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domenica 16 novembre 2014

The counselor - Il procuratore

Regia: Ridley Scott
Origine: USA, UK
Anno: 2013
Durata: 117'




La trama (con parole mie): un avvocato di successo, messo all'angolo da problemi di liquidità, avidità e voglia di confrontarsi con il lato oscuro che, di norma, finisce per osservare solo in tribunale, si inserisce in un affare di droga con il Cartello messicano grazie ad un losco socio d'affari ed un altrettanto poco raccomandabile intermediario.
Peccato che, dopo aver recuperato i venti milioni necessari per entrare nel giro, il carico giunto dal Messico sparisca nelle mani sbagliate, mettendo in moto il meccanismo spietato del Cartello e dei predatori rispetto a tutti i protagonisti dell'accordo dall'altra parte del confine: ma se per alcuni significherà soltanto perdere la vita, per altri vorrà dire continuare a respirare con il peso sulle spalle di aver sacrificato tutto quello che aveva davvero valore al mondo.
Qualcosa ben oltre i diamanti, i soldi e la prospettiva di un successo.








E' curioso, a volte, quanto il gioco delle aspettative possa incidere sulla visione di una pellicola: ai tempi della sua uscita in sala, The counselor - Il procuratore, realizzato da quello che, nonostante gli alti e bassi degli ultimi anni, è considerato una sorta di mostro sacro, Ridley Scott, e scritto nientemeno che da Cormac McCarthy, uno dei più importanti scrittori viventi americani nonchè figura più che fordiana, fu massacrato praticamente in ogni dove, qui nella blogosfera e non, collezionando una serie da record di recensioni che definire negative risulterebbe quantomeno ottimistico.
Allo stesso tempo risultò curioso, almeno per il sottoscritto, che i critici più pane e salame finirono per prenderlo a bottigliate sui denti e quelli radical - fatta eccezione per la mia nemesi Cannibal Kid - addirittura lo promossero quasi a pieni voti, mentre almeno sulla carta e forte della visione avrei detto che sarebbe potuto accadere l'esatto opposto.
Detto questo, devo ammettere di essere uscito piuttosto perplesso dalla visione, ricca di momenti davvero al limite del ridicolo come la questione della temperatura o l'ormai considerata divertentissima - e non in senso positivo - spaccata di Cameron Diaz sul parabrezza della Ferrari gialla di Bardem ed una costruzione non sempre limpida in fase di scrittura ma anche paradossalmente piacevole e molto ritmata, tipica di quei titoli da divano senza impegno per alleggerirsi dal lavoro.
In un certo senso, mi è parso di vedere Scott e McCarthy colti dalla stessa sindrome che colpì Stone e Winslow - altri due che qui in casa Ford tendenzialmente amiamo molto - con Le belve: due uomini considerati assoluti professionisti nel loro settore ma decisamente non più giovanissimi travolti dalla voglia di apparire cool e alla moda, quasi le pulsioni sessuali e la prestanza dei loro protagonisti sullo schermo simboleggiassero il desiderio degli autori di tornare ad un'epoca in cui anche loro potevano considerarsi "giovani e belli", come canterebbe Guccini.
Peccato che il Tempo passi per tutti, e l'effetto di titoli come questo finisca per essere lo stesso dei sessanta e settantenni lampadati pronti a tatuarsi fuori tempo massimo ed indossare le Beats sfoggiando camminate neanche fossero usciti dal liceo: eppure, a mio parere, non parliamo di una pellicola inesorabilmente brutta - allo stesso modo di quanto si potrebbe pensare del già citato Le belve -, ma godibile e molto meno autoriale di quanto non si possa pensare, inserita più nel filone che alimenta l'esaltazione dei ragazzini che sognano di essere Tony Montana che non in quello della ricerca e dell'analisi dei massimi sistemi attraverso una storia action/crime.
La cosa migliore, rispetto a The counselor, resta per me un approccio molto ignorante ed inconsapevole, proprio come se il regista non fosse Ridley Scott - anche se il suo stile tecnicamente impeccabile si riconosce comunque - e lo sceneggiatore Cormac McCarthy: in questo modo questa vicenda di corruzione, droga, sesso e morte finisce per assumere i connotati di una sorta di versione di grana grossa e metanfetaminizzata di piccoli cult come City of god o serie Capolavoro come Breaking Bad.
Certo, i paragoni non reggono neanche per scherzo, eppure era da parecchio che non mi capitava di passare due ore senza pretese schiantato in poltrona godendomi il circo di uno dei miei generi preferiti senza considerare alcuna conseguenza, o rimediare un'incazzatura.
Ho lasciato che il buon Fassbender ed il suo avvocato desideroso di un confronto con il Lato Oscuro e la sua innocente metà Penelope Cruz diventassero gli agnelli sacrificali di una serata all'insegna del pacchiano e del sopra le righe, neanche fossi un boss del narcotraffico che si diverte ad osservare cosa racconta il dorato mondo hollywoodiano di quelli come lui.
Con tanto di Brad Pitt e Cameron Diaz - rispettivamente per signore e signori, anche se non è certo dettto, o una regola - inclusi nel pacchetto.
Direi che non è poco, anche quando dall'altra parte, più che il peso della delusione, si trovava quello per l'inguardabile look di Bardem e la fuga dei ghepardi neanche fossimo nella versione dei poveri di Collateral.



