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martedì 9 maggio 2017

Monster trucks (Chris Wedge, USA/Canada, 2016, 104')




Se penso che negli anni ottanta erano considerati film d'avventura per ragazzi I Goonies, La storia infinita, La storia fantastica, Labyrinth, Gremlins e via discorrendo ed ora ci siamo ridotti a cosa implausibili anche per un prodotto fantasy - problemi di logica, non di immaginazione - con una qualità da pomeriggio di Italia Uno - sarà pur vero che si parla di una produziona Nickelodeon, ma c'è un limite all'artigianalità - come questa, brutta copia di E. T. et similia con un cast che pare la sagra delle star in rovina in cerca di qualsiasi impiego pur di un ritorno economico - da Rob Lowe a Barry Pepper passando per Danny Glover - sento la desolazione crescere nel cuore rispetto al destino che attende i Fordini e la loro generazione per gli anni a venire.
Quello che è certo, oltre al fatto che Monster Trucks fa davvero una gran tristezza, è che questo duemiladiciassette sarà l'anno in cui, dai tempi dell'apertura del Saloon, la battaglia per il primo posto per il Ford Award dedicato al peggio sarà sanguinosa come non era mai stata, considerato il volume delle merdate che la primavera cinematografica ha riservato alle sale.
Qualche anno fa di fronte ad un titolo come questo mi sarei sbizzarrito con una bella recensione divertente e divertita a proposito del livello bassissimo di tutto quanto potesse essere basso nella produzione del film, ma proprio come Danny Glover era solito pronunciare in un cult - quello sì - dei favolosi anni ottanta dei favolosi film d'avventura per ragazzi, "sono troppo vecchio per queste stronzate".




MrFord



 

mercoledì 18 febbraio 2015

Californication - Stagione 7

Produzione: Showtime
Origine: USA
Anno: 2014
Episodi: 12





La trama (con parole mie): Hank Moody, salutata la figlia Becca in partenza per un anno sabbatico in viaggio con il fidanzato e tornato al lavoro su Santa Monica Cop, divenuto una serie televisiva, decide di mettere la testa a posto limitando gli eccessi di sesso ed alcool per cercare di riconquistare una volta per tutte Karen, sua compagna da una vita, nonostante tutti gli alti e bassi della loro relazione.
Peccato che il tutto si complichi con l'arrivo di Levon, figlio ventenne proprio dello scrittore avuto da una fugace ed intensa relazione con l'aspirante attrice Julia solo pochi mesi prima dell'inizio della storia con Karen da poco trasferitosi con la madre a Los Angeles e deciso a ricostruire il rapporto con il genitore ritrovato: gli sconvolgimenti provocati dall'impacciato ed inaspettato rampollo, accanto alle vicissitudini lavorative e non - la sempre caotica amicizia con i Runkle -, senza contare la presenza di Julia, renderanno i tentativi di Hank di tornare tra le braccia di Karen decisamente più ardui.
Senza contare che, al suo ritorno, il vecchio Moody dovrà comunicare a Becca dell'esistenza di un fratellastro.








