questo senso, non è da meno neppure quest'ultimo Election Year, che annuncia una svolta decisiva per l'evoluzione della storia del "Purge" - ovvero la possibilità di revoca dello stesso, e dunque del motore del prodotto - ma, fatta eccezione per quest'eventualità e la cronaca "politica" che in un periodo di elezioni e post-elezioni americane funziona sempre non cambia di una virgola la ricetta dei precedenti, sprecando alcune buone cartucce - le ragazzine folli in pieno stile Spring Breakers che promettevano faville liquidate come se nulla fosse - e consegnando al pubblico quello che il pubblico si aspetterebbe considerati i precedenti del brand.
Una sicurezza, dunque, per certi versi, ed un peccato per altri.
In fondo, anche questo Election Year in termini di azione, atmosfera e costruzione funziona e si lascia guardare, pur mancando completamente di quella scintilla in grado di trasformare una visione in un'esperienza che non si dimenticherà facilmente.
A rendere il tutto più "movimentato" i numerosi volti noti di caratteristi passati su grande e piccolo schermo nel corso degli ultimi anni, da Lost a Justified, ed una serie di riflessioni politiche in grado di dare un certo spessore al prodotto finito, ed un ritmo comunque tutto sommato buono, probabilmente legato - come i capitoli precedenti - alla lezione data ai tempi dal cultissimo I guerrieri della notte.
A conti fatti, dunque, un titolo in grado di intrattenere ma incapace di segnare la memoria dell'audience, o di sorprendere davvero: in un mondo in cui accadono cose che paiono ben peggiori di quelle mostrate sullo schermo, del resto, è difficile restare davvero stupiti.



MrFord



 

sabato 14 maggio 2016

Rocky once again

La trama (con parole mie): qualche settimana fa, per puro caso, in una domenica sera che in casa Ford avremmo dovuto destinare a qualche episodio di serie tv, Julez ha finito per imbattersi in Rocky II, trasmesso per l'occasione su Rai Movie, scoprendo che lo stesso canale stava preparando una sorta di retrospettiva dedicata allo Stallone Italiano.
Così, per cinque domeniche, quasi religiosamente, mi sono seduto sul divano come spettatore televisivo - cosa più unica che rara - ed ho ripercorso ancora una volta la saga che, più di ogni altra, ha segnato la mia vita di spettatore - e non solo -.
E non ho proprio saputo resistere all'idea di scriverne ancora.






E' vero, in questa nuova cavalcata legata allo Stallone Italiano, uno dei charachters che più ho amato - ed amo - nella Storia del Cinema, è mancato quello che è probabilmente il miglior capitolo, il primo, programmato la settimana prima che venissi a sapere di questa splendida iniziativa: del resto, erano i giorni appena successivi la nascita della Fordina, quindi la mia "assenza" ha finito per starci, eccome -, eppure rivedere per l'ennesima volta i film dedicati al personaggio che ha cambiato la vita del suo autore ed interprete e quella di milioni di spettatori in tutto il mondo è stato assolutamente magico.
Da quella sera con Rocky II, in cui Julez ha finito per chiedermi più di una volta se non preferissi assistere al rematch tra Balboa e Apollo piuttosto che vedere altro sentendosi rispondere "ancora cinque minuti" fino al momento in cui, più o meno quando Adriana sussurra "Vinci!" ho deciso che la serata non poteva che andare nella direzione della scalinata di Philadelphia - che continuo a pensare sia stata una fortuna aver percorso, ovviamente di corsa ed imitando Rocky, almeno una volta nella vita - fino alla malinconia struggente di Rocky Balboa, ultimo capitolo - almeno fino a Creed - pronto a rappresentare la versione stalloniana di The Wrestler, vedere Sly prestare corpo e cuore al suo personaggio più riuscito per l'ennesima volta è stato come tornare a casa, finendo per esaltarmi e commuovermi come se il Tempo, l'avversario più duro che ogni combattente si trova ad affrontare, non esistesse.