MrFord




"I'm hiding in Honduras
I'm a desperate man
send lawyers, guns and money
the shit has hit the fan."
Warren Zevon - "Lawyers, guns and money" - 



mercoledì 22 ottobre 2014

Sex tape - Finiti in rete

Regia: Jake Kasdan
Origine: USA
Anno: 2014
Durata:
94'





La trama (con parole mie): Annie e Jay sono sposati da una decina d'anni, vivono felicemente con i loro due figli e portano avanti le loro carriere - lei mommy blogger di successo, lui nel settore musicale - ricordando quasi ironicamente i tempi in cui il sesso era la parte più importante delle loro giornate e del rapporto.
Quando, proprio per rinverdire i fasti del passato, i due decidono di sfruttare una nottata di solitudine per dedicarsi ad una maratona di sesso riprendendosi con il nuovissimo Ipad di Jay, ha inizio il dramma: tramite una app che permette di condividere contenuti e playlist il video viene spedito in lungo e in largo a parenti ed amici, costringendo la coppia a vivere una vera e propria avventura per cercare di impedire che il filmato con loro protagonisti divenga un must a partire dalla cerchia dei conoscenti.
Riusciranno nell'insolita impresa senza cedere all'ansia e sfruttando la situazione per ritrovare l'intesa tra le lenzuola dei tempi d'oro?








