Regia: Roy Andersson
Origine: Svezia, Germania, Norvegia, Francia, Danimarca
Anno: 2014
Durata: 101'
Anno: 2014
Durata: 101'
La trama (con parole mie): Sam e Jonathan, venditori di scherzi e maschere non propriamente abili e non propriamente fortunati, si muovono attraverso veri e propri quadri ed epoche destinati a mostrare, attraverso il grottesco, l'ironia e l'assurdo, la grande commedia umana, soprattutto la sua parte legata a doppio filo al concetto di morte ed al suo rapporto con la stessa.
Un viaggio sconnesso e scombinato volto all'esplorazione, alla critica ed alla ricerca, tutto posato sulle spalle di personaggi nati per essere inesorabilmente outsiders: dove, dunque, condurrà il percorso dei ben poco eroici protagonisti?
Riusciranno a piazzare il nuovo articolo che cercano di spingere e riscuotere soldi dovuti o dovranno soccombere ad un Sistema più grande cantando canzonette per festeggiare la loro sconfitta?
Un viaggio sconnesso e scombinato volto all'esplorazione, alla critica ed alla ricerca, tutto posato sulle spalle di personaggi nati per essere inesorabilmente outsiders: dove, dunque, condurrà il percorso dei ben poco eroici protagonisti?
Riusciranno a piazzare il nuovo articolo che cercano di spingere e riscuotere soldi dovuti o dovranno soccombere ad un Sistema più grande cantando canzonette per festeggiare la loro sconfitta?
Era da tempo, ormai, che non mi capitava per le mani una bella scarica di bottigliate d'autore.
Ultimamente, infatti, che sia per la stanchezza legata alla quotidianità lavorativa o quella - decisamente più importante in tutti i sensi - legata agli impegni con i piccoli Ford, preferisco di gran lunga destinare le mie serate cinefile a proposte più leggere e legate all'intrattenimento, riservando ai titoli d'essai uno spazio limitato per le giornate più libere da impegni: Peppa Kid sarà pronto a dichiarare quanto, la contrario, mi sia rammollito, considerato che le ultime tempeste di bottigliate sono state, di fatto, figlie di stroncature "easy", ma come al solito quando è lui ad aprire bocca, poco importa, specie considerato che questa settimana è stata inaugurata proprio dal massacro del suo tanto caro Mr. Robot, e nonostante quello di Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza potrebbe essere senza troppi problemi annoverato nel gruppo dei suddetti bocciati "con garbo".
Il lavoro di Roy Andersson, da molti radical considerato un Maestro e premiato con il Leone d'oro a Venezia, è indubbiamente notevole per tutto quello che riguarda l'aspetto tecnico, dalla messa in scena alla regia, dall'uso del primo e del secondo piano al piano sequenza, dalla fotografia alla prospettiva, che colloca questo film lungo una sorta di ideale confine tra Majewski e Sokurov, roba da "mica bruscolini".
Peccato che, a conti fatti, per poter considerare davvero una pellicola grande debbano essere tenute presenti anche altre cosine come la sceneggiatura, la capacità di parlare ad un pubblico il più vasto possibile e raccontare allo stesso una storia così come dare un senso alla stessa: poco importa, infatti, che le idee ricordino il primo Kaurismaki - di tutt'altro livello rispetto a questo film, sia chiaro -, o che il grottesco riesca in alcuni passaggi a colpire nel segno, se a fare da contrappeso a tutte le qualità di questo Piccione si trovano novanta minuti e spiccioli di nonsense assoluto che pare una presa per il culo del pubblico giocata attorno a quelle che paiono improvvisazioni senza alcun senso.
Certo, io potrei essere ormai troppo pane e salame, ma sinceramente assistere a sequenze che vedono frasi fuori contesto ripetute quasi come un mantra come se dovessero, più che convincere o divertire, ipnotizzare l'audience, risulta essere una perdita di tempo non da poco per tutti quelli che devono lottare per guadagnarsi quello stesso tempo: ed è ormai lontana, almeno per il sottoscritto, l'epoca in cui bastava l'autorialità più o meno estrema di una pellicola per guadagnarsi da queste parti lo status di cult, così come, d'altro canto, si è abbassata la soglia di tolleranza per i film che paiono costruiti ad uso e consumo di un'elite che, probabilmente, neppure c'è, o di quelle giurie pronte ad andare in brodo di giuggiole per lavori apparentemente incomprensibili come questo.
Non sarò certo io a remare contro i prodotti da Festival, o di nicchia, ma trovo che sia davvero troppo facile - e questa volta mi risparmio il supponente, perchè quantomeno Andersson non trasmette questa sensazione - pensare di presentare un lavoro esteticamente ineccepibile ma, passatemi la definizione, eticamente scorretto come questo: il signor Andersson ed il suo Piccione, infatti, meriterebbero gli ormai noti - e quelli davvero cult - novantadue minuti di applausi del fantozziano "E' una cagata pazzesca!", in barba ai premi, ai leoni e a tutte le giurie pronte ancora a credere in un Cinema elitario e forzatamente colto.
