Regia: Ridley Scott
Origine: USA, UK
Anno: 2013
Durata: 117'
La trama (con parole mie): un avvocato di successo, messo all'angolo da problemi di liquidità, avidità e voglia di confrontarsi con il lato oscuro che, di norma, finisce per osservare solo in tribunale, si inserisce in un affare di droga con il Cartello messicano grazie ad un losco socio d'affari ed un altrettanto poco raccomandabile intermediario.
Peccato che, dopo aver recuperato i venti milioni necessari per entrare nel giro, il carico giunto dal Messico sparisca nelle mani sbagliate, mettendo in moto il meccanismo spietato del Cartello e dei predatori rispetto a tutti i protagonisti dell'accordo dall'altra parte del confine: ma se per alcuni significherà soltanto perdere la vita, per altri vorrà dire continuare a respirare con il peso sulle spalle di aver sacrificato tutto quello che aveva davvero valore al mondo.
Qualcosa ben oltre i diamanti, i soldi e la prospettiva di un successo.
E' curioso, a volte, quanto il gioco delle aspettative possa incidere
sulla visione di una pellicola: ai tempi della sua uscita in sala, The
counselor - Il procuratore, realizzato da quello che, nonostante gli
alti e bassi degli ultimi anni, è considerato una sorta di mostro sacro,
Ridley Scott, e scritto nientemeno che da Cormac McCarthy, uno dei più
importanti scrittori viventi americani nonchè figura più che fordiana,
fu massacrato praticamente in ogni dove, qui nella blogosfera e non,
collezionando una serie da record di recensioni che definire negative
risulterebbe quantomeno ottimistico.
Allo stesso tempo risultò curioso,
almeno per il sottoscritto, che i critici più pane e salame finirono per
prenderlo a bottigliate sui denti e quelli radical - fatta eccezione
per la mia nemesi Cannibal Kid - addirittura lo promossero quasi a pieni
voti, mentre almeno sulla carta e forte della visione avrei detto che
sarebbe potuto accadere l'esatto opposto.
Detto questo, devo
ammettere di essere uscito piuttosto perplesso dalla visione, ricca di
momenti davvero al limite del ridicolo come la questione della
temperatura o l'ormai considerata divertentissima - e non in senso
positivo - spaccata di Cameron Diaz sul parabrezza della Ferrari gialla
di Bardem ed una costruzione non sempre limpida in fase di scrittura ma
anche paradossalmente piacevole e molto ritmata, tipica di quei titoli
da divano senza impegno per alleggerirsi dal lavoro.
In un
certo senso, mi è parso di vedere Scott e McCarthy colti dalla stessa
sindrome che colpì Stone e Winslow - altri due che qui in casa Ford
tendenzialmente amiamo molto - con Le belve: due uomini considerati
assoluti professionisti nel loro settore ma decisamente non più
giovanissimi travolti dalla voglia di apparire cool e alla moda, quasi
le pulsioni sessuali e la prestanza dei loro protagonisti sullo schermo
simboleggiassero il desiderio degli autori di tornare ad un'epoca in cui anche
loro potevano considerarsi "giovani e belli", come canterebbe Guccini.
Peccato
che il Tempo passi per tutti, e l'effetto di titoli come questo finisca
per essere lo stesso dei sessanta e settantenni lampadati pronti a
tatuarsi fuori tempo massimo ed indossare le Beats sfoggiando camminate
neanche fossero usciti dal liceo: eppure, a mio parere, non parliamo di
una pellicola inesorabilmente brutta - allo stesso modo di quanto si
potrebbe pensare del già citato Le belve -, ma godibile e molto meno
autoriale di quanto non si possa pensare, inserita più nel filone che
alimenta l'esaltazione dei ragazzini che sognano di essere Tony Montana
che non in quello della ricerca e dell'analisi dei massimi sistemi
attraverso una storia action/crime.
La cosa migliore, rispetto
a The counselor, resta per me un approccio molto ignorante ed
inconsapevole, proprio come se il regista non fosse Ridley Scott - anche
se il suo stile tecnicamente impeccabile si riconosce comunque - e lo
sceneggiatore Cormac McCarthy: in questo modo questa vicenda di
corruzione, droga, sesso e morte finisce per assumere i connotati di una
sorta di versione di grana grossa e metanfetaminizzata di piccoli cult
come City of god o serie Capolavoro come Breaking Bad.
Certo, i
paragoni non reggono neanche per scherzo, eppure era da parecchio che
non mi capitava di passare due ore senza pretese schiantato in poltrona
godendomi il circo di uno dei miei generi preferiti senza considerare
alcuna conseguenza, o rimediare un'incazzatura.
Ho lasciato
che il buon Fassbender ed il suo avvocato desideroso di un confronto con
il Lato Oscuro e la sua innocente metà Penelope Cruz diventassero gli
agnelli sacrificali di una serata all'insegna del pacchiano e del sopra
le righe, neanche fossi un boss del narcotraffico che si diverte ad
osservare cosa racconta il dorato mondo hollywoodiano di quelli come
lui.
Con tanto di Brad Pitt e Cameron Diaz - rispettivamente per signore e signori, anche se non è certo dettto, o una regola - inclusi nel pacchetto.
Direi
che non è poco, anche quando dall'altra parte, più che il peso della
delusione, si trovava quello per l'inguardabile look di Bardem e la fuga
dei ghepardi neanche fossimo nella versione dei poveri di Collateral.
MrFord
"I'm hiding in Honduras
I'm a desperate man
send lawyers, guns and money
the shit has hit the fan."
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Warren Zevon - "Lawyers, guns and money" -