Nell'ambito del Cinema usa e getta, quello da multisala il sabato o la domenica pomeriggio, esistono, di fatto, due grandi tipologie di film in grado di raccogliere il grande pubblico e fornire l'alibi giusto per il cervello degli "intenditori" nelle serate di stanca eccessiva: i popcorn movies e i titoli spazzatura.
I primi, tendenzialmente tamarri e sopra le righe, finiscono per essere una sorta di segnale inviato ai neuroni che dichiara la chiusura momentanea delle attività cerebrali per una serata senza impegno, nel corso della quale le preoccupazioni maggiori consisteranno nello scegliere l'alcolico che accompagnerà la visione e se sarà più il caso di buttarsi sul gelato o le patatine.
I secondi, invece, sono putroppo quello che sono.
Titoli buoni giusto per sfogare la propria "ira critica" o pensare che, se fossimo aspiranti registi, ci sarebbe davvero speranza per tutti.
Purtroppo per il sottoscritto e la sua volontà di cercare un pò di riposo a seguito di giorni pieni tra lavoro, l'inizio dell'esperienza al nido del Fordino e gli impegni quotidiani, Sex tape - Finiti in rete finisce senza neppure pensarci due volte nella seconda categoria.
Considerato che dovrebbe trattarsi di una commedia romantica in stile Apatow e che avrebbe almeno in parte pretese rispetto all'essere divertente, la pellicola diretta dal figlio d'arte Jake Kasdan si rivela un fallimento su tutta la linea: banale, prevedibile, mai divertente, pseudo alternativa con strizzate d'occhio al concetto di famiglia disfunzionale tanto caro al Cinema indie - soprattutto USA -, questa robetta è stata un vero e proprio patimento che neppure l'ironia rispetto ad una fase della vita che in casa Ford si sta vivendo in prima persona - gli impegni genitoriali e lavorativi che finiscono per togliere spazio all'irruenta passionalità selvaggia dei primi tempi che si passano insieme a quella che si pensa sia e si spera poi diventi la persona della propria vita - ed un paio - ma giusto un paio - di battute divertenti potevano sperare di salvare.
In effetti, non ce l'avrebbe fatta neppure un porno amatoriale della sempre in forma protagonista Cameron Diaz gentilmente offerto per il piacere del pubblico maschile a rendere credibile e piacevole questa versione in minore e totalmente inutile di Questi sono i 40, la cui visione potrebbe essere paragonabile ad uno di quegli appuntamenti in cui non vedi l'ora che sia tutto finito per andartene a casa o rimanere in giro da solo per essere te stesso e goderti davvero la nottata.
Perfino le piccole parti di Rob Lowe - che dopo i recenti Behind the candelabra e A normal heart pareva diventato una garanzia - e di un'ormai sbiadita copia di se stesso Jack Black riescono a salvare un titolo tra i più tristi di questa seconda parte dell'anno, incapace di trovare un significato sia come divertissement che come spunto per una qualche riflessione sui rapporti di coppia o in famiglia celata dietro una maschera da commedia slapstick Anni Zero.
Non mi pare neppure giusto scrivere che sia stato un peccato, anche perchè le aspettative erano basse e la blogosfera aveva già parlato - e con una certa coesione, in merito al giudizio - bocciando pienamente l'intera operazione: più che altro resta l'ennesima conferma di un anno cinematografico decisamente fiacco, partito con grandi prospettive e finito, dalla primavera in poi, in una palude di proposte delle quali si sarebbe fatto francamente a meno.
Un pò come di questa solo apparentemente simpatica ricerca priva di logica e mordente dei due improvvisati attori porno casalinghi.



MrFord



"Let's go, don't wait, this night's almost over
honest, let's make this night last forever
forever and ever, let's make this last forever
forever and ever, let's make this last forever."
Blink 182 - "First date" - 



mercoledì 30 luglio 2014

Tutte contro lui

Regia: Nick Cassavetes
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 109'




La trama (con parole mie): Mark è un uomo di successo, arrembante negli affari e con il gentil sesso. E' sposato con Kate, ingenua e naif, ma poco importa: le sue avventure vanno di pari passo con gli obiettivi raggiunti nel mondo del business, anche sfruttando mezzi non proprio puliti.
Quando, a seguito di una coincidenza, Kate scopre che il marito da due mesi si dedica all'avvocatessa di grido Carly senza che quest'ultima sappia nulla del fatto che sia sposato, tra le due donne nasce un'amicizia resa ancora più forte dall'entrata in gioco di una terza amante, la giovane e formosa Amber. Formata un'alleanza, le tre rappresentanti del gentil sesso cercheranno di rendere la vita di Mark un inferno, e di vendicarsi dei torti subiti e delle menzogne che l'uomo ha rifilato ad ognuna di loro.
Riusciranno nel loro intento, o il legame con lui rovinerà l'improvvisata, nuova alleanza?






