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martedì 11 settembre 2018

Revenge (Coralie Fargeat, Francia/Belgio, 2017, 108')




- Se c'è una cosa che ho amato dal primo momento e che amo ancora oggi a distanza di anni della blogosfera, è il tam tam che porta alla scoperta di titoli dimenticati o potenzialmente dimenticati dai distributori italiani.

- Coralie Fargeat, praticamente un'esordiente seppure "datata" - ha quarantadue anni -, confeziona un thriller perfetto per il contesto sociale che si è sviluppato negli ultimi anni, dal sapore molto nineties ma ugualmente adattato ai gusti attuali, una specie di remix di un dj di quelli di moda ora che ripesca qualcosa come All that she wants.

- La trama è assolutamente implausibile, così come lo svolgimento, eppure il gioco messo in scena dalla regista funziona, il messaggio è ben chiaro, la cornice fantastica. Montaggio e fotografia sono ottimi, e personalmente ho adorato i colori pastello affiancati ad una violenza che ha riportato alla mente Wolf Creek e The Descent.

- L'idea vincente, a prescindere da tutto, è l'assoluta onestà della Fargeat di portare in scena una metafora e uno spettacolo pop, una versione decisamente più riuscita di Alta tensione di Aja di una quindicina di anni fa: non ci sono pretese, e accanto alle possibili implicazioni impegnate, si regalano momenti ad alto tasso di goduriosa ignoranza.

- Scena sicuramente cult per il sottoscritto resterà il momento lisergico della protagonista nella grotta sotto l'effetto del peyote, così come mitico rimane il marchio del logo della birra sulla ferita cauterizzata: una tamarrata che neppure il più tamarro dei registi finto macho d'azione anni ottanta sarebbe riuscito ad immaginare. Chapeau.

- Altro passaggio notevole è il confronto finale nella villa - stupenda, tra l'altro - tra la protagonista ed il suo ormai ex amante, sanguinoso e giocato sul montaggio in pieno stile tarantiniano. E' chiaro a tutti fin dal principio come andranno a finire le cose, ma ce lo si gusta come se non lo si sapesse.

- Revenge, che tratta temi vecchi come il mondo - anche se fingiamo di no, certe dinamiche probabilmente esistono da sempre ed andrebbero combattute alla radice più che con moralismi o riscatti violenti -, rappresenta alla perfezione quella che è una proposta in grado di accontentare il pubblico occasionale e quello smaliziato, il sacro ed il profano, l'Uomo e la Donna. Merito, probabilmente, di una regista che è stata in grado di raccogliere idee e riflessioni e portarle sullo schermo senza pretese o pipponi. Piuttosto, con tanto sangue, colore e polvere.
Una specie di concessione ad un mondo a prevalenza maschile.



MrFord



 

martedì 17 aprile 2018

La verità, vi spiego, sull'amore (Max Croci, Italia, 2017, 92')





L'amore è una delle cose più complicate del mondo.
O quantomeno, i sentimenti che lo guidano rendono ogni rapporto che gestiamo, viviamo, instauriamo o tronchiamo nella vita incredibilmente più complicato di quanto non sarebbe se non ci fossero. E che, in quel caso, sarebbe incredibilmente meno interessante.
Da quando sono nati i Fordini, spesso mi capita di pensare ed affermare che l'amore più puro ed intenso che potremo mai provare è legato proprio ai figli, perchè depositari di tutto quel cumulo di sentimenti che, rispetto ad una compagna o un compagno, viene inesorabilmente viziato e reso più complesso dal sesso e da tutto quello che ne consegue, e anche se nessuno potrà mai avere la risposta definitiva a questo interrogativo, continuerò a pensare sia proprio così.
Tratto da un libro a sua volta tratto da un blog molto amato da Julez, La verità, vi spiego, sull'amore, è entrato al Saloon spinto dalla curiosità della signora Ford ed ha finito per aggiungersi all'elenco di quelle proposte made in Terra dei cachi senza dubbio non destinate a fare la Storia del Cinema o rilanciare la nostrana settima arte ma in grado di proporre qualcosa di fresco e piacevole al pubblico, legato ad un racconto di vita e proprio per questo genuino e, seppur romanzato, pane e salame.
Le vicende incrociate dei protagonisti, tra genitori, figli, nonni - momento magico il siparietto delle due nonne andate a prendere il nipote - con rapporti che si consolidano, altri che finiscono, altri ancora che nascono, ricordano senza dubbio il mosaico caotico eppure clamorosamente semplice che compone la quotidianità di ognuno di noi, che nel corso della vita si è trovato almeno una volta lasciato, a lasciare, a sperare che potesse durare per sempre e provare a ricostruire quando è finita.
Mantenendo un ritmo veloce e toni leggeri, il lavoro di Max Croci - passato da queste parti qualche mese fa con Al posto suo - scivola via piacevolmente, entrando nel novero di quelle proposte italiane che digerisco senza fatica e risultano perfette per il weekend o le serate non troppo impegnate ed impegnative: la cornice di Torino, poi, città molto amata dai Ford per ovvie ragioni di origini - e parlo di Julez - e di un amore sbocciato ai tempi in cui con la stessa Julez eravamo solo amici per il sottoscritto, aiuta molto e permette di godersi le disavventure della protagonista e della sua famiglia per quest'ora e mezza neanche si fosse già all'inizio dell'estate ed il clima conciliasse un relax da aperitivo con qualche spunto buono da portarsi dentro nel corso della serata.
Certo, per quanto ispirato alle reali esperienze della blogger Enrica Tesio, il film pare a tratti un pò troppo facile, o quantomeno semplificato ad uso e consumo di un certo tipo di produzione, ma poco importa: l'operazione è simpatica e per nulla pretenziosa, il messaggio - o i messaggi - sono chiari, la volontà di mostrare anche quelle che di norma sono considerate "sconfitte" come la fine di un matrimonio dalla prospettiva di potenziali momenti di rivoluzione che potrebbero anche ridefinire in positivo le nostre vite è apprezzabile ed interessante, e poco importa se il tutto risulta a suo modo artigianale.
A parità di qualità, se il lavoro di Max Croci arrivasse dalla Francia, saremmo tutti qui ad esaltarlo.
Dunque, per una volta, ben venga la leggerezza di una commedia italiana che non sarà "per sempre", ma che comunque resterà un bel ricordo.