Giungere al termine di una serie tv è sempre difficile.
E lo è in misura esponenzialmente maggiore se alla serie in questione si è finito per volere un gran bene.
E cazzo, se ne ho voluto, a Californication e ad Hank Moody: un pò perchè sono ben conscio del fatto che alcool e donne sono stati sempre i miei punti deboli, un pò per i riferimenti a Bukowski e Warren Zevon, un pò per l'ambientazione californiana, un pò perchè ci sono personaggi che ti entrano nel cuore e basta, va bene così.
Senza dubbio la brillantezza dei primi anni si era affievolita, e dopo l'unica, vera stagione fiacca - la sesta, per l'appunto - trovo giusto che Tom Kapinos abbia deciso di scrivere la parola fine alla saga dedicata ad uno dei protagonisti più scombinati, divertenti ed irriverenti del piccolo schermo: a dirla tutta, anche quest'annata numero sette non risulta completamente riuscita, e ad alcuni momenti degni degli esordi - legati quasi tutti a Levon, vero e proprio mvp della season - si alternano episodi che sanno molto di riempitivo, ma sinceramente poco importa.
Anch'io, come Hank, sono un amante dei lieti fini, e trovo che la chiusura di questa serie sia stata, nella sua semplicità, perfetta, divertente ed a suo modo romantica come, del resto, Californication è sempre stata: come se non bastasse, o forse proprio per destino, in casa Ford abbiamo vissuto l'ultima puntata in giorni molto particolari legati alla perdita di un amico che, con me e mio fratello, aveva condiviso risate, sbronze e lacrime accanto a Hank Moody e Charlie Runkle, godendo di ogni scelta musicale della produzione e delle apparizioni di icone come Rick Springfield.
E trovo giusto anche che quest'ultima galoppata sia stata quella che ha visto Moody bere e scopare meno di tutte le altre, sfruttando addirittura una chiusura da "eroe solitario" - più o meno - pronto a rimettere le cose a posto quanto più possibile prima di passare il testimone - a Levon, a Becca, ai Runkle, alla California intera, con quella Porsche lasciata di fronte al tramonto che è una tra le immagini più belle degli ultimi mesi di visioni, piccolo o grande schermo che sia -.
Dunque, risate, battute, scopate e cazzotti a parte, Californication saluta con ben più di una punta di commozione, rimandando l'appuntamento con il sottoscritto di una dozzina d'anni, quando conto di rivedere quella che, per allora, sarà una serie vintage, accanto al Fordino adolescente, sperando che possa cogliere quello che può nascondere dietro il caos uno stronzo sempre presente come Hank, o come il suo vecchio.
Per il resto, non ho alcuna voglia di analizzare in maniera "critica" questa settima stagione, elencarne pregi e difetti, trattarla come se fosse un "one night stand": voglio godermela così, come un brindisi fatto con un amico che non si rivede da tanto tempo o con uno che si è destinati a non rivedere mai più, come il ricordo della scopata del secolo rimasta cristallizzata nel tempo o quello della storia della vita, che impariamo a costruire, non senza fatica, ogni giorno.
In fondo, la California rappresenta la terra dei sogni per tantissime persone.
Un pò come avere la possibilità di potersi godere quest'esistenza travagliata fino in fondo: che si tratti di scopate, bevute, amicizie o grandi amori.
Perchè è questo, che siamo.
Animali travolti dalla passione.
E in questo senso, non c'è niente di meglio della "californicazione".
Questa è la terra promessa di tutti noi peccatori.
E pensare di entrarci in compagnia di gente come Hank Moody, è davvero una gran cosa.
Anche se mai come farlo insieme a chi amiamo davvero.



MrFord



"When people keep repeating
that you'll never fall in love
when everybody keeps retreating
but you can't seem to get enough
let my love open the door
let my love open the door
let my love open the door
to your heart."
Pete Townshend -"Let my love open the door" - 





mercoledì 22 ottobre 2014

Sex tape - Finiti in rete

Regia: Jake Kasdan
Origine: USA
Anno: 2014
Durata:
94'





La trama (con parole mie): Annie e Jay sono sposati da una decina d'anni, vivono felicemente con i loro due figli e portano avanti le loro carriere - lei mommy blogger di successo, lui nel settore musicale - ricordando quasi ironicamente i tempi in cui il sesso era la parte più importante delle loro giornate e del rapporto.
Quando, proprio per rinverdire i fasti del passato, i due decidono di sfruttare una nottata di solitudine per dedicarsi ad una maratona di sesso riprendendosi con il nuovissimo Ipad di Jay, ha inizio il dramma: tramite una app che permette di condividere contenuti e playlist il video viene spedito in lungo e in largo a parenti ed amici, costringendo la coppia a vivere una vera e propria avventura per cercare di impedire che il filmato con loro protagonisti divenga un must a partire dalla cerchia dei conoscenti.
Riusciranno nell'insolita impresa senza cedere all'ansia e sfruttando la situazione per ritrovare l'intesa tra le lenzuola dei tempi d'oro?