L'estate è, da sempre, il momento dell'anno in cui staccare il cervello e concedersi una meritata e goduriosa pausa, che si parli di lavoro o dei neuroni, costretti ad inseguire visioni più o meno impegnative nel corso dell'anno - oltre a fare fronte a tutto il resto della quotidianità -: di norma, dunque, i mesi più caldi diventano, di fatto, il momento migliore per i distributori per portare in sala gli horror più sguaiati, gli action più tamarri e le commedie più leggere, pronti all'uso sia che si tratti di utenti navigati che necessitano di svago così come di spettatori occasionali, naturalmente portati a questo tipo di soluzione.
Peccato soltanto che l'estate di questo duemilaquattordici pare essere iniziata a fine aprile, ed i cervelli di tutti noi cinefili hanno avuto decisamente tempo per rilassarsi come di norma si conviene in luglio e agosto: Tutte contro lui, commediola romantica da amiche in serata da aperitivo ed imitazione di Sex and the city prosegue in questa direzione rappresentando, di fatto, anche uno dei potenziali blockbuster dell'estate, supportata da un cast di nomi pronti a richiamare fanciulle - Coster Waldau, reduce dalle fatiche di Game of thrones - ed eventuali fidanzati - Cameron Diaz, ma soprattutto, come ben detto anche dalle parti del mio rivale Cannibale, le tette di Kate Upton -.
Peccato che, di fatto, dopo una prima parte sorprendentemente scorrevole e a suo modo piacevole per un titolo usa e getta come questo, segua una seconda più sbrindellata a livello di scrittura e volgare nella comicità, come giustamente notato da Julez - e pensare che i Ford non sono certo dei principini, in questo senso -: il risultato è una robetta facilmente dimenticabile che ben rappresenta una delle annate - e delle belle stagioni - più tristi della Storia recente del Cinema, partita benissimo con cose enormi come The wolf of Wall Street e finita gambe all'aria neppure fossimo sotto l'ombrellone senza l'obbligo di rientrare al lavoro.
Certo, in serate di particolare stanca ci si fa andar bene anche Tutte contro lui, spinti principalmente dalla voglia di rilassarsi senza prestare neppure troppa attenzione all'evoluzione della trama, ridendo
degli sketch riusciti - e, per quanto ne possa dire all'indirizzo del lavoro di Nick Cassavetes, ce ne sono - e dimenticando quanto cagna è la succitata Kate Upton concentrando la propria attenzione nella zona della sua scollatura - anche perchè, per quanto sia dipinta dalle amiche/rivali Cameron Diaz e Leslie Mann, fisicamente non pare proprio così perfetta -.
Per il resto, aspettatevi il consueto susseguirsi di gags che pescano a piene mani dalle differenze tra i due sessi ed il finale telefonato che questo tipo di prodotti suggerisce già entro il primo quarto d'ora di visione - fondamentalmente, da queste parti si sono azzeccate quasi tutte le previsioni rispetto al destino delle tre protagoniste - e la piccola parte che si ritaglia il sempre tosto Don Johnson, fordiano ad honorem che dalle parti del Saloon ha sempre almeno un drink di credito.
Sarà come bere un mojito di troppo al bar sulla spiaggia, fantasticando su una particolarmente avvenente vicina di ombrellone: il giorno dopo, facilmente, vi sarete dimenticati già tutto, ma una
sbronza innocua ed estiva non fa mai davvero male.



MrFord




"Close the door
turn the light off
switch your mind off
make it right for me
pull the blind door
try to wind down
take the liberty."
Morcheeba - "Gimme your love" - 




giovedì 20 settembre 2012

Cosa aspettarsi quando si aspetta

Regia: Kirk Jones
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 110'




La trama (con parole mie): uno degli avvenimenti più importanti e sconvolgenti con i quali ci si possa confrontare è pronto a mescolare le carte nelle vite di una manciata di coppie le cui vicende si incastrano tra tv, incontri al parco e parentele.
Jules, presentatrice televisiva, ed Evan, conosciutisi ad una sorta di Ballando con le stelle, si ritrovano a dover scoprire prima il funzionamento del loro rapporto che l'esperienza da futuri genitori, Holly e Alex decidono di adottare un bambino e attendono di poter coronare il loro sogno, Wendy e Gary, dopo anni di ricerca, finalmente scoprono di essere in attesa proprio quando il padre di lui, Ramsey, comunica loro l'arrivo di due gemelle la cui madre è più giovane - molto più giovane - di suo figlio, Rosie e Marco dovranno invece affrontare la gravidanza dopo una sola, galeotta uscita.
Il tutto mettendo in conto il supporto informativo per le signore e l'indispensabile aiuto del gruppo del sabato al parco per i loro mariti, futuri o presenti papà.