MrFord



lunedì 16 ottobre 2017

L'inganno - The beguiled (Sofia Coppola, USA, 2017, 93')





Ricordo la prima volta in cui ebbi modo di incrociare il cammino di uno dei cult più sconosciuti e sottovalutati del Cinema made in USA anni settanta, quel La notte brava del soldato Jonathan, ispirato dal romanzo The beguiled, che prendeva il machismo, il repubblicanesimo e tutto il maschilismo di Don Siegel e Clint Eastwood, due delle icone dei tempi legate a questi concetti, e le ribaltava grazie ad un thriller "femminista" come forse non si erano mai neppure immaginati.
L'idea, dunque, di un remake realizzato più di quarant'anni dopo da una regista dalla carriera altalenante - Sofia Coppola è riuscita a regalarmi graditissime sorprese come Il giardino delle vergini suicide o il troppo bistrattato Somewhere ed altre decisamente più indigeste come il sopravvalutato Lost in translation o il recente e più che vuoto Bling Ring - non mi attirava granchè, consapevole del rischio che lo stesso avrebbe comportato in termini di bottigliate.
Prima, dunque, che i nodi vengano al pettine, meglio specificare le cose: L'inganno non è un film da bottigliate, Sofia Coppola ha realizzato - tecnicamente parlando - davvero un prodotto di livello, rispettando la pellicola originale - considerato che in questo periodo, Blade Runner docet, i remake o seguiti o che dir si voglia rischiano di finire sulla graticola in men che non si dica - e nonostante il ritmo, la cornice ed il genere assolutamente fruibile e scorrevole - l'ho visto al termine di una giornata fuori porta sfiancante in compagnia del suocero Ford sostenuti entrambi da numerosi gin tonic, e senza che si crollasse dal sonno, che in quelle condizioni è tutto dire -.
Eppure, era inevitabile scontrarsi con un eppure.
Questo The beguiled - adattato non al meglio, pur se meglio dell'originale -, infatti, nonostante un comparto tecnico di livello decisamente buono, finisce per perdere il confronto con il suo predecessore principalmente a causa dell'utilizzo e della scelta del suo protagonista: non che abbia necessariamente qualcosa contro Colin Farrell, ma il Caporale McBurney dell'attore irlandese manca quasi completamente del carisma e dell'appeal di quello portato sullo schermo da Eastwood, apparendo più come un viscido approfittatore nella versione della Coppola - scelta che potrebbe essere anche stata voluta, non è da escludere - che non come il maschio alpha che si considera gallo nel pollaio e predatore e finisce inesorabilmente per essere smentito nel peggiore dei modi come in pochi altri film da ribaltamento pronti a sottolineare il vero equilibrio delle forze tra i sessi - originale di Siegel a parte, mi tornano in mente solo Holy smoke e Ritratto di signora -.
La mancanza, da questo punto di vista, di forza da parte del main charachter - o quello che si crede tale - finisce così per minare la resa della pellicola in generale, o quantomeno limitarne la portata, finendo per dare l'impressione del lavoro compiuto soltanto in parte e dunque in grado di arrivare e conquistare soltanto parzialmente la critica "dura e pura" probabilmente legata all'originale così come il pubblico occasionale alle prese con un titolo che finirà per mettere fin troppo a dura prova.
Il tutto senza contare un coraggio non pervenuto che nel millenovecentosettantuno portò Siegel addirittura a dirigere la scena di un bacio tra Eastwood quarantenne e la sua compagna di scena tredicenne, impensabile oggi.
Un vero peccato, perchè il cast femminile al contrario pare decisamente efficace ed azzeccato nelle scelte, e possa piacere oppure no all'occhio maschile che lo guarda tiene perfettamente il palcoscenico ed intriga neppure tutti gli esemplari di ominide fossero di colpo nei panni non troppo fortunati di McBurney, dall'illusione all'inganno, fino all'inevitabile conclusione.
Curioso come, ad ogni modo, uno dei registi più repubblicani della Storia di Hollywood ed il suo attore feticcio siano riusciti, almeno ai miei occhi, a rendere più netta la presa di coscienza dell'Uomo rispetto alla Donna rispetto ad una regista "rosa" resa più sicura dalle coscienze risvegliate del Nuovo Millennio.
Forse è anche questo un inganno.
O forse il bisogno, la solitudine, l'amore, il dolore, l'odio, la passione, finiscono per filtrare la realtà diversamente da quanto non sia.
L'importante, in questo caso, è accorgersi di tutto prima che sia troppo tardi.