Nell'ambito del Cinema usa e getta, quello da multisala il sabato o la domenica pomeriggio, esistono, di fatto, due grandi tipologie di film in grado di raccogliere il grande pubblico e fornire l'alibi giusto per il cervello degli "intenditori" nelle serate di stanca eccessiva: i popcorn movies e i titoli spazzatura.
I primi, tendenzialmente tamarri e sopra le righe, finiscono per essere una sorta di segnale inviato ai neuroni che dichiara la chiusura momentanea delle attività cerebrali per una serata senza impegno, nel corso della quale le preoccupazioni maggiori consisteranno nello scegliere l'alcolico che accompagnerà la visione e se sarà più il caso di buttarsi sul gelato o le patatine.
I secondi, invece, sono putroppo quello che sono.
Titoli buoni giusto per sfogare la propria "ira critica" o pensare che, se fossimo aspiranti registi, ci sarebbe davvero speranza per tutti.
Purtroppo per il sottoscritto e la sua volontà di cercare un pò di riposo a seguito di giorni pieni tra lavoro, l'inizio dell'esperienza al nido del Fordino e gli impegni quotidiani, Sex tape - Finiti in rete finisce senza neppure pensarci due volte nella seconda categoria.
Considerato che dovrebbe trattarsi di una commedia romantica in stile Apatow e che avrebbe almeno in parte pretese rispetto all'essere divertente, la pellicola diretta dal figlio d'arte Jake Kasdan si rivela un fallimento su tutta la linea: banale, prevedibile, mai divertente, pseudo alternativa con strizzate d'occhio al concetto di famiglia disfunzionale tanto caro al Cinema indie - soprattutto USA -, questa robetta è stata un vero e proprio patimento che neppure l'ironia rispetto ad una fase della vita che in casa Ford si sta vivendo in prima persona - gli impegni genitoriali e lavorativi che finiscono per togliere spazio all'irruenta passionalità selvaggia dei primi tempi che si passano insieme a quella che si pensa sia e si spera poi diventi la persona della propria vita - ed un paio - ma giusto un paio - di battute divertenti potevano sperare di salvare.
In effetti, non ce l'avrebbe fatta neppure un porno amatoriale della sempre in forma protagonista Cameron Diaz gentilmente offerto per il piacere del pubblico maschile a rendere credibile e piacevole questa versione in minore e totalmente inutile di Questi sono i 40, la cui visione potrebbe essere paragonabile ad uno di quegli appuntamenti in cui non vedi l'ora che sia tutto finito per andartene a casa o rimanere in giro da solo per essere te stesso e goderti davvero la nottata.
Perfino le piccole parti di Rob Lowe - che dopo i recenti Behind the candelabra e A normal heart pareva diventato una garanzia - e di un'ormai sbiadita copia di se stesso Jack Black riescono a salvare un titolo tra i più tristi di questa seconda parte dell'anno, incapace di trovare un significato sia come divertissement che come spunto per una qualche riflessione sui rapporti di coppia o in famiglia celata dietro una maschera da commedia slapstick Anni Zero.
Non mi pare neppure giusto scrivere che sia stato un peccato, anche perchè le aspettative erano basse e la blogosfera aveva già parlato - e con una certa coesione, in merito al giudizio - bocciando pienamente l'intera operazione: più che altro resta l'ennesima conferma di un anno cinematografico decisamente fiacco, partito con grandi prospettive e finito, dalla primavera in poi, in una palude di proposte delle quali si sarebbe fatto francamente a meno.
Un pò come di questa solo apparentemente simpatica ricerca priva di logica e mordente dei due improvvisati attori porno casalinghi.



MrFord



"Let's go, don't wait, this night's almost over
honest, let's make this night last forever
forever and ever, let's make this last forever
forever and ever, let's make this last forever."
Blink 182 - "First date" - 



venerdì 19 luglio 2013

Behind the candelabra

Regia: Steven Soderbergh
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 118'




La trama (con parole mie): siamo sul finire degli anni settanta quando Liberace, pianista, personaggio televisivo e cinematografico di fama indiscussa, più o meno segretamente gay, conosce il giovane aspirante veterinario Scott Thorson, rimanendone conquistato e trasformandolo nel suo personale segretario. Tra i due si sviluppa un legame complesso e stratificato che li porta ad essere amanti, amici, padre e figlio e fratelli, destinato a durare per anni.
Quando le voglie di Liberace e le debolezze di Scott cominceranno a separarli, la lotta tra loro diventerà senza quartiere, giungendo alle vie legali e ad una separazione certo non felice: soltanto in punto di morte il celebre musicista si avvicinerà una volta ancora a quello che fu non soltanto il suo protetto, ma di fatto l'unico grande amore di una vita vissuta nascondendosi dietro lustrini e costumi.