Come di recente mi era capitato con la visione di Remember me, la fatidica domanda è tornata a farsi largo nel sottoscritto: non è che la paternità ormai sempre più imminente sta finendo per rincoglionirmi inesorabilmente?
E perchè il suddetto interrogativo?
Principalmente perchè, pur ben conscio della pochezza della pellicola in questione, del suo finto incasinare le vicende dei protagonisti per poi risolvere con un bel "e vissero tutti felici e contenti" neanche fossimo nella più smielata delle fiabe Disney, di quel patinato che dovrebbe di norma e per contratto farmi incazzare come un toro, Cosa aspettarsi quando si aspetta mi ha tutto sommato perfino divertito, nell'ambito delle visioni da neuroni più o meno mandati in libera uscita per una sera.
Tanto per intenderci, e per rimanere nell'ambito del Cinema di solo intrattenimento, è curioso che l'ultimo Bourne mi abbia a tratti annoiato tanto da costringermi a tenere gli occhi aperti come nel pieno della cura Ludovico mentre con il lavoro decisamente più trascurabile di Kirk Jones sia rimasto non solo sveglio, ma anche arzillo e con il sorriso sulle labbra durante la quasi totalità della visione: forse, effettivamente, l'arrivo del nuovo occupante - e probabilmente capo supremo - di casa Ford ha condizionato il mio punto di vista - a proposito, dato che l'abbiamo scoperto anche noi da poco, sarà un maschio -, eppure ho trovato in qualche modo ammirevole il tentativo di regista e sceneggiatrici di mettere in campo una nutrita schiera di coppie che potesse - pur se non con la giusta profondità - mostrare non soltanto il tipico percorso che porta due persone ad avere un bambino.
Infatti, da chi vive tutto in tranquillità e scioltezza prima per poi essere letteralmente torturato ogni notte, tutta la notte poi a chi per anni insegue la speranza di un figlio che vede assotigliarsi mese dopo mese, a chi finisce per caricarsi i sogni in valigia e partire per l'altro capo del mondo seguendo gli iter delle adozioni, a chi costruisce un sacco di sogni su un avvenimento che dovrebbe essere felicità e si tramuta in un dolore difficile da superare, questo film ha dalla sua almeno un tentativo - abbozzato, questo è sicuro - di mostrare il mondo non sempre tutto rose e fiori della "dolce attesa" da numerose angolazioni, alcune più profonde ed altre decisamente in un Apatow style che rischierà di piacere e non poco al pubblico maschile - del resto, noi siamo semplici e ci accontentiamo di una risata ed una pacca sulla spalla con gli amici, come mostrato dal club del sabato al parco che finisce per non risparmiare neanche i più cool Rodrigo Santoro e Joe Manganiello, destinati prima o poi a mollare corsa e trazioni per camminare armati di passeggini o aggirarsi per le strade alla guida di un minivan -.
Certamente l'idea di sfruttare la molteplicità di casi per dare l'idea di una sorta di pseudo film corale aiuta lo spettatore a non finire addormentato con la più classica delle bolle in stile cartone giapponese a veleggiare splendida ed imponente sulla sua narice preferita, ed il fatto che dietro la macchina da scrivere vi siano due donne riesce a sensibilizzare in qualche modo il pubblico femminile mentre alla controparte più becera della coppia pensa il regista, che sfrutta momenti come la rivalità tra padre e figlio di Dennis Quaid e Ben Falcone per spezzare il ritmo e rendere più piacevole l'argomento, considerato il terrore che, in genere, gli uomini rifiutano di ammettere di avere rispetto all'attesa, per quanto emozionati siano spesso e volentieri anche più delle loro compagne.
Se mi aveste interrogato in proposito alla vigilia della visione, dunque, avrei previsto bottigliate scandalosamente selvagge ed una giustificazione che vedeva un equo scambio in casa Ford tra me e Julez che metteva sul piatto una serata con questo film e la seguente dedicata al pay per view mensile di wrestling nel pieno del rispetto dei compromessi da coppia, eppure devo dire di essermi decisamente goduto - saranno le ferie, sarà la voglia di rilassarmi e prendere tutto il possibile di quella che sarà la mia paternità - questa robetta infiocchettata per le grandi platee senza pretese da un regista che non ha decisamente nulla da dare alla Storia del Cinema.
Ma chi se ne frega, in fondo.
Da un certo punto di vista, posso considerarlo un anticipo di quello che sarà il regno del piccolo Fordino, che sicuramente si prenderà molto dello spazio che ora concedo alle visioni più o meno d'autore.
E vi dirò, sarà una gioia - e lo è già ora - lasciare che se lo faccia.
In fondo, il futuro è tutto suo.