MrFord




 



domenica 8 gennaio 2017

Agnus Dei - Les innocentes (Anne Fontaine, Francia/Polonia, 2016, 115')




Qualche anno fa, ai tempi del grande momento radical della mia vita da cinefilo, i drammoni bellici - specie se non mainstream e tremendamente drammatici - rappresentavano una vera e propria miniera di occasioni per accrescere il mio status di "intenditore", e anche se a posteriori devo ringraziarli dal primo all'ultimo per avermi fatto scoprire registi come Waijda, in anni più recenti hanno trovato ben poco spazio qui al Saloon, complice una pesantezza di fondo che poco si adatta alla mia "rinascita anni ottanta" da tamarro senza quartiere.
Di tanto in tanto, però, è un piacere tornare a riscoprire questi territori, soprattutto in casi come quello di Les Innocentes - scandaloso e terribilmente ad influenza cattolica il titolo italiano, Agnus Dei, per quanto a ben vedere possa significare quasi la stessa cosa -, che analizza a partire da episodi di ispirazione reale la situazione della Polonia appena conclusa la Seconda Guerra Mondiale, con gli ultimi scampoli delle forze degli Alleati pronte a togliere le tende e l'ombra della Cortina e degli anni dell'Unione Sovietica in attesa di calare sui locali: in particolare, ci si sofferma sulla vicenda di un gruppo di suore in piena crisi morale e spirituale a seguito della sgradita visita di un manipolo di soldati per l'appunto sovietici, che per festeggiare la vittoria su Hitler decidono di concedersi un pò di piacere unilaterale lasciando dietro di loro un buon numero di religiose in dolce attesa ed altre segnate nel corpo e nella mente.
A fare da testimone alla battaglia interiore - e non solo - delle donne, una giovane dottoressa francese che nella Croce Rossa ha potuto osservare da vicino gli orrori della Guerra, e da atea convinta e comunista in termini di background si trova a fare da tramite per le giovani - ma non solo - donne tra la realtà dei fatti e della scienza e la loro Fede: in questo senso, a prescindere dalla cornice innevata e fotografata benissimo o del ritmo da film autoriale - che non avrebbe sfigurato tra gli anni sessanta e settanta dei Bergman o dei narratori russi -, a fare la differenza per quanto mi riguarda sono stati senza dubbio il rapporto ed il confronto tra le sorelle più giovani ed il medico così come la dimostrazione di Fede assoluta quanto cieca della Madre Superiora, che pur non rappresentando un personaggio negativo tout court mostra il fianco a quella che è una critica spietata degli autori proprio alla religiosità che sconfina non solo nell'ignoranza, quanto soprattutto nel grottesco e nell'assurdità.
Les Innocentes, però, è anche un film di spessore in termini di genere, tra i primi a mostrare in modo così netto non solo l'importanza, ma anche il coraggio delle donne in situazioni estreme di sofferenza e straniamento che, con ogni probabilità, avrebbero il sopravvento sulla quasi totalità degli uomini, ed una presa di coscienza rispetto a tutte le cicatrici che i conflitti lasciano non solo nelle persone che li vivono, ma anche nei luoghi e nelle società.
Dalla distanza dei medici francesi alle aggressioni dei soldati russi, passando per la chiusura delle monache - comunque molto ben caratterizzate e differenziate tra loro -, lo spettatore attraversa una vera e propria galleria di miserie umane in grado di toccare nel profondo e far riflettere, nella speranza di non dover mai vivere, in futuro nel corso della propria esistenza, situazioni come quelle che hanno attraversato l'Europa neppure un secolo fa.
Ma senza stare troppo a perdersi in pistolotti da messa in guardia rispetto alla Guerra - non credo ci sia bisogno di essere geni, per capire che non porta nulla di buono -, e a scapito dell'apparenza e della tenuta sicuramente lontane da quelle delle proposte mainstream, non posso che consigliare di tentare una visione di questo spessore.
Sia essa mossa dalla passione o dalla fede, dall'essere donna e solidarizzare con le coraggiose portate sullo schermo o uomo e vergognarsi almeno un pò, dall'essere da una parte o dall'altra della barricata, poco importa.
L'Umanità va sempre preservata.
Perchè tra le sue pieghe si rifugia quel poco di innocenza che ci è rimasta.