Da questo punto di vista, Rocky ha vinto.
Perchè dall'emozione di immaginarlo come un padre cinematografico ai tempi in cui potevo avere l'età di suo figlio fino a quella che l'ha visto ammonire proprio Robert Jr affermando che il vero vincente è semplicemente quello che incassa i colpi che la vita riserva ed è pronto a rialzarsi sempre e comunque perchè mosso dalla passione, e non dalla voglia di incolpare qualcun'altro per i suoi insuccessi vedendomi da qui a qualche anno con il Fordino - o la Fordina -, un personaggio come quello di Rocky è andato oltre qualsiasi sogno potesse essere legato al grande schermo: nessuno - Stallone incluso - avrebbe scommesso un dollaro che un pugile - per giunta neppure particolarmente vincente - nato dalla penna di uno sceneggiatore all'epoca squattrinato avrebbe potuto conquistare l'onore dell'Hall of fame della Boxe mondiale - primo ed unico "non esistente", che io sappia, a giungere ad un risultato di questo tipo - e divenire un'icona non solo della settima arte, ma della cultura popolare.
Eppure è stato così.
Ma non voglio che questo diventi un post di cronaca, legato alle curiosità o alle vicissitudini di attore e personaggio: voglio ripercorrere una volta ancora con il pensiero il "non mi frega niente a me del futuro, vattene via!" ed il noto "Adriana!", il "a parte quando è nato mio figlio, è la notte più grande della mia vita", i training montage, la morte di Mickey e quella di Apollo, Frate Carmine e "Io ti spiezzo in due!", il dopobarba Belva e "Di quand'è, questa, dell'ottanta?" "Forse anche settanta".
Voglio soffrire, e sudare, ed incassare come Rocky, e continuare, un round dopo l'altro, un match dopo l'altro, un gradino dopo l'altro a salire quella scalinata.
E spero, un giorno, di poter tornare nello stesso luogo in cui ho sognato da bambino con i miei figli, e fare un video tutti insieme mentre arriviamo in cima di corsa, come il Rocky dei tempi migliori, con me che arranco dietro di loro mentre li guardo crescere e mi rifiuto di smettere di combattere.
Perchè la Bestia ed il fuoco albergano dentro di noi tanto quanto la voglia di costruire e di proteggere chi amiamo, così come la paura alimenta la forza nel momento in cui dobbiamo fronteggiare una sfida che, in un primo momento, può sembrare insormontabile.
E per quanto si possa apparire sempre un pò in ritardo rispetto al nostro nemico numero uno, lenti, o stanchi, o feriti, o fuori forma, sarà quella scintilla a fare la differenza tra chi avrà deciso di mollare e chi, invece, lotterà ancora un altro round.
Fino alla fine.
Personalmente, mi rifiuto di credere, quando guardo e mi emoziono e lotto e rido e mi galvanizzo e piango con Rocky, che si possa perdere, quando si ha passione.
Che si possa morire.
E allo stesso tempo, provo una nostalgia che fa sembrare la fine delle vacanze una vera e propria passeggiata.
Perchè è chiaro che non sarà così.
Ma non importa come finirà, se ci saremo battuti fino alla fine.
Del resto, al termine del primo, mitico incontro con Apollo, alla frase "Non ci sarà rivincita", Rocky rispose "E chi la vuole".
Eppure, siamo ancora qui ad aspettare un altro film.