Steven Soderbergh è davvero un tipo strano, e senza dubbio un regista eclettico: nel corso della sua carriera, tra Palme d'oro e blockbusteroni commerciali, è riuscito a lasciarmi inorridito - indimenticabile, se così si può dire, il terrificante Knockout - così come a colpire a fondo, passando dai neuroni mandati in vacanza alle riflessioni sulla società.
Mai, però, mi sarei aspettato una sorpresa gradita come quella costituita da questo Behind the candelabra, prodotto dalla HBO - ormai una garanzia di qualità - e nato come film tv decisamente superiore a quelli cui siamo abituati qui nella Terra dei cachi: tratto dal romanzo scritto dal protagonista Scott Thorson - un ottimo Matt Damon, in forma fisica strepitosa nonchè perfetto nel ruolo del tossico - incentrato sulla storia che legò l'uomo a Liberace - figura di spicco dello spettacolo made in USA per decenni - a cavallo tra gli anni settanta ed ottanta, Behind the candelabra rappresenta una delle più interessanti pellicole a tematica gay degli ultimi anni, in bilico tra la passione di Brokeback Mountain e le montagne russe di due decenni unici come i seventies e gli eighties nello stile di Boogie nights.
La marcia in più dell'intero lavoro - oltre ad un approccio mai fuori luogo del regista - è senza dubbio l'interpretazione stratosferica di Michael Douglas, forse all'apice della sua intera carriera, in grado di portare sullo schermo un Liberace non solo credibile al limite dell'incredibile, ma perfetto nella sensibilità oltre che nella mimica e nella postura: accanto a lui il già citato Matt Damon ed un Rob Lowe mitico nel ruolo del chirurgo plastico sempre sopra le righe, a formare un terzetto - spalleggiato da Dan Aykroyd - che funziona come un'orchestra in grado di trovarsi a memoria ad ogni raccordo di una sinfonia diretta nel migliore dei modi.
Il rapporto tra Scott e Liberace, sicuramente singolare e sfaccettato più di quanto noi spettatori - e chiunque, a parte loro stessi, l'abbia vissuto dall'esterno - saremo mai in grado di capire, è narrato con partecipazione e pari sensibilità sia dalla parte dell'affermato, più vecchio ed insaziabile pianista che da quella del giovane di belle speranze colto alla sprovvista dall'interesse che un personaggio pubblico quasi leggendario comincia a nutrire nei suoi confronti: da questo punto di vista la loro storia d'amore risulta senza dubbio più complessa rispetto a come potrebbe essere intesa, e dagli esempi che videro nell'Antica Grecia Maestri innamorarsi dei loro allievi a quelli che ogni padre vive rispetto a suo figlio la dimensione dell'amore che i due provarono risulta senza dubbio unica e profonda, a prescindere dal fatto che si fosse trattato di uomini adulti.
Il Liberace privato, inoltre, raccontato attraverso gli occhi di chi potè viverlo "dall'altra parte del candelabro", apre spiragli su un'epoca - molto lunga e mai del tutto superata - in cui l'essere gay poteva rappresentare, per una personalità di successo della Musica o del Cinema, una sorta di suicidio artistico e sociale, e che soltanto l'impatto terrificante dell'AIDS pose come questione di fronte all'opinione pubblica mondiale: la fine di Liberace - una scena struggente e malinconica, quella del suo ultimo dialogo con Scott, lato oscuro di quello che fu una vita di lustrini, parrucche, lotta contro il Tempo e l'età nonchè figlia di una sorta di condizione da succube di una madre e di una società ritratto di quanto di più lontano vi fosse da una sensibilità spiccata e prepotente quanto vivace e curiosa - segnò l'inizio del cammino che speriamo, in un futuro, possa portare ognuno di noi - artista oppure no, conosciuto o perfetto uomo o donna qualunque - a vivere la propria essenza senza pensare che Dio o - peggio - chi pensa di rappresentarlo al meglio da queste parti possano mettere bocca in questioni che riguardano soltanto un Uomo ed il suo cuore.
Quando e se così sarà, allora avremo davvero tutti una possibilità di salvare o di essere salvati.
E non ci saranno più candelabri dietro ai quali nascondersi.