MrFord




 

lunedì 2 gennaio 2017

Oceania (Ron Clements&John Musker, USA, 2016, 107')




Una delle prime cose che ricordo dei tempi dell'amicizia con Julez fu il suo dichiarato amore per il mare, almeno quanto del profumo di una chioma che pareva una criniera ed una lingua lunga che era quasi impossibile mettere a tacere: quando, una volta iniziato il nostro viaggio insieme, affrontammo le prime vacanze, ed i viaggi, potei sperimentare sulla pelle quell'amore.
In tutta onestà, non ho mai conosciuto nessuno a suo agio quanto lei in acqua, quasi fosse un ambiente più confortevole e consono della terra sulla quale camminiamo ogni giorno della nostra vita: io nuoto e mi arrangio senza nessun timore, posso sperare di vantare una certa tenuta atletica, eppure se mi immergo e devo fare i conti con l'apnea o la respirazione, vado in corto circuito.
Tendenzialmente, non tengo neppure troppo gli occhi aperti, una volta in immersione.
Ricordo le risate che - sue, soprattutto - giunsero quando, in Australia, sulla barriera corallina di Green Island, tentai una goffa esperienza di snorkeling - e non parliamo di spedizioni negli abissi, sia chiaro -, o sempre nel continente down under cercai con altri di salire controcorrente una cascata in un fiume nel Kakadu National Park - fallendo dopo aver bevuto un paio di litrazzi d'acqua -.
Il tutto mentre lei pareva, come spesso si definisce, una sirena.
La visione di Oceania è stato in parte come rivivere quei momenti, ora che gli anni mi hanno reso sensibilmente più grosso di quando ci siamo conosciuti ed i nostri battibecchi, ancora oggi, paiono gli stessi di Maui e Vaiana - modificato per l'occasione dall'originale Moana, effettivamente poco vendibile qui in Italia -, il primo istintivo e pasticcione, la seconda volitiva e decisa a trovare e percorrere la sua strada: ma la bellezza dell'ultimo lavoro della premiata ditta Musker e Clemons non si limita alla capacità di evocare ricordi ed emozioni in questo vecchio cowboy.
Perchè Oceania, oltre a vantare un comparto tecnico pazzesco - ormai anche in casa Disney possiamo ritrovare la meraviglia dell'animazione offerta dagli standard Pixar -, un gran bell'adattamento - per una volta - ed una bellissima colonna sonora, è un viaggio che tocca corde di modernità e riconoscimento del ruolo della donna nella società e nel mondo che porta ad un altro livello quello già analizzato negli ultimi anni - Ribelle e Frozen sono forse i due esempi più importanti - dalla grande D, un'avventura di formazione che coinvolge e colpisce a qualsiasi età, commuove con la figura - splendida - della nonna di Vaiana e strappa sorrisi grazie ai botta e risposta tra i due protagonisti, fino a regalare un crescendo finale visivamente strepitoso grazie alla battaglia con Teitani ed alla risoluzione della stessa, quasi una lezione di umanità ed ecologia, ed un monito al rispetto non solo del nostro pianeta ma anche e soprattutto della figura della Madre e della Donna, divinità che, come la Terra, è creatrice di vita, e se privata del suo cuore finisce per diventare una potenza distruttrice che nessun uomo da solo potrà mai affrontare.
E sono stato molto fortunato, a poter godere di un'esperienza di visione come questa accanto a Julez ed ai Fordini - nonostante sia curioso che il momento più apprezzato dal Fordino sia stato quello del "mondo dei mostri", unica parentesi a mio parere davvero stonata con la liricità del resto del film aggiunta probabilmente proprio per intrattenere il pubblico più piccolo - in una sala praticamente deserta - "Che bello vedere i film solo noi!" ha sentenziato AleLeo - il pomeriggio della vigilia di natale: perchè ho potuto solleticare lo spirito di viaggiatore dentro di me, immaginarmi bambino, uomo ed un giorno vecchio, sperando di poter essere un esempio come quello della nonna di Vaiana per i miei nipoti, vedere i miei bambini accanto a me e commuovermi anche per quelle scene che loro comprenderanno soltanto tra molti anni, e vedere la magia negli occhi e nei capelli di quella sirena che è entrata nella mia vita ormai quasi undici anni fa e destinata, in un modo o nell'altro, risate da snorkeling o scontri all'ultima parola, a restarci per sempre.
Oceania definisce, una volta ancora e con una profondità oceanica, il concetto di donna e di madre.
Ed avere la fortuna di viverlo accanto ad una Donna ed una Madre, rende tutto ancora più magico.