MrFord





lunedì 20 ottobre 2014

Maze runner - Il labirinto

Regia: Wes Ball
Origine:
USA, Canada, UK
Anno:
2014
Durata: 113'




La trama (con parole mie): il giovane Thomas, trasportato da un misterioso montacarichi, si ritrova in una radura quasi incontaminata circondato da altri ragazzi della sua età che da tre anni si confrontano con la vita immersi nella Natura ed il grande Labirinto che incombe sul loro rifugio.
La struttura, pronta ogni notte a cambiare secondo uno schema che si ripete periodicamente, è mappato con cura dai Velocisti, che si occupano di esplorarlo durante il giorno per tornare al tramonto, evitando il contatto con le terrificanti creature poste a guardia dei suoi corridoi, in cerca di un'ipotetica via d'uscita che pare non esistere.
Thomas, curioso e poco propenso a seguire ciecamente le regole cui i ragazzi si rifanno per poter convivere con la situazione inspiegabile in cui si trovano - nessuno di loro ha memoria del tempo trascorso prima dell'arrivo nel luogo che li ospita -, diverrà l'ago della bilancia nel confronto tra una nuova generazione e le precedenti, responsabili di aver portato i loro figli di fronte al Labirinto.







Sinceramente non riesco a spiegarmi l'epidemia di trilogie e saghe teen fantasy proliferate come funghi in Letteratura e al Cinema negli ultimi dieci anni: si stava bene ai tempi in cui due generazioni differenti avevano avuto Star Wars e Il signore degli anelli intervallati da quello che è senza dubbio il periodo più interessante per il genere, gli anni ottanta, senza Twilight, Hunger Games ed affini ad ammorbare gli adulti cui non dispiacerebbe tornare bambini almeno con il pensiero così come i giovani, privi degli stimoli che noi divenuti ormai vintage siamo stati senza dubbio fortunati ad avere.
Parte di questo fenomeno ha portato alla ribalta Maze Runner, primo film di una supposta trilogia che pesca a piene mani dal già citato immaginario eighties, miti dell'antichità - del resto, il labirinto è uno dei concetti più interessanti elaborati fin dall'alba dei tempi - e gusto attuale, purtroppo simile per destino al recente The giver - Il mondo di Jonas, partito meglio di quanto si potesse sperare e naufragato inesorabilmente minuto dopo minuto.
Se, infatti, la prima parte - con tutti i suoi limiti che ricordano in parte The village, seppur in versione decisamente minore, ed altri il terribile After Earth, seppur in versione decisamente maggiore - può sperare quantomeno di catturare l'attenzione non troppo decisa del pubblico, con la seconda la noia e la lentezza paiono prendere il sopravvento - considerato che si tratta di un film d'intrattenimento indirizzato ad un pubblico giovane, sono rimasto stupito da quanto pesante mi sia parso arrivare alla conclusione -, spalleggiate dalla scellerata scelta di adattare il romanzo - che, non avendo letto, non posso apertamente criticare - come se Thomas fosse una sorta di dio sceso in terra per dare una mano alla manica di stronzi che per tre anni tre sono riusciti praticamente solo a tirare la carretta di fronte al Labirinto, in attesa che giungesse tra loro una sorta di prescelto pronto in tre giorni non solo a risolvere tutti gli enigmi del caso, ma anche a sovvertire completamente l'ordine del mondo per come il gruppo di ragazzi prigionieri l'aveva conosciuto.
Una cosa che sfiderebbe la logica perfino nel più illogico tra gli horror di bassa lega, e che finisce per portare di nuovo a galla i ricordi del sottoscritto rispetto alla già citata schifezza con protagonisti gli Smith padre e figlio dello scorso anno, sacrificando anche quanto di buono poteva essere stato fatto soprattutto nell'incipit e nella costruzione del film, senza neppure, in tutto questo, citare il terribile spiegone conclusivo appena precedente il ridicolo confronto tra Thomas ed il suo rivale Gally, pronto a lanciarsi all'inseguimento del protagonista attraverso il Labirinto pur non avendo mai, di fatto, messo piede nello stesso finendo per replicare il successo nell'impresa di andare oltre dello stesso main charachter.
Una robetta, dunque, che potrà - anche se non ci metterei la mano sul fuoco - soddisfare il pubblico meno esperto ed i giovani senza troppe pretese, ma che di fatto riesce a scampare alle bottigliate o ad un voto più basso soltanto perchè, privo delle informazioni della lettura di riferimento, non volevo apparire troppo limitante e cattivo, almeno per una volta.
Resto comunque dell'idea che, se per una qualsiasi congiuntura favorevole il secondo capitolo già in lavorazione ed il successivo terzo non venissero portati a termine non sarebbe certo una perdita per il mondo della settima arte e per noi spettatori, che ci risparmieremmo l'ennesimo polpettone pseudo adolescenziale privo del fascino dei titoli con i quali siamo cresciuti così come dell'appeal di saghe forse non perfettamente riuscite ma comunque coinvolgenti come quella di Harry Potter.
Purtroppo ho l'impressione che il futuro non mi darà ragione e saremo costretti a subirci i capitoli che verranno realizzati, ma almeno una consolazione ce l'ho: già dal prossimo, non sarò così magnanimo e pronto a passare oltre i difetti di una sorta di cocktail poco riuscito realizzato shakerando elementi e tematiche presenti in cult con i quali sono cresciuto e che continuo a trovare importanti ancora oggi.



MrFord



"Now everything is reflection
as I make my way through this labyrinth
and my sense of direction
is lost like the sound of my steps
is lost like the sound of my steps."
Elisa - "Labyrinth" -




domenica 23 dicembre 2012

Arma letale 4

Regia: Richard Donner
Origine: USA
Anno: 1998
Durata: 127'




La trama (con parole mie): Riggs e Murtaugh, inseparabili compagni e pilastri - si fa per dire - della Omicidi, non sono più due ragazzini. Lo stesso Riggs, da sempre il più folle e spericolato della coppia, comincia a perdere qualche colpo e pensare più alla famiglia che sta per mettere su rispetto al tentare di oltrepassare perennemente i suoi limiti: Lorna Cole, sua compagna da tempo, è infatti incinta, ed il dubbio se chiederle oppure no di sposarlo è la cosa che tormenta di più lo scombinato Martin, che si appoggia al sempre solido amico Roger per tutte le questioni che riguardino sparatorie e famiglia.
Questa volta la strada dei due, promossi quasi per caso capitani, si incrocia con quella della Triade cinese, che oltre ai traffici di clandestini vorrebbe "importare" negli USA i quattro boss più potenti di Hong Kong, catturati dalla polizia cinese e spediti a Los Angeles grazie ad un generale corrotto.
Inutile dire che i criminali dovranno fare i conti con quella che ormai è, di fatto, la famiglia allargata di Murtaugh - alle prese con il giovane detective Butters, suo futuro genero - e Riggs, pronta a prenderli dal primo all'ultimo a calci nel culo.




