Una delle cose più appaganti del vivere le proprie passioni è di poterlo fare accanto alle persone cui vogliamo bene: fin da bambino ho condiviso quella per il Cinema con mio fratello, che con il tempo ha sviluppato la stessa in modo più pratico e differente dal mio, lavorando soprattutto sul montaggio - date un'occhiata a Zankination, il suo canale Youtube -, su un sito che nasce come un'alternativa al classico portale cinematografico - che trovate qui - e l'organizzazione di Festival come questo, che venerdì 1 dicembre avrà a Milano la sua serata conclusiva - al Cineteatro Auditorium di Settimo Milanese a partire dalle ore ventuno -.
Un modo per conoscere un mondo - quello dei cortometraggi - lontano dalle logiche della grande distribuzione e dei palcoscenici dorati ma ugualmente vivo, vitale ed interessante, e per avvicinarsi ad un'incarnazione della settima arte più di nicchia ma incredibilmente immediata.
Il Saloon, quindi, alza i calici per questa iniziativa che in qualche modo torna a rispolverare anche il proposito del sottoscritto di ospitare giovani registi ancora poco conosciuti - e per restare in tema, a breve avremo il ritorno da queste parti di Fabio Cento e Klaverna, in passato già giunti al bancone del sottoscritto, con i loro nuovi progetti -, ed approfitta per farlo della reunion dei due scombinati per eccellenza del clan Ford.
Qualche mese fa, qui al Saloon, pubblicizzai una di quelle iniziative che dovrebbero fornire linfa vitale al futuro del Cinema in tutto il mondo, il Quindici19 Short Film Festival, che unisce e permette un confronto - ed una gara - tra gli adolescenti italiani e non solo di mettere in mostra le proprie doti dietro la macchina da presa.
Avendo preso parte alle votazioni della giuria ed avendo avuto l'occasione di visionare i titoli finalisti - con tanto di personale classifica - alla vigilia della cerimonia finale porto sugli schermi del Saloon il trailer che presenta la serata, alzo i calici ed auguro a tutti questi ragazzi fortuna nel difficile mondo della settima arte.
Nel corso di questi sette anni di Saloon ed uno dei motivi che anche nel deserto che è la blogosfera attuale rispetto ad allora continuano a motivare il sottoscritto sono le collaborazioni e le possibilità di arricchirsi e conoscere nuove realtà, persone, iniziative.
Una di queste è Quindici19 - Short Film Festival, dedicato ai giovanissimi e potenziali cineasti ancora nel pieno della tempesta che è l'adolescenza: mesi fa questo vecchio cowboy è stato contattato dall'organizzazione del Festival per partecipare allo stesso in qualità di giurato per il settore media, e dunque avere un ruolo attivo nell'assegnazione dei riconoscimenti ai vincitori.
In attesa, dunque, di poter parlare più approfonditamente delle opere in concorso e dell'esperienza, approfitto per segnalare l'evento: in fondo, dietro la macchina da presa in queste opere fresche e giovanissime potrebbero nascondersi i futuri Dolan o Tarantino.
Da appassionato, posso solo sperarlo.
Se c'è una categoria di film che detesto più dei titoli prepotentemente radical chic, sono quelli che si mascherano da lavori pane e salame e celano sotto la superficie un'aura di supponenza ancora più fastidiosa di quelle emanate da chi se la mena a priori: un pò come quando mi capita di incrociare il cammino di gente che si professa "comunista" e poi finisce per cascare nel vecchio gioco da Fattoria degli animali, in cui tutti sono uguali, ma alcuni più uguali di altri.
Con Gianfranco Rosi era già successo qualche anno fa, ai tempi di Sacro GRA, che trovai lento, pesante, talmente costruito da risultare fastidioso, ed è capitato una volta ancora con questo suo titolo incensato e premiato - questa volta è stato l'Orso d'oro a Berlino, senza contare la candidatura all'Oscar duemiladiciassette per il miglior documentario -, Fuocoammare.
Personalmente, sono sempre stato un grande fan dei documentari: così come i film di fiction, infatti, se ben gestiti essi possono raccontare con uguale coinvolgimento e potenza una storia con il vantaggio costituito dal fatto che si tratti di una cronaca, di qualcosa di vero.
Per vicissitudini lavorative, una decina di anni fa ebbi l'occasione, per tre edizioni, se non ricordo male, di fare parte della giuria di un concorso dedicato proprio ai documentari organizzato dall'ottimo Spazio Oberdan a Milano: in una di queste occasioni, visionai il lavoro di una regista svizzera che, accanto al marito, aveva iniziato a strutturare un lavoro incentrato sulla vita nel cortile del palazzo in cui vivevano, collocato in una delle zone più multietniche di quella che poteva essere Ginevra, anche se non ricordo di preciso la città.
Un lavoro pianificato giorno per giorno, che più o meno a metà della sua lavorazione incontrò un ostacolo imprevisto: il marito della donna, infatti, improvvisamente morì.