MrFord




 

sabato 7 novembre 2015

Knock knock

Regia: Eli Roth
Origine: USA, Cile
Anno:
2015
Durata:
99'






La trama (con parole mie): Evan Webber, ex dj divenuto architetto sposato con l'artista Karen, padre di due figli e marito modello, rimane solo nella casa di famiglia a Los Angeles per il weekend mentre i suoi ragazzi e la moglie partono per il mare.
Quando, alla prima notte "in solitaria" una coppia di ragazze bussa alla sua porta chiedendo aiuto per trovare un taxi dopo essersi perse, per Evan ha inizio un vero e proprio incubo: le due fanciulle, dichiaratesi hostess e presentatesi come Genesis e Bel, infatti, lo mettono sempre più alle strette con il passare del tempo provocandolo sessualmente in maniera sempre più esplicita.
Evan resiste il più possibile, ma quando, alla fine, cede alle lusinghe dell'insolita coppia di ospiti, il comportamento delle stesse cambia radicalmente: il resto del weekend sarà teatro di una vera e propria battaglia tra l'uomo, i suoi sensi di colpa e lo sfogo delle due ragazze terribili, che paiono non essere nuove a questo tipo di "attività".










Eli Roth mi sta simpatico. Davvero.
Trovo sia un cazzone appassionato di Cinema fino al midollo, un pò come siamo noi che frequentiamo in queste vesti "critiche" la blogosfera, o per usare un esempio certo più celebre, Quentin Tarantino.
Certo, il buon Eli ha probabilmente il talento dell'unghia del mignolo sinistro del vecchio Quentin, come la sua produzione ampiamente dimostra, eppure mi sono trovato quasi sempre a volergli tutto sommato bene: il suo modo di approcciare all'horror, anche quando pare andare sopra le righe, non pare mai nocivo, quanto più che altro tendente all'esagerato.
Quest'ultimo Knock knock, uscito in sala ad una velocità supersonica rispetto a The Green Inferno - che, lo ricordiamo, ha ritardato due anni la distribuzione -, però, per quanto supportato da un'idea di fondo molto, molto interessante - la natura animale dell'uomo che, per quanto si sforzi, finisce per non essere mai davvero capace di resistere alle tentazioni - e graziato da una singola scena che da sola vale non solo l'intera pellicola, ma forse l'opera tutta di Roth - spoiler alert: Keanu Reeves ormai umiliato e sconfitto dalle sue due nemesi, lasciato sepolto in una buca mentre con la mano che ha liberato cerca di cancellare il video che le caotiche e non volute ospiti del suo weekend terrificante hanno postato su Facebook sfruttando il suo account, e riesce soltanto a cliccare il temutissimo "mi piace", impagabile - resta forse il film più brutto realizzato dal regista.
Dal sapore fin troppo anni novanta, recitato da cani dal suo protagonista - non avevo mai visto un Reeves così terribile -, terribilmente lento nonostante le continue trovate delle ragazzacce psicopatiche che il main charachter si ritrova a dover gestire, Knock knock odora di stantìo lontano un miglio, appare come una finta produzione di serie a quando il livello è ben al di sotto anche delle categorie minori, non avvince o diverte come vorrebbe - del resto, è tutto giocato sull'utilizzo massiccio di ironia nerissima - e solletica in un vecchio spettatore come il sottoscritto la nostalgia di chi questo tipo di film li sapeva davvero girare, e li avrebbe girati con le palle: qualcuno ha detto Wes Craven?
Resta, per l'appunto, la riflessione legata al fatto che anche il migliore tra i padri e i mariti, messo con le spalle al muro da due ventenni disinibite pronte a prodigarsi in un'escalation di allusioni fino ad arrivare ad un pompino in stereo, non riuscirebbe a resistere alla tentazione e finirebbe per cedere inevitabilmente alle "interlocutrici" - e, spesso e volentieri, ne basta anche una soltanto -: ma, in qualche modo, è qualcosa che, uomini o donne, tutti già sappiamo o pensiamo di sapere, e dunque non finisce per scavare davvero fino in fondo, o almeno non come dovrebbe.
Resta, dunque, un two-women show di fanciulle pronte a fare il culo a strisce al buon Keanu - che pare essersi già dimenticato dei fasti di John Wick - riuscendo a rendersi davvero, davvero irritanti al punto da desiderare di eliminarle fisicamente pur essendo dall'altra parte dello schermo e nonostante i loro interessanti argomenti di natura fisica, ma resta davvero troppo poco per considerare questo film degno non solo di nota, ma anche di una pur passeggera visione.