Il giorno successivo alla visione, ho ripensato al re del grottesco, della satira e del "nonsense" della settima arte, Luis Bunuel, che, da bravo genio assoluto qual'era, riusciva e riesce tramite le sue pellicole a parlare a chiunque senza bisogno che qualche presunto critico o santone intellettuale debba farsi trovare pronto ad educare le masse per estrapolare significati che, chissà, forse neppure ci sono.
Del resto, ci sarà pure un motivo se il piccione è uno degli animali più inutili e ributtanti che possano esistere.
E non penso riguardi da vicino riflessioni sulla morte o sull'esistenza.
Ultimamente, infatti, che sia per la stanchezza legata alla quotidianità lavorativa o quella - decisamente più importante in tutti i sensi - legata agli impegni con i piccoli Ford, preferisco di gran lunga destinare le mie serate cinefile a proposte più leggere e legate all'intrattenimento, riservando ai titoli d'essai uno spazio limitato per le giornate più libere da impegni: Peppa Kid sarà pronto a dichiarare quanto, la contrario, mi sia rammollito, considerato che le ultime tempeste di bottigliate sono state, di fatto, figlie di stroncature "easy", ma come al solito quando è lui ad aprire bocca, poco importa, specie considerato che questa settimana è stata inaugurata proprio dal massacro del suo tanto caro Mr. Robot, e nonostante quello di Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza potrebbe essere senza troppi problemi annoverato nel gruppo dei suddetti bocciati "con garbo".
Il lavoro di Roy Andersson, da molti radical considerato un Maestro e premiato con il Leone d'oro a Venezia, è indubbiamente notevole per tutto quello che riguarda l'aspetto tecnico, dalla messa in scena alla regia, dall'uso del primo e del secondo piano al piano sequenza, dalla fotografia alla prospettiva, che colloca questo film lungo una sorta di ideale confine tra Majewski e Sokurov, roba da "mica bruscolini".
Peccato che, a conti fatti, per poter considerare davvero una pellicola grande debbano essere tenute presenti anche altre cosine come la sceneggiatura, la capacità di parlare ad un pubblico il più vasto possibile e raccontare allo stesso una storia così come dare un senso alla stessa: poco importa, infatti, che le idee ricordino il primo Kaurismaki - di tutt'altro livello rispetto a questo film, sia chiaro -, o che il grottesco riesca in alcuni passaggi a colpire nel segno, se a fare da contrappeso a tutte le qualità di questo Piccione si trovano novanta minuti e spiccioli di nonsense assoluto che pare una presa per il culo del pubblico giocata attorno a quelle che paiono improvvisazioni senza alcun senso.
Certo, io potrei essere ormai troppo pane e salame, ma sinceramente assistere a sequenze che vedono frasi fuori contesto ripetute quasi come un mantra come se dovessero, più che convincere o divertire, ipnotizzare l'audience, risulta essere una perdita di tempo non da poco per tutti quelli che devono lottare per guadagnarsi quello stesso tempo: ed è ormai lontana, almeno per il sottoscritto, l'epoca in cui bastava l'autorialità più o meno estrema di una pellicola per guadagnarsi da queste parti lo status di cult, così come, d'altro canto, si è abbassata la soglia di tolleranza per i film che paiono costruiti ad uso e consumo di un'elite che, probabilmente, neppure c'è, o di quelle giurie pronte ad andare in brodo di giuggiole per lavori apparentemente incomprensibili come questo.
Non sarò certo io a remare contro i prodotti da Festival, o di nicchia, ma trovo che sia davvero troppo facile - e questa volta mi risparmio il supponente, perchè quantomeno Andersson non trasmette questa sensazione - pensare di presentare un lavoro esteticamente ineccepibile ma, passatemi la definizione, eticamente scorretto come questo: il signor Andersson ed il suo Piccione, infatti, meriterebbero gli ormai noti - e quelli davvero cult - novantadue minuti di applausi del fantozziano "E' una cagata pazzesca!", in barba ai premi, ai leoni e a tutte le giurie pronte ancora a credere in un Cinema elitario e forzatamente colto.
Il giorno successivo alla visione, ho ripensato al re del grottesco, della satira e del "nonsense" della settima arte, Luis Bunuel, che, da bravo genio assoluto qual'era, riusciva e riesce tramite le sue pellicole a parlare a chiunque senza bisogno che qualche presunto critico o santone intellettuale debba farsi trovare pronto ad educare le masse per estrapolare significati che, chissà, forse neppure ci sono.
Del resto, ci sarà pure un motivo se il piccione è uno degli animali più inutili e ributtanti che possano esistere.
E non penso riguardi da vicino riflessioni sulla morte o sull'esistenza.
MrFord
"For just a Skyline Pigeon
dreaming of the open
waiting for the day
he can spread his wings
and fly away again
fly away skyline pigeon fly
towards the dreams
you've left so very far behind."
dreaming of the open
waiting for the day
he can spread his wings
and fly away again
fly away skyline pigeon fly
towards the dreams
you've left so very far behind."
Elton John - "Skyine pigeon" -