Era inverno, quando successe, e lei si limitò a riprendere il loro salotto al buio con la finestra che mostrava una tempesta di neve all'esterno: raramente ho visto un'immagine, neanche quando si parlava di produzioni ben più grandi, così poetica e sentita.
Purtroppo quel documentario arrivò secondo dopo una battaglia tra noi giurati durata almeno un paio d'ore, decisa dalla spinta degli organizzatori - il suo avversario era firmato da un regista italiano ben visto dagli stessi - e dal "tradimento" del Presidente di giuria, che cambiò il suo voto per rompere un equilibrio che pareva potesse durare in eterno.
Ho immaginato Fuocoammare e Gianfranco Rosi ammanicati proprio come il film che vinse quel piccolo festival.
Perchè trovo davvero difficile pensare che in una grande manifestazione come la Berlinale - per quanto possa effettivamente essere possibile che una giuria si prenda una cantonata - un lavoro freddo e calcolato tanto quanto posticcio come questo possa essere accolto come una sorta di miracolo, quando la mia impressione è stata principalmente quella dello sfruttamento di un fenomeno divenuto un tristissimo oggetto di cronaca - i drammi dei migranti che giungono dall'Africa a Lampedusa - per atteggiarsi a narratore "alto" di un regista cui non frega nulla delle storie che racconta.
Se Rosi avesse deciso di partire dal cuore dell'Africa insieme ai migranti ed affrontare il viaggio per giungere in Sicilia accanto a loro, o avesse dato uno spessore ad immagini buone per me giusto per Studio Aperto, sarebbe stato un discorso differente: scegliere, invece, di alternare drammi amplificati dall'occhio dietro la macchina da presa - non che voglia sottovalutare quello che vivono questi disperati, sia chiaro - alla vita di una famiglia locale legata al mare, a quello che da e che toglie, mi è parso comodo ed ipocrita, lontano dal concetto che ho sempre ammirato del documentario, legato all'entrare così tanto in quello che si vuole portare sullo schermo da sporcarsi le mani e non solo.
Una bocciatura, dunque, completa e sonora, che mi invoglia, al contrario, a recuperare prodotti di tutt'altro spessore come Workingman's death o L'incubo di Darwin, e riproporli qui al Saloon come vero contraltare di roba come questa.
La trama (con parole mie): come tutto il popolo dei cinefili - e probabilmente non solo - ben sa, questa notte si terrà la cerimonia per l'assegnazione degli Academy Awards, i premi più discussi e - con buona pace degli schizzinosi - più importanti in termini mediatici del Cinema.
La sfida, quest'anno, almeno nelle categorie principali, è davvero interessante, e accanto a titoli sopravvalutati si troveranno a lottare per le ambite statuette anche pellicole che sono a diventate a tutti gli effetti instant cult.
Chi la spunterà? Di seguito quelle che sono le mie speranze contro le previsioni delle probabili scelte dell'Academy.
Academy: 12 anni schiavo di Steve McQueen Ford: The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese
Una buona selezione, quella dedicata al miglior film, tosta ed equilibrata: due film enormemente sopravvalutati - Gravity e Captain Phillips -, uno discreto - American hustle -, due buoni - Dallas buyers club e Philomena -, due molto buoni - 12 anni schiavo e Nebraska - e due filmoni totali - Lei e The Wolf of Wall Street -. Ovviamente la mia scelta ricade sul Lupo scorsesiano, nella speranza che l'Academy limiti i danni premiando 12 anni schiavo e non Gravity.
Miglior Attore
Nominations:
Christian Bale per American Hustle - L'apparenza inganna
Bruce Dernper Nebraska
Leonardo DiCaprioper The Wolf of Wall Street
Chiwetel Ejioforper 12 anni schiavo
Matthew McConaugheyper Dallas Buyers Club
Academy: Matthew McConaughey per Dallas Buyers Club Ford: Leonardo Di Caprio per The Wolf of Wall Street
Io voglio bene a Matthew McConaughey, davvero strepitoso in Dallas Buyers Club. Davvero. Ma la giustizia divina della settima arte chiama a gran voce lo strameritato primo Oscar per Di Caprio, che con il suo Jordan Belfort ha davvero superato se stesso.
Miglior Attrice
Nominations:
Amy Adams per American Hustle - L'apparenza inganna
Academy: Amy Adams per American Hustle - L'apparenza inganna Ford: Cate Blanchett per Blue Jasmine
Onestamente, mi basterebbe non veder vincere per la milionesima volta la troppo gigioneggiante Streep. Detto questo, il mio voto va alla strepitosa Cate Blanchett di Blue Jasmine, anche se l'Academy opterà per una meno nevrotica e più rassicurante Amy Adams.