Il recupero della saga di Arma letale, da troppo tempo accantonata in casa Ford, è stato una goduria come non me ne capitavano davvero da un sacco di tempo.
Onestamente, penso di essermi addirittura perso, ai tempi, questo quarto film, già troppo concentrato ad entrare nel periodo buio che furono i miei anni da radical chic cinematografico tutto film d'autore e recupero di classici fondamentali con il minor divertimento possibile.
E invece devo ammettere che quest'ultimo - per ora - capitolo rappresenta forse in qualche modo e nella maniera migliore la summa di quella che è l'idea alla base delle avventure di Riggs e Murtaugh, coppia inossidabile e guascona di investigatori della Omicidi che, definitivamente abbandonate le cupe e violente - pur se stemperate dal loro rapporto sempre burrascoso - atmosfere del primo capitolo, si è focalizzata principalmente sulla connotazione ironica dell'azione e del poliziesco unite ad una forte componente legata al concetto di famiglia, da sempre al centro delle vite dei due protagonisti.
Alla già numerosa famiglia del burbero Roger si uniscono per quest'avventura non solo Leo Getz, accanto ai nostri per la terza volta, e la cazzutissima Lorna Cole, ormai compagna fissa di Riggs, ma anche il futuro genero ed apparente corteggiatore di Murtaugh - divertentissimo il siparietto in macchina con Riggs a buttare benzina sul fuoco tra il suo partner ed il giovane collega - Lee Butters, interpretato da un allora ancora poco noto Chris Rock.
A fare da contrappeso alla nutrita squadra dei "buoni" questa volta troviamo la Triade cinese, legata al traffico di esseri umani orchestrato dalle cosiddette "teste di serpente" - così vengono chiamati i responsabili dei viaggi in condizioni disumane di quelli che possono essere considerati come dei moderni schiavi - e capeggiata da un Jet Li nel quasi inedito ruolo del cattivo, pronto a sfoderare una serie di evoluzioni e calci rotanti da fare paura e a tenere testa ai due protagonisti - l'ormai un pò arrugginita "arma letale" Mel Gibson compresa - in più di un'occasione.
Il duello finale a mani nude - o quasi - che vede Riggs e Murtaugh opposti al loro piccolo ma agguerrito avversario è degno delle migliori perle action made in Hong Kong, così come da applausi è l'inseguimento in macchina con tanto di "surf urbano" con tavolino annesso - una dei passaggi a mio parere più riusciti dell'intero franchise, o almeno della sua parte più fisica: non mancano, inoltre, le battute e gli intermezzi comici poggiati principalmente sulle spalle di Joe Pesci e Chris Rock - roba grossolana e di bassissima lega, ma che continua a farmi pisciare sotto dal ridere in barba a qualsiasi pretesa di cultura o presunta tale - ed un lieto fine che pone l'accento sul già affrontato concetto di famiglia - in questo caso molto allargata - tanto caro al mitico Richard Donner - che continuerò a ringraziare in eterno, non fosse altro che per I Goonies e questa serie assolutamente indimenticabile -.
La curiosità di scoprire cosa si potrebbe combinare con un quinto capitolo - ovviamente orchestrato dalla stessa squadra vincente, e chissà, magari impreziosito da un ritorno alla sceneggiatura di Shane Black, creatore dei personaggi e penna dietro il primo film - con tanto di figlio cresciuto di Riggs è molta, specie se gestita con il piglio divertito che ha contraddistinto l'evoluzione di due insoliti e scombinati detectives che per passare da duri hanno preso una strada rischiosa ma impossibile da non condividere come quella dell'autoironia.
E a questo punto, posso proprio dirlo: non si è mai troppo vecchi per certe stronzate.


MrFord


"I seen ya, I seen ya, I seen ya walkin' down in Chinatown
I called ya, I called ya, I called but you did not look around
I pay my, I pay my, I pay my money to the welfare line
I seen ya, I seen ya, I seen ya standing in it everytime."
Smash Mouth - "Why can't we be friends" -



martedì 11 dicembre 2012

Breaking dawn - Parte seconda

Regia: Bill Condon
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 115'



La trama (con parole mie): Bella Swann è ormai una vampira. 
E non solo: è anche una delle più potenti al momento in circolazione. 
I Cullen sono al settimo cielo per il suo ingresso nella famiglia, mentre lei stessa e l'ormai marito Edward vedono la figlia Renesmee crescere giorno dopo giorno come mai si sarebbe immaginato, stupiti anche che Jacob, lupo mannaro che fu innamorato di Bella, abbia ricevuto il suo imprinting proprio con la piccola.
A rompere l'equilibrio e la serenità pensano i Volturi, clan di vampiri legati all'Italia nonchè figure d'autorità senza pari tra i succhiasangue: l'esistenza della figlia di Edward e Bella è un rischio per la segretezza della condizione vampirica, e dunque la stessa va eliminata.
I Cullen, scoperta la minaccia, dovranno radunare i loro alleati in vista di una battaglia potenzialmente mortale.