MrFord


"In my place, in my place
were lines that I couldn't change I was lost, oh yeah
I was lost, I was lost
crossed lines I shouldn't have crossed 
I was lost, oh yeah."
Coldplay - "In my place" - 



domenica 10 febbraio 2013

I ragazzi della 56ma strada

Regia: Francis Ford Coppola
Origine: USA
Anno: 1983
Durata: 110'



La trama (con parole mie): i Greasers - provenienti dei quartieri bassi, poveri, proletari e disillusi - ed i Socials - figli di papà dalle macchine rombanti, sicuri dei propri mezzi e soprattutto del futuro - si disputano da sempre la città alimentando una rivalità ormai senza una vera origine.
Quando Ponyboy Curtis e Johnny Cade, i due membri più giovani e sognatori dei Greasers, rei di aver passato una serata con due ragazze dei Socials, vengono attaccati da un gruppo di rivali, il secondo uccide per difendere l'amico.
I due ragazzi si rivolgono così a Dallas, uno dei membri più rispettati della banda appena uscito di galera, che consiglia loro di darsi alla macchia rifugiandosi in una vecchia chiesa: qui, dopo giorni di ozio ed isolamento, i due compagni salvano dalle fiamme di un incendio un gruppo di bambini in gita scolastica, e la loro vita cambia.
Cosa porterà il futuro ai Greasers?




I ricordi più vividi che ho rispetto a questo film riguardano una vecchia vhs di una collana da edicola che recuperò in qualche modo mio fratello - non mi ricordo esattamente come, e chi fu il responsabile di questo regalo -, e che fu letteralmente consumata nel videoregistratore dell'allora casa Ford, senza alcun ritegno.
La prima volta che vidi - di striscio, perchè io ero al pc e lui guardava come ipnotizzato lo schermo - I ragazzi della 56a strada - pessimo adattamento dello splendido The outsiders originale -, oltre all'ensemble di attori che fecero la loro - e la nostra - fortuna a cavallo degli anni ottanta e novanta - Ralph Macchio, C. Thomas Howell, Rob Lowe, Patrick Swayze, Tom Cruise, Emilio Estevez - rimasero impresse nella mente del sottoscritto le sequenze della fuga di Ponyboy e Johnny ed il raduno dei Greasers prima dello scontro con i nemici giurati Socials, cui avrebbe preso parte anche Darrel, fratello maggiore di Pony ormai "con la testa a posto".
Francis Ford Coppola, regista di Capolavori quali Apocalypse now, la trilogia de Il padrino e La conversazione, sperimentò quella che sarebbe stata la sua ricerca fino ai giorni nostri omaggiando l'epoca d'oro degli Studios - grazie al romanzo di Via col vento letto nel corso della fuga da Ponyboy per tenere compagnia a Johnny "ed ammazzare il tempo" - e i tempi dei Jimmy Dean e dei "rebel without a cause" con una pellicola splendida e sentita, girata e fotografata così bene da far stare male ed allo stesso tempo sorella maggiore di quelle che poi saranno le pietre miliari del Cinema di formazione, da Stand by me a I Goonies.
Le vicende dei Greasers - gli outsiders del titolo, roba che Ken Loach applaudirebbe ancora oggi -, la loro voglia di affermarsi rispetto ad una vita che li ha relegati al ruolo di giovani delinquenti figli dei quartieri proletari in cui si finisce per abbassare la testa o chiusi dietro le sbarre sono portate sullo schermo con una partecipazione che rende quest'opera degna di una proiezione in ogni scuola ancora oggi, a quasi trent'anni dalla sua uscita in sala, modello valido di confronto tra la voglia di scontrarsi con il sistema - esemplare il personaggio di Dallas, interpretato da un Matt Dillon che resterà in qualche modo imprigionato in lui per tutta la carriera - e quella di trovare un'altra strada, fatta di poesia e sentimento, lavoro e coraggio - non quello che porta ai duelli e alle sfide con i rivali, bensì al faccia a faccia con la crescita e la vita stesse -.
Quello "stay gold" sussurrato da Johnny Cade a Ponyboy è un colpo al cuore, così come il sentimento di fratellanza che lega i Curtis e che rimanda cose ben più recenti come Lawless, o Six feet under: a ben guardare, è lo stesso che riporta alla mente di questo vecchio cowboy l'esaltazione di mio fratello praticamente bambino che, chissà, in qualche modo poteva immaginarsi nel ruolo di Pony, e vedermi come Darrel, o Sodapop. 
La fratellanza è davvero qualcosa di unico, che non sarà mai possibile esprimere a parole per come si vive davvero nel sangue.
La fratellanza è qualcosa che permette di sperimentare e non giudicare, di stare accanto l'uno dell'altro, di imparare e condividere, di scoprire un difetto ed abbozzare, di arrivare alle mani e poi essere sempre lì, per prendere botte in modo da proteggersi a vicenda.
La fratellanza è necessaria, per outsiders come i Greasers.
Perchè loro sono di quelli in cui nessuno crede, perchè fanno i duri e si spacciano per cattivi, ma in fondo non ci pensano due volte, quando si tratta di piangere, di lasciarsi andare a quattro cazzate, di salvare un gruppo di bambini dalle fiamme dell'Inferno: questo perchè tra i tizzoni ardenti loro ci sono già, e non hanno bisogno che qualcuno spieghi quanto dolore possono provocare cicatrici e bruciature. Loro sanno che giocano con le probabilità a sfavore, già dati per perdenti.
Ma sono Greasers.
E non sono disposti a mollare. Soprattutto se accanto a loro hanno qualcuno che possa ricordare quanto importante sia lottare non tanto per la supremazia territoriale, per la fama, i soldi o per incutere timore per le strade, ma per il futuro.
Quello che hanno la possibilità di affrontare con tutta la loro forza, e senza un'arma scarica che li condannerebbe ad una morte assurda e terribile.
Quanto li capisco.
In fondo, sono un outsider anche io.