Miglior Attore non protagonista
Nominations:
Barkhad Abdi per Captain Phillips - Attacco in mare aperto
Bradley Cooperper American Hustle - L'apparenza inganna
Jonah Hillper The Wolf of Wall Street
Michael Fassbenderper 12 anni schiavo
Jared Letoper Dallas Buyers Club
Academy: Jared Leto per Dallas Buyers Club Ford: Jared Leto per Dallas Buyers Club
Una delle pochissime scelte che mi troverò a dover condividere con l'Academy. Troppo grande Leto rispetto ai suoi diretti rivali, per quella che, di fatto, è l'interpretazione della vita per il musicista e attore.
Miglior Attrice non protagonista
Nominations:
Sally Hawkins per Blue Jasmine
Julia Robertsper I segreti di Osage County
Lupita Nyong'oper 12 anni schiavo
Jennifer Lawrenceper American Hustle - L'apparenza inganna
June Squibbper Nebraska
Academy: Jennifer Lawrence per American Hustle - L'apparenza inganna Ford: Julia Roberts per I segreti di Osage County
Una delle cinquine più combattute. Nonostante la Lawrence resti la mia preferita assoluta, quest'anno premierei l'incredibile Julia Roberts de I segreti di Osage County, che è riuscita nella non facile impresa di scalzare dal gradino più alto del podio l'ottima Sally Hawkins di Blue Jasmine.
Miglior Regia
Nominations:
Alfonso Cuarón per Gravity
Steve McQueen per 12 anni schiavo
David O. Russell per American Hustle - L'apparenza inganna
Martin Scorsese per The Wolf of Wall Street
Alexander Payne per Nebraska
Academy: Alfonso Cuaron per Gravity Ford: Martin Scorsese per The Wolf of Wall Street
Cuaron sarà pure stato chirurgico ed estremamente tecnico nelle sue piroette spaziali, ma il trionfo esplosivo e predatorio di Scorsese, ai miei occhi, se lo mangia in un boccone.
Miglior sceneggiatura originale
Nominations:
American Hustle - L'apparenza inganna: Eric Warren Singer, David O. Russell
Blue Jasmine: Woody Allen
Lei: Spike Jonze
Nebraska: Bob Nelson
Dallas Buyers Club: Craig Borten, Melisa Wallack
Academy: American Hustle - L'apparenza inganna Ford: Lei
Nonostante la scelta apparentemente scontata di American Hustle, spero davvero che l'Academy regali al sottoscritto - e non solo - la soddisfazione di veder vincere Spike Jonze, autore di un gioiellino come se ne vedono davvero di rado.
Captain Phillips - Attacco in mare aperto: Billy Ray
12 anni schiavo: John Ridley
The Wolf of Wall Street: Terence Winter
Philomena: Steve Coogan, Jeff Pope
Academy: 12 anni schiavo Ford: The Wolf of Wall Street
Per quanto non mi dispiacerebbe vedere premiati lavori come 12 anni schiavo o Before midnight, la sceneggiatura di Terence Winter per Scorsese ed il suo Wolf è qualcosa di assolutamente gigantesco e magistrale. Ennesimo premio da parte del sottoscritto per il miracolo del vecchio Marty.
Si alza il vento Academy: Frozen - Il regno di ghiaccio Ford: Frozen - Il regno di ghiaccio Onestamente, premierei il Maestro Miyazaki a scatola chiusa, non fosse altro che per riconoscere la sua straordinaria carriera. Non ho però ancora avuto modo di vedere Si alza il vento, dunque la mia scelta si allinea con quella probabile dell'Academy nel premiare il miglior film Disney dai tempi dei gloriosi anni novanta, Frozen.
Miglior film straniero
Nominations:
Alabama Monroe - Una storia d'amore: Felix Van Groeningen(Belgio)
Omar: Hany Abu-Assad(Palestina) Academy: La grande bellezza Ford: Il sospetto Per quanto possa essere felice di una statuetta destinata a rilanciare - speriamo - il Cinema italiano nel mondo ed abbia davvero apprezzato l'ultimo lavoro di Sorrentino, per me non ci sono dubbi: Il sospetto, straordinario lavoro di Vinterberg, si prende il mio voto ad occhi chiusi.
The Grandmaster: Philippe Le Sourd Academy: Gravity Ford: Prisoners Ingiustamente ignorato dall'Academy per le categorie più importanti, il lavoro di Denis Villeneuve andrebbe almeno riconosciuto nella sua parte tecnica, anche se non mi dispiacerebbe vedere andare la statuetta alla chicca firmata dai Coen. Probabilissima, invece, la vittoria del favorito Gravity.
Miglior Montaggio
Nominations:
12 anni schiavo: Joe Walker
American Hustle - L'apparenza inganna: Alan Baumgarten, Jay Cassidy, Crispin Struthers
Gravity: Alfonso Cuarón, Mark Sanger
Captain Phillips - Attacco in mare aperto: Christopher Rouse
Dallas Buyers Club: Martin Pensa, John Mac McMurphy Academy: American Hustle - L'apparenza inganna Ford: 12 anni schiavo Per accontentare anche David O. Russell, che si vedrà soffiare i premi principali da Cuaron, arriverà il contentino della statuetta al miglior montaggio, che in assenza dello straordinario lavoro di Thelma Shoonmaker per The wolf of Wall Street io assegno invece a 12 anni schiavo, come sempre per le opere di McQueen tecnicamente strepitoso.