E' la prima volta nella storia del Saloon che mi capita di dispensare bottigliate "al contrario".
Di norma, l'utilizzo dello strumento bottigliatorio è infatti legato alla delusione che nasce da film d'autore dalle notevoli aspettative risultate di fatto tradite una volta giunte alla prova del passaggio sugli schermi di casa Ford: l'ultimo capitolo della saga di Twilight, invece, ribalta la concezione usuale dello strumento stesso.
Da Bill Condon - il regista del sesso sicuro -, considerato lo scempio del capitolo precedente, e da Twilight - inteso come saga - mi aspettavo una conclusione con i controcazzi in quanto a mancanza di qualità e gusto pessimo: e invece che succede?
Breaking dawn - Parte seconda è soltanto un'inutile pellicola per teenagers poco reattive tra un orecchio e l'altro in preda ad una qualche crisi ormonale rispetto al petto nudo di Taylor Lautner o all'indifferenza fatta persona passata per parvenza sexy di Robert Pattinson e poco altro, incapace di regalare allo spettatore lo spettacolo indecoroso che fu il penultimo film uscito lo scorso anno: una terribile delusione per il sottoscritto, che già pensava ad una lotta senza quartiere di Breaking dawn per conquistare almeno la seconda posizione nella classifica dedicata al peggio del 2012 che vedrete a fine anno, come di consueto - il primo posto, inarrivabile ed inattaccabile, è ormai certo -.
Certo, Pattinson e la Stewart sono patetici come sempre, lo script imbarazzante almeno quanto la regia, l'evoluzione della storia elementare e tagliata con l'accetta, eppure manca il guizzo che permette ad un film di vedersi proiettato direttamente nell'Olimpo del peggio senza passare dal via: sarà per quella battaglia finale - registicamente gestita malissimo, tra l'altro - con il suo "trabocchetto", sarà per le aspettative troppo alte che il buon vecchio "Condom" non sarà mai in grado di soddisfare neanche in negativo, ma la sensazione generale derivata dalla visione - più che l'orrore o l'ilarità - è stata l'assoluta apatia.
Considerato che il passaggio sugli schermi di casa Ford è avvenuto nello stesso giorno del ritorno al cocktail del sottoscritto dopo l'intervento alle tonsille, direi che il Jack&Coca che ha troneggiato sul tavolino di fronte al divano è stato l'evento clou di una serata che, al contario, mi aspettavo si potesse tramutare in un unico, clamoroso, gigantesco fuoco d'artificio di bruttezza e raccapriccio in grado di regalare momenti da mandibola slogata per le risate, invece che rischiare di abbattere ogni difesa facendomi finire addormentato secco accanto ai gatti, professionisti nel settore nanna.
Breaking dawn - Parte seconda è stato così deludente e privo di un qualsiasi stimolo da mettermi in difficoltà anche rispetto alla stesura del post, che quando si trattava della Twilight-materia mi aveva sempre regalato momenti da fiumi di parole e vetriolo all'indirizzo di una delle saghe più inutili - letterarie o cinematografiche che fossero - di tutti i tempi: l'unica domanda che sorge spontanea, a conti fatti, riguarda Michael Sheen, che denaro a parte dopo cose interessanti come Il maledetto United o Frost/Nixon non mi capacito di come potrebbe essere finito in mezzo ad una selva di cani maledetti da piccolo e grande schermo come questa.
Per il resto, il nulla.
Se non che, ve lo garantisco, purtroppo per noi uno degli aspiranti più accreditati alla conquista del Ford Award per il peggio dell'anno finisce clamorosamente fuori dalla corsa per il podio: una delusione terribile, che chiude nel peggiore dei modi una cinquina di pellicole che avrebbe senza dubbio meritato un finale da riferimento del settore.



MrFord



"Where in the world's the forgotten? 
They're lost inside your memory
you're dragging in your heart's been broken
'cause we all go down in history 
where in the world did the time go?
It's where your spirit seems to roam
like losing faith to our abandon
or an empty hallway from a broken home."
Green Day - "The forgotten" -


 

mercoledì 1 agosto 2012

Lo spettro

Autore: Jo Nesbo
Origine: Norvegia
Anno: 2011
Editore:
Einaudi




La trama (con parole mie):  sono passati tre anni dall'ultima volta in cui Harry Hole è stato a Oslo. Tre anni dalle vicende narrate tra le pagine de Il leopardo. L'ex poliziotto è fuggito, si è lasciato alle spalle l'alcolismo ed una vita a combattere e perdere chi ama per crogiolarsi nella solitudine ritagliata tra le moltitudini di vite di Hong Kong, addetto al recupero crediti.
Tre lunghi anni. Oslo è cambiata, Oslo è sempre uguale.
Harry Hole è tornato.
Perchè in città c'è un nuovo re della droga, un uomo misterioso che si dice vaghi per le strade come un fantasma, un reduce di troppe battaglie - proprio come Harry - forgiato dalla Siberia e dalle sue regole ferree, soprattutto nel mondo del crimine.
Perchè la polizia ha cambiato assetto, ed i suoi vecchi amici sono ormai ingranaggi di un sistema che pare senz'anima.
Perchè ci sono spettri da mettere a tacere, una volta per tutte.
Oppure niente di tutto questo.
Harry Hole è tornato in città perchè quello che considera un figlio ha bisogno di lui.
Oleg, il suo Oleg, ormai diciottenne, è accusato di omicidio.