MrFord


"Still away into that way back when
you thought that all would last forever
but like the weather
nothing can ever... 
And be in time stay gold."
Stevie Wonder - "Stay gold" -


domenica 15 luglio 2012

Californication - Stagione 4

Produzione: Showtime
Origine: Usa
Anno: 2011
Episodi: 12




La trama (con parole mie):  avevamo lasciato Hank Moody in balìa della polizia a seguito dell'arresto legato all'aggressione all'agente e fidanzato di Mia, la ragazza colpevole di avergli "rubato" il nuovo romanzo, nonchè della notte di sesso che coinvolse lui e la ragazza - ai tempi minorenne - ancora nel pieno della prima stagione.
Ora lo scrittore in perenne crisi sentimentale e creativa si ritrova a dover affrontare un processo per corruzione di minore che rischia di significare la galera, proprio mentre la sua carriera è rilanciata dalla verità sul libro che Mia ha firmato al suo posto, sul punto di diventare il film indipendente della stagione grazie alle star Eddie Nero e Sasha Bingham.
Nel frattempo, il suo fedele agente ed amico Charlie è intento a raggiungere il traguardo delle cento donne portate a letto, l'amore della sua vita Karen è ormai decisa a mollarlo, sua figlia Becca si da al rock e, all'orizzonte, compare la possibilità di una nuova storia con l'avvocatessa Abby.
Sempre che il vecchio Hank non finisca per rovinare tutto. Di nuovo.