Miglior Scenografia
Nominations:
12 anni schiavo: Adam Stockhausen, Alice Baker
American Hustle - L'apparenza inganna: Judy Becker, Heather Loeffler
Lei: K.K. Barrett, Gene Serdena Academy: American Hustle - L'apparenza inganna Ford: Il grande Gatsby Altro Oscar tecnico, ed altro probabile riconoscimento per American Hustle. Personalmente, non c'è gara con Il grande Gatsby di Luhrmann, altro grande film ignorato bellamente dagli amici dell'Academy. Non storcerei il naso, comunque, se vincesse 12 anni schiavo.
Migliori costumi
Nominations:
American Hustle - L'apparenza inganna: Michael Wilkinson
Il grande Gatsby: Catherine Martin
12 anni schiavo: Patricia Norris
The Grandmaster: William Chang
The Invisible Woman: Michael O'Connor Academy: 12 anni schiavo Ford: Il grande Gatsby Stesso discorso di cui sopra. Non mi dispiacerebbe affatto vedere premiato il lavoro di McQueen, ma tiferò spudoratamente per il fantasmagorico Gatsby di Luhrmann.
Miglior trucco
Nominations:
Dallas Buyers Club: Adruitha Lee, Robin Mathews
Jackass - Nonno cattivo: Steve Prouty
The Lone Ranger: Joel Harlow, Gloria Pasqua Casny Academy: The lone ranger Ford: Dallas Buyers Club Una delle statuette di cui meno frega a questo vecchio cowboy, che comunque mi piacerebbe vedere assegnata a Dallas Buyers Club, sostegno per le due straordinarie interpretazioni che l'hanno spinto così in alto.
Miglior colonna sonora originale
Nominations:
Storia di una ladra di libri: John Williams
Gravity: Steven Price
Lei: William Butler, Andy Koyama
Saving Mr. Banks: Thomas Newman
Philomena: Alexandre Desplat Academy: Saving Mr. Banks Ford: Lei Altra categoria della quale mi importa poco o nulla, di norma dedicata al buonismo sfrenato. Io continuo a sperare, e scelgo di assegnare la mia statuetta a Lei, che rende alla grande anche dal punto di vista musicale.
Miglior canzone originale
Nominations:
Cattivissimo me 2: Pharrell Williams( "Happy")
Frozen - Il regno di ghiaccio: Kristen Anderson-Lopez, Robert Lopez("Let It Go")
Mandela: Long Walk to Freedom: Bono, Adam Clayton, The Edge, Larry Mullen Jr., Brian Burton("Ordinary Love")
Lei: Karen O("The Moon Song") Academy: Happy Ford: The moon song Per quanto mi diverta assai il tormentone Happy di Pharrell Williams, a questo giro non c'è gara: troppo intensa e coinvolgente la splendida The moon song di Her, per poter essere impensierita dalle altre. Spero poi vivamente che non venga commesso l'errore di assegnare l'Oscar a Bono e ai suoi amichetti.
Miglior mixaggio sonoro
Nominations:
Gravity: Skip Lievsay, Niv Adiri, Christopher Benstead, Chris Munro
Captain Phillips - Attacco in mare aperto: Chris Burdon, Mark Taylor, Mike Prestwood Smith, Chris Munro
A proposito di Davis: Skip Lievsay, Greg Orloff, Peter F. Kurland
Lone Survivor: Andy Koyama, Beau Borders, David Brownlow Academy: Gravity Ford: Lone survivor Statuetta più che tecnica che conta davvero pochino, e che l'Academy facilmente assegnerà a Gravity, candidato più probabile ad essere il trionfatore della Notte degli Oscar: per quanto mi riguarda, la preferenza è tutta per l'ottimo lavoro svolto su Lone Survivor, l'action dell'anno di casa Ford.
Captain Phillips - Attacco in mare aperto: Oliver Tarney
Gravity: Glenn Freemantle
Lo Hobbit - La desolazione di Smaug: Brent Burge
Lone Survivor: Wylie Stateman Academy: All is lost Ford: Lone survivor Vale il discorso di cui sopra, anche se non griderei comunque allo scandalo, trattandosi di un premio decisamente minore, almeno ai miei occhi.