MrFord




"Feel it coming
it's knocking at the door
you know it's no good running
it's not against the law
the point of no return
and now you know the score
and now you're learning
what's knockin' at your back door."
Deep Purple - "Knocking at your back door" -





martedì 3 novembre 2015

APPuntamento con l'@more

Regia: Max Nichols
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 86'





La trama (con parole mie): Megan è una giovane appena laureata traumatizzata dalla fine della storia con il suo ex storico, senza un lavoro ed una prospettiva futura, che l'amica e coinquilina Faiza vorrebbe sistemare per poter dividere l'appartamento con il fidanzato. Spinta proprio da Faiza a creare un profilo su un sito di incontri e dedicarsi alla ricerca di qualcuno con cui distrarsi grazie ad un pò di sano sesso occasionale, la ragazza finisce nell'appartamento del quasi coetaneo Alec, che lavora in banca ma, fondamentalmente, si preoccupa principalmente di vivere bene nel resto della sua vita.
Quando, però, la mattina dopo la loro avventura una tormenta di neve li costringe a passare quarantotto ore insieme nell'appartamento del ragazzo, il loro rapporto si evolve, passando dal disinteresse all'ostilità, finendo per trasformarsi in amicizia di letto e, forse, qualcosa in più.










Di norma, quando si tratta di scegliere un titolo disimpegnato per passare una serata a neuroni spenti nella speranza di non addormentarsi dopo una giornata spesa tra allenamenti, lavoro, sessioni di gioco intensivo con il Fordino, le scelte del sottoscritto si restringono all'action tamarro o all'horror: difficilmente, infatti, a meno che Julez non abbia resistito al sonno, le commedie romantiche leggere finiscono in cima alla lista, nonostante negli anni mi abbiano riservato diverse sorprese piacevoli - ricordo, su tutte, l'ottima Crazy, stupid love -.
Di tanto in tanto, però, vuoi per la mancanza di controproposte, vuoi per il minutaggio che rende più probabile una ritirata a letto ad orari umani, anche prodotti come questo APPuntamento con l'@more - agghiacciante l'adattamento italiano dell'originale e molto più interessante Two night stand - finiscono per ritagliarsi il loro spazio al Saloon: come se non bastasse, nonostante il genere, attori simpatici ma non particolarmente brillanti, soluzioni di sceneggiatura poco realistiche ed il voto bassino, ho trovato il lavoro di Max Nichols piuttosto scorrevole e divertente, perfettamente inserito nel filone "uomini che cercano di comprendere le donne e viceversa" che è sempre sociologicamente interessante riscoprire in coppia o da soli, passando dai momenti più divertenti a quelli così vicini alla realtà da essere quasi drammatici.
Inoltre, devo dare atto a questa commedia sostanzialmente leggerina - forse perfino troppo - che se l'avessi vista in uno dei periodi della vita di malinconia da lupo solitario dedito proprio agli one night stand la visione avrebbe suscitato quell'insana voglia di innamorarsi che a volte prende perfino i più stronzi ed apparentemente duri di noi.
L'evoluzione della storia tra Alec e Megan, con le loro imperfezioni e comprensibili umanità, risulta, seppur centrifugata in un'evoluzione rapidissima, decisamente credibile, ed in più di un caso mi ha riportato alla mente il periodo in cui conobbi Julez, quando a partire dall'amicizia quasi da buddies abbiamo cominciato a scoprirci l'un l'altra mantenendo una distanza di sicurezza che ci ha permesso di conoscere anche i lati peggiori di noi - è ancora memorabile la notte di una sbronza mortale presa dal sottoscritto con Julez al telefono che mi guida fino al suo appartamento di allora, ed io che mi sveglio la mattina dopo con addosso una sua tuta e una maglietta senza ricordarmi nulla, un biglietto e le chiavi di casa da riportarle quando sarei andato a prenderla in Accademia per il nostro consueto aperitivo del venerdì, e prima di uscire lasciai un ricordino praticamente tossico nel bagno cieco dove, subito dopo di me, entrò una delle sue coinquiline, un bulldog fatto donna che tra l'altro detestavo -.
Certo, tutto scorre quasi senza colpo ferire, e tolte un paio di idee carine - il ballo separati, l'irruzione nella casa dei vicini - non vi troverete certo di fronte ad un titolo capace di essere più di un one - o two, se proprio volete - night stand, ma in quel caso vi porterà in dono tutto quello che potrebbe piacervi: proprio come quella ragazza con la quale avete diviso una notte, della quale non ricordate bene il viso, o il nome, ma che avete impressa nella memoria per un momento, o qualche mossa che non avevate mai potuto sperimentare, o non avete più sperimentato dopo.
A volte, basta anche questo.