Jo Nesbo.
Poco più di un anno fa questo nome mi sarebbe passato attraverso come un fantasma.
Lo spettro di una letteratura di stampo crime - quella scandinava - salita agli onori della cronaca negli ultimi anni, spinta dal successo mondiale della trilogia "interrotta" di Stieg Larsson eppure troppo algida, lontana, quasi consunta.
Quei titoli buoni per l'estate, da leggere in spiaggia sognando il refrigerio delle grandi capitali del paradiso apparente che è il Nord Europa e da dimenticarsi tra le onde, come un'avventura estiva senza troppi coinvolgimenti.
Poi, quasi per caso, decisi di affrontare Il leopardo.
E scoprii sulla pelle che quel fantasma sapeva graffiare ed affondare i denti in profondità, lasciando segni nel corpo e nell'anima dei suoi lettori quanto sulla pelle del suo incredibile, eccezionale protagonista: Harry Hole.
Poliziotto anticonvenzionale, investigatore alla ricerca di se stesso, alcolista senza speranza, un "solitary man" destinato al fallimento quanto alla presenza, quasi un contrappasso dantesco.
Esserci sempre, eppure non esserci mai.
Come un fantasma, per l'appunto.
E come se non bastasse, uno stile clamoroso: chirurgico, razionale, in perfetto stile da illusionista nolaniano - pensando al Cinema -, eppure sofferto, ribollente, gonfio, pronto ad esplodere come il peggiore degli hangover.
Negli ultimi dodici mesi ho recuperato, uno dopo l'altro, tutti i precedenti capitoli della saga dedicata al Commissario Hole, affondando nelle sue quasi radici - purtroppo in Italia ancora restano inediti i primi due romanzi della serie - e scoprendo la meraviglia di un crescendo da togliere il fiato, in attesa di ritrovarmi, per la prima volta, ad attendere una nuova uscita con la stessa trepidazione di un grande appuntamento sul grande schermo.
E dopo mesi in cui già sapevo della sua uscita in Norvegia e nei paesi anglosassoni, eccolo giungere finalmente anche nelle nostre librerie.
Lo spettro.
Bentornato, Harry Hole.
Bentornato nella Oslo dalla quale sei fuggito.
La Oslo delle cicatrici, del tutto cambia per non cambiare, del passato che non vorresti ritornasse.
E che desideri con tutta l'anima.
Tre anni senza un goccio.
Tre anni allontanandosi, passo dopo passo, da una vita da rappresentante della legge.
Ma tu non sei un fantasma, Harry. Non sei uno spettro.
Sei un cacciatore, un ghostbuster.
Quella tua stella di plastica da sceriffo, neanche fossimo lungo la frontiera, tornerà a chiamarti sempre e comunque, anche più forte del vecchio amico Jim Beam, sempre in agguato, sempre pronto ad attentare alla tua anima, alla mente, alla vita.
Questa volta, però, le regole sono cambiate.
Non sei qui per una caccia. Per fiutare la tua preda, e consegnarla al sistema.
Sei qui per un colpevole, e dimostrare la sua innocenza.
Sei qui per Oleg. Il tuo Oleg.
Il bambino delle sfide a Tetris sul Gameboy, il figlio del tuo grande amore, il giovane pattinatore, lo stesso che salvasti su, in cima al vertiginoso salto di Holmenkollen, nel faccia a faccia finale con L'uomo di neve.
Il bambino diventato un uomo. O quasi.
Il diciottenne che ora ha una dipendenza, proprio come te.
Il figlio dei quartieri alti di Oslo stregato da un giovane così bello da ipnotizzare e portare sulla via della perdizione: ma siamo davvero sicuri che le colpe siano tutte di Gusto?
Forse anche lui è una vittima. Del resto, è la vittima. Perchè è del suo omicidio che Oleg è accusato.
Alle loro spalle, giochi di potere tra polizia, governo ed elite criminali, maglie dell'Arsenal fieramente indossate per le strade della ricca Oslo dal record di consumo di eroina alle prese con una nuova, dirompente sostanza.
Alle loro spalle, un fantasma.
E non l'ataman, il boss di un gruppo ristretto e temibile, un "solitary man" come te, Harry.
Alle loro spalle Jo Nesbo.
Che non è un fantasma, e fa di tutto per dimostrarlo.
Tanto da ingannarci cucendoti addosso un completo di lino e tre anni di astinenza, un'apparente infallibilità neanche ci trovassimo nel pieno di un episodio di 24, in cui Jack Bauer arriverà sempre e comunque alla fine, e sbatterà i colpevoli con il culo per terra.
Ingannarci mostrando il lato di successo di Harry Hole, prima di giocare il suo jolly più sconvolgente.
Perchè Lo spettro è il libro più terribile e spietato dello scrittore norvegese.
La sfida più grande di Harry Hole.
E' un romanzo che parla di eredità, di padri e figli, di amore incondizionato ed egoismo profondo.
Di massimi sistemi, nel crimine e nel cuore. In amore e in guerra.
Ma soprattutto, è un affresco da restare senza fiato sulla dipendenza.
Il fantasma che si porta dietro il resto degli spettri.
La cacciatrice che ti illude, ghermisce, seduce, e solo quando sei convinto di essere arrivato in paradiso, sorride e ti affonda i denti nelle carni.
Altro che leopardo.
Questo è l'inferno, Harry Hole.
Quando la dipendenza più grande, l'amore, ti spinge al limite, per poi portarsi via tutto.
Lasciate ogni speranza, o voi che entrate.
Questo è l'inferno, Harry Hole.
Ed il silenzio che ti avvolge non è pace, ma il coro dei fantasmi che non riescono a tacere.