MrFord



"You can't sleep, you can't eat
there's no doubt, you're in deep
your throat is tight, you can't breathe
another kiss is all you need."
Robert Palmer - "Addicted to love" -


 

mercoledì 20 giugno 2012

Ogni maledetta domenica

Regia: Oliver Stone
Origine: Usa
Anno: 1999
Durata: 150'



La trama (con parole mie):  per i Miami Sharks la stagione sta prendendo una brutta piega, dopo tre sconfitte di seguito in grado di minare la fiducia della squadra rispetto al raggiungimento dei playoff, quella dell'arrivista proprietaria del club Christina Pagniacci, dei tifosi e dei giornalisti.
Il vecchio leone Tony D'Amato, sulla stessa panchina da oltre vent'anni, vacilla, resistendo soltanto grazie alle meraviglie dei due veterani Jack Rooney e Luther "Shark" Lavay: quando, nel corso di una partita, proprio Rooney ed il quarterback di riserva Tyler Cherubini rimangono infortunati, l'unica alternativa sarà data dalla terza scelta per il ruolo, il giovane Willie Beamen.
Proprio il ragazzo sarà il motore di una vera e propria rivoluzione all'interno della squadra, portata a colpi di talento cristallino e colpi di testa da neo-superstar, che significherà per gli Sharks un nuovo, incredibile capitolo della loro storia.