Migliori effetti speciali
Nominations:
Gravity: Timothy Webber, Chris Lawrence, David Shirk, Neil Corbould
Lo Hobbit - La desolazione di Smaug: Joe Letteri, Eric Saindon, David Clayton, Eric Reynolds
Iron Man 3: Christopher Townsend, Guy Williams, Erik Nash, Daniel Sudick
The Lone Ranger: Tim Alexander, Gary Brozenich, Edson Williams, John Frazier
Into Darkness - Star Trek: Roger Guyett, Pat Tubach, Ben Grossmann, Burt Dalton Academy: Gravity Ford: Lo Hobbit - La desolazione di Smaug Probabilmente il più giusto tra i premi che porterà a casa Gravity, eppure lo strepitoso drago Smaug mi muove a scegliere inesorabilmente Lo Hobbit, che dopo un ottimo primo capitolo prosegue a mio parere nel migliore dei modi la sua trilogia.
Miglior documentario
Nominations:
L'atto di uccidere: Joshua Oppenheimer, Signe Byrge Sørensen
Cutie and the Boxer: Zachary Heinzerling, Lydia Dean Pilcher
Dirty Wars: Rick Rowley, Jeremy Scahill
Al midan: Jehane Noujaim, Karim Amer
20 Feet from Stardom: Morgan Neville Academy: L'atto di uccidere Ford: L'atto di uccidere Sono riuscito a recuperare solo uno, finora, dei titoli in lizza per la statuetta. Ma signori miei, che titolo! Per me una vittoria a mani basse. Le categorie dei corti, da sempre difficili da reperire e seguire come si converrebbe, sono segnalate senza previsione alcuna per dovere di cronaca. Che vinca il migliore, e non chi vorrebbe l'Academy.
Miglior corto documentario
Nominations:
Cavedigger: Jeffrey Karoff
Facing Fear: Jason Cohen
Karama Has No Walls: Sara Ishaq
The Lady In Number 6: Malcolm Clarke, Carl Freed
Prison Terminal: The Last Days of Private Jack Hall: Edgar Barens
La trama (con parole mie): dopo quasi un mese di votazioni e sfide a suon di canzoni, eccoci finalmente giunti alla finalissima del ControFestival organizzato dai ragazzi de L'OraBlu.
Le quattro categorie, ridotte all'osso, sono alla vigilia della sfida decisiva che incoronerà i vincitori dell'ambito premio.
A voi, dunque, avventori del Saloon, la scelta: il vostro voto potrebbe essere quello decisivo!
Amici followers, siamo davvero alla resa dei conti per LA MUSICA E' SEMPRE PIU' BLU!
Le votazioni relative alle tre categorie in gara e alla categoria off-contest dell’ospite straniero sono terminati. Degli oltre 200 pezzi partecipanti, i tre brani di ogni categoria (quattro nei casi di ex aequo) più votati dal popolo del web durante le settimane appena trascorse si sono aggiudicati un posto per la finale, e saranno nuovamente giudicati dal pubblico del web e da una giuria in carne ed ossa! La finale infatti si terrà presso i locali dell’OrablùBar di Bollate (MI) la sera di sabato 16 febbraio, e il pubblico presente alla serata formerà la giuria di qualità del nostro controfestival, che andrà a sommare i propri voti a quelli espressi dal pubblico del web. Le votazioni web sono quindi nuovamente aperte e potrete ascoltare e votare i pezzi di tutte e tre le categorie in gara su questo e sugli altri blog che hanno contribuito alla buona riuscita di questo controfestival, oltre che naturalmente sul blog dell’Orablù. Come in ogni festival che si rispetti la giuria di qualità assumerà il ruolo di giuria demoscopica, per evitare possibili “brogli”, ed avrà quindi un peso diverso da quello dei voti espressi sul web.
Durante la serata, che - per chi non riuscirà ad essere fisicamente presente all’OrablùBar - sarà visibile in diretta streaming sui diversi blog, saranno riproposte le canzoni finaliste, ed infine saranno decretati i vincitori di ogni categoria. I partecipanti che hanno presentato le canzoni vincitrici riceveranno un premio.
Detto questo è arrivata l’ora di annunciare ufficialmente i pezzi ancora in gara (rigorosamente in ordine alfabetico)!
Per la categoria DODICI ANNI DI MUSICA ALTERNATIVA ITALIANA:
Afterhours - Ballata per la mia piccola iena Afterhours - Quello che non c'è Baustelle - La guerra è finita Offlaga Disco Pax – Robespierre
Per la categoria ITALIAN BEST:
Area - Gioia e rivoluzione Fiorella Mannoia - Il cielo d'Irlanda Frankie HI NRG - Quelli che benpensano Lucio Battisti - Il mio canto libero
Per la categoria ITALIAN TRASH:
Andrea Vantini - Meno male che Silvio c'è Povia - Vorrei avere il becco Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici - Italia amore mio
Per la categoria L’OSPITE STRANIERO:
Patti Smith - Banga The Rolling Stones - Doom & Gloom Wilco - Art of almost
La trama (con parole mie): Darius, una ragazza chiusa ed introversa che non ha mai superato il trauma della morte della madre, avvenuta quando lei aveva quattordici anni, lavora come stagista al Seattle Magazine, e a seguito di uno strano annuncio viene reclutata con il "collega" Arnau dal giornalista Jeff per un viaggio ad Ocean Road, località balneare dello stato di Washington, per indagare a proposito di un misterioso individuo che afferma di essere in grado di costruire una macchina del tempo e di voler cercare un partner in grado di coprirgli le spalle nel corso di questa singolare missione rispetto alla quale la sicurezza non è garantita.