Chi frequenta il saloon da un pò sa bene che quel vecchio bastardo di Hank Moody è, di fatto, uno dei personaggi figli del piccolo schermo che amo di più, un pò per affinità spirituali, un pò perchè la strada verso la sua perdizione pare il destino - con molti meno soldi e scopate occasionali, ovviamente - che si sarebbe profilato per il sottoscritto se Julez non mi avesse tolto da una strada fatta da un pò troppi incontri iniziati sotto la benedizione dell'alcool e finiti in clamorose fughe del giorno dopo, conditi da quella solitudine che si finisce per cucirsi addosso quando, in realtà, si vuole semplicemente chiudere ogni spazio all'esterno e vivere sempre e comunque alla giornata.
Moody, charachter che ha segnato una vera e propria seconda giovinezza per David Duchovny - che tutti, qualche anno fa, pensavano sarebbe rimasto imprigionato nei suoi X-Files figli dei più profondi anni novanta - acquista spessore neanche fosse un whisky invecchiato con il passare delle stagioni, e Californication, inizialmente piuttosto osteggiata dalla parte in rosa di casa Ford, ora è un piccolo cult che affrontiamo sempre più che volentieri, in attesa di scoprire quali saranno i nuovi sviluppi delle avventure del casinista Hank: in questa quarta annata il lato comedy che tanto bene aveva fatto alla terza tiene un profilo molto più basso, concedendosi soltanto qualche sparata di tanto in tanto - l'episodio del miliardario e della scimmia, ad esempio, clamorosamente grottesco ed incredibilmente spassoso - ed incarnandosi principalmente in Eddie Nero - un completamente imprevedibile Rob Lowe -, l'attore designato per interpretare Hank nel film tratto dal suo romanzo rubato dalla giovane Mia ed attribuito dopo numerose vicissitudini al suo autore, "Scopate e cazzotti".
L'attrazione principale, infatti, del consueto circo di sesso, alcool e sentimenti di questo nuovo giro nella "californicazione", è il vuoto creatosi progressivamente nel cuore di Hank, un uomo che aveva tutto - una carriera da scrittore affermato, l'amore della sua vita ed una figlia cui è legatissimo - finito per lasciare che il fiume in piena della sua istintività - vizi, pregi e soprattutto difetti compresi - lo travolgesse rendendolo un ribelle fuori tempo massimo ormai in bilico sulla linea sottile che separa la ricerca del riscatto dall'autodistruzione più completa: se, infatti, il suo inseparabile amico ed agente Charlie Runkle può accontentarsi - più o meno - del sogno di arrivare a cento donne portate a letto per dimenticare i tempi andati, Moody pare non riuscire a liberarsi dalle catene delle sue dipendenze e cercare di fare qualche passo indietro per trovare un suo posto nel mondo che non sia una camera d'albergo dalle notti movimentate o il bancone di un bar dove farsi scivolare in mano il bicchiere con il solito senza neppure doverlo più chiedere.
Da questo punto di vista, questa quarta stagione ha sicuramente rappresentato il momento del confronto con la maturazione del protagonista della serie, divenendo di fatto il primo, grande spartiacque della produzione Showtime a partire dal processo per corruzione di minore con Hank sul banco degli imputati, la rocambolesca cena per festeggiare l'inizio delle riprese del film ispirato dal già citato "Scopate e cazzotti" e la partenza di Becca e Karen per un lungo viaggio: con la quinta stagione ancora inedita in Italia - ma che non vedo l'ora di affrontare - e la sesta e la settima già confermate, chissà che lo scriteriato scrittore non trovi una sua dimensione - pur se completamente caotica - e una strada che lo porti da qualche parte lungo una costa che pare bagnata da un oceano di cocktails serviti da cameriere sempre pronte a saltarti nel letto, scimmie dedite a pratiche estreme ed attori schizzati, soltanto con la sua macchina da scrivere e la consapevolezza di aver trovato, comunque, uno spazio nel mondo.
Io, naturalmente, tifo per lui: da stronzo a stronzo - come scrissi anche in chiusura del post dedicato alla stagione precedente -, non posso non pensare che, nonostante quelli come lui - e un pò come me - siano destinati a cadere spesso e volentieri, la voglia di vivere sia sempre così grande da sollevarsi e ricominciare: un pò come quando, nel pieno dell'hangover, giuriamo a noi stessi che quella sarà davvero l'ultima volta, e appena ripresi stiamo già pensando a quale sarà il prossimo aperitivo spaccafegato da organizzare.
Senza dimenticare, in queste esplorazioni da "walking the line", la passione che guida ogni gesto, dagli errori e le cadute di stile ad una presenza che non è mai messa in discussione: perchè chi ama quelli come il vecchio Hank sa bene che in ritardo, sbronzi o vestiti nella maniera meno adeguata possibile, gli stronzi di quella risma non mancheranno mai di essere presenti, quando avremo bisogno di loro.
E gli Stones - che incarnano perfettamente lo stile Moody - ad intonare You can't always get what you want in chiusura dell'ultimo episodio sono tutto quello che serve perchè i vecchi ribelli abituati al caos e alla sconfitta cerchino una volta ancora il momento della rivincita: chissà che non sia quella buona.


MrFord


"You can't always get what you want
You can't always get what you want
You can't always get what you want
But if you try sometimes well you might find
You get what you need."
Rolling Stones - "You can't always get what you want" -


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