Personalmente, non ho mai coltivato un amore particolarmente travolgente per Oliver Stone: certo, le sue pellicole spesso e volentieri sono un concentrato perfetto di quelli che sono i difetti - ed i punti di forza - degli Stati Uniti e della loro filosofia da "larger than life" a tutti i costi, ed ammetto che molte continuano ad emozionarmi incondizionatamente visione dopo visione, eppure, forse dalla ferita aperta che è ancora Platoon - per me una pallidissima imitazione di Apocalypse Now -, non sono mai riuscito a considerare il regista di New York come uno dei favoriti fordiani per eccellenza.
Nonostante questo, e con tutte le mie forze, adoro incondizionatamente Ogni maledetta domenica.
Nel Cinema moderno - parlo degli ultimi trent'anni - credo non esista un ritratto migliore del grande circo - anche e soprattutto mediatico - degli sport da incassi milionari nonchè dell'etica del gioco di squadra come in questa pellicola esagerata e sopra le righe, kitsch e clamorosamente emozionante: soltanto Friday night lights - serie ormai di culto in casa Ford, anch'essa incentrata sul football -, pur se in misura diversa, è riuscita negli ultimi mesi a rispolverare l'adrenalina ed il batticuore di una finale, o di quelle partite giocate sul filo dei secondi.
Chiunque, al campetto con gli amici o in una società, abbia praticato uno sport di squadra almeno una volta nella vita, conoscerà bene il brivido che percorre la schiena quando ci si gioca tutto fino all'ultima azione, e anche da semplici spettatori, che seguiate il calcio - l'equivalente nostrano del football per gli States -, il basket, il rugby o qualsiasi altra disciplina collettiva, penso che le emozioni regalate dai match più importanti possano essere sentite sulla pelle e dritte nell'anima pur non calcando il terreno di gioco: ricordo benissimo - almeno fino ad un certo punto della nottata - la vittoria dell'Italia ai Mondiali del 2006, che vissi praticamente senza muovermi o parlare, teso come la corda di un violino - e con Julez urlante accanto - fino all'ultimo, liberatorio rigore di Grosso.
E da quel momento furono Cuba Libre come se piovesse.
Ogni maledetta domenica è associabile ad una finale: brividi, tensione alle stelle e fiato grosso.
E poco importano la regia iperadrenalinica di Stone, la fotografia satura, la colonna sonora spettacolare che incornicia le intepretazioni - tutte ottime - di un cast a dir poco stellare, una durata che finisce per non farsi sentire neppure di striscio, un climax emotivo che continua come un'onda lunga anche al termine dell'ultima partita, addirittura fino all'inizio dei titoli di coda.
Quello che importa, in Ogni maledetta domenica, sono i centimetri.
Quelli dell'ormai supercult discorso di Tony D'Amato/Al Pacino ai suoi giocatori prima del match decisivo in casa della squadra texana - e quale stato è più associabile al football professionistico del Texas? -, ormai un passo obbligato di quasi tutti i corsi di formazione aziendali e sportivi, quelli di Jack "Cap" Rooney, che la vecchia stella deve sperare di guadagnare agli occhi di una moglie che non lo vorrebbe prossimo al ritiro, di Luther "Shark" Lavay - un gigantesco, in tutti i sensi, Lawrence Taylor, interprete di una parte che pare un omaggio alla sua incredibile carriera di giocatore professionista -, disposto a sacrificare tutto se stesso perchè quel bonus sui placcaggi possa garantire un futuro alla sua famiglia, di Willie Beamen, astro nascente che ancora deve capire quanto grande sia la fatica che si spende ogni maledetta domenica per vincere o perdere.
Perchè non importa chi vince e chi perde, l'importante sarà vincere o perdere da uomini.
Parola del coach D'Amato.
E chi non è con lui, in fondo?
Dalla parte di un nocchiero imperfetto e squilibrato, che ai calcoli del giovane erede sulla panchina degli Sharks Nick Crozier risponde con l'istinto del campo di gioco, delle dita sbiancate dei difensori che puntano il quarterback e quelle danzanti dei ricevitori ansiosi di avere tra le mani il pallone, gli occhi alla linea del touchdown, neanche fosse la donna della loro vita.
Dalla parte di un uomo che ha fatto tutti gli errori possibili, e a tavola con quello che potrebbe essere il giocatore più talentuoso che abbia mai allenato, non teme di mettere lo stesso di fronte alle sue responsabilità di futuro numero uno: una battaglia generazionale con le bighe di Ben Hur che corrono in sottofondo.
Perchè i giocatori di football professionistico sono come gladiatori, come ben sa il medico molto compiacente Harvey/James Woods, che ha sacrificato l'etica in nome degli ideali più o meno legati al successo e ai soldi degli uomini che ha visto spezzarsi osso dopo osso in tutti gli anni passati con gli Sharks.
Perchè ci sono molte cose che possono motivare un uomo - e uno sportivo - ad andare fino in fondo, sacrificando tutto il possibile - e anche di più - per quei centimetri che paiono miseri, ma che, alla fine, andranno a sommarsi per definire la vittoria o la sconfitta da Uomini: il coach D'Amato, riferendosi ad un suo vecchio pupillo, racconta di come lo stesso gli abbia confessato il fatto che non gli manchino i dollari, o il successo, o la folla, o le ragazze, quanto i suoi dieci compagni d'attacco: "Perchè quando ci muovevamo, ci muovevamo come fossimo un corpo solo."
"Ho imparato più da Cap Rooney nel primo tempo di questa partita che in cinque anni di football professionistico", dichiara Willie Beamen, pronto a prendere le redini della squadra nella speranza di superare le linee texane.
L'ispirazione del singolo e la confortevole sensazione di avere qualcuno pronto a pararti il culo quando un bestione di centocinquanta chili carica perchè è proprio te, che vuole schiantare a terra.
Non esistono doni dell'invisibilità: esistono solo i centimetri, e tutto il sangue che sputiamo accanto ai nostri compagni di lotta dall'inizio alla fine di una partita.
Quali siano il campo e lo sport che la muovono, non importa.
L'importante sarà potersi guardare attorno, e sapere che chi è dalla nostra parte della barricata sarà lì, piantato a terra o lanciato verso l'orizzonte di una linea apparentemente insignificante, a definire il nostro prossimo passo.
A quel punto, non basterà che alzare la testa e lanciare la palla.
Chissà che non sarà il centimetro decisivo, quello che andremo a sommare a tutti gli altri.