MrFord




"Don't you know that you're nothin' more than a one night stand.
tomorrow I'll be on my way, an' you can catch me if you can.
honey, take me by the hand and play that game again, yeah."
Janis Joplin - "One night stand" - 






mercoledì 30 luglio 2014

Tutte contro lui

Regia: Nick Cassavetes
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 109'




La trama (con parole mie): Mark è un uomo di successo, arrembante negli affari e con il gentil sesso. E' sposato con Kate, ingenua e naif, ma poco importa: le sue avventure vanno di pari passo con gli obiettivi raggiunti nel mondo del business, anche sfruttando mezzi non proprio puliti.
Quando, a seguito di una coincidenza, Kate scopre che il marito da due mesi si dedica all'avvocatessa di grido Carly senza che quest'ultima sappia nulla del fatto che sia sposato, tra le due donne nasce un'amicizia resa ancora più forte dall'entrata in gioco di una terza amante, la giovane e formosa Amber. Formata un'alleanza, le tre rappresentanti del gentil sesso cercheranno di rendere la vita di Mark un inferno, e di vendicarsi dei torti subiti e delle menzogne che l'uomo ha rifilato ad ognuna di loro.
Riusciranno nel loro intento, o il legame con lui rovinerà l'improvvisata, nuova alleanza?






L'estate è, da sempre, il momento dell'anno in cui staccare il cervello e concedersi una meritata e goduriosa pausa, che si parli di lavoro o dei neuroni, costretti ad inseguire visioni più o meno impegnative nel corso dell'anno - oltre a fare fronte a tutto il resto della quotidianità -: di norma, dunque, i mesi più caldi diventano, di fatto, il momento migliore per i distributori per portare in sala gli horror più sguaiati, gli action più tamarri e le commedie più leggere, pronti all'uso sia che si tratti di utenti navigati che necessitano di svago così come di spettatori occasionali, naturalmente portati a questo tipo di soluzione.
Peccato soltanto che l'estate di questo duemilaquattordici pare essere iniziata a fine aprile, ed i cervelli di tutti noi cinefili hanno avuto decisamente tempo per rilassarsi come di norma si conviene in luglio e agosto: Tutte contro lui, commediola romantica da amiche in serata da aperitivo ed imitazione di Sex and the city prosegue in questa direzione rappresentando, di fatto, anche uno dei potenziali blockbuster dell'estate, supportata da un cast di nomi pronti a richiamare fanciulle - Coster Waldau, reduce dalle fatiche di Game of thrones - ed eventuali fidanzati - Cameron Diaz, ma soprattutto, come ben detto anche dalle parti del mio rivale Cannibale, le tette di Kate Upton -.
Peccato che, di fatto, dopo una prima parte sorprendentemente scorrevole e a suo modo piacevole per un titolo usa e getta come questo, segua una seconda più sbrindellata a livello di scrittura e volgare nella comicità, come giustamente notato da Julez - e pensare che i Ford non sono certo dei principini, in questo senso -: il risultato è una robetta facilmente dimenticabile che ben rappresenta una delle annate - e delle belle stagioni - più tristi della Storia recente del Cinema, partita benissimo con cose enormi come The wolf of Wall Street e finita gambe all'aria neppure fossimo sotto l'ombrellone senza l'obbligo di rientrare al lavoro.
Certo, in serate di particolare stanca ci si fa andar bene anche Tutte contro lui, spinti principalmente dalla voglia di rilassarsi senza prestare neppure troppa attenzione all'evoluzione della trama, ridendo
degli sketch riusciti - e, per quanto ne possa dire all'indirizzo del lavoro di Nick Cassavetes, ce ne sono - e dimenticando quanto cagna è la succitata Kate Upton concentrando la propria attenzione nella zona della sua scollatura - anche perchè, per quanto sia dipinta dalle amiche/rivali Cameron Diaz e Leslie Mann, fisicamente non pare proprio così perfetta -.
Per il resto, aspettatevi il consueto susseguirsi di gags che pescano a piene mani dalle differenze tra i due sessi ed il finale telefonato che questo tipo di prodotti suggerisce già entro il primo quarto d'ora di visione - fondamentalmente, da queste parti si sono azzeccate quasi tutte le previsioni rispetto al destino delle tre protagoniste - e la piccola parte che si ritaglia il sempre tosto Don Johnson, fordiano ad honorem che dalle parti del Saloon ha sempre almeno un drink di credito.
Sarà come bere un mojito di troppo al bar sulla spiaggia, fantasticando su una particolarmente avvenente vicina di ombrellone: il giorno dopo, facilmente, vi sarete dimenticati già tutto, ma una
sbronza innocua ed estiva non fa mai davvero male.