MrFord


"How can I try to explain, cause when I do it turns away again.
It's always been the same, same old story.
From the moment I could talk I was ordered to listen.
Now there's a way and I know that I have to go away.
I know I have to go."
Cat Stevens - "Father and son" -


mercoledì 20 luglio 2011

Harry Potter e i doni della morte Parte 2

La trama (con parole mie): Harry Potter e i suoi fedeli amici Ron ed Hermione sono all'ultimo atto della loro battaglia contro Voldemort, il nemico che ha perseguitato il giovane mago fin dall'infanzia. La lotta sarà all'ultimo sangue, e coinvolgerà il mondo dei babbani così come tutte le creature magiche viste nel corso dei dieci anni che hanno dato vita ad una delle saghe letterarie e cinematografiche di maggior successo di tutti i tempi.
I nodi verranno al pettine, molti moriranno e lo stesso Harry dovrà essere pronto a sacrificare perfino se stesso per riuscire ad annientare il suo pericolosissimo nemico: effetti, combattimenti, aura dark, voli vorticosi come in una giostra in 3D, chi più ne ha più ne metta.
Peccato che la sceneggiatura di questo attesissimo ultimo capitolo sia, forse, la peggiore mai portata sullo schermo nel corso dell'epopea del signor Potter.

David Yates e la gigantesca produzione Warner si erano risparmiati tutto per il confronto decisivo Potter/Voldemort: la decisione di spezzare l'ultimo romanzo della serie in due film, oltre che dettata dalla praticità di poter approfondire meglio i molti avvenimenti, è stata influenzata certamente dal marketing e dalla volontà di tirare fuori più soldi possibili dagli ultimi incantesimi di Harry e soci.
Allo stesso modo, nello strutturare I doni della morte, regista e sceneggiatori si sono concentrati sul creare aspettativa nel corso dell'intera prima parte per poi esplodere il tripudio degli effetti e delle emozioni nella pellicola che, di fatto, chiude un lungo capitolo delle vite di spettatori, cast e, in qualche modo, del Cinema, che per la prima volta ha assistito alla creazione di un universo snodato attraverso dieci anni e otto pellicole, capace di accompagnare nella crescita i suoi protagonisti da una parte e dall'altra dello schermo.
Purtroppo, devo ammettere che l'avventura legata alla settima arte del mago più famoso della letteratura non si è conclusa nel migliore dei modi, e neppure in quello che speravo: nonostante il 3D - ma è davvero utile questo supporto che così tanto sta influenzando il mondo del Cinema? -, gli effetti, l'emozione inevitabile provata rispetto alla conclusione di una saga iniziata tanto tempo fa, la seconda parte de I doni della morte pare non decollare mai, e ad un inizio ancora più lento ed inconcludente del film precedente accoda l'ormai consueta, titanica, signoredeglianellesca battaglia con tutto il campionario delle creature e dei personaggi mostrati nel corso delle avventure di Harry, priva però di un supporto sostanzioso da parte dello script, che pare proprio tagliato - male - con l'accetta ed assolutamente inconsistente, a tratti privo di logica e votato a soluzioni di comodo confezionate giuste giuste per la risoluzione della singola scena - l'arrivo a Hogwarts e l'improvvisa apparizione dei membri dell'Ordine della fenice, la comparsa di Hagrid a tre quarti dello svolgimento del film già nelle mani di Voldemort, l'assenza di Codaliscia, il poco giustificato finale che non svela nulla del futuro dei protagonisti solo per citarne alcune - ma mai davvero efficaci.
Fortunatamente, a salvare l'intera visione, baracca e burattini, ci pensa una sequenza splendida dedicata al viaggio di Harry nei ricordi di Piton attraverso il Pensatoio di Silente, unico momento di vera, sentita, grande emozione all'interno di uno spettacolo che pare principalmente votato al profitto, e che neppure lontanamente - nonostante l'evidente ispirazione - raggiunge i livelli de Il ritorno del re, e neppure dei più riusciti film della saga - Il calice di fuoco è distante anni luce -.
Dimostrazione, questa, del fatto che Yates, forse, avrebbe dovuto, oltre che sull'atmosfera, concentrarsi sulle caratterizzazioni dei personaggi, sempre in grado di toccare il pubblico nel profondo ed ispirare chi sta dall'altra parte della macchina da presa regalando idee e sentimento, ancora la formula migliore del nostro amato Cinema, in barba alle nuove tecnologie e agli stessi effetti speciali, per quanto curati e d'impatto possano essere.
E' davvero un peccato non poter andare a fondo nell'analisi del viaggio nella memoria di Piton a causa degli spoiler che la stessa comporterebbe, dunque mi costringo a tacere e vi dico che se esiste un motivo per seguire quest'ultimo capitolo delle avventure di Harry Potter non è Harry stesso, la resa visiva, la battaglia contro le forze del male, il vorticoso viaggio all'interno della banca alla ricerca di uno degli Orcrux mancanti, o l'anticamera dell'Aldilà teatro del confronto tra Harry e Silente, e neppure la stessa conclusione: se esiste un motivo, sta tutto nell'esplosione di quello che, a conti fatti, è uno dei personaggi più sfaccettati, significativi ed interessanti dell'intero ciclo di film - e di romanzi -: Severus Piton.
A tenere alte le insegne del grande giocattolo di Harry Potter, dunque, alla fine è uno dei simboli della casa dei Serpeverde. 
Uno che è sempre stato un outsider, e ha sacrificato il successo personale per continuare a tenere i cavalli che avrebbero portato in trionfo il giovane Harry.
Senza dubbio, se è successo quello che è successo, gran parte del merito è suo.
Come accade per ciò che di buono si può trovare nella visione di questo film.