Una volta giunti sul posto i tre curiosi ed improvvisati investigatori si troveranno ad affrontare in qualche modo se stessi, e lo scombinato Kenneth, autore dell'annuncio, diverrà l'ago della bilancia per le vite di tutti loro.
Safety not guaranteed è finito praticamente per caso sugli schermi di casa Ford, in una giornata particolarmente pesante, una di quelle che non sai come affrontare, perchè pare che ti soffochino fino a quando non ce la fai davvero più, e vorresti soltanto esplodere e liberarti di tutto quello che ti sta schiacciando dentro. Di quelle così pesanti che non sembra basti neppure la felicità, o scrivere, suonare, sbronzarsi o lasciare che una bella scopata ci travolga.
Non un compito facile, dunque, per una pellicola figlia dello stile Sundance che già in condizioni normali avrebbe rischiato di incrociare le bottigliate più toste possibili made in Saloon: e devo ammettere che, nei primi minuti, il dubbio che si sarebbe rivelata un'inutile visione riempitiva per cercare conforto nel Cinema ha solleticato - e non poco - l'anima del sottoscritto.
Tre personaggi al limite del grottesco coinvolti in un road trip che poi, a dirla tutta, proprio un road trip non è, alla ricerca di un quarto che pare più grottesco di tutti loro messi insieme, mossi da motivazioni nelle quali loro per primi paiono non credere, una cornice figlia di quella provincia americana in bilico tra le "homemade pies" da fiaba ed una malinconica atmosfera che potrebbe definire un instant cult o una delusione cocente, attori di fatto poco conosciuti e per nulla garanzia di chissà quale qualità.
E ad un certo punto, entra in scena Kenneth. Il Kenneth di Mark Duplass, uno dei due fratelli responsabili del già buon Cyrus, con tutto un carico di struggimento ed aspettativa che un passo alla volta è riuscito a portare alla mente - e soprattutto al cuore - del vecchio cowboy riferimenti a pellicole amatissime lo scorso anno come Another Earth, Young adult e Ruby Sparks.
Kenneth che cerca un partner per completare una macchina del tempo e rischiare tutto per cambiare le cose, che pare così folle da risultare profondamente vero ed umano, che è alla ricerca di qualcuno che abbia conosciuto il dolore di una perdita ed il peso del senso di colpa, che è sicuro di essere seguito anche quando nessuno pensa che possa essere davvero così, che vanno le cose.
Forse questo strambo "eroe" è un illuso, a pensare che tutto possa funzionare, che ci sarà sempre una scatola di salvataggio in caso di necessità, che si possa tornare indietro animati da un valido motivo e poi trovare il riscatto, quella possibilità che il mondo pare non voglia proprio concedere a chi risulta "strano" agli occhi di chi ripone la sua fiducia soltanto in domande prestampate per un colloquio, o a risultati che paiono più numeri che non materia dell'anima.
Forse tornare indietro è impossibile, e la macchina del tempo di Kenneth non esiste se non nella sua mente, eppure nella piccola Ocean Road pare che la storia possa d'improvviso cambiare, e viaggiare in avanti per ognuno dei suoi protagonisti: il posticcio Jeff tutto ego alla (ri)scoperta di un primo amore bollato come passatempo troppo in fretta, il supernerd Arnau pronto a fare il suo primo passo nel mondo dei grandi, la chiusa ed ostile Darius sulla via per mostrare una femminilità persa con la morte della madre.
La sicurezza non è garantita, perchè la vita fa male, spesso e volentieri.
Kenneth lo sa, perchè non è nuovo agli errori.
Così come non lo sono i suoi improvvisati compagni d'avventura.
Jeff, Arnau e Darius lo impareranno passo dopo passo, impegnati in una ricerca che pare di quelle improvvisate dei ragazzini prede delle fantasie da Goonies stimolate dalle lunghe ed apparentemente eterne estati di vacanza, magari al mare. Magari proprio ad Ocean Road.
Poi, d'un tratto, si finisce per crescere, e perdere un pezzo alla volta tutta la poesia di quel coraggio assurdo e naif.
E non si può più tornare indietro.
Almeno fino a quando non compare uno come Kenneth, pronto a cambiare le cose.
La sicurezza non è garantita, per gli outsiders. Per "quelli strani" come loro.
Per Kenneth e Darius.
Che, poi, chissà dove andranno davvero a finire.
Ma sapete una cosa? Non importa.
Perchè quello che conta è che avranno compiuto quel passo.