MrFord




"Close the door
turn the light off
switch your mind off
make it right for me
pull the blind door
try to wind down
take the liberty."
Morcheeba - "Gimme your love" - 




mercoledì 28 maggio 2014

Venere in pelliccia

Regia: Roman Polanski
Origine: Polonia, Francia
Anno: 2013
Durata: 96'





La trama (con parole mie): Thomas è un autore teatrale all'esordio con la regia in cerca dell'attrice protagonista per l'opera ottocentesca che ha adattato, Venere in pelliccia.
Quando, ad audizioni finite, si presenta nel teatro ormai vuoto l'aspirante Vanda, l'uomo si trova prima a respingerla professionalmente, dunque coinvolto nel tentativo di quest'ultima di convincerlo ad assegnarle la parte.
La lettura delle prime tre pagine della piece si trasforma dunque in una sorta di duello di corpi, cuori e menti dei due, in un passaggio di consegne tra dominante e dominato che parte dalla pagina scritta per sconfinare nella realtà, e divenire una riflessione ironica e profonda sul rapporto tra Uomini e Donne. Chi la spunterà?








Non era facile, per Polanski, dopo la delusione che fu per il sottoscritto Carnage, tornare a convincere. Personalmente, ho sempre trovato il lavoro del regista polacco ormai francese d'adozione stupefacente, dagli esordi fino ad oggi, fatta eccezione per l'appena citato massacro borghese newyorkese ed il deludente La nona porta: eppure, come spesso accade quando le bottigliate vengono stuzzicate, pur non raggiungendo i livelli del passato o millantati dalle recensioni lusinghiere lette fin dai tempi della sua uscita, Venere in pelliccia è uscito a testa alta dal Saloon.
Da questo punto di vista, dunque, il risultato ottenuto dal vecchio Roman è stato senza dubbio un successo: perchè questo lavoro è indiscutibilmente un concentrato di ironia, intelligenza, capacità di muovere la macchina da presa così come di dirigere al meglio gli attori - specie in coppia, come fu per La morte e la fanciulla -, nonchè una riflessione colta e profonda sul confronto eterno tra Uomo e Donna, che passa dal cervello per giungere inevitabilmente alla zona sotto la cintura.
Perchè, signori e signore, non esiste pezzo d'arte, discussione, appuntamento o qualsiasi altra cosa vogliate metterci, che non coinvolga, in un modo o nell'altro, proprio le energie scaturite dal fulcro di molto più di quanto si continui a non ammettere di ogni tipo di rapporto: ed Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric portano in scena alla grande proprio questa tensione, erotica quanto cerebrale, figlia di un legame che, prima ancora delle leggende legate alla religione, da Adamo ed Eva in avanti, finisce per essere un impulso naturale.
Eppure, il lavoro di Polanski, una volta superati gli entusiasmi per il sempre stimolante "faccia a faccia" tra i sessi, non può definirsi allo stesso tempo completo, quasi parlassimo di un coito interrotto, o di un bacio rubato quando vorremmo con ogni fibra del nostro corpo finire a letto: dalla strepitosa e divertentissima parte iniziale, infatti, al finale, ad un tempo grottesco e drammatico, e clamorosamente vero - almeno per quanto riguarda l'assoluta dipendenza di noi maschietti rispetto al potere esercitato dalle signorine, pronte a rispondere, anche se si trattasse soltanto di alimentare ulteriormente la sfida, con un sonoro ed ancora più attraente "attaccati al cazzo" -, attraversiamo una lunga - troppo lunga, oserei dire, nonostante il minutaggio limitato - fase di studio e stimolo a distanza che a tratti appare fastidiosamente compiaciuta, neanche fosse una figa di legno in vena di tirarsela per bene, come diremmo noi beceri pane e salame.
La cornice da film da salotto - molto radical e molto chic -, dunque, rimane, con tutti i suoi limiti, di fatto riportando Venere in pelliccia ad un livello assolutamente discreto ma non in grado di far gridare al miracolo - da questo punto di vista, Repulsion fu un ritratto decisamente più inquietante e quasi seducente della lotta tra i sessi -, lasciando che la mia soddisfazione di vedere Polanski tornare a fare il Polanski fosse soddisfatta solo in parte, neanche mi ritrovassi ad essere il Thomas della situazione, lasciato alla mercè di un cactus reduce dalla versione musical di Ombre rosse - e rabbrividisco al solo pensiero -.
Non posso comunque lamentarmi, e non lo vorrei, anche perchè non è detto che doversi sudare qualcosa non porti ad un risultato finale ancora più sorprendente di quello che ci saremmo aspettati in principio: dunque torno a dare fiducia ad uno dei più importanti registi degli ultimi trent'anni nel convogliare velleità autoriali e capacità di narrazione ad un pubblico senza limiti di sorta o di gusto, che seppur non al meglio lascia ancora una volta intravedere tutta la sua scintillante bravura di giocoliere della tensione.
Erotica, orrorifica o semplicemente cinematografica che dir si voglia.




MrFord




"Shiny, shiny, shiny boots of leather
whiplash girlchild in the dark
comes in bells, your servant, don't forsake him
strike, dear mistress, and cure his heart."
The Velvet Underground - "Venus in furs" - 




venerdì 14 febbraio 2014

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