MrFord

"It’s all part of his charm
well, he’s drunk with power
and he’s on Malfoy’s side
been saying it since the first one,
I don't trust this guy.”
The Remus Lupins - "Snape" -
 

 

martedì 19 luglio 2011

Harry Potter e i doni della morte Parte I

La trama (con parole mie): il cerchio comincia a chiudersi sulla vicenda di Harry Potter e del suo antagonista Voldemort, dopo la morte di Silente divenuto il vero e proprio dominatore del mondo della magia, e non solo. Con gli organi di potere saldamente nelle mani dei suoi mangiamorte, colui che non deve essere nominato è pronto a sferrare il colpo decisivo all'Ordine della fenice e ai suoi membri: toccherà a Harry, Ron e Hermione fuggire e tenersi nascosti cercando al contempo di recuperare gli Horcrux, oggetti magici impregnati dell'anima del signore oscuro, per distruggerli e sperare di avere una chance per sopravvivere e salvare il mondo.

Onestamente, Harry Potter non mi è mai dispiaciuto.
Ho letto i primi cinque libri e visto tutti i film, e - con gli alti e bassi tipici di una saga così lunga - devo ammettere di essere sempre rimasto tutto sommato soddisfatto, considerato che, superati gli eighties ed escluso Il signore degli anelli, il grande schermo non è mai davvero stato capace, negli ultimi dieci/quindici anni, di proporre serie in grado di soddisfare il pubblico più giovane così come quello adulto che si incaricava di accompagnare figli, nipoti, fratelli e sorelle minori al Cinema.
Le vicende del mago creato dalla furbissima Rowling hanno senza dubbio il grande pregio di parlare a qualunque genere di spettatore mettendo in moto meccanismi d'immedesimazione in pieno stile fanciullesco "io sono questo e tu sei quell'altro, e ovviamente quello che sono io è molto migliore di quello che sei tu", un pò quello che accade a me e Cannibale quando non risparmiamo colpi bassi nelle nostre Blog wars.
A questo proposito, l'attesa per questo doppio ultimo capitolo era fervente sia da parte dei fan hardcore della saga, sia da parte di chi, pur avendola seguita solo cinematograficamente e magari senza averla apprezzata nella sua interezza si ritrova inchiodato alla poltrona mosso dalla curiosità del finale: il lavoro di Yates, già regista del cupissimo Il principe mezzosangue, è a mio parere senza infamia e senza lode, e se da un lato ha senz'altro il merito di risultare scorrevole ed accattivante, dall'altro paga il fatto di non essere altro che un raccordo tra il finale del succitato Il principe mezzosangue e la morte di Albus Silente e lo scontro finale tra Harry e Voldemort, fissato per la seconda parte di questo doppio ultimo capitolo.
In particolare, lo script pare funzionare a corrente alterna, e pur non risultando ostico per un non lettore del romanzo - e lo dico con coscienza, essendomi fermato al quinto dei libri - non riesce a generare la tensione che altri capitoli erano stati in grado di regalare all'audience - su tutti, il quarto, a mio parere ancora il migliore della serie, parlando sia dei romanzi che dei film -: l'atmosfera oppressiva e quasi dark della pellicola precedente viene addirittura resa più soffocante, ma appare più una questione di confezione che non di effettiva portata drammatica del lavoro di Yates, più preoccupato di seguire i suoi giovani divi nella loro corsa turbata dai tormenti adolescenziali e dalla presenza del malefico Voldemort che non di approfondire davvero l'intera galleria dei personaggi, quasi si volessero risparmiare i colpi migliori per la seconda parte.
Anche idee a loro modo coraggiose come la divertente scena dei molteplici Harry Potter o il racconto dei tre fratelli e i doni della morte - praticamente un corto d'animazione - finiscono per scomparire rispetto all'insistita attenzione posta dal regista sui suoi giovanissimi divi.
Una sorta di incompiuta, dunque, che probabilmente si rivelerà un successo o una delusione a seconda del risultato del finale che attende al varco in questi giorni i fan del giovane Harry e anche, probabilmente - ma non lo ammetteranno mai -, quelli che fingono che la cosa non li tocchi più di tanto, ma smaniano allo stesso modo di scoprire se, quando la polvere si sarà posata, Voldemort sarà sconfitto, e a quale prezzo.
Del resto, più o meno, poco importa.
Dimenticavo: io sono sicuramente un Serpeverde, ma Voldemort e soci li prenderei ugualmente a bottigliate.
In fondo, non vorrete mica che usi una bacchetta!


MrFord


"You brought it upon yourself
it's slow but final
with nothing to gain
you brought it upon yourself
it's slow but final
it starts today."
Dark tranquillity - "A closer end" -

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