Avranno trovato un nuovo motivo per dare un senso alla loro missione.
Il buon Frank Manila, chiudendo il post dedicato a questo film, lo ha definito "piccolo ma in realtà gigante".
Non poteva trovare parole migliori.
MrFord
"I don't know how to hide,
keep my shadow alive,
it's easy to defend,
the logic of a friend
and I don't know how to tell, is it heaven or hell
that I'll be going to
just as long as i'm there with you."
La trama (con parole mie): nonostante le lezioni che grandi civiltà del passato hanno cercato di tramandare, la questione dell'omofobia è e resta una delle problematiche più importanti rispetto alla quale la società attuale ha il dovere di confrontarsi.
Antonio Prisco, giovane regista partenopeo, affronta da par suo la questione attraverso un corto che condensa in un martellamento d'immagini tutta la rabbia e la necessità di affrontare una questione che, in realtà, è simbolo di molte altre intolleranze.
Un esperimento che non sarà perfetto, ma rappresenta l'esigenza di comunicare e di muovere - finalmente - un passo verso il futuro.
Quando vengo contattato da giovani registi al lavoro per promuovere i lavori che potrebbero far sentire la loro voce - e, chissà, lanciare la loro carriera - sono sempre molto felice.
In fondo, il Saloon nasce come un luogo in cui si è liberi di esprimersi, e la mia natura di insegnante mancato è sempre ansiosa di confrontarsi con l'operato di ragazzi che tra qualche anno potrebbero essere i nuovi volti della nostrana settima arte: in particolare, sono rimasto molto colpito da Antonio Prisco.
Quando ho visto per la prima volta Icontroversy, oltre a riconoscere la sua ottima realizzazione dal punto di vista tecnico, meditavo di riservare, nonostante tutto, le bottigliate con lode a sfondo di stimolo - come fu per Fabio Cento ed il suo Mud lounges - a questo corto coraggioso ma, da un certo punto di vista, forse troppo condensato per un tema che meriterebbe senza dubbio una ricerca - e, perchè no, uno script - più approfondito e di minutaggio decisamente superiore, con una struttura che possa rispecchiare il lavoro effettivo di un regista.
Poi, l'ho visto una seconda. E ho scritto le domande che andranno a comporre l'intervista ad Antonio che potrete leggere più tardi.
Ma soprattutto, sono arrivate le sue risposte.
Ed il lavoro ha di colpo assunto uno spessore decisamente più importante.
A quel punto, ho deciso di scrivere questo pezzo - e cambiare il mio voto di partenza - quasi fossero entrambi una sorta di richiesta al regista di mettersi al lavoro su qualcosa di più imponente, cercando di portare sensibilità e voglia di comunicare ad un altro livello, quasi trasformando Icontroversy nel suo fratello maggiore.
Ma questo lo diranno il futuro, ed il buon Prisco.
Nel frattempo, non posso che manifestare interesse non soltanto per un tema che ha toccato e tocca me in quanto membro della società, ma anche molti miei amici e colleghi, e che è fondamentale sia per Antonio che per Lia Zeta, protagonista dell'opera e simbolo di quello che vuole essere il messaggio di Icontroversy: l'impatto è decisamente forte e violento, come in parte è giusto che sia - la posizione di molti uomini politici, della maggior parte delle religioni di massa nonchè dell'opinione pubblica comune è agghiacciante - considerate le reazioni decisamente al limite dell'assurdo che suscita in più di una parte del mondo, ma non nascondo che vorrei vedere l'autore ed il suo centro di gravità muoversi anche in territori più ironici e pungenti, per intenderci nello stile di Shortbus, uno dei film di genere che più ho adorato negli ultimi anni.
Certo, non sono io a dover indicare ad Antonio la sua strada, e sicuramente questo suo corto avrà quello che merita ai Festival cui parteciperà ed indicherà, in qualche modo, all'autore il percorso da intraprendere, eppure mi sento di voler profondamente sostenere i ragazzi che, con coraggio, continuano a voler investire nel proprio talento e nelle idee, anche quando gli stessi non sono ancora esplosi ed espressi al massimo del loro potenziale, attraverso consigli che saranno liberissimi di non seguire.
Dunque, caro Antonio, fatti onore e risveglia quante più coscienze possibili con il tuo Icontroversy, ma ricordati che qui al Saloon, oltre alle bevute, saranno sempre pronte bottigliate di incoraggiamento per continuare ad osare sempre di più, anche quando penserai di essere arrivato al tuo meglio.
Anzi, soprattutto in quei momenti.
MrFord
"Every morning I would see her getting off the bus
the picture never drops, it's like a multicoloured snapshot stuck in my brain
it kept me sane for a couple of years as it drenched my fears
of becoming like the others
who become unhappy mothers
and fathers of unhappy kids
and why is that?"
La trama (con parole mie): Jomar, ex promessa dello sci crollato sotto il peso di un esaurimento nervoso, lavora svogliatamente come guardiano in un impianto quasi abbandonato, sperando sempre di poter convincere la direttrice della clinica psichiatrica locale a ricoverarlo.