MrFord


"Sacrifice don't give up the fight,
everything will be all right on any given Sunday
The harder they come the hard, yeah the harder they must fall
Depends on you if you win or lose,
you know you got to pay some dues so that you can live on Monday
Strive to achieve and die in for what you believe."
Jamie Foxx - "Any given Sunday" -


martedì 20 settembre 2011

Bad teacher

Regia: Jake Kasdan
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 92'


La trama (con parole mie): Elizabeth è un'insegnante alla strenua ricerca di un buon partito da sposare per sistemarsi, godersi vizi e vestiti ed avere come principale preoccupazione il massimale della carta di credito del malcapitato consorte. 
Quando pare sia ad un passo da mettere nel sacco la sua vittima sacrificale, però, il suo fidanzamento viene rotto, e la donna è costretta a tornare tra i banchi di scuola: così, in piena lotta con la perfezionista collega Amy, dovrà battersi per avere il predominio sul corpo insegnanti e sul preside, guadagnare quello che le servirebbe per operarsi al seno, trovare l'uomo della sua vita e capire cosa davvero potrebbe essere importante per lei.
Il tutto, ovviamente, seguendo strade non sempre alla luce del sole.



La commedia made in Usa, sempre più influenzata dal successo di Kevin Smith e, soprattutto, Judd Apatow, negli ultimi anni pare aver virato con decisione verso la demenzialità al limite e puntato su protagonisti non sempre "di bucato" come se fossimo ancora negli anni cinquanta o nel più smielato dei film Disney: eppure, così come accade parallelamente per l'horror, in un vero e proprio oceano di proposte e visioni, sono poche quelle che riescono a presentare idee originali e divertire il pubblico senza che le trovate più "di pancia" risultino solo volgari, invece che clamorosamente divertenti.
Senza troppi dubbi, posso affermare che Bad teacher non appartiene certo alla categoria dei più stupefacenti film di questo genere, e certo è ben distante dalle produzioni migliori di Smith ed Apatow, pur scorrendo e strappando qualche risata senza essere bottigliato selvaggiamente come la peggiore delle pellicole.
Certo, se l'ottima Lucy Punch non fosse della partita e Cameron Diaz difettasse in autoironia il tutto risulterebbe certamente più scialbo, dunque non abbiamo che da ringraziare e pensare di dedicare all'opera di Jack Kasdan - ben lontano dagli standard paterni - una serata con il minor numero di pretese possibili, se possibile in compagnia femminile in modo da poter trovare un punto d'incontro nei gusti e nelle personalità - che siate più simili all'accoppiata dei perfettini Squirrel/Delacorte o ai panesalamissimi Elizabeth e Russell poco importa - e, chissà, chiudere in bellezza la nottata, in barba ad una visione certo non memorabile.
Tornando al cast, una menzione va certo spesa per Justin Timberlake - che, continuo a pensarlo, come attore è sicuramente più interessante che come musicista -, in grado di dare corpo ad un personaggio che pare una versione irritante e priva di carattere del Will Shuester di Glee.
Poco resta da dire a proposito dello script e del film stesso, che riprende in una versione sporca il filo conduttore delle zuccherose commedie che sul finire degli anni ottanta diedero origine ad un vero e proprio fenomeno assolutamente simile a quello che ora si cavalca in sala con l'Apatow-style, ovvero "un buon prodotto ogni dieci tentativi (se va bene)": molto meglio, dovendo fare confronti recenti, Le amiche della sposa, sicuramente meno politicamente corretto, più divertente e tagliente nella sua visione "in rosa" del mondo.
Vanno segnalate, giusto per non essere troppo cattivi, una colonna sonora discreta ed una riflessione che nasce rispetto alla scorrettissima protagonista, che spesso e volentieri giunge al successo attraverso giochi sporchi che, in una condizione di realtà, provocherebbero certo un odio immediato - e valanghe di bottigliate - rispetto ad una vera e propria arrampicatrice in grado di giungere furbescamente in cima approfittando di scorrettezze così plateali da risultare quasi incredibili.
Ma, giusto per non essere troppo buoni, di Bad teacher restano soltanto, a ben guardare, i tentativi fallimentari di Lucy Punch di affermarsi sulla rivale, la natura doppiogiochista e la faccia da culo - come si diceva poco sopra - della Diaz ed almeno un paio di sequenze tranquillamente in grado di strappare più di una risata - le pallonate da apprendimento ed il petting selvaggio con Timberlake -, degne di una pellicola decisamente migliore di quella firmata dal Kasdan "minore", in tutti i sensi.


MrFord

"Gotta break it loose
gonna keep 'em movin' wild
gonna keep a swingin' baby
I'm a real wild child."
Iggy Pop - "Real wild child" -

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