Quando il suo ex migliore amico torna a cercarlo, Jomar scopre di essere padre di una bambina di quattro anni che vive nell'estremo Nord del paese, e così, pur se riluttante, decide di mettersi in viaggio a bordo della sua motoslitta per incontrare la piccola.
Attraverso gli scenari quasi incantati dominati dalla neve il giovane incontrerà personaggi curiosi e malinconici come lui, riscoprendo l'avventura di un vero e proprio - pur se insolito - road movie.
Fin dai tempi del mio primo post, e come ormai tutti voi avete imparato a conoscere, sono stato uno strenuo difensore del panesalamismo cinematografico e non solo in opposizione all'atteggiamento spesso spocchioso ed irritante di chi vive praticamente in simbiosi con il solo Cinema autoriale, e guarda tutti gli altri poveri stronzi sempre un pò dall'alto in basso.
Ho anche ammesso in più di un'occasione che il mio approccio attuale, frutto certo delle esperienze di vita vissuta e non solo di visioni, nasce dal fatto che qualche anno fa, ai tempi dell'esplosione vera e propria della mia passione per il Cinema, ho vissuto un paio di stagioni da "sbruffone che se ne intende di Cinema al contrario di tutti voi che andate a vedere il blockbuster da sabato sera, poveri rincoglioniti" in cui riuscivo - complici gli impegni lavorativi meno pressanti - a schiaffarmi anche tre o quattro mattonazzi sconosciuti al giorno senza battere ciglio, a volte addirittura alzandomi la mattina presto per spararmi il film russo di turno prima di andare in negozio.
Fortunatamente, sono uscito da un vortice che mi avrebbe privato di tutta una serie di visioni necessarie - fosse anche solo al divertimento e alla distensione -, senza contare il fatto che sono ormai convinto che chi ama il Cinema lo ama indiscutibilmente in toto, a prescindere dai generi e dall'autorialità in senso "alto" del termine - con alcune eccezioni, ovviamente, ma per questo esistono le bottigliate! -.
Ma perchè mai mi sto dilungando in questa sorta di manifesto programmatico?
Semplicemente perchè Nord, che è indiscutibilmente, clamorosamente, inesorabilmente autoriale dall'inizio alla fine, esponente della tipica categoria dei "film da Festival" con pochi dialoghi, atmosfere grottesche, inquadrature ricercate e certamente non costruito per piacere al grande pubblico, risulta essere un'opera cui mi pare davvero difficile non voler bene.
Certo, è evidente fin dal principio quanto lo script sia poco importante per il regista - ex documentarista concentrato principalmente sull'immagine e sull'idea del viaggio - e risulti in qualche modo estremamente convenzionale, malgrado i bizzarri personaggi che lo popolano, ed altrettanto evidente appare la sterilità di alcune situazioni, completamente al servizio dell'aspetto visivo e della colonna sonora - magnifica, ad opera degli altrettanto incredibili Motorpsycho in una delle loro identità alternative -, ma poco importa.
Sarà che da sempre sono affascinato dal viaggio - come concetto ed esperienza -, o che il protagonista Jomar conquista subito grazie alla sua involontaria piromania - impagabile la sequenza del rifugio in cui trova riparo dalla tormenta di neve -, ma questo piccolo film che da alcuni è stato esageratamente paragonato al meraviglioso Una storia vera di David Lynch è riuscito a farsi strada nel mio cuore quasi come se non fosse l'odioso prodotto da cineforum che, a ben guardare, indiscutibilmente è.
I personaggi incontrati dal protagonista lungo la strada, persi in quel candore splendido e terribile, a metà strada tra la follia e le magiche atmosfere che in passato hanno illuminato il Maestro Bergman, o "tra il nulla e l'addio", come direbbe Clint, più che apparire distanti ed "altolocati" come i radical chic cinematografici vorrebbero, si mostrano estremamente umani, e clamorosamente vicini allo spettatore proprio nella loro condizione di entità smarrite, perennemente alla ricerca di qualcosa - o qualcuno - che dia il significato che cercano alla vita.
Così, alternando l'ottimo confronto con il vecchio nella tenda alla sbronza "in fieri" a suon di capelli rasati ed assorbenti interni imbevuti d'alcool legati attorno alla testa secondo "le indicazioni di un polacco" culminata con l'esibizione dei passati talenti del protagonista come professionista dello sci - un momento quasi alla Jackass, grottesco ed esilarante -, Jomar ci conduce, non proprio per mano, attraverso un deserto algido ed accecante, all'incontro che potrebbe cambiare la sua vita: senza neppure rendersi conto che il cambiamento potrebbe già essere giunto attraverso il viaggio stesso.
MrFord
"Have you seen the North
that cold grey place
don't want its shadow anymore
on my face."
Elton John - "The North" -